A caccia di umori tra ambientalisti e… sparatori
UCCELLI D’ITALIA LA CACCA S’E’ DESTA

[articolo di Michele Boselli da La Ciotola del 1 ottobre 1987]

Domenica 20 settembre, svegliato dalle fucilate, sono partito per la mia prima battuta di caccia ai cacciatori con una accompagnatrice di rispetto: la segretaria del Wwf Conegliano, Emma Modena, che insieme a poche altre guardie venatorie dedica il suo tempo libero a perlustrare le campagne ed elevare verbali ai numerosi cacciatori irregolari. “L’infrazione più comune – mi spiega Emma – è l’inosservanza della distanza minima di 150 metri dalle abitazioni, che costa ogni anno parecchi morti”. L’Italia detiene il triste record mondiale del più alto numero di cacciatori rispetto alla popolazione e alla superficie del territorio: 7,3 cacciatori per chilometro quadrato, comprese città, laghi, alte montagne e il nostro condominio. Un veloce confronto con altri paesi europei ci fa arrossire di vergogna: 3,9 in Francia (distanziata al secondo posto); 1,5 in Germania federale; 0,9 in Gran Bretagna. Le regioni italiane con più cacciatori sono Emilia, Lazio, Campania, Lombardia, Veneto e sopra a tutti la Toscana, con oltre 300.000 dei due milioni di doppiette italiane. Ma chi è il cacciatore?

L’aggressività di chi va a sterminare per gioco gli animali è sempre conseguenza di frustrazione, una sorta di impotenza per cui lo sparare col fucile è spesso l’unico forma di attività “sessuale” di cui il cacciatore è capace. A tale proposito lo studioso Roheim parla di nessi tra pene e arma da fuoco come simboli di autoaffermazione e tra arma fallica e la caccia come simboli del coito. Una nota a parte meritano i cacciatori di falco pecchiaiolo sullo stretto di Messina: la tradizione vuole che la cattura di questo rapace sia la prova della fedeltà della moglie. Tuttavia, è facile osservare che le prolungate assenze da casa di questi cacciatori producono piuttosto l’effetto contrario, spesso ad opera di seducenti ambientalisti.

Seduti alla Guizza davanti a un tè, Emma mi racconta di uno degli aspetti più incivili della questione: l’uccellagione, e della sua incredibile vicenda legislativa. Dopo anni di battaglie degli ambientalisti e proteste dei paesi europei che vedono estinguersi il patrimonio di uccelli migratori pur rispettandoli, l’uccellagione veniva abolita per legge nel marzo del 1969. Ma, soltanto sette mesi dopo, il governo soddisfaceva il prurito dell’Anuu (Associazione nazionale uccellatori e uccellinai) e ripristinava la macabra pratica delegando la materia alle regioni. La giunta del Friuli – Venezia Giulia, cui non faceva difetto una ridicola precisione, stabilì il numero massimo di uccelli catturabili in 4.647.585 esemplari. Una cifra simile di firme di cittadini europei fu raccolta da un comitato amburghese anticaccia, ma valsero meno di 15.000 uccellatori dell’Anuu. Costoro sono anche convinti di dare un contributo fondamentale alla scienza ornitologica con la cattura di esemplari rari. Riviste oscene come Uccelli d’Italia riportano nell’assoluta impunità i resoconti degli ornitologi calibro 12.

Prendo un numero a caso e leggo il triste elenco degli impagliati: una cicogna bianca a Susegana, diversi pivieri tortolini sul Pizzoc e sul Visentin, un verdone a Campolongo,  nove zigoli di Lapponia a Mareno di Piave (per limitarci alla nostra zona). Ora le cicogne snobbano la penisola e migrano sorvolando Spagna o Turchia, e non è da trascurare che la caccia ci costa ogni anno un bel po’ di turisti sensibili alla campagna Keine Reisen in das Land des Vogelmordes: niente viaggi nel paese degli assassini d’uccelli. Ma tant’è: in materia di caccia l’Italia si colloca con orgoglio venatorio tra i paesi del quinto mondo, prendendo lezioni di civiltà da Somalia e Uganda. Da noi la caccia sembra intoccabile. Nel 1980 vennero raccolte 865.000 firme per il referendum anticaccia, ma la Corte costituzionale lo respinse. Va ricordato che la Costituzione repubblicana recita: Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia ed indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, materie queste che i sommi magistrati, nella loro imperscrutabile onniscienza, hanno ritenuto molto affini alla caccia. L’anno scorso i radicali ci hanno riprovato con Dp, Verdi e L’Espresso, ma anche questa volta gli augusti giudici hanno gettato nel cestino la volontà popolare (fu raccolto il doppio delle firme sufficienti) in ossequio alle associazioni venatorie e agli armieri venali.

E allora che fare? Mi soccorre Manuela Zuccarello, ex consigliere provinciale verde, con una anteprima in esclusiva per i lettori de La Ciotola: “Raccoglieremo le 50.000 firme necessarie per il referendum regionale. Sto contattando i Verdi e le altre associazioni radicali del Veneto”. Ma torniamo alla nostra battuta di caccia. D’improvviso Emma mi ferma con il braccio: a pochi metri da noi, oltre un cespuglio, un cacciatore spara all’alzarsi in volo di un variopinto uccello. Mancato il bersaglio, il cacciatore spara una seconda volta, quasi in verticale, e fulmineo si porta una mano all’occhio destro che mirava nel cielo, bestemmiando. Il beffardo volatile ha scagazzato in volo e colpito nell’acuta pupilla il nemico, che perde l’equilibrio e rovina su una strepitosa bovassa depositata ad arte da un sapiente bovino. Sul viso di Emma si dipinge un sorriso amaro: con la stagione della caccia si è aperta anche quella della cacca.