RADIO SOFIA NON PARLA PIU’ ITALIANO

[da ITALIANI IN BULGARIA numero 7 del 25 novembre 1997]

La Radio nazionale bulgara ha chiuso la redazione italiana e le trasmissioni in questa lingua, definita “esotica” (?!?) In questo articolo la giornalista Violetta Grigorova scrive con amarezza della sua pluriennale esperienza nella sezione italiana di Radio Sofia

SONO UNA COME TANTI ALTRI che hanno vissuto gran parte della loro vita sotto un regime totalitario, mezzo secolo di regime comunista bulgaro, e ora che posso vorrei raccontare alcuni episodi della mia pratica di giornalista nella Radio nazionale bulgara durante quegli anni. È triste ricordare le assurdità della dottrina comunista, ma dobbiamo farlo per non permettere mai più che un paese così bello, situato nel core dei Balcani, torni un giorno satellite di simi dottrine, esistente soltanto nell’ipoteticità delle categorie ideologico-filosofiche, ma torniamo al dunque.

NEL 1987 varcai la soglia della direzione “Trasmissioni per l’estero” con un sentimento illusorio che proprio lì si creasse qualcosa, ci si perfezionasse quotidianamente e si potesse realmente dispiegare il potenziale intellettuale della propria personalità. Fui nominata in veste di redattrice per il posto vacante di corrispondente presso la redazione italiana di suddetta direzione. Assunsi l’impegno con immediato entusiasmo, dato che volevo penetrare nella metodica dell’attività della redazione. Dico volevo, perché quel desiderio fu presto tradito e sostituito da un’apatia e un sentimento sordo di insoddisfazione e al tempo stesso di rassegnazione.

APPRODAI alla redazione con 12 anni di esperienza come traduttrice professionista, di cui tre anni letargici di lenta degradazione dovuti a fattori oggettivi e soggettivi legati alla situazione di quotidiana routinarietà di lavoro nella prestigiosa ditta Radio nazionale bulgara. Non vorrei che l’emozionalità pervadesse questo articolo, ma furono toccate in me le più sensibili corde, quelle della mia dignità di essere umano e di professionista che ha le sue posizioni come cittadino/a. per un periodo assai breve, senza che me ne accorgessi, con i tipici metodi comunisti fui completamente isolata dal lavoro corrente della redazione. Elegantemente mi era stato indicato qual’era il “mio posto”. Senza che fossi convocata per discuterne e neppure avvisarmi in anticipo, mi portarono via la rubrica “Il circolo dei giovani”, col pretesto che fossi troppo occupata con la corrispondenza, e per di più la rubrica “Casella postale”, che nella maggior parte delle altre redazioni in altre lingue era svolta da noi corrispondenti; e infine mi tolsero pure i compiti di cronaca: venivano affidati solo in casi eccezionali, quando nessun altro voleva o per diverse ragioni non poteva recarsi a “coprire” un dato avvenimento. Capii ce per me non ci sarebbe stato scampo, e sceldi il primo compromesso.

IL SILENZIO. Giunsi al punto di dovermi sentire in colpa quando dovevo viaggiare per l’Italia (circa una volta all’anno per ragioni personali oppure in veste d’interprete di soggetti non proprio intelligenti, ma gli interlocutori italiani non se ne rendevano conto o se ne infischiavano…) Un’arroganza elegante. Questa era un’altra proprietà della caratteropatia della redazione italiana, incarnata nella persona della nostra dirigente, nominata capo-redattrice della sezione italiana senza sapere l’italiano! Era infatti laureata in filologia francese, ma parente di un alto funzionario del Comitato centrale del Partito comunista bulgaro. Più di una volta tentai di esprimere la mia indignazione contro i metodi usati in questa redazione. Mi mettevano a tacere con un sorrisetto e piccoli “favori” quotidiani, come venire più tardi al lavoro o potermene andare più presto, sottolineando che l’intera corrispondenza era un lavoro che pesava esclusivamente sulle mie spalle… Era un fatto che avrei anche accettato se l’atmosfera fosse stata veramente creativa, ma una cosa simile esisteva solo nei libri. Intanto ogni giorno di più mi rendevo conto di quanti incapaci ci fossero nella radio bulgara, ri quanto raccomandati incompetenti si propagassero nella direzione delle trasmissioni per l’estero. Nel corso di diversi colloqui la capo-redattrice mi suggeriva di accettare la rassegnazione quale posizione per quel che mi restava come attività creativa nella redazione. Una volta fu anche sincera, dicendomi che era contro la mia nomina nella redazione e le mie ambizioni non avrebbero potuto realizzarvisi. Ciononostante i colleghi di altre redazioni accettavano di buon cuore i miei materiali sul settore “giovanile”, e in ogni caso non mi dispiaceva di aver assunto l’incarico della corrispondenza con centinaia di simpatici ascoltatori italiani. Ma schiacciata dall’opinione “competente”, esentata da alcun tipo di obiezione da parte mia, mi chiusi ancor di più in me stessa.

LA MANIPOLAZIONE era così ben perpetrata che io stessa cominciai a dubitare delle mie qualità, vivendo 6 ore al giorno nell’atmosfera di una cantilena di parole senza senso, è facile immaginare cosa ne fosse rimasto delle mie ambizioni professionali. In qualità di interprete ufficiale del Partito agrario bulgaro (u partito satellite, lo sapevano tutti ma non si poteva dire), col loro aiuto partii privatamente alla volta dell’Italia (ho la fortuna di avere un cugino a Roma), e prima della partenza fui avvisata dal vice-direttore del reparto “paesi capitalistici” che non avrei mai dovuto dire per chi e dove lavoravo. Questo fatto non ha bisogno di commenti… Grazie all’ambasciata bulgara a Roma, più precisamente con l’aiuto di Elena Poptodorova che allora era ministro plenipotenziario per San Marino (pur non muovendosi mai da Roma!), ottenni il documento indispensabile per dimostrare che ero una giornalista della Radio nazionale bulgara, documento senza il quale non avrei potuto fare il tirocinio nel corso mensile dell’agenzia ANSA, di cui dieci giorni trascorsi all’interno del parlamento italiano e godendo dell’opportunità di scambiare idee ed esperienze con i giornalisti italiani.

TORNATA IN BULGARIA dopo tre mesi di soggiorno in Italia (durante quel periodo mi aveva sostituito una ragazza solo per una quindicina di giorni, quindi si può immaginare la mole di lettere che trovai sulla scrivania!), mi sentivo ispirata, colma di nuovo entusiasmo, di idee per nuove interviste, con rinnovate forza e fiducia, ma nel giro di pochi giorni mi ritrovai nuovamente frustrata: nessuno si interessò della struttura del parlamento bicamerale italiano, del lavoro effettuatovi con i colleghi delle redazioni italiane, delle loro attività. Niente, assolutamente niente di niente! Grazie ai miei viaggi in Italia ed al mio impegno di traduttrice, grazie anche alla gentilezza dei colleghi dell’ANSA, avevo avuto accesso diretto a diversi strati sociali, politici e culturali della realtà italiana, ma dato che la redazione italiana di Radio Sofia aveva posizioni pregiudiziali riguardo ai miei contatti con l’Italia, valutarono che essi non giovassero all’interesse comune, e sostanzialmente se ne infischiarono, di fatto sbattendomi la porta in faccia definitivamente. Vacillai per un breve periodo, ma poi finalmente cadde il muro di Berlino e il comunismo lentamente svanì, anche se dobbiamo tuttora sopportarne le conseguenze. Comunque, meglio tardi che mai!

IL REGIME DELLA NAVIGAZIONE FLUVIALE SUL DANUBIO / 2

[da ITALIANI IN BULGARIA numero 7 del 25 novembre 1997]

LA CONVENZIONE DI BELGRADO del 1948 afferma che la navigazione sul Danubio è libera e aperta ai cittadini, ai mercantili e alle merci di tutti gli stati su una base di uguaglianza per ciò che riguarda i diritti di porto, le tasse di navigazione e le condizioni cui è soggetta la navigazione commerciale. La convenzione abroga e sostituisce tutte le disposizioni di diritto internazionale pubblico sul Danubio precedentemente in vigore e stabilisce che la sua applicazione si estende alla parte navigabile del Danubio tra Ulm e il Mar Nero (art. 2); impegna gli stati danubiani alla manutenzione del loro settore fluviale intraprendendo, ove necessario, le opere che rendano più agevole la navigazione, ovvero consentendo alla Commissione di sostituirsi a questi nell’esecuzione di lavori di particolare rilievo (artt. 3 e 4) prevedendo a tale scopo l’istituzione di tasse speciali sulla navigazione. L’organizzazione della navigazione e l’amministrazione generale del fiume sono affidate dalla Convenzione ad una Commissione del Danubio (composta da un rappresentante per ciascuno stato danubiano) che estende la sua competenza al territorio compreso tra Ulm e lo sbocco del fiume nel Mar Nero. Per regolare la disciplina della navigazione e la effettuazione dei lavori idrotecnici di manutenzione e miglioria del canale navigabile su quei tratti del corso del fiume che si presentano con caratteristiche naturali tali da esigere una regolamentazione particolare e da imporre ai paesi rivieraschi oneri maggiori per assicurarne lo svolgimento, la Convenzione di Belgrado ha istituito nel 1953 altre due amministrazioni fluviali speciali: quella del Basso Danubio, composta da rappresentanti di Romania e Unione sovietica, e quella delle Porte di Ferro, composta da rappresentanti di Romania e Yugoslavia.

UNA TERZA AMMINISTRAZIONE speciale sul modello delle precedenti, prevista dall’annesso II della convenzione, fu istituita nel 1968 per operare su un tratto del corso del Danubio tra l’allora Cecoslovacchia e l’Ungheria che segnava la frontiera tra quei paesi, ma questa è poi divenuta un’altra storia con la faccenda della diga che spiegheremo un’altra volta. La convenzione dedica il capo III al regime della navigazione, stabilendo che disposizioni particolari in questo campo siano emanate dalle Amministrazioni fluviali speciali per le zone ricadenti sotto la loro competenza e dai rispettivi stati rivieraschi per gli altri tratti. Il capo IV della Convenzione definisce le procedure per la copertura dei costi derivanti agli stati rivieraschi dalla manutenzione. I lavori necessari per assicurare la navigazione, come anche i lavori idrotecnici, spettano infatti agli stati rivieraschi per la parte che attraversa il loro territorio. Per coprire i costi di tale impegno questi stati hanno facoltà, d’accordo con la Commissione del Danubio, di riscuotere dei diritti di navigazione che non possono tuttavia costituire fonte di profitto per lo stato interessato. Tra le disposizioni finali la Convenzione prevede che, ove sorgano tra gli stati firmatari delle vertenze che non sia possibile sanare in via diretta, sarà possibile per essi adire ad una Commissione di conciliazione composta da un rappresentante di ciascuna delle parti in causa ed un rappresentante di uno stato membro designato dal presidente della Commissione sul Danubio. Viene infine prevista la possibilità di rivedere in qualsiasi momento la Convenzione su domanda della maggioranza degli stati firmatari.

IL DOSSIER-GATE BULGARO

[da ITALIANI IN BULGARIA numero 6 del 13 novembre 1997]

Avevamo incautamente annunciato un’inchiesta sui servizi segreti occidentali in Bulgaria, ma questi hanno fatto capire di non gradire l’iniziativa. Per non deludere i lettori abbiamo rovesciato la frittata ed ora collabora ad ITALIANI IN BULGARIA un anonimo colonnello in pensione dei servizi segreti bulgari. Buona lettura!

OTTO ANNI ha impiegato il parlamento bulgaro a passare una legge sull’apertura dei dossier dei servizi segreti. Secondo un’indagine demoscopia del giugno scorso, il 71% degli intervistati è favorevole all’apertura dei dossier, l’undici per cento è contrario e il 18% non esprime un parere. Prima che fosse introdotta la legge, la stampa si occupava di come fossero andate le cose in altri paesi ex-comunisti. In Germania lo scoperchiamento degli archivi della STASI consiste in un processo piuttosto lungo. Una commissione speciale creata appositamente controlla l’apertura dei dossier e ne risponde solo al Bundestag (la camera bassa), che elegge la commissione stessa, la quale controlla i dossier, di politici, parlamentari, avvocati, funzionari statali… i giornalisti hanno libero accesso ai dossier una volta confermato che qualcuno è stato informatore della STASI, e i datori di lavoro del soggetto possono decidere autonomamente se licenziarlo o meno. In Polonia, secondo la legge in vigore, ogni deputato dovrebbe pubblicamente dichiarare se abbia mai avuto a che fare con i servizi segreti. Due parlamentari lo hanno ammesso scusandosi in pubblico e hanno mantenuto il loro scranno parlamentare. Nell’opinione pubblica la legge polacca è troppo debole, leggera e conseguentemente l’interesse sui dossier è molto scarso. Dall’estate scorsa anche il parlamento della Romania lavora su una legge per l’apertura dei dossier. Secondo il progetto di legge ogni funzionario statale che abbia avuto legami con la Securitate dovrebbe autodenunciarsi; se mentisse sarebbe invitato a dimettersi e se si ostinasse a negare, il suo dossier verrebbe pubblicato sulla stampa.

LA SITUAZIONE IN BULGARIA. Secondo la legge approvata ogni cittadino bulgaro ha il diritto a conoscere il suo dossier (antecedente al 1989) custodito negli archivi dei servizi segreti dell’epoca. È stata introdotta una procedura per cui il cittadino scrive una richiesta indirizzata alla polizia (MVR), la quale risponde ufficialmente per informarlo se esista un dossier su di lui: in caso positivo viene informato di dove e quando andare per poterne prendere visione. Potrà prendere appunti mentre lo legge, ma non è consentito di estrarre e portarsi via i documenti contenuti nel dossier. Non sono ancora disponibili statistiche precise su quanti cittadini abbiano già usufruito di questo diritto, ma si sa che saranno non pochi, secondo le intenzioni espresse ad un istituto demoscopico. Secondo questo sondaggio dell’ottobre scorso, addirittura l’undici per cento dei bulgari vogliono conoscere i dossier che li riguardano. L’interesse è notevole specialmente tra i residenti a Sofia, tra coloro di istruzione superiore, nella fascia di età tra i 30 e i 50 anni, tra coloro che hanno funzioni manageriali o esercitano come liberi professionisti. Secondo la legge, la ricerca dei dossier su ministri, deputati, alti funzionari e magistrati è affidata ad una speciale commissione composta da dirigenti della polizia, dei servizi di sicurezza nazionale e del controspionaggio militare. Questa commissione, per bocca del ministro degli interni, ha già dovuto annunciare in pubblico, durante una seduta parlamentare, i nomi di coloro che sono stati in un modo o nell’altro legati ai vari dipartimenti dei servizi segreti. Con 52 firme il gruppo parlamentare del Partito socialista bulgaro ha fatto ricorso alla Corte costituzionale, i quali magistrati hanno preso la decisione di escludere essi stessi dalla possibilità di essere controllati (è un segreto di Pulcinella che almeno uno dei componenti la suprema corte fosse coinvolto coi servizi).

E COSI’ durante tutta la calda estate il tema dei dossier è stato intensamente dibattuto tanto dai media quanto nei circoli politici. Gli osservatori prevedevano che si rivelassero i nomi di una cinquantina di deputati, cifra che raddoppia a un centinaio considerando alti funzionari statali, come dire circa un deputato su cinque e uno su sei tra i funzionari governativi di alto livello. Ma i nomi saltati fuori nella famosa seduta parlamentare, noti a tutti dalla stampa, erano molti meno, poco più di una ventina, grazie alla decisione della Corte costituzionale. Tra i membri di governo che furono collaboratori dei servizi segreti, coloro i cui nomi sono solo citati negli archivi ma non hanno uno specifico dossier sono stati esentati dal pubblico ludibrio, ma ciò non significa che non siano ancor più ricattabili: i loro dossier non sono stati distrutti, bensì rubati e nascosti da qualche parte e/o “ripuliti”. E così le persone del gruppo “ex-agenti” si trasferiscono nella nuova categoria “pronti per essere manipolati”. Un ex capo della intelligence bulgara ha dichiarato che alcuni ministri dell’attuale governo furono collaboratori dei servizi, e aggiungendo che la legge sia stata concepita sotto la pressione di fattori esterni (forse alludeva alla CIA), ha manifestato la preoccupazione che molti dei migliori agenti bulgari attualmente in servizio rinunceranno al loro lavoro nel timore che dopo qualche tempo i loro nomi vengano resi pubblici. Il 22 ottobre scorso il ministro degli interni Bonev ha letto in aula il rapporto sulle attività del comitato speciale che presiede sull’apertura dei dossier. Seicento persone sono state “controllate”, di cui 90 fortemente sospettate di avere dei dossier, ma solo per una ventina di questi se ne sarebbe scoperta la effettiva esistenza.

IL REGIME DELLA NAVIGAZIONE FLUVIALE SUL DANUBIO

[da ITALIANI IN BULGARIA numero 6 del 13 novembre 1997]

IL DANUBIO è per la sua lunghezza (2860 km) il secondo fiume d’Europa. Attraversa il territorio di Germania, Austria, Slovacchia, Ungheria, Serbia, Bulgaria, Romania e Ucraina, prima di formare un delta e gettarsi nel Mar Nero unendo l’Europa centrale con quella orientale. Storicamente, l’importanza del Danubio è connessa alla sua navigabilità, che permette alle navi di risalire dal delta sul Mar Nero sino a Budapest: per il trasporto di persone e merci, esso ha sempre costituito la principale rotta fluviale d’Europa. Sin dall’antichità, per ragioni di ordine geografico il fiume è stato diviso in tre parti: l’Alto Danubio, cioè la parte navigabile, il Medio Danubio dove inizia il delta, e il Basso Danubio, o Danubio marittimo, la zona che attraversando il delta riva al mare. Fino al XIX secolo, le ultime due zone furono una via d’acqua interna all’impero ottomano, mentre l’Alto Danubio era controllato dall’Austria che, intrattenendo relazioni commerciali con i paesi balcanici, avvertì per prima l’esigenza di regolamentare giuridicamente la navigazione danubiana. Nel corso del XVII e XVIII secolo furono conclusi tra l’Austria e la Turchia i primi accordi bilaterali che disciplinavano la navigazione del fiume. Ma l’egemonia fluviale dell’Austria finì all’inizio del XIX secolo quando la Russia, con la conquista della Bessarabia, estese il proprio territorio fino al Danubio.

IN OCCASIONE del Congresso di Vienna nel 1815 fu proclamata la libertà di navigazione nell’interesse generale di tutti gli stati, per tutte le navi e tutte le merci sui fiumi Reno, Elba, Oder e Danubio. A questa dichiarazione di principio seguirono una serie di atti bilaterali conclusi tra Austria, Russia e Turchia. Nel 1856 il Trattato di Parigi, che seguì alla guerra di Crimea conclusasi con la disfatta della Russia e l’allontanamento di questo paese dalla zona del Danubio, conferì alla navigazione danubiana per la prima volta uno statuto internazionale: la navigazione sul fiume delle navi e dei beni di tutti gli stati fu dichiarata libera con l’impegno da parte dei governi interessati ad adottare misure per regolamentare e sviluppare il traffico fluviale. Al fine di organizzare la navigazione furono costituite due commissioni internazionali: una Commissione europea incaricata di sovrintendere ai lavori necessari per la eliminazione delle strettoie nel delta del fiume, e una Commissione permanente rivierasca, organo incaricato di garantire effettivamente la libertà di navigazione. Questa regolamentazione durò fino al 1918. con la fine della prima guerra mondiale si giunse ad un nuovo statuto internazionale del fiume regolato in tutti i dettagli da una convenzione conclusa a Parigi nel 1921 cui aderì anche l’Italia come stato vincitore della guerra. Nell’agosto 1948, a seguito dei trattati di pace successivi alla seconda guerra mondiale, fu adottata a Belgrado una nuova convenzione relativa al regime di navigazione del Danubio, firmata da Unione sovietica, Bulgaria, Yugoslavia, Ungheria, Romania, Ucraina e Cecoslovacchia, che vedremo in dettaglio nella seconda parte.

IL PRESIDENTE SCALFARO IN VISITA A SOFIA PER LA SECONDA VOLTA IN 4 ANNI

[da ITALIANI IN BULGARIA numero 5 del 2 novembre 1997]

SOTTO UN CIELO PLUMBEO e la prima grossa nevicata della stagione, martedì 28 ottobre Oscar Luigi Scalfaro ha portato l’inverno a Sofia nella sua seconda visita ufficiale a distanza di quattro anni dal suo primo viaggio qui. Invitato dal suo collega Petar Stoyanov, Scalfaro è stato il primo capo di stato a visitare il paese quest’anno dopo l’avvio delle riforme, che ha apprezzato come un significativo passo in avanti verso l’integrazione della Bulgaria nelle strutture euro-atlantiche, integrazione che l’Italia sosterrà in sede UE e NATO insieme alle analoghe richieste di Lubiana e Bucarest “senza favoritismi”, come riportato con grande evidenza dalla stampa locale (ma il quotidiano Novinar è il solo a scrivere che nel colloquio tra i presidenti sarebbe emerso che la Bulgaria non è ancora pronta), la quale stampa ha posto l’accento anche sul fatto che Scalfaro ha categoricamente rifiutato di scusarsi per il caso giudiziario che vide accusata la famosa “pista bulgara” per l’attentato al papa, spiegando che non fu l’errore di un intero popolo. L’ANSA ha commentato l’episodio come in contrasto con l’atmosfera amichevole degli incontri.

IL CAPO DELLO STATO, il cui aereo ha girato tre colte in mezz’ora prima di avventurarsi ad atterrare sulla pista innevata dell’aeroporto della capitale, era accompagnato da una delegazione di una quindicina di persone tra le quali sua figlia e il sottosegretario agli esteri Piero Fassino che ha incontrato la prima signora della diplomazia bulgara, Nadezhda Mihailova, con la quale ha discusso il regime dei visti per i passaporti diplomatici e la solita, vana e retorica “collaborazione nella lotta al narcotraffico”, fingendo come sempre di ignorare che il gigantesco affare mafioso è semplicemente causato dal folle proibizionismo sulle droghe. Questi accordi più o meno sensati dovrebbero essere messi a punto per poi essere siglati in occasione di una prossima visita del presidente del consiglio Romano Prodi. Nella residenza presidenziale di Boyana, a pranzo con Stoyanov, oltre ai brindisi di rito il presidente della repubblica ha premiato lo scultore Georgi Chapkanov per avere realizzato un busto di Federico Fellini. Il quotidiano comunista Duma è l’unico a riportare di presunti incidenti nell’interpretariato che avrebbero fatto arrossire il presidente bulgaro, ma ne dubitiamo perché conosciamo l’interprete in questione come un buon professionista; probabilmente Duma si confonde col suo pio desiderio che Stoyanov si “arrossisca” politicamente… Nel colloquio con il primo ministro Ivan Kostov, Scalfaro ha affrontato l’annoso problema dei trasporti e del famoso corridoio numero otto che dovrebbe unire i porti adriatici di Brindisi e Durazzo con quello di Burgas sul Nar Nero proiettandosi verso la regione caspico-caucasica, un progetto questo ritenuto fondamentale da Stoyanov nel comune interesse di entrambi i paesi e anche per contribuire ad alleviare la disoccupazione in Bulgaria. Un memorandum per la realizzazione del corridoio di trasporti è previsto di essere firmato presto a Skopje dai competenti ministri dei paesi direttamente interessati: Italia, Albania, Macedonia e Bulgaria,

NELL’AGENDA DEGLI INCONTRI era inoltre prevista la discussione della riapertura di due linee di credito del valore di 260 milioni di dollari, destinati a finanziare il commercio bilaterale, che vennero bloccate nel 1990 quando la Bulgaria divenne insolvente nel pagamento del debito estero. Nel corso della sua permanenza di sole sette ore a Sofia, Scalfaro ha trovato il tempo per visitare il museo archeologico, dove l’imprenditore Pierluigi Fiori gli ha illustrato l’iniziativa di una mostra dei tesori aurici dei traci attualmente in corso a Firenze. Il presidente ha invece deluso docenti e studenti della facoltà di lingua e letteratura italiana che a mezzogiorno lo aspettavano nell’aula magna dell’università di Sofia: verosimilmente il capo dello stato è stato opportunamente consigliato di eludere domande imbarazzanti sulla vergognosa vicenda del centro culturale italiano promesso da anni e mai realizzato. Nell’accogliere Scalfaro all’aeroporto, quasi a giustificarsi per il maltempo, Stoyanov aveva detto che “la prima neve porta i migliori amici”, ma non sempre i proverbi sono sinonimo di saggezza popolare e i residenti di Sofia hanno motivo di pensarla diversamente: subito dopo la partenza di Scalfaro – come fa uotare con un sorriso malizioso un simpatico funzionario d’ambasciata che ovviamente vuole restare anonimo -, il tempo è gradualmente migliorato e giovedì su Sofia splendeva il sole.

IL MUSEO ARCHEOLOGICO: GLORIE E TESORI DEI TRACI

[da ITALIANI IN BULGARIA numero 5 del 2 novembre 1997]

I FORTUNATO POSSESSORI di cavo televisivo o antenna satellitare avranno una gradita sorpresa “bulgara” nel corso del programma Domenica In in onda nel pomeriggio del prossimo 9 novembre. Nella scaletta della famosa trasmissione è infatti previsto un servizio sulla mostra Glorie di Tracia, attualmente in corso a Firenze nel museo dell’opera e cripta della basilica di Santa Croce. La mostra fiorentina si può visitare fino al prossimo 11 gennaio, tutti i giorni dalle 10 alle 19. l’esposizione dei mitici tesori e dell’oro più antico dei traci si era già svolta a Cagliari nel febbraio scorso e a Sassari in marzo e aprile, in collaborazione tra le città sarde e il ministero della cultura bulgaro, grazie anche all’interessamento dell’imprenditore italiano Pierluigi Fiori, un appassionato frequentatore del museo archeologico di Sofia.

IL MUSEO HA SEDE all’angolo di ulitsa Lege nella grande moschea, un edificio a pianta quadragonale sormontato da nove cupole, dell’epoca del sultano Mehmet II (1494). Solo la cupola centrale e la facciata furono rifatte nel 1905. nonostante la maggior parte dei tesori bulgari siano concentrati nel museo nazionale di storia (nel palazzo di giustizia tra boulevard Vitosha e ploshtad Sveta Nedelya), quello archeologico è più dedicato alle ceramiche e argenti traci. Il museo, gondato nel 1879, è il più antico della Bulgaria. Nel portico è allestito un lapidario di epoca romana. Il fondo del museo viene esibito ciclicamente. Nel pianterreno la sala grande ospita il tesoro di Lukovit e altro argento di arte tracia. Per l’arte romana, ritratti, bronzi (testa di Giordano III), il tesoro d’oro di Nikolaevo-Plevensko. Per l’arte greca, ceramica attica proveniente dalle necropoli di Sozopol, Nesebar e Varna, e la celebre stele di Anassandro (sesto secolo avanti Cristo). Per l’arte tardo-romana, ceramiche protobulgare e medievali. Tra i reperti più pregevoli del museo spicca anche un bronzo dell’ottavo secolo avanti Cristo raffigurante un cervo. Il primo piano del museo è dedicato ad una delle collezioni numismatiche più ricche del mondo, con monete della Grecia antica, dei regni trace e macedone, di Roma, Bisanzio e dei regni medievali bulgari. Il museo archeologico è aperto tutti i giorni dalle ore 10 alle ore 18.

QUATTRO ITALIANI IN BULGARIA: UN GIORNO A SOFIA NEL 1968

[da ITALIANI IN BULGARIA numero 5 del 2 novembre 1997]

Tratto da un articolo di Giuseppe Loteta pubblicato in Astrolabio del 6 ottobre 1968.

24 SETTEMBRE 1968. Nel mondo clima di guerra fredda, i carri armati sovietici a Praga. A Sofia, nel centralissimi boulevard Stamboliiski, tre uomini e una donna distribuiscono volantini, distanziati di una ventina di metri l’uno dall’altro. Sono le cinque del pomeriggio, ora di punta per la capitale bulgara. Gli operai escono dalle fabbriche, gli impiegati dagli uffici e tutti, incuriositi e cortesi, prendono i foglietti. L’abbigliamento dei quattro, blue jeans e minigonna, non lascia dubbi: sono occidentali. E ancora meno dubbi lascia il contenuto dei volantini: “basta con la guerra del Vietnam, basta con l’occupazione della Cecoslovacchia”, e un lungo appello in russo e in tedesco ai paesi del Patto di Varsavia perché ritirino le truppe dal territorio cecoslovacco. Centinaia di fogli passano di mano in mano, vengono letti con estrema attenzione perfino dai soldati. Trascorrono ben 15 minuti prima che un uomo e una donna in borghese arrivino precipitandosi trafelati. L’uomo prende per il collo il più giovane, gli sputa in faccia e gli grida più volte “fascista”. La risposta è pronta: un sorriso cordiale, un cenno di diniego e poi “no, no, socialista”.

I QUATTRO SONO ITALIANI: Marcello Baraghini, 24 anni, pubblicista; Antonio Azzolini, 25 anni, studente universitario; Silvana Leopardi, 28 anni, insegnante, il quarto non ha bisogno di presentazioni: è l’allora 38-enne Marco Pannella. La loro azione non è isolata: alla stessa ora, nello stesso giorno, altri gruppi di giovani distribuiscono analoghi volantini a Mosca, Varsavia e Budapest. L’iniziativa è della War Resisters’ International (Internazionale dei resistenti alla guerra), l’associazione pacifista che da anni si prodiga in una continua azione di sostegno dei disertori politici e dei renitenti alla leva negli USA.

OPERAZIONE EUROPA ORIENTALE. La WRI ha le carte in regola. Può organizzare il volantinaggio in Europa orientale contro l’occupazione della Cecoslovacchia perché la sua posizione e la sua azione rispetto all’aggressione americana nel Vietnam sono ben note in tutto il mondo. E così il 22 settembre, con borse e valigie cariche di volantini, i quattro lasciano Roma per Sofia, “in transito turistico per Istanbul”, come si affrettano a spiegare a doganieri e poliziotti. La sera del 23 i quattro arrivano nella capitale bulgara. Solo Silvana conosce qualche parola di russo, sufficiente a decifrare i misteriosi caratteri cirillici. Frettolosa ricerca di una pensione, un po’ di tempo per capire come è fatto il centro della città, e poi a dormire. L’indomani i compiti vengono divisi. Per tutta la mattina Marcello e Antonio girano per Sofia lasciando alcune migliaia di volantini sulle panchine e nelle buche delle lettere, nei bar e nei ristoranti, mentre Marco e Silvana scrivono alla WRI  estilano un appello al Comitato centrale del Partito comunista bulgaro. Nel pomeriggio ancora volantinaggio clandestino a coppie e poi alle cinque la manifestazione in Stamboliiski.

I SERVIZI DI SICUREZZA ALL’OPERA. I tre uomini vengono fermati e portati in un posto di polizia. Silvana riesce a volantinare ancora per dieci minuti, finché ha uno scontro verbale con un agente in borghese che le sequestra il pacchetto. Poi sembra dimenticata ed ha tutto il tempo di recarsi alla stazione, dove attende inutilmente per sei ore in una sala d’aspetto di essere fermata. Verrà finalmente presa in piena notte in uno scompartimento ferroviario diretto a Belgrado. La prima reazione dei poliziotti è di stupore: ma chi diavolo sono questi quattro guastafeste? Leggono e rileggono i foglietti, vogliono sapere se si tratta di una organizzazione internazionale anti-socialista, di fascisti, di agenti della Cecoslovacchia. Poi entrano in scena i servizi di sicurezza, inequivocabili funzionari in impermeabile scuro che prelevano i quattro e li trasportano in auto alla periferia di Sofia, nella sede della polizia segreta, dove saranno trattenuti ancora un giorno, fino all’espulsione dal paese. Sono 24 ore di continue discussioni e di interrogatori correttissimi. Ad occuparsi dei quattro è addirittura il vertice del servizio. Affiancato da un’interprete, dirige le operazioni il colonnello Petrov, che ogni tanto riferisce ad un superiore. Poco prima del rilascio compare una terza persona, sempre in borghese, a chiedere con gentilezza: “sono stati abbastanza corretti i miei funzionari?”

LA TESI DEI QUATTRO è semplice: “siamo dei radicali, dei socialisti. Non crediamo di avere commesso nessun reato perché siamo certi che la Costituzione di un paese socialista non possa non garantire a chiunque il diritto a manifestare la propria opinione. Siamo decisamente contrari all’aggressione americana nel Vietnam e alla politica dei blocchi militari. È per lo stesso motivo che condanniamo anche l’intervento in Cecoslovacchia delle truppe del Patto di Varsavia”. Di rimando, granitica, la posizione ufficiale di Mosca sulla controrivoluzione in atto a Praga e l’accusa: “siete venuti a interferire negli affari interni di un paese socialista”. Un altro funzionario cerca di convincere Silvana Leopardi che a richiedere l’intervento delle truppe sovietiche siano stati gli stessi cechi. “L’abbiamo visto con i nostri occhi in TV, siete voi occidentali ad essere male informati”.

POI, INASPETTATAMENTE, uno per volta i quattro sono accompagnati in un salone pieno di giornalisti, corrispondenti radio, cameraman televisivi: una conferenza stampa organizzata dai servizi di sicurezza per mostrare al popolo i provocatori occidentali. Pannella si rifiuta di rispondere ai rappresentanti della stampa bulgara. “Nel mio paese – chiarisce – è chi convoca la conferenza stampa a rispondere. Io non ho convocato niente, anzi sono stato convocato. Quindi non ho nulla da dire. Avrei io delle domande da porvi, ma non credo che abbiate intenzione di rispondermi”. Gli altri tre accettano la strana intervista e chiariscono ancora una volta i motivi ispiratori della loro azione. L’ultimo atto è l’espulsione: grandi automobili scure che accompagnano, due per volta, i quattro fino al confine con la Yugoslavia, l’ingiunzione agli “italiani banditi” di non tornare più in Bulgaria, l’autostop fino a Belgrado, il ricongiungimento in questa città. I quattro sono riusciti in poche ore a distribuire circa 5.000 volantini e a regalare grosse grane ai servizi bulgari.