ACCORDI CON L’ITALIA PER LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE

[da ITALIANI IN BULGARIA numero 11 del 29 gennaio 1998]

LA FEDERAZIONE ITALIANA di import-export sta per firmare un accordo-quadro di cooperazione con il ministero dell’industria e l’Associazione industriale bulgara. I progetti nella sfera delle piccole e medie imprese saranno concordati con il Centro per l’incoraggiamento all’export del ministero del commercio, ha comunicato il vice-ministro dell’industria Valentin Kisyov. Nella stesura degli accordi, che saranno ufficialmente firmati durante la prossima, imminente visita in Bulgaria di Romano Prodi, ha svolto un ruolo importante il consigliere del governo bulgaro Francesco Campagni, curiosamente trasformato in “Camponi” dalla stampa bulgara. Campagni, alias Camponi, ha trovato il tempo per passare dalla nostra redazione per rilasciarci un messaggio che giriamo ai lettori: “qui fa più notizia un singolo investimento belga o tedesco di mezzo milione di marchi che la somma dei tanti imprenditori italiani che nel complesso ne hanno investiti centinaia…” C’è di che meditare su queste parole, ma anche agire per farci valere!

LA CAMPANARA PAZZA

[da ITALIANI IN BULGARIA numero 11 del 29 gennaio 1998]

Sua eccellenza l’ambasciatore d’Italia, che non è sordo, deve avere le finestre molto bene insonorizzate nella sua residenza di ulitsa Shipka. Nella nostra redazione invece, che dà sul lato opposto della cattedrale Alexander Nevski, il mal di testa arriva puntualissimo ogni sabato alle 17 e domenica alle 9 con il delicato “concertino” di quasi mezz’ora della campanara pazza.

MARIA ZABOVA, 60 ANNI, Già insegnante di matematica, sale i 213 gradini per percuotere con sadomasochismo le 22 tonnellate di campane nella cupola, la più grande delle quali afferma potersi sentire a 40 km di distanza. Noi che siamo a cento metri abbiamo pensato a diverse soluzioni: un fucile di precisione, un cannone laser, una piccola bomba nucleare tattica… Ma siccome siamo nonviolenti, abbiamo otato per fare i fine settimana a Plovdiv. Il problema però è che il concertino viene propinato anche nei giorni delle feste dei santi patroni, che sono tanti in Bulgaria, per cui la tortura è sempre in agguato e può colpire a sorpresa alle 8.35 di un martedì o alle 15.15 di un giovedì, e non ci sono tappi per le orecchie che tengano. In fondo la signora Zabova, un metro e 75 per 65 chili, è ammirevole nella sua costanza, animata dalla fede religiosa ortodossa: “per ottenere dei suoni da queste enormi campane bisogna avere forza fisica e un buon orecchio musicale – ha spiegato nel settembre scorso a The Sofia Echo – ogni campana sviluppa la sua melodia, che io estraggo matematicamente adattando il numero di colpi al ritmo”. Non ci sono dubbi sulla forza fisica e sulle capacità matematiche, ma quanto all’orecchio musicale…

A ROMA MI SENTIVO A CASA!

[da ITALIANI IN BULGARIA numero 11 del 29 gennaio 1998]

KONSTANTIN ADZHAROV è nato a Plovdiv 46 anni fa. Si è laureato in filosofia e filologia inglese alla università di Sofia. Nella sua vita ha cambiato tanti mestieri: è stato interprete, fotografo, commesso, operaio di palcoscenico teatrale, insegnante e giornalista free lance per la Radio nazionale bulgara. Nel 1989 ha fondato una delle prime ditte private bulgare. In mezzo alla tempesta dei cambiamenti politici, sull’onda dell’entusiasmo e delle nuove speranze, ha anche fondato un partito politico, il Partito cristian-repubblicano, ed è stato deputato nella XXXVI Assemblea nazionale, membro della commissione esteri, oltre che consigliere generale del Partito radicale transnazionale. Adzharov è sposato, ha una figlia di 4 anni, e di recente è tornato da Roma, per cui gli abbiamo chiesto le sue impressioni sulla capitale italiana.

A ROMA ho sentito ciò che storici e politologi intendono quando parlano del futuro di una cultura mediterranea. Sono cresciuto a Plovdiv, proprio nel quartiere antico, la romana Trimontium. Così come Roma anche Plovdiv è stata costruita su sette colline, e non a caso Marco Aurelio la scelse come seconda capitale dell’impero e vi spese molto del suo tempo. L’anfiteatro e l’arena della mia città di nascita risalgono ai primi secoli dell’era cristiana e sono abbastanza ben conservati. Camminando attorno al colosseo, senza rendermene conto facevo paragoni tra le due città e mi sentivo a casa. Perfino le zingarelle che mi hanno rubato il portafogli sono simili a quelle di Plovdiv. Gli italiani però hanno dimostrato la tipica solidarietà del sangue meridionale, hanno fatto un chiasso e così siamo riusciti a cogliere le ladruncole. Si sarebbe probabilmente comportato così anche un cittadino di Plovdiv con uno straniero che si trova nei guai. Sostando dinanzi ai resti di Costantino Cirillo il filosofo nella chiesa di San Clemente ho provato un’agitazione profonda anche per il fatto di essere bulgaro. Se non esistessero l’alfabeto e la cultura manoscritta cirillica, creata dai santi Cirillo e Metodio, non sarebbero esistite la letteratura bulgara e la Bulgaria come la conosciamo oggi. Gli autobus di Roma sono pieni zeppi come quelli di Sofia e Plovdiv, mentre Porta portese assomiglia ai mercatini delle pulci in Bulgaria. Ho viaggiato a lungo nelle diverse parti d’Europa, ma se dovessi sinceramente esprimere in due parole come mi sono sentito a Roma, la mia risposta sarebbe senza esitazioni: mi sono subito sentito a casa!

IN GITA A… ODYSSOS

[da ITALIANI IN BULGARIA numero 11 del 29 gennaio 1998]

NEGLI ANNI IN CUI VARNA era una città-caserma ottomana devastata dal colera, il generale Hume delle truppe britanniche che vi transitarono verso la guerra di Crimea non la descrisse certo come un paradiso: “un posto malinconico con pochissimi negozi”. Fino a pochi anni fa molti visitatori stranieri avrebbero potuto dire lo stesso, ma di recente la terza città bulgara ha lottato fieramente per non perdere il treno dell’occidentalizzazione. Segni di cambiamento si notano ovunque: i vecchi negozi statali sono vuoti, mentre nelle strade circostanti germogliano boutique, uffici di cambio o affitto di videocassette, autosaloni e baretti all’aperto con le cameriere che si pavoneggiano in vertiginose minigonne. Giovani capelloni praticano lo skateboard nelle piazze e nei viali principali, tanto che sembra quasi di stare in California invece che nella estremità più orientale del continente europeo. Ma Varna ha anche i suoi problemi. I cantieri navali in perdita, a sud-ovest del centro, conferiscono alla città un duro taglio industriale, e non bisogna dimenticare che molti dei beni di consumo in vendita nei negozi del centr sono ben al di là delle possibilità degli abitanti dei casermoni periferici. Ad ogni modo la spavalderia della città rivierasca è un respiro di sollievo rispetto alla deprimente austerità della Bulgaria interna. Varna rivaleggia con Sofia e Plovdiv nella vasta scelta di musei ed offre notevoli attrazioni culturali, la principale delle quali è l’estate varnense (Varnensko liato), con manifestazioni, di musica, cinema, etc. non dimentichiamo inoltre ce Varna, al di là  delle celebrate località circostanti, è di per sé un centro balneare con diversi chilometri di spiagge.

UN PO’ DI STORIA. Artigiani altamente qualificati dell’oro e del rame vivevano attorno al golfo di Varna già 6000 anni fa, e i loro discendenti traci ne sidorsinarono il retroterra con delle necropoli, ma l’effettiva importanza di Varna come porto risale al 585 avanti Cristo, quando un miscuglio di apolloniani e milesiani vi stabilì la città-stato di Odyssos. I migliori anni della città vennero quando con i romani divenne il principale sbocco al mare della provincia della Moesia, un luogo affaccendato dove si incontrarono e mescolarono le culture greca e trace. Devastata dagli avari nel 586 e ripopolata dagli slavi (che la denominarono con l’attuale nome), rimase comunque il più grande porto della regione ed una postazione strategica di sosta della flotta bizantina sulla rotta da e per il Danubio. In declino sotto la dominazione ottomana, la città si riprese come importante centro commerciale nel secolo scorso, quando la popolazione di bulgari, greci, turchi e gaugazi ne fece una delle più cosmopolite della costa. Per i turchi Varna era la chiave della sicurezza della parte occidentale del Mar Nero, e l’importanza militare della città si riflette tuttora nelle uniformi cerimoniali degli studenti dell’accademia navale in libera uscita nelle strade della città.

LA VITA SOCIALE della città ruota attorno a piazza dell’Indipendenza, dove il teatro dell’opera fornisce lo sfondo ai numerosi ristoranti e caffè, e che costituisce il punto di partenza delle passeggiate dei varnentsi proseguendo in direzione est lungo il viale kniaz Boris I e passando, all’angolo di ulitsa Shipka, dalle rovine di una torre e di fortificazioni di epoca romana. A nord di piazza dell’Indipendenza (ploshtad Nezavisimost) il viale Dimitar Blagoev passa attraverso la piazza Varnenska Komuna, un importante incrocio di traffico dominato dalla cattedrale dell’Assunzione, costruita nel 1886 sul modello della cattedrale di San Pietroburgo, contenente una splendida iconostasi ed un trono vescovile intagliati da artigiani di Deber in Macedonia. Nei giadini a sud della cattedrale trovate la vecchia torre dell’orologio, che non è niente di speciale dal punto di vista artistico ma è comunque divenuta uno dei simboli della città.

IL MUSEO DI ARTE E SCIENZA è situato nella ex sede del liceo femminile all’incrocio di viale Blagoev e di ulitsa Slivnitsa. Al piano superiore esibisce una mostra di icone del XIX secolo, ma è la collezione archeologica nelle numerose sale al pianterreno che richiama la maggiore attenzione. La pretesa bulgara di essere stata una delle culle della civiltà europea fu rinvigorita nel 1972 con la scoperta di una necropoli neolitica nei dintorni di Varna, risalente al quarto millennio avanti Cristo, inusuale per il fatto di contenere molte tombe in cui erano sepolte effigi invece di corpi umani, forse un rituale per assicurare salute e giovinezza. I ciondoli d’oro, braccialetti e pendenti a forma di animale che adornavano questo simbolici cadaveri sono ampiamente esposti nel museo. Alcuni pezzi sono di semplice fattura, altri evidenziano un incredibile livello di abilità se si considera che furono fatti 6000 anni fa., sono questi forse i più antichi esempi mai scoperti di gioielleria in oro, così molti studiosi suppongono che la tecnologia metallurgica si sviluppò in Bilgaria indipendentemente dagli altri fari di civilizzazione. Non meno impressionante è la gioielleria greca della Odyssos del III secolo avanti Cristo, nonché la migliore raccolta in Bulgaria di sculture funerarie del periodo romano: i più eminenti cittadini greci e romani venivano onorati con lapidi ritraesti scene di banchetti funerari, solitamente mostrando il deceduto disteso su un giaciglio circondato da moglie e figli, mentre quelli di origine trace preferivano una lapide decorata con il cosiddetto cavaliere trace, il dio cavallerizzo la fede nel quale si diffuse tra i nativi dall’era ellenistica in poi.. infine, ori e argenti bulgari del XIV secolo introducono a una collezione di arte ecclesiastica ed armamenti medievali, per concludere coi soliti manifesti del risorgimento bulgaro.

DUE VICINI MUSEI sono quelli dedicati a Georgi Velchev, un locale pittore di paesaggi marini, e duecento metri più avanti la galleria d’arte municipale, che ospita esposizioni di arte contemporanea ma al primo piano il visitatore viene accolto da una sfilza di diplomatici del XVII secolo ritratti dal fiammingo Anselmus von Hulme. Da qui proseguiamo in direzione sud attraversando le quiete strade allineati di castagni del quartiere residenziale che separa il cuore commerciale della città dal porto, per arrivare a fare sosta su ulitsa Panagyurishte al museo etnografico, uno dei migliori in Bulgaria. Al pianterreno troviamo reminescenze delle tradizionali occupazioni commerciali della regione, come reti da pesca, botti per vino, alveari e i tipici mantelli con cappuccio (yamurluk) indossati dai pastori del XIX secolo nelle colline retrostanti. Al primo piano c’è una mostra di costumi regionali, interessante per la loro varietò erché Varna è sempre stata l’incrocio di popolazioni migratorie. Un fistinto gruppo locale erano i chenge, qui rappresentati da una scena matrimoniale nel villaggio di Asparuhovo, non lontano da Varna. Manichini abbigliati sono raggruppati attorno a una slitta, con la sposa circondata da uomini con capelli neri ornati di fiori e accompagnati dalla figura un po’ minacciosa del “combinatore di matrimoni” del villaggio. Gli articoli legati al folklore regionale includono le maschere ricamate indossate durante i riti di primavera e del nuovo anno. Sono curiosi un paio di finti cammelli fatti in pelle di pecora e portati in parata per celebrare l’anno nuovo, così come sono in mostra dei pani fatti specialmente per occasioni rituali, come il kravai per il giorno di San Giovanni, il konche (pony) per San Teodoro, e il proshtupalnik, a forma di un piede di bambino per celebrarne i primi passi.

A CINQUE MINUTI DA QUI, alla fine della via 27 luglio, c’è il museo risorgimentale, situato nella chiesa di San Michele e nell’edificio della prima scuola bulgara di Varna. Entrambe furono costruite qui negli anni ’60 del secolo scorso, con grande disappunto dei greci locali che erano usi controllarne gli affari ecclesiastici ed educativi. Un’aula tuttora preservata conserva il pulpito con balaustre dal quale gli insegnanti sorvegliavano gli studenti seduti presso banchi di legno sui quali scrivevano usando vassoi di sabbia. Poco più a sud c’è la piazza Ekzarh Yosif, dove si riuniscono per chiacchierare gli anziani varnentsi, e da qui arriviamo alla chiesa armena, schiacciata nell’angolo di un cortile di scuola. Gli armeni di Varna sono circa tremila, e questo articolo si deve anche alla famiglia di una di essi che ci ha ospitato nel suo modesto appartamento situato proprio vicino a questa chiesa, dove ci ha mostrato la lapide che commemora le vittime del genocidio del 1915, quando milioni di armeni persero la vita per mano degli ottomani, e così si spiega una storia di sofferenze che accomuna bulgari ed armeni. Ma per quanto la lapide ci abbia impressionato per il suo valore storico, dal punto di vista artistico è sicuramente più interessante la vicina chiesa di Sveta Bogoroditsa, con pregevoli iconostasi e trono vescovile del XVII secolo. Le terme romane, a pochi passi da qui, costituiscono un complesso di dimensioni non indifferenti. Furono costruite tra la fine del II e l’inizio del III secolo, e le monete rinvenutevi recano l’immagine dell’imperatore di allora, Settimio Severo. I bagnanti dell’epoca passavano dallo apodyterium (spogliatoio) al frigidarium, tepidarium e caldarium, tutti termini intuitivi che non occorre tradurre ai nostri lettori.

PASSANDO PER LA ADIACENTE CHIESA di Sveti Ananas, arriviamo al museo storico cittadino, contenente numerose fotografie della prima metà del secolo, incluse immagini dei primi concorsi di bellezza, un tipo di competizione che i varnentsi vantano il dubbio onore di avere inventato. Poco più a sud troviamo i bagni romani, ma nonostante risalgano al IV secolo sono meno estesi delle meglio conservate terme di cui sopra. Notevolmente più interessante è il museo di storia medica, ospitato inun edificio colo sabbia del XIX secolo che fu il primo ospedale pubblico di Varna. Le spiegazioni adottano un tono patriottico, tentando di dimostrare come lo stato medievale bulgaro ereditò la saggezza medica degli antichi e la trasmise al resto d’Europa, per poi avere i loro standard di igiene pubblica rovinati dai turchi che fecero vivere tuttti in città puzzolenti e malsane. Comunque anche i primi bulgari non erano immuni dalla tendenza a un certo livello di perversione: una serie di teschi del X secolo rivela che un terzo della popolazione fu soggetto a una simbolica forma di trapanazione in cui il cranio veniva graffiato ma non effettivamente perforato. Gli archeologi presumono che questo fosse dovuto a qualche scopo rituale, ma non sanno spiegare quale di preciso. Meno macabri ma altrettanto sconcertanti sono gli strumenti chirurgici, dall’aspetto feroce, dell’inizio del secolo, esposti al piano superiore con un gabinetto dentistico della stessa epoca.

DA QUI COMINCIANO i bellissimi giardini sul mare, o Primorski park, risalenti alla fine del secolo scorso per opera del boemo Anton Novak, che li modellò imitando i giardini dei palazzi barocchi viennesi. Sono oggi frequentati da coppiette innamorate. All’estremità occidentale del parco, di fronte al museo navale è onorevolmente collocata la nave da guerra responsabile dell’unica vittoria della marina bulgara: la Drazhki (intrepida) affondò la nave turca Hamidie a capo Kaliarka durante la prima guerra balcanica (1912). Ma poiché la marina bulgara fu ridotta in mutande dal trattato di Neuilly del 1919, e successivamente collaborò con la marina militare nazista, all’interno del museo c’è nen poco altro di cui essere orgogliosi. Così speciale attenzione è dedicata alla campagna della flotta russa nel Mar Nero contro gli ottomani nel 1877-78. Da qui in poi ci muoveremo più velocemente in direzione nord-est attraversando i giardini e la lunga spiaggia, facendo tappa all’acquario (ippocampi, rombi, storioni), il planetarium (riproduzione del pendolo di Foucault), e la spiaggia municipale (Morski bani) dalla quale possiamo passeggiare per un paio di chilometri fino alle piscine di acqua calda termale che viene usata specialmente dagli anziani anche durante l’inverno. Prendendo invece la via dei viali alberati del parco, vicino al monumento ai combattenti antifascisti troviamo il museo di storia naturale (una utile introduzine a flora e fauna costiere), lo zoo, il delfinario e, dall’altro lato del grande viale Primorski, il palazzo dello sport e della cultura (che oltre alla pallacanestro ospita anche dei concerti), per concludere al parco dell’amicizia combattente. Questo nome bizzarro è dovuto al granitico monumento che commemora la battaglia di Varna: nel novembre 1444 trentamila crociati guidati da Ladislao III (re di Polonia ed Ungheria) erano pronti a salpare per Costantinopoli quando furono sorpresi da 120.000 turchi sbarcati sulla costa, nella battaglia Ladislao fu fatto a pezzi da un giannizzero del sultano Murad ed il suo esercito costretto ad una ingloriosa ritirata.

CONCLUDIAMO per ora la gita a Varna riservandoci di continuarla nei paraggi della città, specialmente nei sobborghi settentrionali dove visiteremo Evksinovgrad, già residenza dei re Alessandro e Ferdinando, poi luogo di vacanza del politburo del Partito comunista bulgaro. Ogni membro aveva il suo pezzo di spiaggia, e naturalmente quello di Todor Zhivkov era più grande e isolato dagli altri. Tutte le villette erano però collegate da piccole gallerie ad un bunker segreto dove avrebbero dovuto riunirsi nell’improbabile evento di un’apocalisse nucleare che fosse avvenuta mentre questi idioti paranoici facevano il pagno.

Hanno a vario titolo contribuito a questo articolo su Varna i nostri amici ivi residenti:
Takuhi Bagdasarian
Marcella Gospodinova
Luis Ramon Mirando Valdes
Svetoslav Slavchev

ACCORDI CON L’ITALIA PER LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE

[da ITALIANI IN BULGARIA numero 11 del 29 gennaio 1998]

LA FEDERAZIONE ITALIANA di import-export sta per firmare un accordo-quadro di cooperazione con il ministero dell’industria e l’Associazione industriale bulgara. I progetti nella sfera delle piccole e medie imprese saranno concordati con il Centro per l’incoraggiamento all’export del ministero del commercio, ha comunicato il vice-ministro dell’industria Valentin Kisyov. Nella stesura degli accordi, che saranno ufficialmente firmati durante la prossima, imminente visita in Bulgaria di Rpmano Prodi, ha svolto un ruolo importante il consigliere del governo bulgaro Francesco Campagni, curiosamente trasformato in “Camponi” dalla stampa bulgara. Campagni, alias Camponi, ha trovato il tempo per passare dalla nostra redazione per rilasciarci un messaggio che giriamo ai lettori: “qui fa più notizia un singolo investimento belga o tedesco di mezzo milione di marchi che la somma dei tanti imprenditori italiani che nel complesso ne hanno investiti centinaia…” C’è di che meditare su queste parole, ma anche agire per farci valere!

IN GITA A… FILIPPOPOLI

[da ITALIANI IN BULGARIA numero 10 del 14 gennaio 1998]

LUCIANO IL GRECO definì Plovdiv “la più grande e più bella città della Tracia”, avrebbe potuto aggiungere “e della Bulgaria”, perché la seconda città del paese (con una popolazione di circa 350.000 abitanti), è uno dei centri più attraenti e vibranti, certamente molto più raccomandabile della capitale Sofia. La città vecchia incarna la lunga e variata storia di Plovdiv, con fortificazioni trace utilizzate dai macedoni, ricoperte da mura bizantine e grandi case in legno costruite durante il rinascimento bulgaro, che dominano le diroccate moschee ottomane e le dimore degli artigiani nella città bassa. Ma Plovdiv non è una mera parata di antichità: le manifestazioni artistiche e le esposizioni commerciali della fiera superano in numero quelle di Sofia, e la vivace vita notturna umilia quella della capitale, mentre l’importanza nella vita politica del paese ne è dimostrata dal presidente Petar Stoyanov, per citarne solo il più autorevole cittadino.

UN PO’ DI STORIA. Antico sito trace ricostruito e chiamato Filippopoli da Filippo II il macedone nel 342 avanti Cristo, inizialmente era poco più di un posto militare progettato per mantenere un occhio vigile sui turbolenti indigeni, una città di frontiera che i macedoni deliberatamente colonizzarono con criminali ed emarginati, tanto che lo scrittore romano Plinio avrebbe più tardi identificato Filippopoli come “Poneropolis”, la semi-leggendaria “città dei ladri”. Ma sotto la dominazione romana la cultura romana si sviluppò rapidamente, grazie alla collocazione sulla via di comunicazione Belgrado-Costantinopoli, per portava benessere economico ed era in posizione strategica per difendere la Tracia. La città fu saccheggiata dagli unni nel 447 e cominciò il suo declino a causa dei barbari che sempre più spesso facevano breccia nella frontiera danubiana. Con l’arrivo dei bulgari il controllo bizantino sull’area divenne sempre più tenue: “tanto tempo fa – lamentava Anna Comnena nel XII secolo – Filippopoli diveva essere una bella e grande città, ma dopo che gli slavi ne schiavizzarono gli abitanti fu ridotta nelle condizioni che abbiamo visto”. A quei tempi Filippopoli era un noto focolaio di eretici, una situazione dovuta agli armeni che emigrarono in massa in Tracia nell’XII e X secolo portando con loro dottrine dualistiche quali il manicheismo. Nonostante queste dottrine eretiche fecero fiasco, la popolazione armena di Plovdiv è durata fino ai giorni nostri.

LA CITTA’ BIZANTINA fu ulteriormente danneggiata dallo zar bulgaro Kaloyan nel 1206, lasciand un posto praticamente raso al suolo in eredità ai turchi che la ridenominarono Filibe nel XIV secolo, ma si riprese presto come centro commerciale, con un prosperoso quartiere di bazar e moschee ai piedi delle colline dove continuarono a vivere le comunità cristiane, molte delle quali famiglie divennero ricchi esponenti della classe mercantile nella metà del secolo scorso, esprimendo la loro agiatezza nella costruzione di case opulente che esibivano il meglio dell’artigianato locale. Costoro patronizzarono la cultura bulgara, e se le grandi potenze non avessero deciso di dividere il giovane stato bulgaro nel congresso di Berlino del 1878, Plovdiv ne sarebbe probabilmente diventata la capitale. Divenne invece la principale città della Rumelia orientale, una provincia ottomana amministrata da un governatore generale cristiano, ma il naturale desiderio della popolazione ortodossa di riunirsi al resto del paese fu finalmente conseguito nel 1885. da allora la città ha continuato a rivaleggiare la capitale come centro culturale e commerciale, soprattutto per le fiere internazionali che si tengono ogni anno in primavera e in autunno, inoltre la prossimità alla Turchia e alla Grecia fanno sì che Plovdiv sia meglio piazzata per trarre vantaggio dai recenti cambiamenti, come dimostrano le imprese private che vi hanno messo radici più rapidamente che nel resto del paese.

GRAN PARTE DI PLOVDIV può essere esplorata a piedi, nonostante sia divisa in due parti distinte: la città vecchia, del XIX secolo, che occupa la parte più orientale delle tre colline di Plovdiv, e la moderna città nuova, incentrata sulla grande piazza centrale dominata dal poderoso albergo Trimontium, decaduto insieme allo stile stalinista con cui fu costruito. Durante lo sviluppo urbanistico di quest’area furono scoperti dei resti romani, ad ovest della piazza c’è il parco della libertà, capolinea delle animate passeggiate pomeridiane di centinaia di persone lungo il viale pedonale Kniaz Alexander, affiancato da negozi e l’immancabile McDonald’s, il primo in Bulgaria. Lungo il viale troviamo al numero 15 la galleria d’arte municipale, una delle migliori collezioni in Bulgaria, il cui pezzo forte è il Ritratto del vescovo Sofronii di Vratsa, dipinto nel 1812 da un pittore sconosciuto. Il viale ci porta alla piazza Stambolinski, i cui caffà sono il punto d’incontro dei giovani plovdivchani e dove troviamo i resti di uno stadio romano visibile nella cementificazione: non è questo che un frammento di una grandiosa arena a forma di ferro di cavallo dove nel II e III secolo si tenevano i giochi alessandrini con decine di migliaia di spettatori. Pure notevole, tra i vari edifici circostanti, è la moschea del “del venerdì”, la cui architettura è tipica delle moschee cosiddette “popolari” del XIV e XV secolo, probabilmente costruita tra il 1359 e il 1385. la moschea è chiusa durante le funzioni religiose, quindi è consigliabile pianificarne la visita se si desidera ammirarne la fontana ed i motivi floreali che ne adornano l’interno. Una lapide sul muro occidentale commemora i cinque militari comunisti uccisi qui nel 1919, da cui il vecchio nome che portava la piazza, 19 novembre, durante gli anni del regime totalitario.

IL QUARTIERE DEL BAZAAR, situato poco a nordest della moschea, porta ancora nei nomi delle sue piccole strade le attività che vi si svolgevano, come Zhelezarka per i fabbri ferrai o Abadzhiiska per i commercianti della lana dei rodopi. Nei tempi ottomani il principale distretto commerciale di Plovdiv si estendeva da qui ulteriormente in direzione nord verso il fiume Marita, all’incirca lungo il corso di quella che oggi è la moderna ulitsa Raiko Daskalov, dove nel XVI secolo si contavano 880 negozi “uno sopra l’altro” secondo la descrizione di un viaggiatore arabo dell’epoca. Al giorno d’oggi non è più possibile trovare granché dell’originale atmosfera del bazar, ma è comunque un’esperienza piacevole passeggiare lungo questa strada per avvicinarci al fiume e trovare ancora molti resti del dominio turco, molti dei quali in cattive condizioni di manutenzione, per arrivare alla moschea Imaret e al museo archeologico. Vicino al fiume riconoscerete difficilmente i bagni turchi, ma più facilmente la moschea, con un pregevole minareto, che fu costruita su ordine del sultano Bajazet nel 1444, contiene la tomba del pasha Gazi Shahabedin e deve il suo nome all’ostello per pellegrini (Imaret) un tempo situato nelle vicinanze. Da qui, in piazza dell’unità, davanti al surreale monumento di Milenkov del 1885 c’è il museo archeologico. Nonostante la sua più notevole attrazione, il tesoro di Panagyurishte, sia stata spostata nel museo nazionale di Sofia, vi si trova ancora ampia evidenza della cultura dei traci di Bulgaria, gran parte della quale proveniente dagli scavi di tombe tribali effettuati a Duvanli (20 km a nord di Plovdiv). Dall’austerità delle terraglie rinvenutevi spicca il contrasto con il vasellame importato dalla Grecia dai guerrieri traci e un importante arsenale che include un elmetto di bronzo trovato vicino al villaggio di Brestovitsa, testimonianza delle deprimenti preoccupazioni nella vita quotidiana dei traci.

LA VITA NELLA TRIMONTIUM romana è ben documentata con una gamma di bronzi e terracotte, mentre il periodo medievale è rappresentato da un gruzzolo di monete del XII secolo trovato cicino ad Asenovgrad, e della espressiva vasellameria risalente al secondo regno bulgaro, decorata con turbinanti vortici e spirali multicolori. Il museo di storia naturale, a 5 minuti di distanza, non è altrettanto interessante, quindi se avete poco tempo tornate indietro per visitare la città vecchia, cioè il quartiere che è stato definito il sogno di ogni pittore e l’incubo di ogni cartografo. Con le sue strade pavimentate di ciottoli e le sue case bovinde, fugaci apparizioni di facciate ornate tentano il visitatore ad abbandonare le strade principali per addentrarsi nei cortili, e questo può essere il migliore approccio per conoscere la zona, ma cominciamo prima dalle mura della fortezza, risalenti al periodo bizantino, che si celano dietro molte stradine e sono talvolta incorporate nelle decine di case di stile risorgimentale nazionale, che sono la specialità di Plovdiv: sono tipicamente costruite su di un pendio e si espandono su più piani per mezzo di bovindi lignei, risolvendo intelligentemente sia la mancanza di area edificabile che l’esigenza di interni spaziosi da parte dei mercanti del XIX secolo. I più visibili bovindi sulle facciate denotano solitamente le grandi sale di ricezione all’interno, mentre i lati dei piani superiori sono talvolta caratterizzati da bovindi ciechi contenenti dispense di cucina o sgabuzzini. Dentro e fuori i muri sono spesso decorati con nicchie, motivi floreali o finte colonne dipinte nello stile conosciuto come alafranga, eseguite da artisti itineranti. I ricchi mercanti che vissero qui sponsorizzarono il risorgimento bulgaro, ed il ruolo culturale di Plovdiv si riflette nelle numerose piccole gallerie d’arte e negli eventi musicali che si concentrano attorno alle case della città vecchia, molte delle quali sono oggi classificate come patrimonio storico e architettonico.

LA MAGGIOR PARTE dei visitatori approccia la città vecchia partendo dalla piazza Stambolinski, dalla quale un dolce pendio conduce in su passando dalla casa di Danov. Questi fu il primo editore su larga scala in Bulgaria, considerava la distribuzione della stampa come un dovere patriottico, un passo cruciale nella lotta popolare di liberazione dal plurisecolare oscurantismo ottomano. Oltre a stampare libri, Danov aprì le due prime librerie del paese, a Plovdiv e a Ruse, fabbricò mappamondi, termometri e bilance per le scuole del paese e nel 1878 firmò il primo quotidiano di Plovdiv, Maritsa, testata ora risorta dopo i cambiamenti del 1989. proprio poco oltre la casa-museo di Danov troviamo Sveta Bogorditsa, una chiesa imponente che conserva alcune icone del maestro Stanislav Dospevski. Continuando questo itinerario, passando per una sezione della galleria municipale che ospita gli eventi tematici in estate, arriviamo alla casa Chomatov, ora dedicata alle opere di Zlatyo Boyadzhiev, uno dei più amati pittori bulgari contemporanei. Particolarmente notevolei sono I minatori di Pernik, del 1945, in cui l’artista sposa uno stile folkloristico con la sua autentica simpatia per i lavoratori, ed altri pregevoli lavori successive quali Orfeo e i due matrimoni, nei quali usa scene paesane per trasmettere un sentimento di orgoglio nazionale più terreno. Proseguiamo a salire passando dalla vecchia farmacia al numero 16 (gli intrugli in vendita richiedono la conoscenza di termini medici latini), per arrivare al museo delle icone, ricco di opere della regione del XV e XVI secolo, e alla chiesa dei santi Konstantin ed Elena, caratteristica per i colorati interni in contrasto tra loro. Un breve passaggio dalla casa Balabanov (un tempo dimora dell’omonimo mercante, ora destinata ad ospitare esposizioni di arte moderna), ci conduce alla casa Hindlian, dove possiamo godere di alcuni dei più sontuosi interni delle case di Plovdiv. La famiglia Hindlian era di prosperosi mercanti armeni, come si capisce dalle alafranga che ornano le stanze superiori con i panorami delle città ove svolsero le loro attività, tra le quali Venezia.

MOLTE DELLE FAMIGLIE ARMENE sopravvissute vivono ancora nelle strade circostanti e frequentano la scuola armena, una modesta chiesa armena ed il centro culturale “Erevan”. Un monumento nel cortile ricorda gli armeni di Plovdiv caduti per la madrepatria durante le guerre balcaniche e la prima guerra mondiale. Ma la strada che abbiamo preso ci porta altrove, ascendendo in direzione settentrionale verso la sommità della collina, transitando dall’edificio più visitato di Plovdiv, la casa Kuyumdzhioglu (dal nome del mercante greco che la commissionò nel 1848), che nella sua facciata combina motivi barocchi e folkloristici dipinti sulla facciata riccamente decorata con ordini giallo-nero. Ora è un museo etnografico con elegantissime stanze arredate col gusto dei chorbadzhii per il barocco francese e viennese, sontuosa gioielleria e costumi tradizionali dei rodopi indossati da poveri e benestanti di entrambi i sessi. La cittadella di Nebet Tepe è la prossima tappa. Arduo è discernerne precise origini storiche dalle sue macerie , ma è un sito archeologicamente ricco. Fortificato dalle tribù trace fin dal V secolo avanti Cristo, la cima della collina fu l’inizio della moderna Plovdiv, catturata nel 342 da Filippo il macedone che modestamente la chiamò Filippopoli. Ma il figlio di Filippo, Alessandro il grande, la abbandonò in cerca di nuove conquiste asiatiche. Nei secoli seguenti gli abitanti sono probabilmente spesso ricorsi al tunnel segreto che collega Nebet Tepe alla riva del fiume, per sfuggire ai saccheggi perpetrati da romani, slavi, bulgari, bizantini ed ottomani, tanto per citarne solo alcuni.

COMINCIANDO A SCENDERE passiamo dalla porta della fortezza, Hisar Kapiya, che è stata ricostruita infinite volte da quando Filippo il macedone la innalzò come porta orientale della cittadella. Vicino troviamo la casa Georgiani, notevole più per la struttura che per gli ornamenti: l’architetto combinò dei bovindi “scatolari” in una scala monumentale. L’edificio è oggi occupato dal museo della liberazione nazionale, contenente le repliche della campana e del cannone che per primi si fecero sentire durante l’insurrezione di aprile, dopo le impiccagioni di massa da parte dei boshibazouk, che vietarono alla popolazione di seppellire i cadaveri. Un altro edificio vicino che merita una visita è la casa Nedkovich, rinomata per i soffitti lignei e il grande salone a primo piano. Da qui scendiamo lungo la strada che conduce, tramite numerose botteghe di artigiani ed altri edifici, alla basilica a tre navate di Santa Domenica (Sveta Nedelya), e tramite la ulitsa Nektariev alla casa Mavrudi, meglio conosciuta come la casa dove visse il poeta francese Lamartine nel 1833 scrivendo Viaggio in oriente mentre si riprendeva dal colera che uccise sua figlia a Costantinopoli. E qui finalmente arriviamo al monumento più impressionante, l’anfiteatro romano dal quale si può godere una meravigliosa vista della catena dei rodopi, e nel quale ogni estate si svolgono eventi di musica classica. Queste imponenti rovine sono le sole rimanenze di una acropoli che i romani costruirono quando innalzarono Trimontium da città vassalla al grado di capoluogo di provincia, durante il II secolo, ma fu distrutta dai goti e più tardi usata come materiale di costruzione quando la città rinacque.

LA PLOVDIV ECONOMICA. Centro commerciale da lunga data, Plovdiv divenne il principale mercato bulgaro nella seconda metà dell’ottocento, quando fu completata la ferrovia tra l’Europa e Istanbul e vi fu trasferita la grande fiera annuale fin dal XVI secolo tenuta ad Uzundzhovo. La prima fiera internazionale di Plovdiv (1892) su un affare sostanzialmente casalingo: un uomo di Aitos propose di mostrare i suoi cani da caccia, mentre la Boemia esibì alveari. Ma a partire dal 1933 l’evento crebbe in forza, ed attualmente è la più grande del suo tipo nei balcani, articolandosi in due edizioni annuali: quella primaverile, ai primi di maggio, è dedicata ai beni di largo consumo; quella autunnale, ancor più frequentata, verso la fine di settembre, per i beni strumentali ed industriali. Entrambe le esibizioni si tengono nel grande complesso in prossimità della riva settentrionale del fiume. Così come le tre colline della città vecchia, altre tre alture circondano la parte sud-occidentale della città: dalla più vicina al centro, Sahat Tepe, si può godere una vista eccezionale della città, nonché quella che è ritenuta la più antica torre con orologio nell’Europa orientale, tanto che un’iscrizione dei turchi (che la restaurarono nel 1809 con “benedizione divina”) invita a guardare in su per ammirare. Da qui si può fissare Alyosha (diminutivo del monumento all’armata rossa), sulla vicina collina dei liberatori, qui c’era il tempio trace dedicato ad Apollo, ma negli anni cinquanta il partito unico volle onorare il suo semidio ribattezzandola “collina di Stalin”… Infine, ulteriormente a sud-ovest, si trova la collina detta della gioventù, la più grande delle tre e la più simile ad un parco naturale.