Ippopotamo eccitato rimane incastrato in acquedotto
L'ippo (potamo) ha scalato tre metri per rinfrescarsi il pisello in una torretta idrica nella quale è rimasto incastrato. E' successo ad Alkmaar, vicino a Nelspruit in Sudafrica, dove l'ippo (potamo) è stato tirato fuori con una gru dal team di esperti ippopotamosi guidati da Chris Hobkirk dell'Associazione turistica Mpumalanga.
Uomo tenta di suicidarsi in pozzetto merdoso
Gli indigeni di Kalem, nella provincia delle Western Highlands in Papua Nuova Guinea, hanno salvato un uomo di Nipa, nelle Southern Highlands, che ha tentato, sfortunatamente senza successo, il suicidio gettandosi nello strettissimo pozzetto raccogli-merda di un cesso. "Perdonatemi", ha detto.
Pantaloni senza tasche per combattere la corruzione
Gli impiegati dell'aeroporto Tribhuvan di Kathmandu indosseranno pantaloni privi di tasche in un tentativo di combatterne la corruzione dilagante che secondo il primo ministro danneggia la reputazione del Nepal. La Commissione per l'Investigazione degli Abusi di Potere ha accertato la veridicità delle lamentele verso le autorità e i lavoratori aeroportuali, e per rimediare ha fornito loro da indossare pantaloni senza tasche per le bustarelle.
Proprietario di casa assalito da uomo defecante
Il trentenne Elias Ramirez è rimasto lievemente ferito dal 34-enne Gabriel Venegas che si è introdotto nella sua proprietà per sbottonarsi i pantaloni e cacare. Il padrone di casa lo ha disturbato nella delicata funzione e lui lo giustamente assalito, ma l'insensibile polizia ha arrestato Venegas e lo ha costretto a versare la bellezza di diecimila dollari di cauzione.
U.S.-built bridge is windfall — for illegal Afghan drug trade

In August 2007, the presidents of Afghanistan and Tajikistan walked side by side with the U.S. commerce secretary across a new $37 million concrete bridge that the Army Corps of Engineers designed to link two of Central Asia’s poorest countries. Dressed in a gray suit with an American flag pin in his lapel, then-Commerce Secretary Carlos Gutierrez said the modest two-lane span that U.S. taxpayers paid for would be “a critical transit route for trade and commerce” between Afghanistan and Tajikistan. Today, the bridge across the muddy waters of the Panj River is carrying much more than vegetables and timber… McClatchy
Notizie religiose sui minori...



Il video mostra un sedicenne preso dalle convulsioni mentre La Chiesa dei Ministri della Gloria Manifestata, nel Connecticut, gli estrae dal corpo il... demone dell'omosessualità. "Strappaglielo dalla gola!" - urla una donna - "vieni fuori, demonio omosessuale! Lascia la presa, Lucifero!" La storia completa a questo link e una versione più lunga del video a quest'altro.

...Esorcismo lascia ragazzo morto in croce


Un tribunale della Guiana francese ha incarcerato dai tre ai 12 anni quattro membri della Chiesa Celestiale di Cristo per l'esorcismo su un 15-enne epilettico trovato morto crocefisso nel 2005. La madre del ragazzo, che soffre di malattie mentali, lo aveva portato in chiesa per sentirsi dire che era posseduto dal diavolo. I membri della chiesa lo hanno quindi percosso con canne e cinture per tre giorni, gli ultimi due dei quali attaccato a una croce, sulla quale è morto probabilmente soffocato.
Notizie presidenziali...

Una scimmia dispettosa ha orinato da un albero sulla giacca del presidente dello Zambia, Rupiah Banda, mentre questi parlava ai giornalisti in una conferenza stampa all'aperto nei giardini della residenza presidenziale. Per vedere il video della minzione bisogna andare sul sito della Bbc

...Astrologo dello Sri Lanka arrestato per predire caduta del presidente

Il popolare astrologo cingalese Chandrasiri Bandara ha annunciato la scorsa settimana che presto il governo s'impappinerà a causa dei problemi politici ed economici e il 9 settembre il primo ministro sostituirà l'attuale presidente per essere a sua volta sostituito alla guida del governo dal capo dell'opposizione, che ha condannato l'arresto dell'astrologo come una minaccia in direzione della dittatura. Nello Sri Lanka l'astrologia è presa molto seriamente da numerosi politici.
Città svedese permette il topless anche alle donne
Le donne di Malmö hanno conquistato il diritto di fare il bagno senza copriseno nelle piscine pubbliche della terza città svedese. La questione andava avanti da mesi e aveva diviso a destra e a sinistra, ma secondo il presidente del Comitato dello sport Bengt Forsberg "Non definiamo come debba essere un costume da bagno per gli uomini, per cui non ha molto senso farlo per le donne. Inoltre, non è raro per gli uomini avere grosse tette che assomigliano a quelle delle donne"... Upi
Canguri fuori di testa disegnano cerchi nei campi
I cangurini australiani wallaby mangiano papaveri da oppio e creano cerchi nel raccolto saltandovi dentro "fuori come aquiloni", dice un funzionario del governo. L'Australia produce quasi la metà dell'oppio coltivato legalmente nel mondo per farne morfina e altri antidolorifici... Bbc
Coppia si sposa e divorzia lo stesso giorno
Una coppia polacca che vive in Germania ad Hannover ha deciso di porre fine al proprio matrimonio il giorno stesso della cerimonia, subito dopo la quale ha cominciato a litigare e lo sposo 50-enne ha tentato di tagliare con un coltello da cucina i capelli della sposa 34-enne. Due tentativi di riappacificazione per telefono sono falliti in peggiori insulti e i due hanno potuto accordarsi solo sulla richiesta di immediato annullamento.
UN Backs Drug Decriminalization In World Drug Report

In an about face, the United Nations on Wednesday lavishly praised drug decriminalization in its annual report on the state of global drug policy. In previous years, the UN drug czar had expressed skepticism about Portugal’s decriminalization, which removed criminal penalties in 2001 for personal drug possession and emphasized treatment over incarceration. The UN had suggested the policy was in violation of international drug treaties and would encourage “drug tourism”. But in its 2009 World Drug Report, the UN had little but kind words for Portugal’s radical (by U.S. standards) approach… Huffington Post
Aggiornamento del Radicalometro

Da qualche mese è stato un po' trascurato il celeberrimo Radicalometro di Granzotto nella barra laterale. Ecco finalmente un aggiornamento: Cappato conserva il primo posto con 120 punti (+4), Suttora (112, +12) guadagna due posizioni sorpassando Pannella (105, +2) e Granzotto medesimo (102, -6) che viene sorpassato anche dai Welby (103, +5). Dopo questo notevole rimescolamento tra i primi cinque, in media classifica la situazione rimarrebbe pressoché invariata con Capezzone a 69 (-2) e Boselli a 51 (-3), ma c'è un forte balzo all'ottavo posto di Callegari (50, +8) grazie al suo Polpetton recentemente riproposto. Completano la top ten il novello sposo Dupuis (46, +2) e decima Bonino ferma a 44.
Brevi dal mondo

Il piumone decorato come cartone da imballaggio è stato ideato dall'ente benefico britannico per i giovani senza casa Centrepoint, che ogni notte ne ospita 800 e al quale va il 30% dei profitti delle vendite cosicché "se tu dormi in un cartone un ragazzo invece no".

Città del west decide elezione con mazzo di carte

I candidati a consiglieri comunali Adam Trenk e Thomas McGuire, vestiti in abiti informali, hanno passeggiato nervosamente nel municipio di Phoenix, Arizona, davanti al giudice che ha mescolato le carte sei volte. Il 64-enne McGuire, già consigliere comunale per due mandati, ha alzato il sei di cuori, ma il 25-enne Trenk, nuovo in città, ha alzato il re di cuori ed è stato nominato eletto.

Baristi spagnoli invitano ad essere insultati

Il bar "Casa Pocho" di Cullera, vicino a Valencia, incoraggia i clienti ad insultare il proprio staff con bevande gratuite in premio agli epiteti più originali. Il gestore polacco Bernard Mariusz dice che la gente ha bisogno di sfogarsi dopo il lavoro, e i clienti sono incoraggiati a dargli del bastardo, imbecille, etc, piuttosto di farlo a casa in famiglia.

Clandestino entra in Gran bretagna su pullman militare

Un immigrato illegale afghano è entrato in Gran bretagna nascosto sotto la scaletta per il cesso in un pullman di 28 militari britannici che tornavano dalla Germania alla loro base nell'accademia militare di Sandhurst, dove purtroppo è stato scoperto e adesso è detenuto in attesa di espulsione.
Notizie matrimoniali

Alla tenera età di cinquant'anni abbondanti si sposa oggi 20 giugno a Brussels l'affermatore di coscienza, ex eurodeputato e segretario radicale transnazionale Olivier Eduard Dupuis, al quale insieme alla moglie Aude vanno i migliori auguri di Miss Welby. In omaggio ai novelli sposi riesumerò a puntate qui sul blog il mio famoso romanzo "Mi dispiace per il fiume", di cui Olivier è uno dei protagonisti anche se naturalmente lui e altri personaggi come Marco Pannella, Marco Cappato, Roberto Granzotto, etc. sono puramente immaginari... :) Nel post precedente il primo capitolo, ma Olivier entra in scena nel secondo, sabato prossimo, e così via per 17 torridi sabati di amore e politica, sesso e attentati.

Novelli sposi in fuga

Alan Bennett e Lorraine Vickery, di Exeter, nel Devon, si sono sposati a Jersey il 5 febbraio in una elaborata cerimonia e poi se la sono data a gambe pagando con assegni scoperti i conti di oltre diecimila paundi per pranzo, albergo, orchestra, etc. Sono ricercati dalla polizia.

Novelli sposi condannati per omicidio

I quarantenni Wendy Shobrook e Barry Johnson, di Plymouth, sono stati condannati per l'omicidio di Mr Auchterlonie. Dopo essersi sposati il 9 giugno 2008 si sono ubriacati e hanno litigato. Dopo avere dato fuoco al letto di Barry causando la distruzione della proprietà, Wendy è andata a trascorrere la notte col 45-enne Mr Auchterlonie, che a suo dire avrebbe cercato di rapinarla e stuprarla (ma questo è falso secondo l'accusa), per cui lo hanno ammazzato a bastonate.
Mi dispiace per il fiume, capitolo I

ogni riferimento a fatti e persone realmente esistenti è puramente casuale

Lo scrittore anarchico Vittorio Boselli era un uomo asciutto di media statura, i piccoli occhi castani vispi dietro gli occhiali e le labbra sottili nascoste dalla folta barba ancora nerissima come i capelli nonostante gli oltre cinquant'anni. Il suo partner Marco Cappato, che da imbianchino faceva un lavoro pesante, aveva modellato in palestra il torace muscoloso di un atleta e, completamente glabro, si chiedeva spesso come mai il suo gracile amante avesse invece un corpo così peloso. Non che gli dispiacesse, anzi lo attraeva ed eccitava il contrasto, ma nella sua semplicità di pensiero gli sarebbe sembrato più naturale se la villosità fosse stata associata alla propria virilità, e l'assenza di peli alle esili grazie del compagno. Marco, poco più giovane di Vittorio e poco più alto di statura, e così privo di peli che anche la testa era lucida di calvizie, era un uomo semplice che con l'attività fisica sudava le tossine della depressione, a differenza del suo tormentato compagno, e viveva felicemente il rapporto monogamo con questi, del quale amava la dolcezza, ammirava l'intelligenza, venerava la cultura e, ultimo ma non meno importante, penetrava il corpo fremente inarcuato nell'amplesso. Vittorio, da parte sua, affetto dal male di vivere della conoscenza introspettiva, ricambiava il profondo affetto di quell'uomo dall'aspetto rude ma dall'animo gentile che gli trasmetteva serenità con piccoli gesti d'amore come preparare quotidianamente il pane fatto in casa.

Nella primavera del 2014 il mondo contava quasi sette miliardi e mezzo di abitanti, 4228 dei quali registrati nella lista nera delle agenzie di sicurezza americane ed europee come i più pericolosi criminali e terroristi in circolazione, dediti allo sviluppo, proliferazione, commercio e uso di armi nucleari, chimiche e batteriologiche. Dei 47 di costoro attivi in Italia, il più pericoloso era indicato nell'apparentemente insospettabile docente di architettura Roberto Granzotto, che l'Interpol non era mai riuscita a incastrare con uno straccio di prova ma che si sospettava intrattenere rapporti "culturali" con amabili personaggi del settore sotto la copertura dell'Ace, l'Associazione comunista esperantista di cui era presidente della sezione italiana. L'architetto, che conduceva una vita apparentemente tranquilla in un modesto appartamento a Milano in via Lupi Lavanda, uscì di casa il mattino del 25 aprile con un leggero bagaglio e incrociò nell'atrio il vicino di casa del piano di sopra, che rientrava dalla passeggiatina col cane Tabar. Boselli si era spesso riproposto di approfondire la conoscenza con il signorile uomo di cultura, benché non amasse il comunismo, ma quel mattino Vittorio ricambiò frettolosamente il suo saluto perché, trainato dal cane verso l'ascensore, era ansioso di fiondarsi in casa a leggere la lettera appena ricevuta dal lontano parente Michel Boselli.

Budapest, aprile 2014

Carissimo Vittorio,

chi siamo, da dove veniamo, dove cazzo andremo a finire? Tu mi conosci, non posso fare a meno di filosofeggiare nelle situazioni più critiche, e d'altronde non potrei fare altro per spezzare la tensione mentre il traghetto attraversa questo Danubio grigio e torvo verso Bechet, sulla sponda romena, dove mi aspetta un'altra trafila di fottuti sbirri balcanici corrotti e lazzaroni. Da Oryahovo i bulgari mi hanno lasciato imbarcare senza problemi, ma non mi sentirò al sicuro finché non sarò qualche centinaio di miglia più a nord, nella civile Budapest, da dove sono decollato per atterrare a Sofia appena ieri mattina. Il pur rinnovato aeroporto della capitale bulgara mi ha trasmesso l'impressione di sempre: schifo per la sporcizia e la scortesia. All'epoca, ad aspettarmi fuori c'erano taxi infangati senza le spazzole tergicristallo. Per qualche ragione c'era in Bulgaria un numero di spazzole tergicristallo inferiore a quello delle auto in circolazione, così che il reciproco furto di spazzole assurse a sport nazionale, Stavolta, invece, in una confortevole berlina con le spazzole mi ha portato all'Albergo Licheri in centro a Sofia una funzionaria dell'ambasciata figona della madonna che ho gustosamente trombato.

Costei è una bellezza mediterranea dai lunghi capelli nerissimi, nel viso intriganti tratti somatici come un bel nasoppio giudaico e soprattutto - o meglio: dietro al tutto -, il più bel culo che abbia mai sperimentato. Semplicemente perfetto! Davanti, invece, ha le tette un po' piccoline per i miei gusti usuali, però la migliore fritolina del mondo per parametri tecnici quali elasticità e lubrificazione. Lì sotto le ho fatto un servizietto col sottofondo di Psycho Killer dei Talking Heads, e sembrava aver gradito. Invece subito dopo si raffredda gelida come niente fosse successo e rivestendosi mi studia attentamente i documenti, che sa benissimo essere falsi (voleva verificare fossero stati forgiati bene), squadrandomi più volte prima di lasciarmi entrare nel retro. Un altro, quello della cancelleria consolare, dalla quale esco poco dopo col Semtex arrivato via corriere diplomatico. Chissà se la rivedrò, mi chiedo mentre ti scrivo sul ferry che non può attraversare il fiume nel modo più diretto ma lo deve risalire in circa mezz'ora, per cui riesco a intravvedere in lontananza l'impianto di Kozloduy.

Nella struttura di contenimento di un reattore ad acqua pressurizzata, questa scorre attraverso il reattore che la scalda ad una temperatura molto elevata per essere pompata in uno scambiatore di calore dove diventa vapore alimentante una turbina che genera corrente elettrica, poi questo vapore si condensa nuovamente in acqua che rientra nel ciclo. Con abbondanza di ottimo Semtex originale di Pardubice ho confezionato tre cariche distinte, dotate ciascuna di tre timer sincronizzati per provocare nello stesso istante danni al reattore numero 4 - l'ultimo ancora in funzione -, a un condotto dell'acqua pressurizzata e infine al canale dell'acqua di raffreddamento proveniente dal fiume.

Ho lasciato il posto di frontiera e sto viaggiando verso l'Ungheria a velocità sostenuta ma entro il limite, per non rischiare di essere fermato. L'ho fatta franca anche stavolta. Sono proprio un bastardo, penso rassegnandomi alla depressione. Sarebbero morti ugualmente, mi consolo con cinismo: moriremo tutti. Forse c'è un dio o degli extraterrestri o insomma qualche forma di vita oltre la morte e sarò giudicato per questa porcheria incommensurabile. O forse no, la morte è assenza e semplicemente non esisterò per essere punito. Penso ai milioni di vittime innocenti, alle svariate Tatiana transitate nel mio letto tanti anni fa. A quelle aperte a tutto per un visto occidentale e a quelle tenerissime che si vergognavano e neppure io avevo la vigliaccheria di penetrare per inoculare il seme del mio marciume...

Ciao Vittorio, salutami Tabar ma non Marco: sai bene come io disapprovi questa vostra omosessualità immorale. Tuo Michel

Sprofondato nella poltrona con la bocca spalancata ma incapace di proferir parola, lo sguardo perso nel vuoto oltre la finestra, Vittorio Boselli era sconvolto dal contenuto della lettera che gli frusciava nelle mani tremebonde. Era dunque il suo lontano parente il colpevole del peggiore disastro ambientale di tutti i tempi. Per denaro, probabilmente l'usuale milioncino di eurodollari, l'assassino mercenario che puntualmente lo teneva informato dei suoi omicidi politici aveva stavolta provocato la sofferenza immane di milioni di vittime innocenti. Vittorio vedeva ora nel lontano cugino l'incarnazione del Male, il demonio dei più inquietanti romanzi apocalittici, mentre davanti agli occhi sfuocati dalle lacrime di rabbia ricorrevano le immagini della catastrofe che da due settimane occupavano i telegiornali: tutta la seconda metà della valle danubiana, un'area lunga mille chilometri e larga cento, era stata pesantemente contaminata dalla fuga radioattiva seguita all'esplosione di Kozloduy. L'intero ecosistema del delta del Danubio, unico in Europa, era stato distrutto per sempre. Tutta la pianura valacca resa incoltivabile per secoli a venire, ridotte alla fame e a morte prematura milioni di persone ancor più sfortunate delle decine di migliaia decedute nei primi cinque giorni. Le città di Giurgiu e Ruse, unite dal ponte dell'amicizia sul fiume morto, evacuate e deserte. Nella capitale romena Bucuresti un'altra generazione falciata dal cancro come, in misura minore, quella di 28 anni prima da Chernobyl.

Vittorio aveva sempre letto con interesse i dettagliati resoconti, conditi di considerazioni pseudo-filosofiche, che il sicario gli aveva inviato dopo ogni delitto, talvolta con disgusto per il cinismo omicida, talaltra con soddisfazione per la punizione inflitta al potente letteralmente nel mirino, come nel caso di un dittatore del terzo mondo che affamava il suo popolo in combutta con le multinazionali, la cui prematura dipartita aveva salutato con soddisfazione e intimo orgoglio per esserne messo a parte dallo stesso Autore. Ma questa volta Michel aveva osato l'inaudito. Era andato oltre la semplice eliminazione di individui appartenenti al genere umano per intervenire sulla natura e l'aveva fatto in modo pesantissimo lasciando conseguenze irreparabili sugli altri animali. Boselli realizzò immediatamente di non potersi adattare a questo: sentiva di dover fare qualcosa per opporsi al Mostro e alterare positivamente il corso degli eventi per annichilire il Malefico e accettare di sporcarsi le mani per prevenire una nuova catastrofe. Ma, operativamente, come avrebbe potuto fare?

Sorry about the River
Mi dispiace per il fiume

secondo capitolo

Questo secondo capitolo è noioso come una stazioncina ferroviaria, ma tutto sommato sopportabile. e soprattutto
ogni riferimento a fatti e/o persone realmente esistenti è puramente casuale
:)

Con un occhio attento all'orologio il leader nonviolento Marco Pannella arringava la platea del congresso del Partito democratico alternando sapientemente forti proclami a frasi sussurrate quasi baciando il microfono, in una atmosfera di suspence fino alle venti in punto dell'Europa centrale, quando, dopo essersi soffermato a tracciarne il profilo politico e morale, finalmente pronunciò il suo nome suscitando l'apoteosi dei delegati, pressoché ipnotizzati dall'oratoria del mitico leader carismatico, in coincidenza con l'apertura dei principali telegiornali europei. Molti di questi, da Euronews a TV5, Star, RTL e il Tg1 della Rai, oltre centinaia di siti web, aprirono in diretta dalla sala congressuale dove la folla in tripudio, stupita dalla scelta ma prontamente adeguatasi alla sorprendente indicazione pannelliana, applaudendolo scandiva il nome di Olivier Dupuis mentre questi si avvicinava al microfono sforzandosi di controllare l'improvviso tremore alle ginocchia e qualche lacrimuccia di emozione che spuntava dinanzi ai delegati venuti a Roma da trenta paesi europei e che incredibilmente volevano proprio lui come prima presidente degli Stati uniti d'Europa.

Il nuovo presidente del Partito democratico, di fatto proclamato in diretta per acclamazione, fu abile come il suo maestro a utilizzare il mezzo televisivo: parlò solo un paio di minuti in perfetto francese per accettare la candidatura ripetendo gli slogan federalisti con le braccia allargate in alto e concluse ringraziando brevemente in numerose lingue Pannella e tutto il congresso, che continuava a inneggiare al suo nome in una possente coreografia. Quella perfetta sincronia mediatica aveva istantaneamente trasformato lo sconosciuto funzionario di partito nel personaggio del giorno, con grandi fotografie in apertura di prima pagina sulla stampa mondiale, che per una settimana avrebbe spiegato chi era, da dove veniva e cosa voleva fare da grande Olivier Dupuis.

Il deputato lussemburghese sapeva bene di essere stato paradossalmente avvantaggiato dal non poter contare su un grosso elettorato nazionale. In una elezione in cui la nazionalità del candidato sarebbe stata nella valutazione degli elettori altrettanto importante della sua collocazione politica, difficilmente un italiano avrebbe raccolto molti consensi a nord delle alpi, salvo forse tra i connazionali emigrati, e analogamente un tedesco non avrebbe potuto entusiasmare più di tanto gli elettori mediterranei, francesi compresi. L'anziano e rispettato Marco Pannella aveva giocato bene le sue carte calcolando che se si fosse candidato e avesse perso sarebbe stato un modo amaro di uscire di scena, mentre gli sarebbe convenuto lanciare allo sbaraglio un candidato più giovane per non rischiare di offuscare il posto che si era già conquistato tra i grandi della Storia.

La trovata di Pannella, vecchia volpe dei giochi politici brussellesi, fu una sorpresa per lo stesso Olivier, che in congresso si preparava a sostenerne lealmente la rielezione ma venne da questi convocata durante la notte precedente in una saletta riservata dell'Albergo Licheri romano per sentirsi dire, alla presenza di una manciata di alti dirigenti del Partito democratico, di essere stato ritenuto il più adatto a soddisfare le caratteristiche delineate dai guru del marketing: la sua immagine di cinquantenne dinamico dava l'impressione di sembrare relativamente giovane per aspirare alla massima poltrona, ma al tempo stesso non troppo per accattivarsi le simpatie dell'elettorato moderato della terza età, prevalente quasi ovunque nel continente. A questo proposito, gli fu spiegato, avrebbe dovuto cominciare con una visita dal parrucchiere per dotarsi di un taglio meno giovanile, in modo da non sembrare troppo più giovane del suo coetaneo concorrente avversario, il candidato di destra Kapezzonen.

Olivier Dupuis era un uomo alto e molto magro dai tratti somatici duri e gli occhi scuri sempre in movimento. Maturando aveva scoperto il gusto di vestirsi con sobria eleganza, vissuta in gioventù come una fastidiosa imposizione conformista da accettare in nome della carriera politica. Con gli anni, e lo stipendio di parlamentare, aveva perfezionato come un sottile piacere la ricerca dei particolari, specialmente le cravatte, per distinguersi in quel mare di completi grigi o blu che costituivano l'uniforme dei colleghi deputati. Possedeva una vastissima collezione di cravatte, tutte di buon gusto e ottima fattura, che portava in viaggio in apposite scatole di legno pregiate che si era fatta costruire su suo disegno in base alla sua originale idea di come dovessere essere riposta una cravatta affinché non si sgualcisse. Poteva capitare di vederlo due giorni di seguito con la stessa camicia, per una settimana con gli stessi pantaloni, per un mese nelle stesse mutande, ma mai più di mezza giornata con la stessa cravatta, l'accessorio-simbolo che lo proteggeva psicologicamente come aveva simbolicamente protetto dagli invernali rigori rivoluzionari il collo di un suo antenato nel reggimento di cavalleria croato della Royale-Cravate, che l'introdusse in Francia alla fine del '600.

Di carattere inventivo e sempre portato alla ricerca del diverso, in fuga dalla banalità e la noia, Olivier non aveva avuto successo in politica per una strategia pianificata quanto piuttosto grazie al suo geniale intuito femminile nel saper cogliere il momento giusto per fare la scelta giusta. Possedeva inoltre la capacità di adattarsi a nuove situazioni, ritmi e ambienti di lavoro, quali erano quelli di un grande partito politico appena nato e ancora nel pieno della dinamica della sua costituzione, che procedeva parallelamente a quella dell'unione politica europea. Animato dalla grandiosità degli eventi che viveva in prima persona, poteva ben accettare di spendersi al limite delle sue forze e sapersi riprendere con straordinaria vitalità dalle delusioni, gli sgambetti degli invidiosi, il sangue e merda principali elementi della politica, nei quali sguazzava corazzato come un palombaro per uscirne pulito ma più agile degli avversari, fuori e dentro il suo stesso partito.

Olivier non aveva dimenticato le sue umili origini in una famiglia piccolo-borghese e i sacrifici dei genitori per assicurargli un'istruzione superiore. Aveva dunque conservato la capacità di saper parlare alle masse dei sempre più numerosi nuovi poveri, il sempre meno ideologizzato - nello scettico disprezzo della politica - ribelle proletariato del XXI secolo che popolava le periferie delle metropoli europee. Nell'ambigua qualifica di responsabile transnazionale, funzione non prevista nello statuto del partito lussemburghese dal quale proveniva, per promuovere le ragioni e le speranze federaliste aveva a lungo girato l'Europa arringando manovali portuali e centraliniste di call centre ai quali solo lui sapeva rivolgersi con parole prive di ideologia e incentrate sul punto fermo del pensiero originale sul quale si era formato: il socialismo liberale di scuola pannelliana.

Non era tanto questione di destra o sinistra, amava ripetere alla muscolosa udienza dalle mani callose e le labbra screpolate, ma di una giustizia sociale senza etichette che avrebbe loro assicurato condizioni di vita decorose al di là degli aumenti in busta paga. Ancor più di questi erano importanti la dignità del lavoratore e il rispetto da parte dei dirigenti, giocava bene questa carta Dupuis laddove i sindacalisti burocrati avevano sempre deluso una manodopera la cui nobiltà morale, affondava Olivier in un crescendo rossiniano, aveva avuto un ruolo fondamentale nel costruire la potenza economica dell'occidente. Politici coraggiosi, consapevoli dei sacrifici patiti dalla loro base elettorale, avrebbero dovuto usare in modo apertamente ricattatorio questa influenza economica per costringere i regimi illiberali dell'Africa e dell'Asia ad abolire la schifosa piaga del lavoro minorile, che tra l'altro costituiva una concorrenza sleale.

Il funzionario di partito lussemburgese possedeva questa singolare capacità di convincere le specie in estinzione delle mine e delle fonderie che avrebbero potuto avere un ruolo storico nei destini del mondo e che votando per il Partito democratico avrebbero riscoperto la vera giustizia sociale come qualcosa di cui essere protagonisti a promuovere nel resto del pianeta, orgogliosi di poter infuire in quanto storicamente eredi della rivoluzione industriale iniziata due secoli prima nel vecchio continente. Olivier sapeva che i loro figli a scuola apprendevano dagli insegnanti di non acquistare il caffè, le banane, i giocattoli e le calcolatrici prodotte in alcuni paesi, e il sabato di spesa grossa all'ipermercato imponevano ai genitori stupefatti di scegliere prodotti garantiti anti-sfruttamento. Abilissimo nel tirare in ballo così i loro bambini, il fine oratore restituiva agli astanti il ruolo guida della classe operaia nel migliorare la società, ruolo tradito nel secolo precedente dal socialismo reale ma ora riscoperto nella sua proiezione internazionale e nel contesto di uno sviluppo sostenibile, eufemismo per un capitalismo dal volto vagamente umano.

Allora immancabile saliva dalla folla un mormorio di assenso accompagnato da visi che annuivano per guardarsi tra loro, grati all'oratore per essere stati coinvolti in un'analisi politica globale anziché essere semplicemente solleticati nei loro più bassi bisogni materiali come solevano fare i professionisti del sindacalismo di carriera, e perfino qualche lacrimuccia spuntava negli occhi di quella gente rude all'evocazione della massa operaia educata e consapevole che avrebbe marciato implacabile in soccorso dei poveri tra i poveri. E questi pomeriggi proletari di Olivier, dolorante per le pacche sulle spalle, finivano quasi sempre nel chiasso di una birreria in un qualche quartiere degradato, la cravatta allentata sul colletto sbottonato di una camicia con le maniche rimboccate a lasciare intravedere il tatuaggio di una rosa sul braccio sinistro.
Mi dispiace per il fiume / Sorry about the River - III

Marco Perduca, il nonno materno di Mauro Suttora, arrivò in America dalle isole Eolie nel 1920, adolescente analfabeta in cerca di fortuna come milioni di altri emigrati italiani...

ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale

... Analfabeta lo rimase fino alla fine dei suoi giorni ingloriosi, ma divenne rapidamente benestante eseguendo per i fratelli Anastasia, in quegli anni padroni del sindacato del porto, più d'uno di quei lavoretti sporchi che creavano vedove e orfani di scaricatori ribelli o giovani sbirri troppo incauti e zelanti. Anche Albert e Anthony Anastasia erano italiani (il loro vero nome Anastascio) e quando caddero in disgrazia con la fine del proibizionismo, man mano che le nuove famiglie acquisivano potere con traffici alternativi, il caro nonnetto non risentì della crisi. L'ignoranza compensando con vulcanica furbizia, aveva capito che nella mediocrità sta la virtù e non aveva mai voluto diventare un esponente di rilievo della famiglia in declino, così da potersi facilmente riciclare ritirandosi in una dorata pensione sotto l'ala protettiva del cartello di nuove famiglie vincenti. In proposito correva voce che fosse stato proprio lui a incaricarsi di far fuori Albert Anastasia nel radergli la barba il 22 ottobre del 1957.

Personalmente Mauro ne dubitava e aveva sempre pensato che questa fosse una leggenda fatta circolare ad arte da sua madre Christiane Rocca, figlia di Marco, che aveva sempre alimentato il mito negativo del nonno per esaltare il contrasto con se stessa, educata e colta economista contesa dai governi e le università. Che avesse potuto laurearsi proprio grazie al padre analfabeta era circostanza che sembrava sempre essere sfuggita a Christiane, motivo per cui la terza generazione dei Perduca-Rocca-Suttora si sentiva istintivamente più portata a provare simpatia per il nonno pluriomicida piuttosto che per la mamma pluricornuta. Mauro crebbe nella bambagia, avendo innanzi tutto la possibilità di frequentare le migliori università quasi come un hobby in attesa di essere inserito in ottime posizioni statali grazie alle tentacolari amicizie politiche della madre. Quando si trovò improvvisamente catapultato nella intelligence del suo grande paese, la mitica CIA, il suo entusiasmo fu inversamente proporzionale alla delusione che col tempo si accumulò verso gli alti papaveri dell'amministrazione, il muro di gomma dei burocrati che non apprezzavano le sue ottime analisi su un paese concorrente o nemico, come se si fosse trattato degli esercizi di stile di un un fantasioso raccomandato troppo zelante. Avrebbe notato anche come, quando gli veniva organizzato come copertura all'estero l'impiego in qualche azienda commerciale, che quel tipo di atteggiamento era molto comune nel mondo del lavoro in generale: i presunti manager tendevano sempre a dare la minima importanza possibile alla sua opera. Così andava il mondo e perciò Mauro Suttora, disgustato, mandò tutti a cacare e si mise in proprio.

Scelta pericolosa, rimuginava aggrappandosi alla razionalità, e ai braccioli del sedile, nel brutto quarto d'ora che il dreamliner impiegò a guadagnare i trentamila piedi di quota per sottrarsi alle violente turbolenze che facevano tremare come una foglia il giocattolo di duecento tonnellate. La sconosciuta Raffaella Bianchi nella poltrona accanto gli stringeva forte la mano, ma tutto ciò non aveva niente a che fare col sicuro 007 che rassicura la ragazza impaurita. La tipa era una tarchiotta brianzola baffuta diretta a Malpensa in classe rannicchiata. Insomma una situazione non precisamente come quelle dell'agente segreto James Bond in classe distesa senza la minima turbolenza a disturbare il secchiello con ghiaccio per lo champagne. Inscatolato in meno di un metro cubo con una bottiglietta calda del peggiore prosecco frizzante di anidride carbonica, Suttora pensava che era una gran brutta cosa il turismo di massa e vigliaccamente smise subito di dedicare i suoi devoti pensieri al Dio dei proletari affinché intercedesse per la sua anima e nella stabilità dei diecimila metri, più vicino al Signore dei borghesi, lo pregò intimamente di riservargli per la prossima volta la fortuna di uno di quei posti di business dove ti mettono anche se hai un biglietto economy quando ti presenti al check-in al momento giusto.

Scelta pericolosa soprattutto perché, al di là dell'effimera brianzola baffuta, quel volo verso il colloquio con l'uomo politico europeo che l'aveva convocato per il suo primo incarico non sarebbe stato che un aspetto, probabilmente tra i meno spiacevoli, della sua nuova attività di agente segreto privato. Volò ancora da Malpensa a Montpellier, da qui noleggiò una Citroen e dopo Ales percorse la strada da Besseges a Le Van con il finestrino mezzo aperto, godendo della frizzante aria di montagna, fermandosi infine a Malbosc, un pittoresco villaggio tra la Gard e l'Ardeche rimasto fortunatamente fuori dai percorsi turistici: l'essenza della tranquilla campagna francese, della celebrata Francia profonda. In un casolare ricondizionato senza alterarne l'aspetto esteriore ma dotato all'interno di ogni comfort e diavoleria elettronica per le telecomunicazioni, trovò ad accoglierlo Marco Pannella in un abbigliamento casual e un atteggiamento altrettanto informale. Superati rapidamente i convenevoli, il leader dei democratici venne subito al punto, affiancato da un giovane collaboratore sordomuto che di volta in volta presentava a Suttora la documentazione relativa a quanto leggeva sulle labbra di Pannella, che come segue lo istruì.

Abbiamo ragione di ritenere che più organizzazioni criminali con interessi differenti e non usualmente collegate tra loro abbiano unito le loro forze per complottare al fallimento di una politica che le danneggerebbe pesantemente, la politica che intendiamo attuare senza esitare se, come speriamo ragionevolmente, conquisteremo presto la presidenza dell'Unione, cioè il primo governo europeo con pieni poteri esecutivi. Alle solite organizzazioni mafiose che gestiscono il commercio di armi e droga, che verrebbero duramente colpite dalla nostra rivoluzionaria politica nel terzo mondo, si sommano enormi interessi geopolitici di altre potenze, nonché il boicottaggio sciagurato delle inevitabili mele marce nelle nostre stesse istituzioni federali, che in alcuni casi siamo riusciti a individuare ma purtroppo troviamo molto difficile purgare.

Il recente sabotaggio della centrale nucleare di Kozloduy ha costituito un clamoroso autogol dei nostri nemici, attirando le simpatie dell'elettorato sul nostro candidato, che ora ha qualche probabilità di vincere nonostante sia partito handicappato. Tuttavia c'è poco da stare allegri: le spaventose conseguenze della catastrofe ambientale danubiana ci danno un'idea di cosa siano capaci i nostri nemici, ed è facile vedere come con l'aumentare della popolarità del nostro candidata aumenti esponenzialmente per lui il pericolo di vita. Naturalmente noi siamo attivi per proteggerlo, ma se vogliamo provare a vincere l'elezione non possiamo tenerlo chiuso sotto una campana di vetro nella fase finale e più intensa, in cui stiamo per entrare, della campagna elettorale. Prevenire è meglio che curare, e tra le varie misure che vogliamo intraprendere abbiamo pensato di servirci di un professionista dello spionaggio per seguire una pista promettente. L'individuo nella foto, Roberto Granzotto, è il presidente della sezione italiana di una organizzazione culturale internazionale perfettamente legale dal punto di vista formale, ma che i nostri governi - e anche quello del suo paese, mister Suttora -, sospettano fare da copertura ad attività molto meno nobili nel campo delle armi chimiche e batteriologiche, a livello mondiale.

Non c'è abbastanza tempo affinché lei possa infiltrarsi nella loro organizzazione prima delle elezioni. Occorre invece che lei lo tenga d'occhio costantemente nella speranza che ci conduca ai vertici dell'organizzazione criminale, ed è a quel punto che ci aspettiamo il meglio da lei: vogliamo servirci della sua eperienza per estirpare alla radice il cancro dei cosiddetti comunisti esperantisti, nel modo discreto e definitivo - sottolineo definitivo -, che non potremmo aspettarci di ottenere dalla giustizia ordinaria con le sue lungaggini e prevedibili intralci. In certe occasioni non si può andare troppo per il sottile e confidiamo che ciò non costituisca un problema per lei, considerata la prassi del suo rinomato ex datore di lavoro. Quale adeguato compenso per la sua discrezione riceverà l'ingente diaria sulla quale ci siamo già accordati. Il qui presente mio fidato maggiordomo Alexandre de Perlinghi provvederà subito a darle un anticipo in contanti e a fornirle altri particolari di cui avesse bisogno. Torni subito a Milano e ci tenga costantemente informati sugli sviluppi.

Il barbuto architetto Roberto Granzotto indugiò apparentemente senza meta nei vicoli del centro di Sofia prima di infilarsi in un portone dall'aria sospetta. I suoi passi risuonarono dal basso indicando che si dirigeva verso le cantine. Se qualcuno lo avesse pedinato avrebbe intravvisto la sua silhouette in controluce scivolare in un anfratto di polvere sospesa nel fumo. Se qualcuno avesse davvero potuto seguirlo, avrebbe assistito a una riunione del gotha mondiale della proliferazione chimica e batteriologica. E se quel qualcuno si fosse chiamato Mauro Suttora, sapendo che tredici dei più pericolosi delinquenti internazionali erano riuniti dietro quella porta, non si sarebbe certamente lasciato sfuggire la straordinaria occasione per irrompere e falcidiarli tutti con un'unica raffica prima che potessero rendersene conto. Ma Suttora era ancora a Milano, piantato davanti all'edificio dove abitava Granzotto, dov'era arrivato cinque minuti dopo che questi ne era uscito, nella vana attesa che questi ne uscisse.

continuerà nella IV di XVII angoscie
Mi dispiace per il fiume / Sorry about the River - IV

ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale


Da un lato del lungo tavolo il russo Nikolay Hramov, lo svizzero Livio Schnur, il tedesco Jonathan Poker, l'austriaca Martina Szikora, l'italiano Roberto Granzotto e il libanese di origine calabrese Edmondo Limmondo. Dall'altro lato del tavolo, a rappresentare la nutrita delegazione asiatica, Npa Cheung, Yee Minglong, Liao Quingchang, Chen Xingsheng, Tian Yongming e il loro fetentissimo capo nord-coreano Bu Zda Kin. In piedi a capotavola, completamente nudo tranne il cappuccio nero che gli copriva il volto, l'altissimo Georgi Paganov con un'enorme esibizione del suo priapismo. Il sangue e l'ossigeno che con esso affluiva al tessuto spugnoso di quel pene abnorme gli veniva a mancare al cervello ed egli farneticava in bulgaro come in uno stato di trance: Az sum Paganov, az sum Paganov... io sono pagano, e gli astanti cominciarono a ripetere dapprima sottovoce, poi sempre più forte: az sum paganov, io sono pagano...

Con entrambe le mani il turpe leader dei comunisti esperantisti bulgari si stimolava i testicoli gonfi come angurie mentre gli adepti si accalcavano a leccare la verga dell'anticristo finché questi eruppe in una violenta eiaculazione ed essi si contesero il seme del male per abbeverarsene avidamente. Davanti a lui, dall'altro capo del tavolo, con gli occhi sbarrati Michel Boselli schivò uno schizzo mentre osservava più incredulo che disgustato il bieco individuo riprendere fiato e il suo naturale colorito olivastro mentre gli adepti si ricomponevano ognuno al suo posto. Non avrebbe mai sospettato che colleghi criminali di quel calibro potessero appartenere a una sorta di setta occulta. Li avrebbe piuttosto immaginati nel classico cliché mafioso, razionalmente riuniti come nel consiglio di amministrazione di una multinazionale. Ma davanti a lui c'era l'evidenza della follia di un culto satanico, e in stridente contrasto con questa il loro leader prese a parlare pacatamente in esperanto, con la voce baritona e monotona che ci si sarebbe aspettati da un prete ortodosso cantare la messa.

Collettivo! Siamo qui riuniti per celebrare il Chaos. Nella sua millenaria evoluzione l'uomo si è sparpagliato nel mondo partendo dall'Africa, e dall'Africa precipitata nella spirale dell'odio si diffonderà nel mondo il virus del male, i virus delle nostre armi batteriologiche che ammorberanno l'intera specie umana tranne chi ne è immunizzato: noi qui presenti, e i pochi popoli eletti che qui rappresentiamo. L'ora della rivalsa è vicina per il grande Islam e la grande Cina tanto quanto l'ora della sofferenza immane è vicina per gli imperialisti occidentali che l'hanno finora impartita ai nostri popoli. Migliaia di guerriglieri della liberazione sono pronti a immolarsi usando le armi che forniremo loro per terrorizzare e sottomettere i vili sfruttatori. Ma bisogna agire presto, prima che l'Europa si rafforzi rendendo imbattibile l'America, e agire per impedire l'ascesa al vertice di coloro che remano contro il destino e che noi non possiamo comprare.

Questi esseri insani, questi deboli vermi potrebbero presto arrivare al potere e noi non possiamo permetterlo, non possiamo lasciare che attacchino e intacchino i nostri superiori interessi, i nostri piani gloriosi. Da tempo è ormai chiaro che il loro scopo antitetico al nostro è una rivoluzione che riarmi l'Europa neocolonialista non più assoggettata all'America ma sua pari potenza per imporre la loro pace e i loro pseudovalori, non più solo complice ma protagonista nel perpetuare l'oppressione. L'America stessa, vigliacca e sionista, impaurita dalla fulgida rinascita araba, dall'ineguagliabile potenza cinese, alimenta le scellerate ambizioni federaliste dei nostri nemici per non perdere il dominio del pianeta, il dominio che a noi spetta e ci aspetta da troppo tempo!

Oggi siamo qui riuniti per modificare a nostro favore il corso della storia deliberando l'eliminazione di uno dei due candidati alla presidenza europea, colui che se fosse eletto ci creerebbe maggiori problemi, e così aprire la via al candidato più docile col programma più affine allo svolgimento dei nostri piani. Ciò deve avvenire prima delle elezioni, in cui c'è un cinquanta per cento di probabilità che esca vincitore il puledro sbagliato: una percentuale troppo elevata per permetterci di rischiare trovarci costretti ad agire dopo, quando le misure di sicurezza attorno al presidente eletto renderebbero l'operazione troppo complessa e quand'anche avesse successo farebbe di lui un martire dal seguito moltiplicato esponenzialmente dall'ondata emotiva del popolo bue.

Collettivo! La nostra venerabile congregazione culturale non può esporsi a un eventuale fallimento che comprometterebbe irrimediabilmente i nostri altissimi obittivi, né possiamo affidarci a manovalanza rozza o dilettanti qualsiasi, L'uomo qui presente è uno stimato professionista, il migliore nel suo settore, che per un ingente compenso si assume la responsabilità di eseguire questo compito in modo competente ed elegante. Sono lieto che della sua affidabilità abbia già dato prova nella recente opera di destabilizzazione della centrale nucleare di Kozloduy, provocando il rilascio di materiale radioattivo con effetti esaltanti per la nostra causa e devastanti per il morale del nemico. Me ne rallegro e lo congratulo, auspicando che cotanta puntualità nel mantenere l'impegno si riaffermi in questa nuova e più importante occasione: l'omicidio del candidato presidenziale Olivier Dupuis!

Michel Boselli si sentiva vagamente a disagio e non potè trattenersi dall'agitarsi sulla sedia, ma la concisa fermezza dell'orazione paganica non ammetteva repliche e ottenne solo ossequiosi cenni di assenso da parte degli altri astanti silenti. Paganov concluse inappellabile l'assise con la condanna a morte del candidato democratico Olivier Dupuis per mano di Boselli entro l'alba elettorale, in caso di fallimento pena il trasferimento della pena sull'esecutore stesso. Da parte sua, altrove in Europa, mentre gli fischiavano le orecchie il candidato presidenziale sbottò in riunione col suo staff nel suo forte accento lussemburghese:

Ma no e posibile, no ho intensione di corere co Serachiani, mi rifutomi! No ci era altra scelta parquet siete teste di caso, merd! Vi ano inculato, eco, ci ano inculato! Al meno avevate li spiati! Sicurament vi siete fati spiarvi voi imbescili. E adeso come poso corere ansieme di quela bruta mortadela, hein?

Dupuis dava in escandescenze per l'abbinamento più sgradito che avrebbero potuto affibbiargli come candidata alla vicepresidenza. Ma intervenne Pannella in collegamento da Malbosc e dovette mettersi via l'incazzatura. Il leader carismatico spiegò che Barbara Serracchiani era l'unica personalità a disposizione che avrebbe potuto contenere il danno causato dalla candidatura Berlusconner a vicepresidente di Kapezzonen nel ticket avversario. Se voleva provare a vincere, concluse Pannella col tono grave di un padre non più disposto a tollerare capricci, doveva imparare a sopportare Barbara. Non era soltanto nella popolarità della pasionaria rodigina che Pannella confidava, ma soprattutto nella sua mai sopita rivalità con l'ex premier turca Zylvya Berlusconner. Le due coetanee erano cresciute studiando insieme e contendendosi il primato nei prestigiosi Fettes college di Edinburgo e London school of economics per poi intraprendere la carriera politica in partiti nazionali ai due estremi dello spettro politico, ma avevano in comune una smisurata ambizione e non avevano mai potuto vedersi. Candidare Serracchiani avrebbe creato un piccolo problema con Olivier, non sarebbe stato facile conciliare i loro due caratterini, ma un problema ancor più grosso per i popolari.

Questi in effetti si erano presi una bella rivincita rispetto al congresso dei democratici, e adesso si era molto più vicini all'elezione. Difficile immaginare un colpo basso come affiancare a Kapezzonen l'ex premier turca, moglie del miliardario televisivo Rupert Murdoch che da quel punto in poi avrebbe infuso una montagna di eurodollari nella campagna elettorale col silenzio assenso dell'amministrazione americana, ufficialmente neutrale negli affari interni di una federazione amica ma in realtà ben più propensa a spalleggiare una controparte conservatrice che avrebbe tenuto una politica più in sintonia con la loro in un mondo in cui l'occidente non costituiva ormai che un settimo della popolazione, meno della sola India o della sola Cina, ed era perciò di vitale importanza rafforzare gli strumenti della propria leadership, del proprio benessere economico come condizione indispensabile al controllo politico e militare del pianeta. O meglio viceversa.
Mi dispiace per il fiume / Sorry about the river - 5

Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale

La popolazione bulgara non sapeva bene se essere grata dell'attenzione particolare e solidarietà manifestata dal candidato presidenziale Olivier Dupuis o evitarlo come la peste per le catastrofi che portava con sé nel suo tour di un paese già duramente provato da cinque secoli di dominazione ottomana, 45 anni di totalitarismo, 25 di una crisi economica tale da ridurre di un sesto la popolazione e infine l'esplosione atomica di Kozloduy. Anche senza mettervi piede, Olivier avrebbe certamente raccolto la grande maggioranza dei voti tra i sei milioni di elettori della piccola repubblica balcanica, se non altro in chiave anti-turca contro l'avversaria candidata vicepresidente Zylvya Berlusconner. E anche se, come probabile, per analoghe ragioni storiche e per la sua pluridecennale frequentazione del paese immediatamente più a nord di cui parlava la lingua tristanzuola, avesse conquistato la quasi totalità degli altrettanto sfigati elettori romeni, questi sommati ai bulgari non costituivano che un terzo dei soli elettori tedeschi o dei soli turchi. Che i due candidati dello schieramento avversario avessero solide basi nei due stati più popolosi dell'Unione costituiva un fatto scoraggiante, ma per gli osservatori era addirittura stupefacente che Olivier spendesse così tanto del tempo prezioso della campagna elettorale nella sfortunata penisola con la più bassa densità di popolazione dell'intero continente, scandinavia a parte. In questo suo apparente masochismo Olivier aveva una sua precisa strategia, sia pure assai rischiosa: predicava alla giovane nuora balcanica per farsi sentire dalla vecchia suocera europea alla sorgente del fiume moribondo, mentre i mezzi di comunicazione di massa gli permettevano di non dover essere fisicamente presente nelle sue roccaforti latine dal Belgio al Portogallo.

Con il disastro ambientale di Kozloduy lo sfavorito aveva goduto di una inattesa spinta in avanti nei sondaggi. In tutta la sua storia politica Olivier si era apertamente schierato col fronte antinucleare, talvolta anche al prezzo di perdere consensi. Con il suo autorevole appoggio aveva significativamente contribuito alle vittoriose battaglie dei radicali italiani e dei verdi tedeschi per l'abbandono dell'energia nucleare nei loro rispettivi paesi, e in anni più recenti aveva più volte coraggiosamente denunciato le multinazionali dell'atomo e l'ipocrisia della Commissione nel destinare loro fondi per centinaia di milioni di eurodollari che avrebbero dovuto utilizzare per decomissionare gli impianti più pericolosi come Kozloduy e invece ne avevano perfino prolungato il funzionamento oltre il ciclo inizialmente previsto dai progettisti sovietici 45 anni prima. Con il collasso dell'Unione sovietica gli ingegneri russi erano partiti lasciando l'impianto nelle mani di colleghi bulgari ancora più lassisti e gli incidenti si susseguirono a un ritmo ancor più impressionante: una volta all'anno in media un qualche errore del personale aveva portato alla depressurizzazione dei sistemi di raffreddamento dei reattori. Uno degli incidenti più gravi ebbe luogo nel maggio 1998 quando un un tubo del generatore di vapore si ruppe durante una decontaminazione chimica inquinando un serbatotio di emergenza: non furono mai resi noti i nomi del personale rimasto esposto e perciò non si seppe mai nulla del loro destino.

C'erano in gioco interessi colossali nella ristrutturazione dell'impianto, ristrutturazione che peraltro gli esperti indipendenti sapevano non avrebbe potuto migliorarne la sicurezza a causa delle deficenze primarie nella progettazione, che tra l'altro si era svolta senza alcuna valutazione geosismica e non prevedeva neppure una sala di controllo di emergenza. Durante i lavori di costruzione negli anni settanta non era stato fatto alcun controllo e questa mentalità menefreghista si rifletteva nella mancanza di una cultura della sicurezza: dall'incredibile numero di oltre un centinaio di incendi minori nell'arco degli ultimi 27 anni, la maggior parte dei quali nelle sale turbine, alla trascuratezza in faccende tecnologicamente elementari come mantenere una seria recinzione che avrebbe impedito a Michel Boselli di introdursi tanto facilmente.

Non fosse stato per l'immane tragedia, Olivier avrebbe potuto congratularsi con sé stesso che si fosse verificato quanto aveva predetto, attirandosi all'epoca gli strali della stampa bulgara, denunciando la favola che l'economia del paese dipendesse per il quaranta per cento dall'energia prodotta a Kozloduy: la dispersione sulla rete elettrica nazionale era ben al di sopra del 40% e metà del denaro profuso nel rappezzare Kozloduy sarebbe bastato per portare la rete a un fisiologico livello occidentale del cinque per cento. Ora i bulgari sapevano di essere stati imbrogliati giocando sul loro orgoglio nazionale di possedere l'energia nucleare (la Turchia non ce l'aveva) e ciò aveva ritardato il loro ingresso nell'Unione rispetto a paesi altrettanto sfigati come la Lituania e la Slovenia, che però si erano guadagnati la simpatia di Brussels con la decisione di chiudere rispettivamente le centrali di Ignatina e Buhonice. Olivier aveva ora buon gioco nella parte di Cassandra, ma non rigirava il coltello nella piaga dell'orgoglio ferito, per sollevare i bulgari dal senso di colpa e questi riconoscenti l'avrebbero votato anche se, a differenza del senso di colpa, non riusciva a sollevarne il morale, con tutte le disgrazie che portava con sé in occasione delle sue malaugurate visite.

Se infatti dopo tre attentati non se ne fosse ancora accorto - ma i suoi collaboratori cominciavano a stargli alla larga con improbabili scuse -, c'era ben mimetizzato in Bulgaria un sicario seriamente intenzionato a fargli la pelle. In una bella domenica di maggio questi si trovava a passeggiare nella Borisova gradina respirando l'aria fresca ripulita dalla piacevole brezza in quella giornata di scarso traffico, quando fu inebriato da un intimo brivido al boato proveniente dal vicino stadio Levski. La partita amichevole era finita e non non si trattava di uno dei tanti boati conseguenti ai numerosi goal inflitti dalla nazionale bulgara agli ospiti lussemburghesi. Era stato fin troppo facile prevedere il risultato tennistico di un simile incontro di calcio, Olivier lo sapeva bene ma si era schierato senza ipocrisia con i suoi connazionali sapendo che si sarebbe reso ancor più simpatico ai bulgari regalando loro l'opportunità di godere della virile rivalsa calcistica su quanto li trovava invece complessati nei confronti dei paesi ricchi, cioè tutto il resto.

Ancor più facile prevedere, per Michel Boselli, che Olivier si sarebbe recata con telecamere al seguito nello spogliatoio dei padroni di casa per congratularli sportivamente, ma contrariamente alle sue previsioni tutti i giocatori bulgari trattennero compostamente la pipì nei cinque minuti di riflettori e strette di mano. Fu solo quando Olivier, allontanandosi tra le guardie del corpo, aveva ormai raggiunto il campo per agitare la mano agli spettatori festanti, che finalmente cedettero le vesciche più deboli e l'urina sciolse la patina marroncina di zucchero di canna che rivestiva l'esplosivo mascherato da finta merda che Michel aveva piazzato con disgusto nei cessi dello spogliatoio. Era un tipo particolare di potentissimo esplosivo che reagiva a contatto con l'acido urico - un vecchio trucco escogitato dai servizi moldavi contro i militari russi per farli ritirare dalla Transdinstria -, e da un momento all'altro i bulgari si trovarono a dover disputare l'imminente campionato mondiale con una squadra di serie B anziché i vice-campioni europei di due anni prima, rimasti spalmati dall'esplosione su ciò che restava dei muri degli spogliatoi dello stadio Levski.

Non ci fu bisogno di dichiarare il lutto nazionale in quanto era già stato dichiarato per il lunedì successivo a causa dell'inspiegabile incidente stradale per il quale era precipitato in un burrone uccidendo i suoi quaranta occupanti, tutti giovanissimi boy scout, il pullman che era stato scambiato all'ultimo momento con quello che avrebbe dovuto trasportare Olivier e il suo seguito a Zlatograd, la cittadina mineraria dei rodopi dove altre quaranta persone, tutti parlamentari bulgari che attendevano il collega lussemburghese per mostrargli la miniera di zinco che rischiava di chiudere senza gli aiuti di Brussels, a causa di un'altrettanto inspiegabile esplosione rimasero intrappolati e sepolti vivi a 400 metri di profondità. Nonostante gli sforzi dei soccorritori, non ci furono sopravvissuti. I bulgari non erano per niente contenti per i bambini, ne avevano già pochi, ma tutto sommato avevano una ragione in più per votare Olivier, per avere questi involontariamente già attuato nella pratica la sua promessa elettorale di ridurre il numero di deputati bulgari da 240 a duecento.
Mi dispiace per il fiume / Sorry about the river - 6

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Quando Marco Cappato lo lasciò per suo cugino Vittorio, la prima droga cui si diede Michel Boselli fu il sesso, pensando che chiodo scaccia chiodo, che si sarebbe vendicato tradendolo a sua volta. Non ne trasse alcuna soddisfazione per quanto lo facesse nel modo più sfrenato con le decine di ragazze bulgare che in tre mesi transitarono dal suo letto. Quando nel 1999 si trasferì in Scozia, si era esaurita quella coattività sessuale che non era servita a fargli dimenticare Marco. Stabilitosi nelle Highlands, provò per un periodo a rifugiarsi nella sua droga preferita da ragazzo, ricominciando a cuocersi i polmoni di erba combusta. Sorpreso si accorse che invece di aiutarlo gli faceva l'effetto contrario. Il cervello gli proiettava a folle velocità il film di lui e delle situazioni, le emozioni che avevano vissuto insieme, e veniva preso dalla tachicardia non potendo che pensare ossessivamente a lui, impazzendo quando lo vedera nella sua immaginazione amplificata fare sesso con un altro uomo.

Smise dunque a malincuore con la cannabis che da adolescente aveva tanto amato e masochisticamente trovò effimero sollievo alla sua pena che lo intontivano e calmavano. Ma oltre a rovinargli la salute, quelle pastiglie di Tavor, Rohypnol e Lexotan che inghiottiva a sorsi di whisky ovviamente non potevano risolvere alla radice la sua angoscia, e quando l'effetto delle droghe svaniva si sentiva invadere nuovamente dalla depressione. Un giorno guardò a lungo allo specchio i suoi occhi gonfi, acquei e spenti, i capelli sporchi e la barba trascurata, i denti ingialliti e la lingua coperta da una patina nauseabonda. Erano trascorsi quasi cinque anni su quelle dolci colline, passeggiando nella quiete delle quali ritrovava ogni tanto un po' di serenità che tramontava al calare delle tenebre. Ma quattro di quegli anni furono segnati da una psicoterapia che lo modificò profondamente. Il male di vivere non era passato, non sarebbe mai passato, ma aveva imparato a dirigere verso l'esterno anziché contro se stesso la violenza derivante dal suo inestinguibile nucleo di sofferenza.

Rhoda Pellizzy, la psicoterapeuta dislessica che lo aveva rivoltato come un calzino, considerava come un grande successo averlo disintossicato, ma non avrebbe certo potuto immaginare di avere creato un mostro. Alla soglia dei 38 anni Boselli si diede all'omicidio dapprima a scopo terapeutico e poi, visto che i soldi non fanno schifo, elevò il discutibile hobby al professionismo, pianificando la sua nuova carriera di contract killer, in modo che in una decina d'anni sarebbe divenuto abbastanza ricco per fare la bella vita in una barca in giro per il mondo, concedendosi l'occasionale assassinio di prete ortodosso giusto per sfogare i nervi piuttosto di ricadere nelle droghe. Tuttavia Kozloduy aveva compromesso il suo delicato equilibrio. Sentiva dentro di se una vocina, ciò che rimaneva della sua coscienza, che gli diceva come questa volta avesse esagerato. Era un senso di colpa come una mosca fastidiosa che voleva scacciare ma non riusciva a schiacciare. Tanto godeva per la sofferenza della feccia balcanica che in passato tanta peste emozionale gli aveva contagiato, quanto era d'altra parte perfino egli disturbato dall'idea di avere violentato la natura e che a soffrire sarebbero state anche tante altre forme di vita innocenti.

Scacciava la mosca e si faceva forza pensando che ormai era vicino al traguardo che si era posto, come il viandante stremato che verso l'arrivo accelera il passo, e che a separarlo dalle placide onde cullare la sua magnifica barca non rimaneva che un tale dannato Dupuis. Tuttavia intimamente presagiva che nulla sarebbe stato come prima, come aveva sognato: si sarebbe portato con sé il senso di colpa e avrebbe dovuto ricominciare a cercare un nuovo equilibrio. Stava invecchiando, era proprio ora di andare in pensione. E anche di mangiare qualcosa. Addentò un magnifico sandwich, seduto da Tottis in piazza Aristotelis, aspettando l'arrivo alle 11 del Corriere della sera dall'abituale edicolante all'angolo. Ordinò una birra pagandola in anticipo per assicurarsi che il cameriere la portasse ugualmente nonostante lo vedesse allontanarsi lasciando mezzo sandwich inattaccato, confidando di ritrovarlo quando sarebbe ritornato dall'edicola col quotidiano preferito.

Lo ritrovò un minuto dopo e sprofondò beato nella lettura dei fatti del mondo, rinfrescato da una brezza leggera che spirava dal panorama del mare a poche decine di metri. Boselli aveva sempre amato Salonicco e preferita di gran lunga ad Atene perché meno sporca e più quieta come la gente più educata e tranquilla, il caldo meno torrido probabilmente dovuto al minore inquinamento che alla lieve differenza di latitudine, e conservava un'atmosfera cosmopolita nonostante quella che era stata un secolo prima la più grande comunità ebraica in Europa fosse stata accuratamente decimata nell'olocausto. Dalla sua Salonicco era venuto il momento di distaccarsi e starne alla larga per un bel po' di tempo, forse per sempre. In quelle ultime settimane in cui andava e veniva da Sofia aveva frequentato ormai troppi, per passare inosservato, dei ristorantini della zona del porto e piccoli alberghi a ovest della piazza dove era ormai diventato un abitudinario di Tottis e dell'edicolante serba.

Una volta che fosse riuscito a concludere quel lavoro che lo faceva tanto tribolare avrebbe dato l'addio ai baffi, tinti di biondo come i capelli, all'innocua identità di scrittore di guide turistiche, falsa come il passaporto britannico col quale attraversava la frontiera di Kalotina. Svolta la sua ultima missione, per la quale il tempo stava per scadere, il contract killer sarebbe partito da Varna sul motor yacht che era già in viaggio proprio da Salonicco per essergli consegnato nel porto sul Mar Nero, dove l'aveva acquistato col compenso ricavato da Kozloduy. Ma la severità con sé stesso non lasciandosi mai andare lo riportò bruscamente alla sgradevole realtà. Nello sfuggire ai suoi tentativi di fargli la pelle, l'agile gazzella lussemburghese si era di lui anche abilmente beffata e dimostratasi abile nel ruolo della vittima dei falliti attentati nell'accrescere la sua popolarità, tanto che ora c'era davvero il rischio che potesse uscire vincitore dalle elezioni poche settimane dopo. In terza pagina il Corriere informava Michel Boselli che Olivier Dupuis avrebbe presenziato a un evento che costituiva l'ultima occasione per eliminarlo. Non poteva sbagliare e non c'era tempo da perdere. Si avviò cupo e deciso verso la stazione ferroviaria, chissà perché pensando a Vittorio e se questi avesse ricevuto la sua lettera più recente.

Sofia, 26 maggio 2014.

Carissimo Vittorio,

tu mi conosci, se c'è una cosa che mi fa più schifo dei preti cattolici sono i preti ortodossi, sempre sporchi e spesso ubriachi, molti dei quali hanno taciuto per vigliaccheria durante il totalitarismo e alcuni ne sono stati complici per progredire nella gerarchia ecclesiastica moralmente corrotta nominata dai comitati centrali comunisti. Tuttavia non è certamente il caso di questo povero cristo del quale osservo in silenzio il cadavere mutilato della barba: troppo giovane, non più di trent'anni, forse non era ancora nato quand'è caduto il Muro. Provo sempre un sottile piacere intellettuale nel contemplare i resti di un corpo straziato: mi riporta idealmente alla lettura dell'Assassinio come una delle belle arti del nostro comune maestro Thomas De Quincey. Mi sentivo chiuso in gabbia nella cameretta di una pensione dove sono alloggiato temporaneamente per fare un lavoretto che si sta rivelando più complicato del previsto e perciò comincia a innervosirmi. Mi sono rollato un cannone ma non mi ha calmato, per cui sono uscito in cerca di uno di questi scarafaggi per fargli la gola.

L'ho trovato a colpo sicuro nella cattedrale Alexander Nevski. Camminava in atteggiamento ieratico consumando le pietre vetuste, ammantato in un'aura di trasfigurazione, di quando in quando sostando davanti a un'icona e con un gesto misurato passandosi la mano sulla testa lucidamente untuosa come la logica del dogma. L'ho seguito discretamente lungo la circonvallazione interna fino a Losenets, dove ha preso a salire il boulevard Sveti Naum - chiaramente dirigendosi verso il seminario -, in un quartiere che conosco bene per averci vissuto tanti anni fa, nella speranza che prendesse la scorciatoia dei giardini male illuminati. Il suo dio ha voluto che così facesse. Gli ho fatto la gola e scuoiato la barba e per qualche istante ho assaporato il gusto dell'omicidio fine a se stesso che non mi porta alcun guadagno materiale. Traversa dopo ponticello ho risalito il corso di questo pisciatoio che i sofiantsi chiamano fiume, verso una meritata pinta per esorcizzare la pagana cerimonia apotropaica, abbandonandomi alla malinconia che sempre mi pervade dopo ogni sacrificio umano con l'ineluttabilità di una tristezza post-coitale.
Mi dispiace per il fiume / Sorry about the river - capitolo 7

ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale

Michel Boselli aveva compiuto un passo falso ed Vittorio uno in avanti: ora sapeva dov'era il cuginastro! Era a Sofia, tornato in Bulgaria per "un lavoretto più complicato del previsto" e - di qualunque turpitudine si fosse trattata -, c'era solo da sperare nelle complicazioni cosicché si trovasse ancora laggiù dopo aver spedito la lettera, il cui timbro sulla busta datava quattro giorni prima. Era una traccia labile ma l'unica che finalmente aveva e non rimaneva un minuto da perdere, decise lo scrittore mentre l'eccitazione lo faceva sbagliare e ripetere più volte la composizione del numero di telefono per prenotare il primo volo utile. Non c'erano voli diretti per Sofia quel giorno, ma ce n'era uno via Salonicco, dove avrebbe trovato la coincidenza per portarlo nella capitale bulgara prima di sera. Mancavano meno di tre ore al decollo e agì disordinatamente prendendo a caso dai cassetti della biancheria e dal bagno degli effetti personali mentre chiamava un taxi muovendosi convulsamente avanti e indietro nel piccolo appartamento. Il radiotaxi arrivò in men che non si dica mentre verificava mentalmente una lista delle cose importanti: il passaporto, la carta di credito, tutto il denaro contante che aveva in casa, e soprattutto riempire bene le ciotole di Tabar, il cagnone che sarebbe rimasto solo in casa fino al rientro di Marco quella sera.

Circa un metro e ottanta, barba folta, abbigliamento trasandato da intellettuale di sinistra, l'attempato freakettone che usciva dal portone di via Lupi Lavanda era sicuramente il suo uomo, e con quella leggera borsa da viaggio e un taxi ad attenderlo, non era certo il caso di lasciarselo sfuggire. Mauro Suttora saltò su un altro taxi fermo al semaforo e prevenì le proteste dell'autista con la frase magica, per di più in accento americano, che questi attendeva da anni: seguire quello taxi! In Suttora non potè che rafforzarsi la convinzione di avere in pugno l'uomo giusto, l'architetto comunista esperantista Roberto Granzotto, quando l'auto che li precedeva lasciò l'autostrada dei laghi allo svincolo per Malpensa. Il cliente del taxi davanti al suo non sapeva bene dove fosse Michel Boselli di preciso né cosa stesse facendo, non sapeva bene cosa stesse facendo egli stesso né, ammesso che fosse riuscito chissà come a rintracciarlo, come avrebbe potuto neutralizzare un assassino professionista senza possedere alcuna arma né l'esperienza per eventualmente usarne una. Ma qualcosa doveva pur fare, e muoversi lo confortava in tal senso.

Vittorio Boselli era talmente eccitato che fu soltanto all'arrivo all'aeroporto, alla vista delle code dei jumbobus parcheggiati oltre la vetrofacciata, che si ricordò della ragione per cui aveva viaggiato in aereo una sola volta nella sua vita, trent'anni prima per una vacanza in Tunisia. Non aveva paura di volare: ne era terrorizzato. Se fossimo fatti per volare avremmo le ali, pensava: un coso pesante due o trecento tonnellate è innaturale che stia per aria. Oltretutto inquina un bordello. Ma purtroppo questa volta era necessario. Acquistò il biglietto che aveva prenotato e si predispose con rassegnazione a vivere interminabili ore di blocco allo stomaco e sudori freddi. L'uomo dietro di lui nella coda al banco non aveva prenotato e dovette acquistare un biglietto di business class. Tre ore più tardi Boselli, convinto di avere volato abbastanza per altri trent'anni si affidò al suo inconscio per perdersi nel piccolo aeroporto di Salonicco e perdere la coincidenza per Sofia. Brillante! pensò Mauro Suttora sempre più convinto di pedinare un criminale astuto come una volpe che aveva acquistato un biglietto per Sofia ma si era fermato a Salonicco e a quanto sembrava era ora intenzionato a raggiungere la capitale bulgara in treno, probabilmente per entrare da un posto di frontiera periferico.

Seduto a un tavolino della stazione ferroviaria, da Suttora discretamente sorvegliato a distanza, Boselli sobbalzò nell'udire una voce vagamente familiare proveniente da un tavolo alle sue spalle ordinare in greco una "mpira" al cameriere. Folgorato da quella voce, col cuore in gola si sforzò di superare lo stato di pietrificazione e si alzò lentamente dando sempre le spalle alla voce, percorse pochi passi in semicherchio - costringendo Suttora a fare altrettanto nelle aiuole dei capilinea degli autobus a poche decine di metri -, gettò un'occhiata furtiva all'interno del locale e tra una giovane mamma col bambino nel passeggino e e una vecchietta che fumava intravvide dietro il Corriere della sera un uomo elegante che con quei capelli e baffi biondi non assomigliava a Michel, ma poteva esserlo e la voce era la sua! D'altronde negli anni egli stesso aveva alterato le sembianze lasciandosi crescere la barba di cui il cuginastro non sapeva. Con questo pensiero si avviò verso il treno che stava per partire: i tre uomini presero posto in tre vagoni diversi ma contigui, ognuno convinto della propria buona stella.

Dopo la frontiera di Kalotina la valle della Struma si restringeva progressivamente a fare ombra sulla ferrovia ed Vittorio, finalmente rilassato in un mezzo di trasporto dalla velocità più consona ai suoi ritmi - cioè circa 35 km all'ora -, si abbandonò a gustare piacevolmente la malinconia del fiume cantata da Todor Trayanov, sicuramente uno dei suoi preferiti tra i maggiori poeti simbolisti bulgari, con i suoi frequenti richiami al dolore, la notte e i fantasmi della perdita. Trayanov fu picchiato a morte dalla polizia comunista nel 1945 e per associazione di idee Vittorio non potè che ripensare a quel che aveva letto di Blaga Dimitrova - la maggiore poetessa bulgara seconda per grandezza solo alla passionale Elizaveta Bagryana -, che era stata brevemente la prima vicepresidente della repubblica eletta democraticamente un quarto di secolo prima.

Collettivo! Discorsi senza fine avevano piantato quella parola nella testo di Dimitrova come un parassita che l'autrice scriveva di non riuscire a sradicare, e si chiedeva retoricamente che cosa ci potesse essere di collettivo nel comunismo che cercava di unificare per mezzo della competizione: la stanza meglio tenuta, lo slogan più azzeccato, le decorazioni più brillanti nella baita sulla catena dei rodopi - alla destra di Suttora e i Boselli oltre il massiccio del Rila -, la cui bellezza contrastava stridente col tetro totalitarismo criticato dalla poetessa futura vicepresidente. I cittadini non condividevano alcun interesse, non c'erano un ritmo, un fine comune: ogni centimetro quadrato dei muri delle altre baite era ricoperto dai ritratti già resi tristemente familiari nella mensa e nella piazza del villaggio, dove veniva urlato lo stessi slogan - Il lavoro ha fatto della scimmia un uomo! Almeno nella sua baita potevano respirare: le pareti nude davano un respiro illusoriamente spazioso.

Le ore volarono via mentre il colto scrittore anarchico Vittorio Boselli rileggeva mentalmente le pagine dei maestri bulgari con lo sguardo perso fuori dalla finestra dello squallido scompartimento e fantasticava come fosse strano che i boschi di conifere, le casupole e la gente fossero dello stesso colore dei paesi dove non c'era stato il comunismo, o forse durante il regime erano stati di altri colori... Più prosaicamente gli altri due stranieri sul treno usavano le finestre per affacciarvisi a vedere chi salisse e scendesse nelle piccole stazioni, ogni tanto incrociando lo sguardo riconoscendosi con fastidio come occidentali, e Michel Boselli sospettò di essere seguito da Suttora, l'agente che invece stava seguendo colui che lo seguiva.

Infatti una volta giunti a Sofia non lo vide più, anche se dopo avere camminato tutto lungo il boulevard Maria Luisa e arrivato in centro girato a sinistra sul boulevard Tsar Osvoboditel, nel voltarsi improvvisamente riconobbe a pochi passi l'altro individuo visibilmente straniero che aveva intravvisto viaggiare sul treno. Aveva l'aspetto di uno di quei patetici hippy di mezza età abbigliati in modo nostalgico di una giovinezza che non sarebbe mai ritornata. Insomma non sembrava pericoloso e non sembrava esserci nulla di più naturale che un turista dall'aria intellettuale appena arrivato probabilmente per la prima volta si dirigesse verso il centro per ripercorrere i passi di Ivan Vazov che cent'anni prima portava il cane Tabar a passeggiare davanti all'Assemblea nazionale.

Effettivamente in quel momento Vittorio Boselli pensava proprio al massimo poeta del risorgimento e alle epoche buie ad egli susseguitesi, poi descritte dal grande drammaturgo contemporaneo Victor Paskov per tramite della resistenza artistica e della sopravvivenza spirituale dei suoi personaggi contro la realtà brutale. A poche decine di metri dalla imponente cattedrale dedicata al liberatore Alexander Nevski, Michel Boselli si infilò al civico numero 3 di ulitsa Dunav - una piccola via in discesa verso il boulevard Dondukov che portava il nome bulgaro del grande fiume che aveva ferito mortalmente -, dove aveva conservato un appartamento all'ultimo piano per la sua eccezionale vista panoramica sulla cattedrale con a sud l'imponente sfondo del monte Vitosha.
Mi dispiace per il fiume / Sorry about the river - capitolo 8

ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale


Convinto che Vittorio Boselli lo avesse piantato, Marco Cappato era in preda a una crisi di gelosia irrazionale. Interrotto solo dall'abbaiare emotivo del cagnone Tabar che percepiva la tensione, Marco piangeva come una fontana per non avere trovato Vittorio al ritorno la sera precedente. Non era mai successo prima che non rispondesse al cellulare e non gli avesse lasciato neppure un biglietto. C'erano solo sparpagliate sul pavimento delle lettere del loro comune amico Michel Boselli, cuginastro di Vittorio e precedente fidanzato di Marco. Con un sussulto questi riconobbe come inequivocabile quella calligrafia in stampatello ma sciolta e fluente come se fosse in corsivo, e se ci fosse stato qualche dubbio sarebbe svanito nello stile inconfondibile della scrittura. Ciò che era sconvolgente e proiettava in secondo piano le pene d'amore di Marco era il contenuto terrificante di quelle lettere: Cappato apprese con brividi raggelanti e giramenti di capo sull'orlo dello svenimento che l'ex grande amore della sua vita era divenuto in quegli anni un assassino mercenario di prima grandezza e inaudito cinismo.

Belfast, 25 febbraio 2008.

Carissimo Vittorio,

tu mi conosci, non so resistere alla tentazione del bizzarro, e ho vissuto un'altra prima volta molto strana. Dopo avere sprecato tanto talento con i preti ortodossi, oggi per la prima volta ho ucciso per denaro. Un sacco di soldi! Ricordi Ezio Catania, il nostro compagno di classe? Col nostro diploma in informatica è diventato vicepresidente europeo nientepopodimenochè della OBM. L'ho incontrato per caso in un aereo per Dublino e abbiamo bevuto ai vecchi tempi, così quando è stato ubriaco mi ha fatto giurare di non dirti quanto ti avesse sempre disprezzato come un morto di fame che non sarebbe mai arrivato da nessuna parte e si è lasciato andare a confidarmi quanto vorrebbe far fuori il suo capo Lucio Stango-Vigevano e di avere anche elaborato un piano per attirarlo in una trappola, ma di non avere lo stomaco per l'esecuzione materiale.

Tu mi conosci, non ho problemi di stomaco e così un po' per scherzo un po' sul serio ho buttato lì che avendo una certa esperienza per un modesto compenso avrei potuto farmi carico della mesta incombenza. Detto fatto, pattuito un milioncino - dico un milioncino di eurodollari! -, come se fosse una scommessa tra sbruffoni che io non ne sarei capace o lui non avrebbe il denaro, e l'accordo è fatto prima di atterrare. Il giorno dopo l'ha invitato a cena a casa sua et voilà, gliel'ho sgozzato sotto i suoi occhi in quattro e quattr'otto bit per secondo. L'ho anche sventrato per fargli più impressione, tanto il tappeto di alpaca era già rovinato e l'abbiamo usato per avvolgerlo, caricarlo nel baule della macchina e portarlo a seppellire nella zona industriale nel sobborgo dublinese di Blanchardstown. in una discarica vicina al loro stabilimento. Non ti dico la faccia da procione di Catania, che ha vomitato e se l'è fatta addosso. Però mi ha pagato puntualmente. Credimi, caro mio, questi dirigenti d'azienda sarebbero capaci di prostituire la sorella pur di far carriera. Adesso sto viaggiando sul catamarano che mi porta in vacanza in Scozia e avrei abbastanza soldi per far la bella vita per almeno qualche annetto, ma so già che non riuscirò a stare con le mani in mano: tu mi conosci...

Dalla data quella risultava la più vecchia delle numerose lettere di Michel che Vittorio aveva conservato. La più recente recava il timbro di arrivo del giorno prima. Non occorreva uno scienziato astrofisico per immaginare che la sparizione di Vittorio avesse qualcosa a che fare con il "lavoretto" che per il quale Michel scriveva di tribolare in Bulgaria. Neppure una mente poco brillante come quella di Cappato doveva arrivare a surriscaldarsi per capire la natura del lavoretto balcanico: da settimane giornali e TV - che invece Vittorio ignorava con altero snobismo -, non facevano che riportare di boy scout bulgari precocemente precipitati, calciatori bulgari tragicamente dilaniati, deputati bulgari allegramente spappolati e spiaccicati... Il tutto con il medesimo comune denominatore: il miracolosamente sopravvissuto candidato presidenziale democratica Olivier Dupuis.

Dotato di non esaltante velocità di pensiero ma purtuttavia di grande senso pratico, Marco Cappato mise da parte in un cassettino mentale lo sgomento della terribile scoperta e approntò un piano di azione. Ricordò che il Corriere aveva informato che Dupuis avrebbe trascorso il giorno seguente all'ambasciata di Sofia per il ricevimento del 2 giugno. Non c'era un minuto da perdere. Corse all'aeroporto parcheggiando frettolosamente Tabar da una cugina di campagna zitella e prima che facesse buio era già a Sofia. Il ricevimento all'ambasciata non era più deprimente del solito. Fin dal tempo in cui rappresentava solo l'Italia, l'ambasciatore Scaruffi aveva la cattiva abitudine di prendere nota di tutti coloro aveva conosciuto negli ultimi dodici mesi per aggiungerli all'elenco di invitati alla festa nazionale del due giugno. Questa pratica deprecabile non era cambiata quando nell'unificare il corpo diplomatico europeo la Bulgaria era stata assegnata a lui. L'ambasciatore Scaruffi era un ometto napoletano ormai anziano ma ancora piuttosto vivace, che suscitava pena e simpatia per la duplice disgrazia di essere stato dimenticato a finire la carriera a Sofia, dove il ministero degli esteri italiano usava mandare il personale più sfigato e tristanzuolo, e soprattutto per la moglie brutta, volgare e antipatica, la cui incontenibile ambizione era stata frustrata dall'assenza di questa da parte del marito. Nella residenza comandava lei ed era facile immaginarla spesso rimproverargli acida di non essere stato capace raggiungere una delle quattro ambasciate di primo livello: Mosca, Washington, New York e Pechino.

Alessandra Krocikkio fumava sul balcone della residenza signorile in ulitsa San Stefano sulla Doktorska gradina, il giardino dietro l'università dedicato ai medici e infermieri che persero la vita nella guerra russo-turca, come ogni sera godendo degli ultimi minuti di pace prima del ritorno del padre padrone. A 17 anni, orfana di madre, Alessandra era una ragazza infelicemente diversa dalle sue coetanee, che a quell'età scoprivano le cose divertenti che potevano fare coi loro corpi di adolescenti in in fiore. Quelle cose Alessandra aveva già scoperto in dieci anni di violenze ad opera del padre e non le trovava affatto divertenti. Fin da bambina, dopo la morte della madre alcolista, il depravato mentecatto l'aveva sostituita con lei come schiava sessuale nel basamento seminterrato isolato acusticamente dove aveva allestito una camera di tortura degna di De Sade se non di Torquemada. Ancor più sotto, nelle fondamenta della palazzina, scavando poche decine decine di centimetri si sarebbero viste spuntare le ossa di giovani studentesse della vicina università Kliment Ohridski che il porco aveva discretamente attirato nella sua llussuosa villa, seviziato a morte insieme alla figlia e seppellito grossolanamente prima di installare una vasca per distruggere i cadaveri nell'acido.

Alessandra era di fatto diventata complice del padre perché prima della pubertà non si rendeva conto della turpitudine di essere schiaffeggiata con quella grossa appendice di carne marcia e schifosa che s'inturgidiva a farle sempre più male, uno dei trattamenti più umilianti che cominciò in modo quasi normale come forma di punizione. Crescendo divenne sempre più vittima del suo aguzzino, che ora assisteva nel filmare con la telecamera le imprese sessuali che questi dirigeva sempre con la stessa sceneggiatura: la tortura, lo stupro e le amputazioni finché la vittima implorava la morte generosamente dispensata dall'abbietto individuo. Con l'adolescenza però le cose erano cambiate. Alessandra aveva progressivamente acquisito la consapevolezza della colossale ingiustizia nell'essere stata privata dell'infanzia, un furto al quale nessuno avrebbe mai potuto rimediare. Cominciò a odiare il porco che vedeva diventare sempre più piccolo (era lei che cresceva), ma intuì che ribellarsi l'avrebbe condotta alla stessa fine delle povere disgraziate che non potevano lasciare vive per testimoniare quanto avevano subito. Scelse così di continuare a collaborare, suo malgrado, e covare intimamente i suoi propositi di vendetta per quando si fosse presentata l'occasione di farsi giustizia, che sentiva non essere lontana.

In modo inatteso quella sera rappresentò per lei un significativo passo avanti in quella direzione. Come ogni due di giugno, il vice-ambasciatore europeo Armando Krocikkio avrebbe trascorso la serata dall'altra parte dei giardini, oltre l'assemblea nazionale, a ubriacarsi con l'ambasciatore Scaruffi e gli altri suoi numerosi ospiti. L'elemento che rese quella notte diversa dagli anni precedenti fu costituito dal portachiavi che Krocikkio dimenticò in una tasca dei pantaloni quando tornò a casa brevemente per cambiarsi in abito da sera. C'era la chiave del suo studio, dove Krocikkio non aveva mai permesso di entrare né ad Alessandra né alla donna delle pulizie se non in sua presenza, e c'era la chiave che dallo studio conduceva dove lei non sapeva. Conoscendo bene la paranoia del padre, l'attenzione ossessiva e minuziosa che in effetti gli aveva garantito l'impunità, scivolò dentro lo studio con estrema cautela, indossando guanti chirurgici e scarpe dalle suole immacolate. Sul tavolo giaceva un voluminoso documento dalla copertina nera. Era un documento confidenziale dal contenuto esplosivo, la scoperta del quale avrebbe scoperchiato una pentola putrescente, ma in quel momento Alessandra era molto più intrigata dalla misteriosa porta col pesante chiavistello.
Mi dispiace per il fiume / Sorry about the river - capitolo 9

ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale


Alessandra dovette tornare indietro a procurarsi un torcia elettrica, col cuore in gola per l'eccitazione della scoperta. Il tunnel oscuro, la larghezza del quale non avrebbe permesso il passaggio di più di una persona per volta, conduceva verso sud a un'altra pesante porta impolverata. Ma certo! Era la palazzina adiacente dove aveva vissuto Ludmila Zhivkova, la figlia suicida del dittatore comunista che per 35 anni aveva governato la Bulgaria come il sedicesimo stato dell'Unione sovietica, fallendo solo i tentativi di formalizzare ufficialmente tale prestigioso status. A metà dello stretto condotto un varco poco più largo si apriva a destra, nettamente verso ovest, su delle scale in discesa di cui la torcia non arrivava a illuminare la fine. Contò una quarantina di gradini, all'incirca quanti ne aveva già discesi dallo studio, e calcolò di trovarsi a oltre 15 metri sotto i giardini. Continuò a contare calcolando un metro ogni due passi mentre proseguiva in linea retta lungo il tunnel che si si faceva progressivamente un poco più ampio e le confermava come una certezza ciò che aveva intuito con eccitazione: si trovava nel sistema di gallerie sotterranee costruite dal governo comunista di cui si era sempre favoleggiato durante il regime ma senza mai portarlo allo scoperto.

Non si trattava di un ramificato labirinto da usarsi in caso di guerra come quello che correva per chilometri sotto il centro politico di Londra: quel tipo di bunker i politburocrati se lo erano fatti costruire vicino a Varna sulla costa del Mar Nero. Era piuttosto un semplice ed efficace sistema di comunicazione sotterranea tra gli edifici istituzionali che raccordava il parlamento - sotto il quale Alessandra calcolava di trovarsi in corrispondenza di un più largo portone metallico -, la presidenza della repubblica, l'esecutivo e i veri centri del potere: la casa del partito e il ministero della difesa, tra i quali infatti correva il corridoio più largo. Nel riconoscere ogni stazione del potere dai varchi sigillati dove anni prima erano transitati i lugubri funzionari del partito unico, facendosi coraggio tra i grossi topi che scappavano al suo incedere, Alessandra arrivò fino a dove il tunnel assumeva l'aspetto di un sottopassaggio diramandosi sotto l'ex casa del partito, e intraprese il percorso inverso. Ormai aveva visto abbastanza, o meglio non rimaneva altro da vedere. Un altro importante tassello si era aggiunto agli altri per architettare la sua vendetta. Non sapeva come se ne sarebbe servita, ma certamente si sarebbe rivelato utile al momento giusto, pensava tornando indietro sotto il museo archeologico, quello etnografico, la galleria d'arte nazionale e la chiesetta russa di Sveti Nikolay, avvertendo sopra di sè il peso della storia che la chiamava a una pulizia del mondo dall'Immondo.

Subito dopo la chiesetta russa vennero i piedi non troppo stabili di Suttora piantati quindici metri sopra di lei nel giardino dell'ambasciata. L'agente segreto privato, in uno smoking a noleggio, tentava di consolarsi con il terzo Martini doppio di quello che si prospettava come il clamoroso fallimento del suo primo incarico, a meno che non sopravvenisse un miracolo a risparmiarlo dai tuoni e fulmini di Pannella, colui che l'aveva pagato mille eurodollari al giorno per pedinare l'uomo sbagliato. I primi dubbi gli sorsero quando l'attempato freakettone smise di camminare dirigendosi con sicurezza verso un luogo ben preciso, come se a Sofia ci fosse nato, e prese invece a ciondolare per ore attorno al monumento a Levski, eretto nel luogo dove il leader rivoluzionario fu impiccato dagli ottomani nel 1873, come se volesse simbolicamente interpretarne la frase più famosa:

Noi siamo nel tempo e il tempo è dentro di noi

Aveva un appuntamento con qualcuno? Ma allora perché improvvisamente, più volte, sembrava scattare sul breve tratto pedonale che costeggiava l'orto botanico e poi fermarsi dubbioso come se ci avesse ripensato? All'edicola della piazza lo vide acquistare una mappa della città in italiano, gesticolando all'edicolante la sua esigenza. Ma non era Granzotto un abitudinario della capitale bulgara? Non era per sua natura esperantista un poliglotta a suo agio con le lingue slave? I dubbi svanirono quando il soggetto del pedinamento si mise a studiare la mappa tenendola appicicata agli occhiali. Granzotto era presbite come un falco, riportava nelle note caratteristiche la scheda che gli aveva dato da studiare il maggiordomo di Pannella. Più ipermetrope di un pastore presbiteriano in pensione! Con ondate di brividi caldi e freddi, Suttora realizzò che l'uomo seduto a un tavolino all'aperto del ristorante Berlin dell'albergo Serdica era miope come una talpa, ma talmente miope che lui doveva essere cieco per non essersene accorto prima!

Sedette anch'egli a un tavolino del Berlin prendendosi il capo tra le mani per la disperazione e quando rialzò lo sguardo incrociò quello di Irene Abu Gail. Il maggiore del Mossad di origine bulgara, per tanti anni suo numero opposto a Washington, non perse tempo in convenevoli.

Dall'alba stai ciondolando attorno al monumento a Levski come se volessi simbolicamente interpretarne la frase più famosa: Noi siamo nel tempo e il tempo è dentro di noi... Non riesco a spiegarmi come mai diciotto volte sei scattato verso l'orto botanico e poi ti sei fermato dubbioso come se ci avessi ripensato. Mi fa piacere rivederti, Mauro, ma sei per caso diventato pazzo?

Suttora si sentì risollevato alla vista della vecchia conoscente, alleata e al tempo stesso concorrente in tante battute di caccia grossa alle informazioni vitali sui comuni nemici, ai suoi tempi d'oro alla CIA che cominciava già a rimpiangere. Le si aprì raccontandole del guaio che aveva combinato e già questo bastò a rincuorarlo un poco quando l'ex collega gli espresse simpatia e lo incoraggiò a proseguire l'indagine manifestando interesse nei comunisti esperantisti, all'evocazione dei quali assunse un'espressione pensierosa. Poi per tirargli su il morale gli propose di accompagnarla al ricevimento del 2 giugno, noto per essere aperto anche ai più lontani parenti degli invitati.

A poco più di cento metri in linea d'aria, l'edificio in tardo stile liberty al numero 3 di ulitsa Dunav risaliva al 1928 e oltre ai bombardamenti alleati della seconda guerra mondiale era sopravvissuto anche ai vicini palazzacci, costruiti negli anni 50 sulle rovine di quei bombardamenti. Una grande scala di marmo conduceva dal pianterreno, occupato da una cantante lirica russa in pensione, fino al quarto e ultimo piano, che dava a sud sulle cupole dorate di Alexander Nevski. Nascosti dalla cattedrale sulla storica piazza stavano gli edifici dell'assemblea nazionale e dell'accademia delle scienze, poco più a destra quello del litigioso sinodo della chiesa ortodossa e in mezzo uno spiraglio di una quindicina di metri attraverso il quale Michel Boselli poteva vedere nel mirino a infrarossi il giardino della sezione ex austriaca dell'ambasciata d'Europa, e dirigere sugli ospiti del ricevimento il dispositivo a puntamento laser della sua arma micidiale. Da ore Michel Boselli attendeva pazientemente che Olivier Dupuis si aggirasse a stringere mani in quell'area del giardino, e quando questa fece capolino cominciò a seguirla nel mirino finché si fosse fermata, presumibilmente tra quel salame dell'ambasciatore e quell'attaccabottoni della Tordopopova. Premette il grilletto nello stesso istante in cui d'improvviso udì bussare perentoriamente alla porta d'ingresso e una voce urlare in italiano, la voce inconfondibile del suo cuginastro Vittorio Boselli, dannazione:

Michel! Michel! Lo so che sei lì dentro. Lasciami entrare! Ti prego, aprimi, parliamo!

Marco Cappato irruppe trafelato nel giardino dell'ambasciata, suscitando le educate proteste delle guardie che lo inseguirono chiedendogli di esibire l'invito e gli snobistici sguardi di riprovazione da parte delle dame sul suo abbigliamento inadatto all'occasione. Nella sua frenetica perquisizione visiva, Marco aveva incrociato un bagliore provenire da una finestra dall'altra parte della piazza. Il cadavere della Tordopopova era accasciato contro il tronco di un albero, la bocca spalancata in una espressione di incredulità, e un buco rosso sporco tra le rughe sulla fronte. Nella confusione delle grida Cappato, seguito a ruota da Suttora, si lanciò nella direzione dell'edificio dal quale, nello stesso momento, a prezzo di una spalla slogata che non sarebbe più tornata come prima, Vittorio Boselli riusciva a sfondare la porta dell'appartamento del cuginastro Michel. Questi non ebbe più tempo per ricaricare l'arma, che gettò contro Vittorio dandosi alla fuga. Dal bacone della cucina sul retro si precipitò lungo la scala antincendio arrugginita che al suo passaggio si divelse pericolosamente dal muro scalcinato, impedendo a Vittorio di inseguirlo e costringendolo a optare per il condotto della spazzatura, dal quale uscì sporco e ammaccato dieci metri più sotto, nonostante tutto precedendo Michel che non smetteva di imprecare.

Michel avrebbe avuto buon gioco sul gracile scrittore, ma all'estremo opposto del cortile gli si pararono davanti le montagne di muscoli di Marco Cappato e Mauro Suttora. Cappato corse a soccorrere Vittorio, che si strinse tremante e dolorante al suo petto, mentre Suttora prese saldamente Michel Boselli per un braccio e lo trascinò via verso il boulevard affollato prima che sopraggiungessero allarmate le guardie dell'ambasciata. Michel non oppose resistenza, mestamente rassegnato al fatto che tutto fosse finito come da qualche tempo oscuramente presentiva, e si dispose a vedere cosa sarebbe successo adesso, spettatore indifferente della sua vita maledetta.

FINE DELLA PRIMA PARTE