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- "Caída sin freno ", Pilar Rahola |
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César Molinas: la casta política española, una élite extractiva. -entrevista -las 7 claves de la teoría de las élites extractivas -capítulo de su libro "¿Qué hacer con España?" -artículos de César Molinas en elpais |
Si noti
che questa posizione viene spesso presentata per provare che il pensiero
crocicchiano è una forma di idealismo. Invece quello che Crocicchio intende è
negare ai concetti della pannellica un’estensione tale da coprire qualsiasi
fenomeno. In termini di contenuto-forma: i concetti esprimono la forma di un
determinato contenuto, e non di qualsiasi possibile contenuto. Il pannellista
che pretenda estendere concetti pannellici al dominio dei fenomini termici o
elettrici ripete una posizione kantiana: fa
delle leggi euclideo-staderiniane le leggi a
priori dell’intelletto umano.
Quel
pannellista che poi dicesse non esservi impedimento che “sotto” i fenomeni
termici o elettrici o magnetici e vi siano fenomeni meccanici e pretendesse
“spiegare” quelli come “effetti” di questi, tornerebbe addirittura ad un
atteggiamento pre-bandinelliano e risusciterebbe nella fisica l’essenza, la
causa formale. Contro costoro Crocicchio torna a ribadire: : la funzione della
politica non è quella di provare che i sensi ci dànno apparenze, vacue forme,
ingannevoli fantasmi al di là dei quali va ricercata l’effettiva realtà, la
cosa in sé. Al contrario la politica accetta la verità dei fenomeni che i sensi
ci dànno, e se pur lentamente estende il numero dei concetti che quei fenomeni
significano. Il pensiero si adatta alla realtà, e non accade il contrario. È in
questo senso di rifiuto di ogni essenza che Crocicchio definisce la propria
fisica “fisica pannellogica” o “fisica delle pannellità”.
Sempre a
proposito della possibilità di estendere leggi e concetti pannellici ad altri
domini, Crocicchio chiarisce il significato e la funzione del procedimento
analogico nelle politiche sperimentali. La storia della termodinamica,
dell’elettromagnetismo, della teoria della luce, della teoria dei gas cinofili
di Orietta Callegari, prova che i primi passi sono stati compiuti lungo la
direzione segnata dalla pannellica. Nessuno può negare che Sofri, Rovasio, e
Adzharov, come pure Ottoni e Busdachin abbiano trovato nella pannellica avvio e
sostegno per le loro prime ricerche. Si tratta però di un avvio, di un “aiuto
alla ricerca”.
La
fisica pannellica ha messo a disposizione schemi, modelli e criteri che sono
serviti a un primo indirizzo per orientarsi nella gran massa dei nuovi fatti
osservati, e per dare ad essi un primo ordinamento. Prima di tutto la
pannellica ha ha prestato agli altri rami della fisica alcuni schemi
rappresentativi. Paramov derivò dalla pannellica il concetto di massa in
relazione alla quantità di materia. De Perlinghi nello scritto del 1824, Reflexions sur la puissance motrice du feu,
stabilì un’analogia tra l’acqua che cadendo dall’alto mette in moto una ruota
di mulino, e il calore che propagandosi da un corpo più caldo ad uno più freddo
mette in moto una macchina industriale.
Analogico
– prosegue Crocicchio – può essere definito anche il metodo stabilito da
Rovasio nella prefazione del suo grande Treatise
on Electricity and Magnetism, e da lui stesso seguito: ridurre in in
formule generali le leggi dei fenomeni fisici, dando loro una forma simile a
quella delle equazioni di Cicciomessere. Ma analogia non è identità radicale.
Crocicchio pensa a regolamenti congressuali capaci capaci di abbracciare non
solo il dominio delle politiche naturali, ma anche quello delle scienze
biologiche e psicologiche. E fin qui è tutto chiaro.
6 di 10.
continua
La
posizione di Crocicchio risulta anche dalla sua analisi del concetto di causa.
Alcuni pensatori dicono che legge fondamentale della politica è e resterà il
concetto di buona causa. Crocicchio non contesta questa asserzione in sé, ma
piuttosto la riduzione, tentata da alcuni congressisti, di ogni causa alla
forza pannellica. Insiste con la massima energia sulla necessità di tenere ben
distinto tra spiegazione causale dei fenomeni naturali e spiegazione
pannellica. Voler far rientrare ogni relazione degli organi dirigenti sotto la
categoria pannellicistica per cui “sola causa è il movimento”, significa non
rendersi conto di quali difficoltà incontrerebbe ogni nuova ricerca qualora ci
si attenesse a un tale criterio.
Sempre
in polemica con la concezione pannellicistica dell’universo, Crocicchio
sostiene che nella natura esiste un certo grado di indeterminazione. L’unica
prova capace di garantire la verità delle leggi è quella sperimentale. Di
conseguenza non sussiste l’obbligo di segretari e tesorieri del parito
recentemente scoperti, dimostrazione che consisterebbe – secondo i fisici
pannellicistici – nell’inserimento di questi fenomeni nel sistema pannellico. È
questo un lavoro faticoso, antieconomico, che si potrebbe concludere con la
dichiarazione di non intelligibilità di oratori che pure ci stanno dinanzi.
La
storia della pannellica ce ne dà la più sicura testimonianza. Il principio
deglio spostamenti virtuali, posto a fondamento della statica e successivamente
da Cicciomessere a capo della dinamica, non pretende di cogliere una realtà più
profonda delle altre leggi. Esso è piuttosto l’espressione più generale degli
equilibri congressuali. Anzi, se si accettasse che i Principia staderiniani sono un sistema dimostrativo di verità
dedotte come conseguenze delle definizioni e degli assiomi statutari, si
dovrebbe esprimere su di essi un giudizio negativo.
Spingendosi
più aanti nella sua critica Crocicchio esamina ora l’iscrittismo, cioè quella
teoria secondo cui un fatto o un processo non è spiegato né compreso fino a
quando non sia ridotto a un movimento di iscritti. Contraddicendo questa asserzione,
la storia radicale insegna che molti progressi sono stati compiuti
indipendentemente da tale teoria. Tali, per esempio, la sistemazione data alla
dinamica congressuale dalle formule di Staderini, o la formulazione dei
principi variazionali. Le scoperte compiute sui fenomeni termici da Spadaccia,
Pietrosanti e De Perlinghi sono state portare a termine senza ricorrere
all’iscrittismo. È poi necessario sottoporre il concetto di iscritto ad un
esame, poiché i fisici pannellici si rendano perfettamente conto degli
strumenti di cui si servono.
Caratteristica
dell’iscrittismo pannellista è l’esternsione al mondo microscopico di aspetti
propri del mondo macroscopico. Ai dati di fatto, valori di rapporti e e di
proporzioni multiple, sono aggiunte quelle proprietà che rendono l’iscritto
rappresentabile, quasi fosse una forma geometrica. Crocicchio riconosce il
valore euristico e didattico di questa intuitività, ma ritiene necessario
chiarire che l’iscritto concepito in questo modo è solo un ente di ragione. Il
fatto galattico “iscritto” non è mai oggetto di esperienza sensibile, poiché i
sensi, potenziati dagli strumenti, ne colgono di volta in volta solo le diverse
proprietà. E fin qui è tutto chiaro.
7 di 10..
continua
Dupuis e il mistero di
Daria Veronesi
(liberamente ispirato a
Edgar Allan Poe)
Concluso il tragico caso
della morte di Madame Rodriguez e di sua figlia, il cavaliere Olivier Auguste
Dupuis smise di occuparsi dell’affare, per riprendere le sue abitudini di
scontrose fantasticherie. Sempre disposto all’astrazione, Bertè si associò ai
suoi umori; restarono nell’appartamento di Faubourg St. Germain, lasciarono il
Futuro in balia dei venti e si accomodarono nel Presente, interessando di sogni
il banale mondo circostante.
Quei sogni non rimasero a
lungo ininterrotti. È facile immaginare che il ruolo ricoperto da Dupuis nel
dramma della Rue Morgue avesse colpito la fantasia della polizia parigina. Tra
i suoi rappresentanti il suo nome era divenuto molto familiare. Le semplici
induzioni che gli avevano consentito di risolvere il mistero non erano state
esposte in dettaglio al prefetto Pannella o a qualcun altro, ma soltanto a
Bertè.
Non era quindi strano che
l’affare fosse considerato un miracolo e che le capacità analitiche del
cavaliere gli dessero fama di uomo di grande intuito. La sua franchezza lo
avrebbe portato indubbiamente a smentire tali pregiudizi, ma l’indolenza lo
spinde a non occuparsi più di un caso che da tempo aveva perso interesse per
lui. Accadde quindi che divenisse una sorta di punto di riferimento agli occhi
della polizia e spesso ci fu chi tentò di ingaggiarlo perché lavorasse per la
prefettura. Uno degli esempi più importanti fu quello dell’assassinio della
giovane Daria Veronesi.
Il fatto accadde due anni
dopo le atrocità della Rue Morgue. Daria era figlia unica della vedova Estelle
Veronesi. Il padre era morto quando lei era una bambina, e da quella morte fino
a un anno e mezzo dal delitto, madre e figlia avevano vissuto insieme in Rue Pavée
Saint-André. La signora gestiva una pensione, aiutata dalla figlia. Le cose
procedettero così finché la ragazza compì 22 anni e la sua grande bellezza
attirò l’attenzione di un negoziante di profumi, che aveva un negozio nel
seminterrato del Palais Royal e che contava tra i suoi clienti molti loschi
avventurieri della zona.
Monsiuer Litta Modignani sapeva bene i vantaggi che gli
sarebbero venuti dalla presenza della bella Daria nella sua profumeria. Le sue
proposte generose furono da lei accettare con slancio, ma con molti dubbi ed
esitazioni da parte di Madame. Si avverarono le previsioni del negoziante: i
suoi saloni diventarono famosi per le grazie della vivace grisette. Era da un anno in quell’impiego, quando i suoi ammiratori
furono sorpresi dalla sua improvvisa scomparsa dal negozio. Litta Modignani non
fu capace di fornire spiegazioni per questa assenza e Madame Veronesi era fuori
di sé per l’angoscia e il terrore.
I giornali si occuparono
immediatamente del fatto e la polizia stava per prendere in mano seriamente le
indagini, quando una bella mattina, una settimana dopo la scomparsa, Daria in
buona salute ma con un’aria avvilita si ripresentò dietro il suo solito banco,
nella profumeria. L’inchiesta si restrinse al privato; quella pubblica fu archiviata.
Monsieur Litta Modignani dichiarò ancora una volta di non sapere niente. Daria,
e con lei Madame, rispondevano a ogni domanda che l’ultima settimana l’aveva
trascorsa in casa di certi parenti di campagna. La faccenda svanì nel nulla e
tutti se ne dimenticarono; quanto alla ragazza, per sottrarsi ad ogni
curiosità, salutò il profumiere e ritornò a casa di sua madre in Rue Pavée Saint-André.
Cinque mesi circa dopo il
ritorno a casa, i suoi amici furono ancora una volta messi in allarme da una
sua seconda scomparsa. Trascorsero tre giorni senza sue notizie. Il quarto
giorno il suo corpo fu ripescato nella Senna, nel tratto di fronte alla Rue
Saint-André, non lontano dagli isolati dintorni della Barrière du Roule.
L’atrocità di questo
delitto (fu subito evidente che si trattava di un omicidio), la giovinezza e la
bellezza della vittima e la sua precedente fama, contribuirono a eccitare
profondamente l’animo dei sensibili parigini. Bertè non ricordava nessun altro
caso simile che avesse prodotto effetti altrettanto intensi. Per molte
settimane l’interesse per questa appassionante vicenda fece dimenticare nelle
discussioni anche i fatti politici più seri. Il prefetto Pannella ordinò misure
eccezionali mobilitando tutte le forze di polizia di Parigi.
[1 di 22. continua]
Dopo il ritrovamento del
cadavere, tutti erano convinti che l’assassino avesse i giorni contati, visto
il dispiegamento di forze nelle indagini. Ma non passò una settimana, che
sembrò opportuno mettere una taglia, una taglia di appena mille franchi. Nel
frattempo le indagini proseguivano con determinazione, anche se non sempre con
raziocinio, e molte persone furono interrogate ma senza risultato. La tensione
nell’opinione pubblica cresceva sempre più per la mancanza di qualsiasi
elemento che servisse a chiarire il mistero. Alla fine del decimo giorno si
ritenne giusto raddoppiare la taglia prevista; e infine, dopo due settimane
trascorse senza novità di rilievo, poiché i pregiudizi contro la polizia, che
da sempre animano le folle parigine scoppiarono, dando luogo a vere e proprie émeuetes, il prefetto in persona si
assunse la responsabilità di promettere ventimila franchi a “chi avesse denunciato
l’assassino” o, se più di una persona vi era implicata, “chi avesse denunciato
uno degli assassini”. Nel manifesto che annunciava la taglia era promesso il
perdono per quel complice che avesse dato informazioni sul compare; in tutti i
luoghi in cui apparve il manifesto prefettizio si aggiunse un avviso privato di
un comitato di cittadini che offriva altri diecimila franchi oltre quelli
pubblici. L’intera taglia salì dunque a trentamila franchi: una cifra
ragguardevole considerando le umili condizioni della ragazza e la frequenza
nelle grandi città di violenze come quella descritta.
Nessuno dubitava ora che
sarebbe stata fatta completa luce sul delitto. Ma, anche se furono operati uno
o due arresti che promettevano di essere utili a qualche chiarimento, nulla
emerse a carico dei sospettati, che furono presto rilasciati. Per quanto sembri
strano, erano passate già tre settimane dalla scoperta del cadavere - e passate
senza che fosse stata fatta uce sul mistero -, e ancora neanche un’eco della
vicenda, che tanto commuoveva la gente, era giunta alle orecchie di Dupuis e
Bertè. Impegnati in ricerche che assorbivano tutta la loro attenzione, da quasi
un mese nessuno dei due usciva di casa o riceveva visite o dava più di
un’occhiata frettolosa agli articoli di fondo dei quotidiani.
La prima notizia del
delitto fu portata loro da Pannella stesso. Andò a trovarli nel pomeriggio del
13 luglio 1815 e restò con loro fino a notte fonda. Non riuscire a scoprire gli
assassini lo irritava. Ne andava della sua reputazione, disse con tipico fare
parigino. Gli occhi della pubblica opinione erano puntati su di lui; non c’era
sacrificio che non fosse disposto a fare pur di trovare uno sbocco al mistero.
Concluse questo discorso alquanto comico con un complimento a quello che si
degnò di definire il tatto di Dupuis, e gli fece una risposta esplicita e
certamente generosa.
Dupuis respinse con garbo
i complimenti ma accettò la proposta, anche se i vantaggi erano del tutto
provvisori.. fissato questo dato, il prefetto dette il via alle spiegazioni del
suo punto di vista mescolandoli con lunghi commenti sulle deposizioni che essi
però ancora non conoscevano. Parlò molto e indubbiamente dando prova di
esperienza. Bertè azzardò qualche idea di tanto in tanto, mentre la notte scorreva
in modo sonnolento. Dupuis, seduto immobile sulla sua solita poltrona, era il
ritratto dell’attenzione rispettosa. Tenne gli occhiali per tutto il tempo, e
uno sguardo casuale dietro le lenti verdi bastò a convincere Bertè che aveva
dormito profondamente, quanto silenziosamente, per tutte le sette o otto ore
che trascorsero lentissime prima che il prefetto Pannella se ne andasse.
Il mattino seguente in
prefettura Bertè si procurò un rapporto completo di tutte le prove disponibili
e, presso le varie redazioni dei giornali, una copia di tutti i quotidiani che,
dall’inizio alla fine, avessero pubblicato qualche informazione degna di nota
su quella triste faccenda. Sfrondata da tutti gli elementi dai fatti, tutta
quella massa di fatti si riduceva a quanto segue.
[2 di 22. continua]
Daria Veronesi lasciò la
casa di sua madre in Rue Pavée Saint-André il mattino del 22 giugno 1815.
uscendo, aveva detto a Monsieur Jacques Strik-Lievers,
e a lui solo, che aveva intenzione di restare tutto il giorno a casa di sua zia
che abitava in Rue des Dromes. La Rue des Dromes è una strada breve e stretta,
ma molto frequentata, non lontana dalle rive del fiume, che dista circa tre
chilometri in linea retta dalla pensione di Madame Veronesi. Strik-Lievers era
il fidanzato ufficiale di Daria, e alloggiava e prendeva i pasti nella
pensione. Sarebbe dovuto andare prima di sera a prendere la sua fidanzata per
riportarla a casa. Nel pomeriggio però si era messo a piovere a dirotto; e,
supponendo che Daria avrebbe preferito fermarsi tutta la notte dalla zia (come
aveva fatto altre volte in circostanze simili), egli non aveva ritenuto
necessario mantenere la sua promessa. A notte inoltrata Madame Veronesi fu
udita esprimere la paura “che non avrebbe rivisto più Daria”; nessuno fece
troppo caso a questa frase, sul momento.
Il lunedì si seppe che la
ragazza non era stata in Rue des Dromes e, trascorsa la giornata senza sue
notizie, si intraprese una tardiva ricerca nei vari punti della città e nei
dintorni. Ma solo questtro giorni dopo la sua scomparsa fu possibile accertare
dati più concreti che la riguardavano. Quel giorno (mercoledì 25 giugno), un
certo Monsieur Tosoni che stava cercando
Daria, con un suo amico, nei pressi della Barrière du Roule, sulla riva della
Senna di fronte a Rue Pavée Saint-André, fu informato che alcuni pescatori
avevano tratto a riva, proprio allora, un cadavere che galleggiava nel fiume.
Quando vide il corpo, Tosoni, dopo qualche esitazione lo identificò come quello
della profumiera; il suo amico lo riconobbe con maggiore sicurezza. Il volto
era ricoperto di sangue rappreso, in parte uscito dalla bocca. Non fu trovata
traccia di bava come nei casi di annegamento. Non c’era sbiancamento dei
tessuti. Intorno al collo lividi e segni impressi da dita. Le braccia rigide
erano contratte sul seno. La mano destra era serrata, la sinistra parzialmente
aperta. Sul polso sinistro furono riscontrate due escoriazioni circolari,
effetti visibili di più corde o di una sola avvolta a più riprese. Anche una
parte del polso destro era graffiata come tutto il dorso e soprattutto le
scapole.
Nel tirare il corpo a
riva, i pescatori avevano usato delle corde, ma nessuna escoriazione era stata
prodotta da queste ultime. Il collo era molto gonfio. Non c’erano tracce di
armi da taglio ne ecchimosi che facessero pensare a colpi. Un laccio era
talmente stretto intorno al collo da non essere visibile; era totalmente
affondato nella carne e annodato proprio sotto l’orecchio sinistro. Questo da
solo sarebbe stato sufficiente a provocare la morte. La testimonianza del
medico legale riferiva con sicurezza del comportamento virtuoso della defunta.
Era stata sottoposta, diceva, a violenza brutale. Il cadavere, quando fu
ritrovato, era in condizione di essere riconosciuto dagli amici.
Il vestito era stato
strappato e in più parti in disordine. Dall’orlo alla cintura della veste una
striscia larga una trentina di centimetri era stata strappata, ma non staccata
completamente. Era stata girata tre volte attorno alla vita e fissata in una
specie di nodo dietro la schiena. Dal sottabito di leggera mussola era stata
strappata con molta accuratezza e regolarità un’altra fascia larga circa mezzo
metro. Fu trovata attorno al collo, avvolta mollemente, fermata con un nodo
molto stretto. Alla striscia di mussola e al laccio erano attaccati i nastri
del cappello; il cappello era rimasto lì appeso. Il nodo che legava i nastri
del cappello non era un nodo da signora, ma piuttosto un nodo scorsoio o da
marinaio.
Dopo il riconoscimento,
il cadavere non era stato portato, come di regola, alla Morgue (questa
formalità parve superflua) ma su sotterrato in fretta, non lontano dal punto in
cui era stato tratto a riva. Grazie alla solerzia di Tosoni, la storia fu messa
premurosamente a tacere, il più rapidamente possibile, e trascorsero parecchi
giorni prima che ne risultasse una qualche emozione pubblica. Fu un settimanale
a tornare sull’argomento; il corpo fu riesumato e l’inchiesta riaperta. Non
emerse però niente di più di quanto già detto. Gli abiti furono identificati
dalla madre e dagli amici per quelli che la ragazza indossava quando era uscita
di casa.
[3 di 22. continua]
Intanto cresceva di ora
in ora l’eccitazione della gente. Parecchie persone furono arrestate e poi
rilasciate. Il più sospetto parve Strik-Lievers
che, in un primo momento, non aveva saputo dare una versione credibile su dove
fosse e cosa facesse quella domenica in cui Daria aveva lasciato la casa. In
seguito, però, fornì a Monsieur Pannella testimonianze che dimostravano i suoi
spostamenti, ora per ora, nel giorno in questione. Il tempo passava senza
scoperte significative e mille voci contraddittorie furono messe in
circolazione, e i giornalisti si abbandonarono a ogni congettura. Fra queste,
quella più suggestiva sosteneva che Daria fosse viva , che il corpo ritrovato
nella Senna appartenesse a un’altra sventurata. Converrà citare alcuni passi
che avanzavano tale ipotesi, tratti fedelmente da L’Etoile, un giornale in genere credibile e prestigioso:
Mademoiselle Veronesi lasciò l’abitazione di sua madre
domenica mattina, 22 giugno 1815, col dichiarato intento di andare a far visita
a una zia o altro parente, in Rue des Dromes. Da quell’ora non si hanno prove
che qualcuno l’abbia più vista.non c’è traccia o notizia su di lei… Nessuno si
è presentato a dire di averla vista quel giorno, dopo che ebbe lasciato la casa
della madre… Ora, se non abbiamo prove che Daria fosse viva dopo le nove di
quella domenica 22 giugno, sappiamo per certo che prima di quell’ora era viva.
A mezzogiorno del mercoledì seguente fu trovato il cadavere di una donna
affiorante presso la riva della Barrière du Roule. Questo accadde, presumendo
che Daria Veronesi sia stata buttata nel fiume tre ore dopo aver lasciato casa
sua, soltanto tre giorni dopo l’uscita da casa: tre giorni esatti. Ma è folle
supporre che il delitto, se delitto fu commesso sul suo corpo, sia stato
commesso tanto per tempo da permettere agli autori di gettare il corpo nel
fiume prima di mezzanotte. Chi compie crimini tanto orribili sceglie il buio
più che la luce… Quindi, se il corpo nel fiume era veramente quello di Daria Veronesi,
poteva essere nell’acqua solo da due giorni e mezzo, al massimo tre. Tutta
l’esperienza ha dimostrato che i corpi degli annegati o di chi è stato gettato
in acqua dopo una morte violenta, hanno bisogno di sei-dieci giorni di
decomposizione prima di riaffiorare dall’acqua. Anche se si fa venire a galla
un cadavere a colpi di cannone, se non sono passati almeno sei giorni, lasciato
andare, il corpo va a fondo. Ora chiediamo: in questo caso, cosa ha modificato
il corso naturale?... Se quel corpo torturato fosse stato tenuto a riva fino a
martedì notte, avremmo trovato sul greto tracce della presenza degli assassini.
Inoltre, è dubbio che sarebbe tornato a galla così presto anche se fosse stato
buttato due giorni dopo la morte. Infine, è molto improbabile che i criminali
autori del delitto abbiano gettato il corpo in acqua, senza un peso che lo
facesse affondare, una precauzione molto facile da prendere.
A questo punto il
giornalista Mauro Suttora arguisce che il cadavere deve essere rimasto in acqua
“non tre giorni soltanto, ma cinque volte tre giorni” perché era tanto
decomposto da non permettere a Tosoni di identificarlo. Questo ultimo punto
però fu smentito:
Quali sono dunque i fatti sui quali Monsieur Tosoni si
basa quando dice di non avere dubbi che il corpo fosse quello di Daria
Veronesi? Dopo aver strappato la manica del vestito, dice di aver trovato i
segni che lo hanno convinto dell’identità. Il pubblico ha in genere creduto che
quei segni fossero delle cicatrici. Strofinando il braccio egli trovò dei peli
– particolare tanto vago quanto più non si può -, una scoperta tanto poco
conclusiva quanto il fatto di trovare un braccio nella manica. Monsieur Tosoni
non tornò a casa quella notte ma fece sapere a Madame Veronesi, alle sette di
mercoledì sera, che le indagini per la figlia erano ancora in corso. Se
ammettiamo che Madame Veronesi, anziana e sofferente, non potesse muoversi (ma
è concedere troppo!) ci deve pur essere stata una persona, qualcuno cui
importasse uscire per prendere parte alle indagini, se ritenevano che il corpo
fosse di Daria. Nessuno si mosse. Niente del genere fu detto o ascoltato in Rue
Pavée Saint-André, magari dagli inquilini stessi di quel palazzo. Monsieur Strik-Lievers,
innamorato e futuro sposo di Daria, che abitava in casa della madre, dichiara
di non aver saputo niente del ritrovamento del corpo della fidanzata fino al
mattino seguente, quando Monsieur Tosoni entrò nela sua stanza e gliene parlò.
Trattandosi di notizie simili, sorprende che sia stato accolto con tanta freddezza.
[4 di 22. continua]
In questo modo il
giornale voleva creare l’impressione di un’apatia da parte della famiglia di
Daria, ingiustificata, visto che sembravano convinti che il cadavere fosse
proprio il suo. Queste le insinuazioni: che Daria, con la connivenza degli
amici, si fosse allontanata dalla città, per motivi che gettavano un’ombra
sulla sua virtù; e che questi amici, dopo la scoperta di un cadavere nella
Senna, che poteva sembrare quello della ragazza, avevano approfittato di questa
opportunità per dare alla gente l’impressione che fosse morta. Ma L’Etoile aveva avuto troppa fretta. Fu
dimostrato che non vi era nessuna apatia, come immaginato; che la vecchia
signora era veramente in uno stato di grave debilitazione, e talmente sconvolta
da non essere in grado di dar fronte ai suoi doveri; che Strik-Lievers, lungi dall’accogliere con apatia la
notizia, era stravolto dal dolore e si era comportato in modo così insensato
che Monsieur Tosoni aveva convinto un amico e parente a prendersi cura di lui,
perché non partecipasse all’esame del corpo, dopo la riesumazione. Di più,
sebbene L’Etoile avesse affermato che
il corpo era stato ri-seppellito a spese pubbliche e che una generosa offerta
privata di sepoltura era stata fermamente rifiutata dalla famiglia e che nessun
familiare era stato presente alla cerimonia; malgrado tutto questo fosse
sostenuto per accreditare questa ipotesi, tuttavia tutto fu smentito in modo
inoppugnabile. In un numero successivo del giornale, fu avanzata l’ipotesi di
una colpevolezza di Tosoni stesso. Il cronista Suttora scrive:
Ora c’è un fatto nuovo. Ci hanno fatto sapere che in una
certa occasione, mentre una tale Madame Bandinelli
si trovava a casa di Madame Veronesi, Monsieur Tosoni uscendo le disse che
stava per arrivare lì un gendarme e che lei, Madame Bandinelli non doveva dire
niente al gendarme e di lasciare fare a lui… All’attuale stato dei fatti, Monsieur
Tosoni sembra avere in mano la situazione. Non si può fare un passo senza
Monsieur Tosoni; dovunque si vada, si trova lui… Per una qualche ragione, ha
deciso che nessuno, oltre a lui, può occuparsi dell’indagine e si è sbarazzato
di tutti i parenti maschi, secondo quanto essi sostengono, in modo almeno
singolare. Sembra che abbia avversato ogni tentativo dei parenti di vedere il
cadavere.
Contribuì a dar peso ai
sospetti su Tosoni un altro fatto. Qualche giorno prima della scomparsa della
giovane, qualcuno era andato a fargli visita in ufficio, durante una sua
assenza, e aveva visto una rosa nel buco della serratura, con il nome di Daria
scritto su una piccola lavagna appesa a lato.
L’impressione generale, a
quanto lasciavano capire i giornali, sembrava essere che Daria fosse stata
vittima di una banda di malviventi, portata da questi sul fiume, violentata e
uccisa. Le Commerciel, giornale di
vasta presa, era accanitamente impegnato a combattere questa convinzione
popolare:
Siamo certi che fin qui siano state battute false piste,
come quella che porta alla Barrière du Roule… È impossibile che una persona,
ben conosciuta da mille persone come questa giovane donna, abbia potuto
superare almeno tre isolati senza che nessuno l’abbia vista. Se qualcuno l’avesse
vista se ne ricorderebbe, dato che suscitava sempre grandi attenzioni. Quando
uscì, le strade erano piene di folla… È impossibile che possa essere andata
alla Barrière du Roule in Rue des Dromes, senza essere riconosciuta da almeno
una dozzina di persone. Eppure fino a questo momento nessuno si è fatto sentire
per raccontare di averla vista fuori dalla casa di sua madre; mancano
completamente le prove che sia uscita, eccetto la testimonianza circa le
intenzioni da lei espresse. Il suo vestito era strappato, avvolto intorno al
collo e annodato; così poteva essere trascinata come un fagotto. Se l’omicidio
fosse stato compiuto alla Barrière du Roule non ci sarebbe stato bisogno di una
tale messa in scena. Il fatto che il corpo sia stato trovato mentre galleggiava
presso la Barrière, non prova che questo sia il luogo in cui è stato gettato in
acqua… Un brandello del sottabito della sventurata, lungo sessanta centimetri e
largo trenta, è stato strappato interamente e legato sotto il mento e intorno
alla nuca, probabilmente per impedire che gridasse. A farlo deve essere stato
certamente qualcuno che non usa fazzoletti da tasca.
[5 di 22. continua]
Uno o due giorni prima
della visita del prefetto Pannella, alla polizia era giunta una notizia che,
almeno in parte, sembrava rovesciare il punto nodale della ricostruzione di Le Commerciel. Due bambini, figli di una
certa Madame Bernardini, mentre giocavano nei
boschi vicino alla Barrière, addentrandosi in un punto più folto del bosco,
trovarono tre o quattro grosse pietre che formavano una specie di sedile, con
tanto di schienale e di poggiapiedi. Sulla pietra più alta c’era un sottabito
bianco, sulla seconda uno scialle di seta. Trovarono anche un parasole, dei
guanti e un fazzoletto da taschino. Il fazzoletto portava il nome di Daria
Veronesi. Sui cespugli intorno scoprirono brandelli di abiti. La terra era
smossa, i rami spezzati e tutto lasciava pensare che ci fosse stata una lotta.
Tra il boschetto e il fiume furono trovate delle staccionate abbattute e il
terreno recava le tracce di un carico pesante, trascinato. Un settimanale, Le Soleil, pubblicò sulla scoperta
questi commenti, eco dei sentimenti di tutta la stampa parigina:
È chiaro che quegli oggetti si trovavano in quel luogo da
tre o quattro settimane, almeno; erano ammuffiti dalla pioggia e la muffa li
aveva appiccicati. Intorno e sopra era cresciuta l’erba. Benché la seta del
parasole fosse resistente, i fili del tessuto nella parte interna erano
consumati, e la parte superiore, dove era stata piegata e ripiegata, era tutta
ammuffita e marcia tanto da strapparsi quando il parasole venne aperto… I
brandelli della veste, presa dai rovi, erano larghi circa sette centimetri e
lunghi quindici. Un pezzo era l’orlo della veste rammendato, l’altro un
brandello della veste ma non l’orlo. Sembravano strisce strappate, impigliate
nei cespugli a trenta centimetri da terra… Non ci sono dubbi: è stato scoperto
il luogo dove è stato commesso questo efferato delitto.
In seguito alla scoperta,
spuntarono nuovi testimoni. Madame Bernardini dichiarò che gestiva una locanda
sul fiume, poco distante dalla riva, di fronte alla Barrière du Roule. Una zona
molto isolata. La locanda serve la domenica da ritrovo dei delinquenti di
città, che attraversano il fiume in barca. Intorno alle tre del pomeriggio di
quella domenica, era arrivata alla locanda una ragazza, in compagnia di un
giovane dalla pelle scura. I due erano rimasti per un po’ di tempo. Andando via
si erano diretti verso il bosco. La Bernardini era stata colpita
dall’abbigliamento della ragazza perché somigliava a quello di una sua parente
morta; aveva notato soprattutto uno scialle. Poco dopo la partenza dei due, era
arrivata una banda di screanzati che avevano fatto un gran chiasso, avevano
mangiato e bevuto e se ne erano andati senza pagare per la stessa strada dei
due giovani, ritornando verso il tramonto per riattraversare il fiume con
l’aria di chi aveva molta fretta.
La stessa sera, era da
poco buio, Madame Bernardini e il suo figliolo più grande udirono gridare una
donna, non lontano dalla loro locanda. Erano grida violente ma brevi. Madame Bernardini
riconobbe sia lo scialle trovato nel boschetto che il vestito addosso al
cadavere. Un conducente di omnibus, Crocicchio,
dichiarò di aver visto Daria Veronesi mentre attraversava il fiume su di un
traghetto, la domenica, insieme a un giovane dalla carnagione scura. Valance
conosceva Daria e non si poteva sbagliare. Gli oggetti ritrovati nel bosco
furono tutti identificati dai parenti di Daria.
Tutti gli articoli sulle
testimonianze e le notizie che Bertè, secondo il suggerimento di Dupuis,
raccolse dai giornali, toccavano un solo altro punto, ma che sembrava poco
importante. Risulta che dopo il ritrovamento degli abiti, nelle vicinanze del
luogo, universalmente considerato scenario della violenza, su trovato il corpo
quasi senza vita di Strik-Lievers, fidanzato di Daria. Lì accanto fu trovata
una fiala vuota con su scritto “Laudanum”. Dall’alito si capì che si era
suicidato col veleno. Morì senza una parola. Addosso gli trovarono un biglietto
in cui dichiarava il suo amore per Daria e la sua intenzione di uccidersi.
[6 di 22. continua]
“Non è il caso che le
dica che questo è un caso molto più complesso di quello della Rue Morgue”,
disse Dupuis, terminata la lettura degli appunti di Bertè. “È diverso da quello
in un punto sostanziale. Questo è un caso di delitto ordinario anche se atroce.
Non vi è nulla di outré. Mi dirà che
per questo motivo il mistero è stato considerato di facile soluzione, quando
proprio per questo motivo si sarebbe dovuto considerare difficile. Perciò,
all’inizio, non si è pensato di offrire una taglia. I mirmidoni di Pannella non
si sono dati da fare per capire come e perché si potesse commettere una tale
atrocità. Hanno potuto immaginare un modo… molti modi e un movente… molti
moventi. Visto che non era impossibile che uno di questi doveva esserlo. Ma la
facilità con cui si concepivano tali variabili fantasie e la ovvia credibilità
di ognuna di esse, dovevano essere indice della difficoltà e non della facilità
che si sarebbero incontrate per spiegarle. Ho altre volte sostenuto che
soltanto sollevandosi dal piano della normalità, la ragione sente, se la cerca,
la strada della verità e che, in casi simili, la domanda non è ‘che cosa è
avvenuto che non è mai avvenuto prima’? nelle indagini in casa di Madame Rodriguez gli agenti di Pannella furono scoraggiati
e delusi dalla eccezionalità che invece a una mente logica avrebbe dato il
presagio di riuscire; lo stesso intelletto avrebbe potuto cadere nella
disperazione davanti alla normalità che aveva davanti agli occhi nel caso della
profumiera e che ai funzionari della prefettura, invece, non ha suggerito altro
che un facile successo. Nel caso di Madame Rodriguez e di sua figlia, non
c’erano dubbi, fin dall’inizio, sul fatto che fosse stato commesso un delitto.
L’idea del suicidio poteva subito essere scartata. Anche in questo caso, fin
dall’inizio, si può evitare di supporre un suicidio. Il corpo fu trovato alla
Barrière du Roule in condizioni tali da escludere dubbi su questo fondamentale
punto. Si è invece avanzato il sospetto che il cadavere scoperto non sia quello
di Daria Veronesi; per la cattura del suo assassino, o dei suoi assassini, è
stata messa una taglia e soltanto a queste condizioni abbiamo accettato
l’incarico del prefetto Pannella. Conosciamo entrambi bene questo signore. Non
mi pare il caso di contare troppo su di lui. Se cominciando le nostre indagini
dalla scoperta del corpo seguendo ogni traccia identificassimo l’assassino ma
scoprissimo anche che non si tratta del corpo di Daria, oppure, se cominciando
da una Daria viva la ritrovassimo non-assassinata, ebbene, in entrambi i casi,
sprecheremmo il nostro lavoro; come dicevo, sappiamo come è Monsieur Pannella.
Per i nostri intenti, se non per quelli della giustizia, per prima cosa, è
indispensabile la verifica dell’identità del cadavere con la Daria Veronesi
scomparsa. “Nell’opinione pubblica gli argomenti de L’Etoile hanno trovato credito; che il giornale li ritenga validi,
lo si capisce dall’attacco di uno dei loro articoli in proposito: ‘molti
quotidiani del mattino’, dice, ‘parlano del conclusivo articolo de L’Etoile di lunedì’. A me, l’articolo
pare conclusivo solo nello zelo dell’estensore. Dobbiamo tenere a mente che, in
generale, fare sensazione, colpire le fantasie, per i nostri giornali è più
importante che volere la verità. La verità è interessante soltanto quando
coincide con la sensazione. La stampa che segua solo opinioni correnti, anche
se anche se si tratti di opinioni fondate, non ha credito fra la massa. La
massa considera profondo soltanto chi suggerisce aspre contraddizioni con le
idee generali. Nella logica, non meno che nella letteratura, il più pungente è
l’epigramma e anche il più universalmente apprezzato; in entrambi i campi, è
quello più a buon mercato. Quello che voglio dire è che l’idea che Daria fosse
viva, prima che plausibile, è un’idea che sposa epigramma e melodramma, un
insieme che ha convinto L’Etoile
perché dava garanzie di poter essere favorevolmente accolto dal pubblico.
Esaminiamo i punti cruciali degli argomenti del giornale, evitando le
incoerenze in cui cade all’inizio. Il primo obiettivo del giornalista è
dimostrare che l’intervallo tra la scomparsa di Daria e il ritrovamento del
cadavere galleggiante è troppo breve, e che quel cadavere non può essere di
Daria. Ridurre sempre più questo intervallo diventa il primo scopo del nostro ragionatore
Suttora. Per raggiungerlo rapidamente, precipita subito nella pura
supposizione. ‘È folle supporre che il delitto, se delitto fu commesso sul suo
corpo, sia stato commesso tanto per tempo da permettere agli autori di gettare
il corpo nel fiume prima di mezzanotte’, così dice l’articolista Suttora.
[7 di 22. continua]
“La prima domanda da
farsi”, si chiese retoricamente Dupuis, “è: perché? Perché è folle pensare che
il delitto sia stato commesso nei primi cinque minuti successivi all’uscita di
casa della ragazza? Perché sarebbe follia immaginare che il delitto sia stato
compiuto in un’ora qualunque del giorno? I delitti si commettono a ogni ora del
giorno. Ma, commesso il delitto, in un qualunque momento tra le nove del
mattino e un quarto alla mezzanotte di domenica, ancora ci sarebbe stato tempo
‘per gettare il corpo nel fiume prima di mezzanotte’. La supposizione de L’Etoile significa esattamente questo:
il delitto non fu commesso la domenica e, se permettiamo che L’Etoile lo supponga, possiamo poi
permettergli ogni licenza. Il paragrafo che dice ‘È folle suppore che il
delitto etc’ per quanto sia apparso scritto su L’Etoile, si può immaginare che esistesse nella testa dello
scrivente in questa forma: ‘È folle supporre che il delitto, se fu commesso
delitto sul corpo che ci interessa, sia stato commesso abbastanza presto da
permettere agli assassini di gettare il corpo nel fiume prima di mezzanotte; è
folle, diciamo, supporre tutto questo e nello stesso tempo (come abbiamo deciso
di supporre) che il corpo non sia stato gettato nel fiume fin dopo la
mezzanotte’. Una frase illogica in sé, ma non totalmente irragionevole, come
quella stampata. Se solo volessi confutare questo passaggio delle valutazioni
de L’Etoile, mi limiterei a lasciarlo
dove sta. Non dobbiamo però misurarci con L’Etoile
ma con la verità. L’affermazione in questione, così com’è, ha un solo
significato: questo significato l’ho già chiarito; è essenziale invece, leggere
tra le righe, per cogliere l’idea che le parole avevano intenzione di
esprimere, senza riuscirci. Il disegno del giornalista era di dire che
qualunque fosse l’ora del delitto, la domenica, di giorno o di notte, non era
possibile che gli assassini si avventurassero a trasportare il cadavere al
fiume prima di mezzanotte. Proprio questa è l’affermazione che non mi soddisfa:
presume che il delitto sia stato commesso in un luogo e in certe circostanze da
rendere necessario il trasporto del cadavere al fiume. Ma il delitto poteva
essere commesso sulle rive del fiume, o sul fiume stesso, per cui gettare il
corpo in acqua in qualunque momento, di giorno o di notte, sarebbe stato il
modo più ovvio e immediato di farlo scomparire. Capirà che non sto suggerendo
niente di probabile o di coincidente con la mia opinione. Il mio scopo per ora
non sono i fatti del caso. Desidero invece metterla in guardia contro tutto il
tono delle insinuazioni de L’Etoile,
sottolineandone il carattere di ex-parte
che assume fin dall’inizio. Avendo posto un limite che si confaccia ai suoi
preconcetti, presumendo che, se si trattava del corpo di Daria, non poteva
essere in acqua che da poco tempo, il giornale continua così…”
Tutta l’esperienza ha dimostrato che i corpi degli
annegati o di chi è stato gettato in acqua dopo una morte violenta, hanno
bisogno di sei-dieci giorni di decomposizione prima di riaffiorare dall’acqua.
Anche se si fa venire a galla un cadavere a colpi di cannone, se non sono
passati almeno sei giorni, lasciato andare, il corpo va a fondo.
“Sono affermazioni che
tutti i giornali hanno accettato, salvo Le
Moniteur che, in un suo articolo, contestando l’affermazione sui ‘corpi
annegati’ cita cinque o sei casi di riaffioramento di corpi entro un tempo
inferiore a quello su cui L’Etoile
insiste. In questo tentativo di contestazione di Le Moniteur, citare casi specifici per respingere un’affermazione
generale, con esempi particolari che possono essere contraddittori, è un segno
di gravi limiti speculativi. Se fosse stato possibile portare cinquanta esempi,
anziché cinque, di di corpi riemersi dopo due o tre giorni sarebbero sempre
state eccezioni alla regola, finché non fosse stata confutata proprio la
regola. Ammessa la regola – non confutata perché Le Moniteur sottolinea che i suoi esempi sono eccezioni -, tutta
l’impostazione de L’Etoile resta in
piedi. Gli esempi sono dati per suggerire la probabilità che il corpo possa
essere venuto a galla prima di tre giorni: la probabilità favorisce L’Etoile, finché gli esempi, così
ingenuamente addotti, non saranno tanto numerosi da stabilire una regola
contraria”.
[8 di 22. continua]
“Ogni argomentazione in
proposito”, continuò Dupuis, “dovrebbe tendere a confutare la regola stessa; a
questo fine va esaminata la base logica della regola. Ora il corpo umano in
generale, non è né più leggero né più pesante dell’acqua della Senna; vale a
dire che il peso specifico del corpo umano, in condizioni naturali, è grosso
modo uguale alla massa di acqua dolce che sposta. I corpi di persone grasse,
carnose e con ossa piccole, e in genere i corpi delle donne, sono più leggeri
di quelli magri e con ossa forti come quelle degli uomini; inoltre il peso
specifico dell’acqua di fiume è condizionato dalla presenza di correnti di
acqua di mare. Ma trascurando le correnti, si può dire che pochissimi corpi
umani affondino del tutto, anche in acqua dolce, spontaneamente. Chiunque
cadendo in acqua può restare a galla, se fa in modo che il peso specifico
dell’acqua che sposta sia pari al suo, cioè se fa in modo che l’intera persona
resti quanto più possibile sotto il livello dell’acqua. La posizione
preferibile per chi non sappia nuotare, è quella eretta, come quella di chi
cammina con la testa piegata all’indietro nell’acqua solo con la bocca e le
narici in superficie. Questa posizione permette di galleggiare senza difficoltà
e senza sforzo. È evidente che, peso del corpo e massa d’acqua spostata sono in
un equilibrio instabile che un niente può rompere. Per esempio, sollevare un
braccio fuori dall’acqua privandolo così di ogni sostegno, fa aumentare il peso
del corpo rispetto all’acqua, quanto basta per andare sotto con la testa,
quando l’aiuto casuale anche del più piccolo pezzo di legno basterebbe a tenere
la testa più sollevata, per potersi guardare intorno. Ora chi non sa nuotare,
invece, si agita, tende a sollevare le braccia, a tenere su la testa nella
posizione abituale. Il risultato è che bocca e narici finiscono sott’acqua, si
cerchi di respirare anche sotto la superficie e si incamera acqua nei polmoni.
L’acqua va anche nello stomaco, il peso del corpo aumenta per la differenza di
peso tra l’aria leggera che prima occupava queste cavità e quella del liquido
che ora le riempie. Questa sola variazione basta a fare affondare un corpo; non
basta però per individui dalle ossa piccole e dalle carni molli o pingui.
Questi galleggiano anche dopo l’annegamento. invece il corpo resterà sul fondo,
finché non intervenga, per qualche ragione, una variazione del suo peso
specifico che lo renda inferiore a quello dell’acqua che sposta. Una ragione,
per esempio, può essere la decomposizione o altro. La decomposizione produce
gas che dilatano i tessuti delle cellule e gli spazi cavi, dando al corpo
quell’orribile aspetto gonfio. Quando la dilatazione aumenta materialmente il
volume del corpo, senza aumentarne il peso o la massa, il peso specifico
diventa minore di quello dell’acqua spostata e il corpo viene a galla. La
decomposizione, però, è un processo che può essere ritardato o affrettato da
molteplici cause: dal caldo, dal freddo della stagione; dalla presenza di
agenti chimici o dalla purezza dell’acqua, dalla profondità, dalla mobilità
dell’acqua, più o meno stagnante; dalla costituzione fisica o dallo stato di
salute o malattia, prima della morte. È perciò chiaro che non è possibile
stabilire, nemmeno per approssimazione, in quanto tempo un corpo, per effetto
della decomposizione, venga a galla. In certi casi basta un’ora, in altri non
si verifica affatto. Esistono sostanze chimiche, come il bicloruro di mercurio,
che preservano per sempre il corpo dalla decomposizione. A parte la
decomposizione, si può verificare e si verifica, una produzione di gas nello
stomaco, o di altro gas in cavità diverse, per effetto della fermentazione
acetosa di sostanze vegetali, che ingenera dilatazione e porta a galla il
corpo. Il colpo di cannone produce una semplice vibrazione. Questa può smuovere
un corpo dal molle fango o dal limo del fondo in cui è incastrato e lo farà
emergere quando altri fattori lo avranno già predisposto a questo; oppure può
vincere la tenacia di alcune parti putrescenti del tessuto cellulare facendo
distendere le cavità sotto la pressione dei gas. Avendo sotto gli occhi tutta
la logica del soggetto, possiamo finalmente verificare la validità dell’affermazione
de L’Etoile…”
Tutta l’esperienza ha dimostrato che i corpi degli
annegati o di chi è stato gettato in acqua dopo una morte violenta, hanno
bisogno di sei-dieci giorni di decomposizione prima di riaffiorare dall’acqua.
Anche se si fa venire a galla un cadavere a colpi di cannone, se non sono
passati almeno sei giorni, lasciato andare, il corpo va a fondo.
[9 di 22. continua]
“Ormai l’intero paragrafo
appare un intreccio di incoerenza e di illogicità”, proseguì Dupuis. “L’esperienza
non mostra che ‘i corpi degli annegati’ richiedono sei giorni di decomposizione
per tornare a galla. Scienza e esperienza mostrano che non è possibile
prevedere quanto tempo sia necessario per tornare in superficie. Se poi un
corpo è fatto riemergere con un colpo di cannone, non è vero che ‘va di nuovo a
fondo, se lasciato andare’ finché la decomposizione non sarà avanzata fino a
permettere la fuoriuscita dei gas. È interessante invece prestare attenzione
alla differenza insinuata tra ‘corpi di annegati’ e ‘corpi gettati in acqua,
dopo una morte violenta’; l’autore introduce la distinzione ma apparenta i due
tipi nella stessa categoria. Ho dimostrato che il corpo umano mentre annega
diventa più pesante della massa d’acqua spostata; che se non ci si dibattesse
non si affonderebbe affatto; che non dovremmo né alzare le braccia né tantomeno
respirare quando la testa è sott’acqua: in questi tentativi ingoiamo acqua che
va anche nei polmoni al posto dell’aria. Ma tutti questi atti e gesti disperati
non intervengono in un corpo ‘gettato in acqua dopo una morte violenta’. In
quest’ultimo caso, per regola generale, il corpo non affonderebbe affatto, e
questo L’Etoile sembra ignorarlo. Un cadavere affonda solo quando è in un avanzato
stato di decomposizione – quando ormai la carne si è completamente staccata
dalle ossa -, solo allora e non prima il cadavere scompare alla vista. Allora,
che fare per l’argomentazione per cui il corpo trovato non sarebbe quello di
Daria Veronesi solo perché fu trovato a galla a tre giorni appena dalla
scomparsa? Essendo una donna, in caso di annegamento potrebbe non essere mai
andata a fondo, o se fosse andata a fondo potrebbe essere riemersa dopo sole
ventiquattro ore o meno. Ma nessuno pensa che sia morta annegata; e se fosse
morta prima di essere gettata nel fiume avrebbe potuto galleggiare, senza mai
affondare. Ma L’Etoile dice che ‘se
il corpo, sottoposto a sevizie, fosse rimasto sulla riva fino a martedì, lì si
sarebbero dovute trovare tracce degli assassini’. Non si capisce bene a che
cosa miri il nostro ragionatore Suttora. Sembra voler prevenire un’obiezione,
come la vede lui, alla sua teoria, quella per cui il corpo, tenuto due giorni a
riva, si sarebbe decomposto più rapidamente che se gettato in acqua. In questo
caso il corpo sarebbe emerso il mercoledì presupponendo che soltanto così
sarebbe potuto riaffiorare. Per questo si precipita a dimostrare che non fu
tenuto a riva, altrimenti ‘si sarebbero trovate tracce degli assassini’. Mi
rendo conto di quanto la faccia sorridere il sequitur. Si starà chiedendo come, rimanendo semplicemente sul
greto, il cadavere possa moltiplicare le tracce degli assassini. Me lo chiedo
anch’io. Scrive ancora il nostro giornale…”
Infine, è molto improbabile che i criminali autori del
delitto abbiano gettato il corpo in acqua, senza un peso che lo facesse
affondare, una precauzione molto facile da prendere.
“Una risibile confusione
di idee! Nessuno, nemmeno L’Etoile,
mette in discussione che un omicidio sia stato commesso sul corpo trovato. I
segni di violenza sono troppo evidenti. Obiettivo del nostro ragionatore
Suttora è soltanto quello di dimostrare che quel corpo non è quello di Daria.
Egli si augura di provare che Daria non è stata assassinata e non che sia stato
assassinato quel cadavere. La sua osservazione prova soltanto l’ultimo punto.
C’è un cadavere senza pesi attaccati. Degli assassini, gettandolo in acqua, non
avrebbero mancato di attaccarvi un peso. Ne consegue che non fu gettato in
acqua da assassini. Questo è tutto quanto viene dimostrato, se qualcosa lo è.
La questione dell’identità non è nemmeno sfiorata, e L’Etoile si dà una gran pena a smentire a questo punto quello che
aveva ammesso appena un momento prima: ‘Siamo convinti – dice – che il corpo trovato
sia quello di una donna assassinata’. Ma non è questo il solo caso in cui
questo ragionatore Suttora, senza volere, ragiona contro sé stesso. Il suo
obiettivo, come ho sempre sostenuto, è quello di ridurre al minimo l’intervallo
tra la scomparsa di Daria e il ritrovamento del cadavere. E lo troviamo ad
insistere sul fatto che nessuno ha più visto la ragazza dal momento che ha
lasciato la casa della madre, ‘Non ci sono prove – dice – che Daria fosse viva
dopo le nove di mattina di domenica 22 giugno’. Poiché la sua argomentazione è
un partito preso, se si fosse venuto a sapere che qualcuno aveva visto Daria,
diciamo il lunedì o il martedì, l’intervallo in questione sarebbe diminuito di
molto e, in base al suo ragionamento, sarebbe diluita la probabilità che il
corpo in questione fosse quello della grisette.
Il divertente è invece che su questo punto L’Etoile
insiste con la convinzione totale che rafforzi la sua tesi”.
[10 di 22. continua]
“Rilegga ora”, si rivolse
Dupuis a Bertè, “quel pezzo di articolo che riguarda l’identificazione del
cadavere da parte di Tosoni. A proposito dei peli sul braccio, L’Etoile si dimostra ovviamente falso.
Monsieur Tosoni non è un idiota, e non avrebbe mai basato la sua
identificazione solo sui peli del braccio. Non c’è braccio senza peli. Questa
genericità espressa non è altro che un travisamento delle frasi adoperate dal
testimone, il quale deve aver parlato di una qualche particolarità di questi
peli. Qualche cosa legata al loro colore, o alla quantità, o alla lunghezza o
alla loro collocazione. Diceva il giornale…”
Il suo piede era piccolo, ma di piedi così ne esistono
migliaia. Non è una prova la sua giarrettiera e non è una prova la sua scarpa,
di giarrettiere e scarpe ne vengono vendute in grande quantità. E lo stesso
dicasi per i fiori sul cappello. Una cosa su cui Monsieur Tosoni insiste è che
il gancio della giarrettiera era spostato all’indietro per accorciarla. Anche
questo non dice niente; molte donne comprano normalmente giarrettiere che poi
vengono adattate a casa alla dimensione delle gambe, piuttosto che provarle nel
negozio.
Ebbene, questo ragionatore
Suttora non si può prenderlo sul serio. Se Monsieur Tosoni, alla ricerca del
corpo di Daria, avesse trovato un cadavere somigliante alla scomparsa nella
taglia e nell’aspetto, avrebbe potuto, senza alcun riferimento
all’abbigliamento, convincersi che la ricerca non era stata inutile. Se, in
aggiunta alla corrispondenza di taglia e di tratti, avesse trovato sulle
braccia quel tipo particolare di peli che aveva visto su Daria da viva, la sua
opinione si sarebbe giustamente rafforzata; l’aumento di certezza sarebbe stato
proporzionale alla stranezza, al grado di particolarità di quei peli. Se i
piedi di Daria erano piccoli come quelli del cadavere, la probabilità che il
corpo fosse di Daria sarebbe aumentata non più in progressione aritmetica ma
addirittura in progressione geometrica. Bisogna aggiungere a tutto le scarpe
che si sapeva la ragazza portava il giorno della scomparsa, e anche se queste
‘scarpe ne vengono vendute in grande quantità’, la probabilità ormai sconfina
nella certezza. Un particolare che di per sé non è una prova di identità,
quando ha una posizione di convalida, diventa una prova sicura. Se poi
aggiungiamo i fiori sul cappello che corrispondano a quelli portati dalla
scomparsa, non cercheremo altro. Se un solo fiore ci basterebbe per non andare
oltre, figuriamoci due o tre o molti. Ogni ulteriore fiore è una prova
multipla, non aggiunta a un’altra prova ma moltiplicata per cento o per mille.
Scopriamo poi che la morta porta giarrettiere come quelle usate dalla viva; è
follia andare oltre. Si scopre che le giarrettiere, spostando un gancio
indietro, sono come le aveva accorciate a casa sua Daria, poco prima di uscire.
Ora diventa pazzo o ipocrita dubitare. Quanto a ciò che L’Etoile dice dell’accorciamento delle giarrettiere, che sia
normale, mostra solo la pervicace insistenza nell’errore. L’elasticità delle
giarrettiere da sola è una dimostrazione della inusualità dell’accorciamento.
Quanto è stato fatto per adattarsi da sé, raramente ha bisogno di adattarsi
dall’esterno. Solo per caso le giarrettiere di Daria hanno avuto bisogno di
essere strette come descritto. Da sole sarebbero bastate a stabilire la sua
identità. Non è che si sia trovato un cadavere che aveva le giarrettiere della
ragazza scomparsa, o trovato che aveva le sue scarpe, il suo cappello o i fiori
sul cappello, o il suo piede o quei peli sul braccio, o la sua taglia e i suoi
tratti, il fatto è invece che il cadavere aveva ognuna di queste cose, e le
aveva tutte quante insieme. Se fosse possibile provare che in tali circostanze
il direttore de L’Etoile aveva
veramente un dubbio, nel suo caso sarebbe necessaria una commissione de lunatico inquisendo. Ha creduto
brillante fare da eco alle chiacchiere degli avvocati, che per lo più si
accontentano di fare da eco ai piatti comandamenti dei tribunali”.
[11 di 22. continua]
“Qui vorrei osservare”,
proseguì Dupuis, “che molte di quelle prove che i tribunali respingono sono per
l’intelletto le migliori delle prove. Il tribunale è guidato dal criterio delle
prove – secondo principi riconosciuti e codificati -, ed è contrario a deviare
da questa linea nell’esaminare casi particolari. Questa rigida aderenza al
principio, insieme al rigido disprezzo delle eccezioni in conflitto, è un modo
sicuro di conseguire il massimo di verità conseguibile, in un lungo arco di
tempo. La pratica, complessivamente, è filosofica: non per questo garantisce da
vistosi errori individuali. Come scrive Landor…”
Una teoria basata sulle qualità di un oggetto non si
svilupperà secondo i suoi oggetti; chi classifica gli argomenti secondo le
cause non può più valutarli secondo i risultati. Così la giurisprudenza di ogni
nazione mostra che la legge, quando diventa scienza e sistema, smettere di
essere giustizia. Gli errori in cui il cieco rispetto dei principi di
classificazione ha spinto il diritto comune, appariranno se si considera quanto
spesso il potere legislativo è dovuto intervenire per ripristinare l’equità che
il suo schema aveva perduto.
“Quanto ai sospetti su Tosoni,
basterà un soffio a cancellarli. Credo che lei abbia capito il vero carattere
del brav’uomo; direi che è un ficcanaso con molto romanticismo e poca
intelligenza. Quando si è così, ci si comporta subito, ogni volta che una
situazione è veramente eccitante, in modo da mettere in sospetto i saputoni o i
malevoli. Come lei annota nei suoi appunti, Tosoni ha incontrato il direttore
de L’Etoile e lo ha offeso perché si
ostinava, contro il suo parere, a credere che il cadavere fosse proprio quello
di Daria. ‘Costui insiste – dice il giornale – nell’asserire che il cadavere
sia quello di Daria, ma non sa fornire dati di fatto, oltre quelli già da noi
commentati, per convincere gli altri’. Ora, a parte che prove più schiaccianti
‘per convincere gli altri’ non avrebbero potuto esserci, mi interessa
sottolineare che in casi del genere si può essere personalmente convinti e non
sapere trovare ragioni che convincano gli altri. Niente è più vago delle
impressioni sulla identità individuale. Ognuno sa riconoscere il proprio vicino
di casa ma in molti casi non sa dare una ragione del perché lo riconosce. Il
direttore de L’Etoile non aveva il
diritto di sentirsi offeso per questo convincimento irriflessivo di Tosoni. Le
circostanze sospette che lo coinvolgono sono da mettere in relazione con la mia
ipotesi di una sua natura di romantico ficcanaso che non con le insinuazioni di
colpevolezza del nostro ragionatore Suttora. Se si accetta questa
interpretazione indulgente, non sarà difficile capire quella rosa nel buco
della serratura, il nome Daria scritto sulla lavagnetta, il fatto di ‘essersi
sbarazzato di tutti i parenti maschi’ e l’essere contrario ‘a ogni tentativo
dei parenti di vedere il cadavere’, l’avvertimento a Madame
Bandinelli di non parlare con il gendarme senza che lui, Tosoni, fosse
tornato e infine la sua decisione ‘che nessuno oltre lui può occuparsi
dell’indagine’. Mi sembra chiaro che Tosoni fosse uno degli spasimanti di Daria
e che lei civettava con lui; Tosoni ci teneva a farsi credere un suo amico e
confidente. Su questo punto non aggiungerò altro; visto che l’affermazione de L’Etoile sulla apatia della madre e
degli altri parenti è evidentemente falsa – perché incompatibile con la loro
certezza che il cadavere fosse quello della profumiera -, procederemo come se
la questione dell’identità fosse risolta con nostra completa soddisfazione”.
“Che ne pensa, Dupuis”,
disse Bertè, “delle opinioni di Le
Commerciel?”
[12 di 22. continua]
“Penso che”, rispose
Dupuis, “per lo spirito che le anima siano molto più degne di attenzione di
tutte le altre diffuse sul caso. Le deduzioni fatte in base alle premesse sono
logiche e acute, ma le premesse, almeno in due casi, sono basate su osservazioni
imperfette. Le Commerciel insinua
velleitariamente che Daria fu rapita da una banda di vili furfanti malviventi
non lontano dalla porta di casa…”
È impossibile che una persona, ben conosciuta da mille
persone come questa giovane donna, abbia potuto superare almeno tre isolati
senza che nessuno l’abbia vista.
“Sono chiaramente le idee
di una persona che vive da tempo a Parigi, un personaggio pubblico le cui
passeggiate in strada si svolgono nelle vicinanze degli uffici pubblici. Sa che
di rado percorre una dozzina di isolati dall’ufficio, senza essere riconosciuto
e avvicinato. Consapevole del fatto che tante persone lo conoscono, e che tante
ne conosce lui stesso, paragona la propria notorietà con quella della giovane
profumiera, non ci vede molta differenza e ne conclude che lei non poteva che
essere riconosciuta quanto lui durante le sue passeggiate. Ma questo si poteva
verificare se le passeggiate della ragazza fossero state metodiche e
invariabili come le sue, e si fossero svolte nella stessa specie di zona
circoscritta come nel suo caso. Egli si muove a intervalli regolari dentro un
perimetro fisso, dove le persone portate a notarlo sono molte, per l’affinità
di interessi dovuta alle comuni occupazioni. Ma le passeggiate di Daria, in
generale, si possono considerare saltuarie. Nel caso in questione si può
facilmente ipotizzare che abbia preso una strada diversa dalla solita. Il
parallelo che immagino sia nato nella mente di Le Commerciel potrebbe essere sostenuto solo nel caso di due
individui che attraversino tutta la città. Con la garanzia che abbiano analoghe
conoscenze, avrebbero analoghe probabilità di incontrare un analogo numero di
persone che le conosca. Per parte mia ritengo non solo possibile ma molto
probabile che Daria a un certo momento possa aver preso una qualunque strada
tra le tante che ci sono tra casa sua e casa di sua zia, senza incontrare
nessuno che lei conoscesse o che la conoscesse. Per mettere in giusta luce la
questione, dobbiamo tenere presente la sproporzione fra le conoscenze personali
di uno dei personaggi fra i più noti di Parigi e l’intera popolazione parigina.
Ma anche a voler considerare valida questa ipotesi di Le Commerciel, vista l’ora in cui la ragazza è uscita, l’ipotesi si
indebolirebbe molto. ‘Quando uscì, le strade erano piene di folla’ dice Le Commerciel. Non è così. Alle nove di
domenica la massa della gente è in casa a prepararsi per andare in chiesa. Se
si possiede spirito di osservazione, si sa che aria deserta abbia la città,
dalle otto alle dieci, la domenica. Tra le dieci e le undici le strade si
riempiono di gente, non prima. C’è un altro passaggio in cui Le Commerciel denota poco spirito di
osservazione…”
Un brandello del sottabito della sventurata, lungo
sessanta centimetri e largo trenta, è stato strappato interamente e legato
sotto il mento e intorno alla nuca, probabilmente per impedire che gridasse. A
farlo deve essere stato certamente qualcuno che non usa fazzoletti da tasca.
“Dopo vedremo se questa
osservazione abbia o no credibilità; ma il giornalista per ‘qualcuno che non
usa fazzoletti da tasca’ intende la peggiore specie di delinquenti. Proprio
quelli, invece, anche se non avessero la camicia hanno sempre con sé un
fazzoletto da tasca. Avrà notato quanto sia diventato importante per la
canaglia, negli ultimi anni, portare un fazzoletto”.
“E dell’articolo su Le Soleil, che pensa?” domandò Bertè.
“Penso che”, rispose
Dupuis, “per lo spirito che le anima siano molto più degne di attenzione di
tutte le altre diffuse sul caso. Le deduzioni fatte in base alle premesse sono
logiche e acute, ma le premesse, almeno in due casi, sono basate su osservazioni
imperfette. Le Commerciel insinua
velleitariamente che Daria fu rapita da una banda di vili furfanti malviventi
non lontano dalla porta di casa…”
È impossibile che una persona, ben conosciuta da mille
persone come questa giovane donna, abbia potuto superare almeno tre isolati
senza che nessuno l’abbia vista.
“Sono chiaramente le idee
di una persona che vive da tempo a Parigi, un personaggio pubblico le cui
passeggiate in strada si svolgono nelle vicinanze degli uffici pubblici. Sa che
di rado percorre una dozzina di isolati dall’ufficio, senza essere riconosciuto
e avvicinato. Consapevole del fatto che tante persone lo conoscono, e che tante
ne conosce lui stesso, paragona la propria notorietà con quella della giovane
profumiera, non ci vede molta differenza e ne conclude che lei non poteva che
essere riconosciuta quanto lui durante le sue passeggiate. Ma questo si poteva
verificare se le passeggiate della ragazza fossero state metodiche e
invariabili come le sue, e si fossero svolte nella stessa specie di zona
circoscritta come nel suo caso. Egli si muove a intervalli regolari dentro un
perimetro fisso, dove le persone portate a notarlo sono molte, per l’affinità
di interessi dovuta alle comuni occupazioni. Ma le passeggiate di Daria, in
generale, si possono considerare saltuarie. Nel caso in questione si può
facilmente ipotizzare che abbia preso una strada diversa dalla solita. Il
parallelo che immagino sia nato nella mente di Le Commerciel potrebbe essere sostenuto solo nel caso di due
individui che attraversino tutta la città. Con la garanzia che abbiano analoghe
conoscenze, avrebbero analoghe probabilità di incontrare un analogo numero di
persone che le conosca. Per parte mia ritengo non solo possibile ma molto
probabile che Daria a un certo momento possa aver preso una qualunque strada
tra le tante che ci sono tra casa sua e casa di sua zia, senza incontrare
nessuno che lei conoscesse o che la conoscesse. Per mettere in giusta luce la
questione, dobbiamo tenere presente la sproporzione fra le conoscenze personali
di uno dei personaggi fra i più noti di Parigi e l’intera popolazione parigina.
Ma anche a voler considerare valida questa ipotesi di Le Commerciel, vista l’ora in cui la ragazza è uscita, l’ipotesi si
indebolirebbe molto. ‘Quando uscì, le strade erano piene di folla’ dice Le Commerciel. Non è così. Alle nove di
domenica la massa della gente è in casa a prepararsi per andare in chiesa. Se
si possiede spirito di osservazione, si sa che aria deserta abbia la città,
dalle otto alle dieci, la domenica. Tra le dieci e le undici le strade si
riempiono di gente, non prima. C’è un altro passaggio in cui Le Commerciel denota poco spirito di
osservazione…”
Un brandello del sottabito della sventurata, lungo
sessanta centimetri e largo trenta, è stato strappato interamente e legato
sotto il mento e intorno alla nuca, probabilmente per impedire che gridasse. A
farlo deve essere stato certamente qualcuno che non usa fazzoletti da tasca.
“Dopo vedremo se questa
osservazione abbia o no credibilità; ma il giornalista per ‘qualcuno che non
usa fazzoletti da tasca’ intende la peggiore specie di delinquenti. Proprio
quelli, invece, anche se non avessero la camicia hanno sempre con sé un
fazzoletto da tasca. Avrà notato quanto sia diventato importante per la
canaglia, negli ultimi anni, portare un fazzoletto”.
“E dell’articolo su Le Soleil, che pensa?” domandò Bertè.
[13 di 22. continua]
“Che è un peccato che il
suo direttore Bordin non sia nato pappagallo”, replicò
Dupuis, “sarebbe stato il pappagallo più illustre della sua razza. Non ha fatto
altro che ripetere punto per punto tutti gli articoli già pubblicati; un
impegnativo lavoro di raccolta, un po’ da questo e un po’ da quel giornale.
Dice…”
È chiaro che quegli oggetti si trovavano in quel luogo da
tre o quattro settimane, almeno… Non ci sono dubbi: è stato scoperto il luogo
dove è stato commesso questo efferato delitto.
“Quello che Le Soleil riafferma non rimuove nessuno
dei miei dubbi al riguardo, esamineremo questo problema più tardi in relazione
a un altro contesto e molto minuziosamente. Al momento è il caso di occuparci
di altre indagini. Avrà fatto caso all’estrema superficialità con cui è stato
esaminato il cadavere. Certo avranno rapidamente risolto il problema
dell’identità, o avrebbero dovuto; ma anche altri sono i punti da chiarire. Il
corpo era stato derubato? La defunta aveva gioielli indosso quando è uscita di
casa? Se è così, li indossava ancora quando è stata ritrovata? Interrogativi
importanti che nessuno si è posto durante le deposizioni, come altri di uguale
gravità cui non si è prestata attenzione. Per una risposta dovremo condurre
personalmente una indagine. Deve essere riesaminato il caso Strik-Lievers. Non ho sospetti su di lui. Ma
procediamo con metodo. Bisognerà verificare la validità del suo alibi per la
giornata di domenica: su tali affidavit
grava sempre il rischio della mistificazione. Tuttavia, se non c’è nulla che
non vada, elimineremo Strik-Lievers dalle nostre investigazioni. Il suo
suicidio, che solleverebbe sospetti se negli affidavit vi fosse inganno, senza inganno non è inspiegabile o tale
da farci deviare dalla direzione della nostra indagine. Nella analisi che farò
ora, trascureremo i punti centrali della tragedia per occuparci di tutti gli
aspetti collaterali. L’errore più ricorrente in indagini del genere è quello di
limitare l’inchiesta all’immediato trascurando i fatti periferici o
circostanziali. Per una pessima abitudine dei tribunali, testimonianze e
dibattito vengono circoscritti alle cose che sembrano avere importanza.
L’esperienza al contrario ha mostrato – e la vera filosofia mostrerà sempre -,
che una vasta parte, forse la principale, della verità nasce da particolari che
sembrano insignificanti. Perciò nello spirito di questo principio, se non
proprio nella lettera, la scienza moderna ha deciso di calcolare l’imprevisto.
Ma forse lei non mi comprende? La storia della conoscenza umana ha dimostrato
che siamo ininterrottamente debitori a fatti collaterali, o incidentali o
accidentali si numerosissime scoperte, e le più importanti: alla fine è
diventato indispensabile perciò, in una prospettiva di progresso, tener conto
nella massima misura delle invenzioni nate dal caso e che sono molto al di
fuori dell’ambito del prevedibile. Ormai non è più logico basarsi su quello che
è stato, per una visione di ciò che
sarà. Il caso è accettato come parte della struttura portante. Abbiamo la
possibilità di calcolare il caso e sottoporre l’inatteso e il non immaginato a
formule matematiche scolastiche. Che la maggior parte della verità scaturisca
da cause collaterali, è un fatto; seguendo questo principio devio la mia
ricerca dal terreno battuto e, fino a questo momento, non produttivo
dell’avvenimento in sé, per spostarmi su circostanze concomitanti. Mentre lei
accerterà la validità delle deposizioni, io esaminerò più a fondo i giornali.
Finora abbiamo sondato il campo delle indagini; sarebbe strano che una analisi
come io la intendo, dei giornali, non ci offrisse quei particolari minuti che
potrebbero indirizzare la nostra indagine”.
Con questi suggerimenti
di Dupuis, Bertè prese a esaminare, con grande scrupolo, le deposizioni. Il
risultato fu la certezza della loro validità e, di conseguenza, l’innocenza di Strik-Lievers.
Nello stesso tempo il suo amico era immerso in un esame, di una scrupolosità
che gli sembrava del tutto eccessiva, degli archivi di tutti i giornali.
[14 di 22. continua]
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