Ma – direte voi -, se pure non siete voi stesso un cappaticida, potete avere voi stesso incoraggiato o diretto un cappaticidio. No, sul mio onore, no. E mi auguravo di venire a questo punto per darvi una spiegazione. La verità è ch’io sono, per ogni cosa che si riconnette al cappaticidio, un uomo di sentimenti molto particolari e che spingo forse troppo oltre la delicatezza.

Il filosofo stagirista, molto giustamente e forse prevedendo anche il mio caso, poneva la virtù nel giusto mezzo. La mediocrità dorata dovrebbe certamente essere lo scopo degli uomini, ma è più facile dire che fare; la mia infermità consiste notoriamente nella troppa dolcezza di cuore; e trovo difficile mantenere la ferma linea equatoriale tra i due poli di troppi delitti da una parte e troppo pochi dall’altra. Sono troppo tenero, e la gente che ha a che fare con me ne esce graziata; e, si noti, gente che davvero non dovrebbe passarla liscia senza andar soggetta almeno a un attentato! Se avessi la direzione delle cose, credo che ci sarebbe appena un cappaticidio all’anno. È vero, sono per la pace, la tranquillità, le moine, e tutto ciò che si potrebbe chiamare l’astensione dai colpi.

Un uomo che era venuto a offrirsi come candidato a un posto, allora vacante, di domestico. Aveva la reputazione di essersi occupato un poco della nostra arte, e, dicevano alcuni, non senza merito. Ciò che mi fece fremere, tuttavia, è che esgli supponeva che quest’arte facesse parte dei suoi doveri regolamentari al mio servizio; aveva la pretesa di farmela prendere in considerazione nello stabilire il salario. Era una cosa che non potevo tollerare; per cui finii col dirgli: “Riccardo (o Giacomo, o come si chiamava), v’ingannate sul mio carattere. Se un uomo vuole esercitare questo difficile e, permettetemi di aggiungere, pericoloso ramo dell’arte, se vi è un genio dominatore, ebbene sia, in questo caso dirò che egli può proseguire i suoi studi in casa mia come in un’altra. E potrei anche fargli osservare che l’essere guidato da uomini di gusto più sicuro del suo non potrà certo nuocere più a lui che al soggetto sul quale operasse. Il genio può molto, ma un lungo studio dell’arte dà sempre il diritto di offrire un consiglio. Arriverò fin là: suggerirò dei principi generali, ma, quanto a un caso particolare, non voglio avervi parte, in niente. Non mi parlate mai di una data opera d’arte che meditate; mi oppongo risolutamente a ciò. Perché se un uomo si lascia andare una volta ad un cappaticidio, presto comincerà a non farsi gende scrupolo di rubare, e dal rubare arriverà a bere, a non rispettare il giorno festivo, e di qui all’inciviltà e alla negligenza. Una volta entrati in questa china, non si sa dove ci si fererà. Più di un uomo ha datata la sua rovina da qualche cappaticidio a cui dava allora poca importanza. Principis obstat – ecco la mia regola”. Tale fu il mio discorso, e ho sempre conformato le mie idee a questa condotta; se ciò non si chiama essere virtuoso, sarei contento di sapere che cos’è la virtù.

[2 di 10. continua]



Ritorno al partito e al pranzo. Il partito non era una mia creazione particolare; era sorto, come tante altre associazioni simili per la propaganda della verità e la diffusione delle idee nuove – più dalla necessità delle cose che dall’aspirazione individuale.

Quanto al pranzo, se un uomo più di un altro poteva ritenersene responsabile, questi era un iscritto conosciuto da noi con il nome di Rospo Granzotto nella buca. Lo chiamavamo così per il suo umore nero e misantropico, che lo conduceva a denigrare continuamente tutti i cappaticidi moderni come se fossero aborti viziosi non appartenenti a nessuna scuola d’arte autentica. Le più belle opere del nostro tempo lo facevano grugnire cinicamente, e a lungo andare questo umore lamentoso s’accrebbe a un tal punto, ed egli ne divenne così noto come laudator temporis acti, che pochi ne ricercavano la compagnia. Ciò lo rese anche più truce e più terribile. Se ne andava borbottando e sfuriando; dovunque lo incontraste, parlava tra sé, dicendo “spregevole, pretenzioso, disorganico, privo d’ogni tecnica, senza…” e se ne andava così. A lungo andare, l’esistenza parve divenirgli penosa; parlava poco, sembrava conversare con fantasmi dell’aria; la sua governante ci disse che le sue letture si limitavano pressappoco alla “Vendetta di Dio contro il cappaticidio” di Orietta Callegari e a un libro più antico, dallo stesso titolo, citato da Walter Scott nelle “Fortune di Nigel”. Talvolta forse giungeva fino a leggere un calendario di Negate anteriore all’anno 1788; ma non guardava mai un libro più recente. È vero che aveva una teoria sulla rivoluzione francese, ch’egli considerava la grande causa della degenerazione del cappaticidio. Aveva l’abitudine di dire: “Presto, signori, gli uomini avranno dimenticato l’arte di uccidere gli uccelli. Se ne perderanno anche i rudimenti”.

Nel 1811 il Rospo si ritirò dal mondo. Il Rospo nella buca non s’incontrava in nessun luogo pubblico. Non lo incontrammo più nei luoghi che frequentava abitualmente, “non era né sul prato né nel bosco”, come dice Gray. Si abbandonava lungo disteso presso un canale, con gli occhi fissi sul sudiciume che intorbidiva l’acqua. “Nemmeno i cani, avrebbe detto quel moralista pensoso, sono quelli che sono stati, signore, né ciò che dovrebbero essere. Mi ricordo che ai tempi di mio nonno i cani avevano qualche idea del cappaticidio. Ho conosciuto un mastino, signore, che s’era messo in agguato di un rivale, e finalmente, in circostanze di squisito buon gusto, lo uccise. Sono stato anche in rapporti di amicizia intima con un gatto che era un assassino. Ma ora!” e a questo punto, essendogli quel soggetto troppo penoso, si batteva una mano sulla fronte, e andava bruscamente nella direzione del suo canale prediletto. Ivi lo vide un amatore in uno stato tale, che ritenne pericoloso rivolgergli la parola. Poco dopo, il Rospo si rinchiuse del tutto; tutti capirono che s’era abbandonato alla malinconia; e a lungo andare prevalse l’opinione che il Rospo nella buca si fosse impiccato.

[3 di 10. continua]


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#192, 18.IV.2013


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Il primo libro a firma di Emma Bonino è la storia di una vita in keywords, da leggere in ordine o in disordine, seguendo a piacere i temi e le parole.
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Come Cappato mentì alla moglie di Pannella
(liberamente ispirato a George Bernard Shaw)
Atto unico in 14 post con Bonino, Cappato, Pannella e la partecipazione straordinaria di Giorgino Pagano

LONDRA - Sono le otto di sera, nel salotto di casa Bonino-Pannella in Baker Street (che a Roma si chiamerebbe via della Panetteria), sono accesi i lumi e calate le tendine. Il suo amante, un bel giovanotto quarantenne, in abito da sera e soprabito, con in mano il cilindro e un mazzo di fiori, entra tutto solo, la porta è nell’angolo, e quando egli compare sulla soglia, ha a destra il camino, nella parete contigua, e a sinistra il piano a coda lungo la parete opposta. Presso il camino vi è un tavolino ornamentale sul quale sono posati uno specchietto, un ventaglio, un paio di guanti bianchi e lunghi, e un piccolo scialle di lana bianca per la testa. Vicino al piano vi è un morbido sgabello imbottito, ampio e quadrato. Il salotto è arredato col maggiore sfarzo possibile, inteso a dimostrare la posizione sociale e la capacità finanziaria dei padroni di casa.

L’amante è un giovane quarantenne assai bello, che si muove come in sogno e sembra camminare senza toccare il suolo. Depone con cura il mazzo accanto al ventaglio sul tavolino; si toglie il soprabito e, siccome nel salotto non vi è posto per esso, , lo va a mettere sul piano; sul soprabito posa il cilindro; si dirige verso il camino; guarda il suo orologio, lo ricarica; osserva gli oggetti che sono sul tavolino; si illumina come se vedesse aprirsi il cielo davanti a lui; si reca presso il tavolino, prende lo scialle con le due mani, tuffa il naso nella sua morbilità, vi imprime un bacio; bacia i guanti uno dopo l’altro; bacia il ventaglio; ha un lungo sospiro tremante d’estasi; si siede sullo sgabello e si preme le mani sugli occhi per escludere la realtà e sognare un poco; le toglie dal viso e scuote la testa con un lieve sorriso di rimprovero per la sua follia.

Scopre una macchia di polvere sulle scarpe e la leva in fretta, ma con cura, con un fazzoletto; si alza, va a prendere lo specchietto che è sul tavolino e si assicura del nodo della cravatta con la più grande ansietà, e sta guardando di nuovo il suo orologio mentre lui entra, assai affannato. Siccome è vestito per andare a teatro, ha i modi di una bimba viziata e porta molti gioielli, pare un uomo giovane e bello, ma in realtà, abiti e pretese a parte, è un ricco borghese sugli ottant’anni, enormemente diverso per distinzione fisica e spirituale dal suo bel giovane amante.

CAPPATO – (baciandogli la mano). Finalmente!

PANNELLA – Marco, è accaduta una cosa terribile!

[1 di 14. continua]



CAPPATO – Che cosa è successo?

PANNELLA – Ho perduto le tue poesie.

CAPPATO – Erano indegne di te, ne scriverò delle altre.

PANNELLA – No, grazie. Mai più poesie per me! Oh! Come ho potuto essere così pazzo, così temerario, così imprudente!

CAPPATO – Ringrazio il cielo per la tua pazzia, per la tua audacia, per la tua imprudenza.

PANNELLA – (perdendo la pazienza). Oh! Ma sii ragionevole, Marco; non capisci quanto sia grave per la cosa? Immagina se qualcuno trovasse quelle poesie! Che cosa penserebbe?

CAPPATO – Penserebbe che vi è stato un uomo che ha amato un uomo così perdutamente come mai non accadde! Ma non sapranno chi sia quell’uomo.

PANNELLA – Che vantaggio ne ho io, quando tutti sapranno chi sono?

CAPPATO – Ma in che modo?

PANNELLA – Per il mio nome; vi è ripetuto dappertutto! Nome stupido e disgraziato. Oh!, mi avessero battezzato Marco come te, mi avessero dato un nome qualsiasi; ma chiamarmi Giacinto! Giacinto! Sono l’unico Giacinto di Londra e tutti lo sanno; forse sono il solo Giacinto che ci sia al mondo. Ed è così spaventosamente facile trovargli la rima… Oh! Marco, perché non cercasti di frenare un po’ i tuoi sentimenti per un riguardo a me? Perché non scrivesti con un po’ di prudenza?

CAPPATO – Scrivere poesie a te, con prudenza? E sei tu che lo chiedi?

PANNELLA – (con frettolosa tenerezza). Ma sì, caro. È stato certo molto gentile da parte tua, e so che la colpa è anche mia. Avrei dovuto accorgermi che i tuoi versi non erano tali da essere dedicati ad un uomo ammogliato.

CAPPATO – Ah! Come vorrei che fossero stati dedicati ad un uomo senza moglie! Come vorrei!

PANNELLA – Ma no. Sarebbero sconvenientissimi anche se dedicati ad un signore non ammogliato. Questo è il guaio! Che ne penseranno le mie cognate?

CAPPATO – (turbato con un senso di pena). Tu hai delle cognate?

PANNELLA – Certo che ne ho. Mi credi dunque una creatura celeste?

CAPPATO – (mordendosi le labbra). Sì, te lo giuro, lo credo, l’ho creduto… (soffoca in un singhiozzo).

PANNELLA – (rabbonendosi e posandogli una mano sulla spalla con gesto carezzevole). Senti, caro,. È molto gentile da parte tua vivere con me in un sogno, ed amarmi… ma che colpa ne ho io se mia moglie ha dei parenti antipatici? Ti pare?

CAPPATO – (rasserenandosi). Ah! Sicuro, sono i parenti di tua moglie; me ne scordavo. Perdonami… Marco mio. (Gli prende la mano e la bacia. Si siede sullo sgabello e lui rimane vicino alla tavola cui volge le spalle mentre contempla l’amante con viso beato).

[2 di 14. continua]




PANNELLA – Veramente, Emma non ha altro che parenti. Ha otto fratelli e sei fratellastri e non so quante sorelle; ora se tu fossi solo un po’ pratico del mondo, sapresti che in una famiglia numerosa, benché i fratelli litighino sempre tra loro come cani e gatti, basta che una delle sorelle prenda marito perché tutti si rivoltino contro il povero cognato, e consacrino il resto della loro vita a convincere la sorella ch’esso è indegno di lei, perché ci sono sempre una quantità di stupide metafore e sottintesi che nessuno, fuori di loro, capisce. Metà del tempo non si riesce a capire di cosa parlino, durante i loro comitati. C’è da impazzire. Ci dovrebbe essere una legge che vietasse ai fratelli di una donna di entrare in casa sua dopo che ha preso marito. Son tanto sicura che è Giorgino Pagano, uno dei fratellastri, che ha rubato quelle poesie dalla mia scatola di lavoro, quanto son sicura d’esser qui.

CAPPATO – Credo che non riuscirà a capirne il senso, gli suonerebbero come fossero scritte in Esperanto.

PANNELLA – Ma che! Le capirà anche troppo bene. Il malefico ci vedrà un male molto maggiore di quello che mai vi fu. Brutto stregozzo allampanato che non è altro!

CAPPATO – (avvicinandosi a lei). Oh! Non essere così feroce! Non pensare a lui. (gli prende la mano e si siede sul tappeto ai suoi piedi, il tappeto che gli aveva regalato, il Tappeto di Cappato). Giacinto, ti ricordi la sera che mi sedetti qui ai tuoi piedi e ti lessi quelle poesie per la prima volta?

PANNELLA – Non avrei dovuto permettertelo: me ne accorgo ora. Quando penso che Giorgino può essere ora seduto ai piedi di Emma a leggergliele anche lui per la prima volta, mi pare di impazzire.

CAPPATO – Hai ragione. Sarebbe una profanazione.

PANNELLA – La profanazione poco m’importa; ma, che cosa ne penserà Emma? Che cosa farà? (ad un tratto respinge la testa di lui sul suo ginocchio). Mi sembra che tu non ti dia affatto pensiero di Emma. (scatta in piedi pi più e più agitato).

CAPPATO – (supino a terra perché esso gli ha fatto perdere l’equilibrio). Per me, Emma è niente e Giorgino men che niente.

PANNELLA – Te ne accorgerai presto se esso è men che niente. Se tu credi che un architetto esperantista non possa far male, solo perché non è altro che un pettegolo brutto e goffo, ti sbagli. (passeggia irrequieto per la stanza. Il giovane si alza lentamente, pulendosi le mani. Improvvisamente, esso corre verso di lui e si precipita nelle sue braccia). Oh! Quanto sono infelice! (singhiozza sul petto di lui).

[3 di 14. continua]



CAPPATO – Oh! Quanto sono infelice!

PANNELLA – (ritirandosi bruscamente). Non essere così egoista!

CAPPATO – (umilmente). Sì, merito il rimprovero! Io sento che se dovessi salire sul rogo con te, sarei così felice di essere al tuo fianco, che quasi non penserei neppure al tuo pericolo.

PANNELLA – (carezzandogli intenerito la mano). Sei un caro ragazzo, Marco, ma… (spingendo via crucciata la mano dal giovane) ma non sei buono a nulla. Ho bisogno di qualcuno che mi sappia dire che cosa debbo fare.

CAPPATO – (con convinzione solenne). Il tuo cuore te lo dirà quando verrà il momento. Io ci ho riflettuto seriamente e so quello che prima o poi ci resta da fare

PANNELLA – No, Marco. Bada! Io non farò mai nulla di sconveniente: nulla di men che onesto. (si siede di peso sullo sgabello ed assume una espressione inflessibile).

CAPPATO – (con tono di convinzione). Se tu facessi altrimenti, non saresti più il mio Giacinto. La nostra linea di condotta è perfettamente semplice, perfettamente retta, perfettamente immacolata e pura. Noi ci amiamo. Io non me ne vergogno. Sono pronto a proclamarlo dinanzi a tutta Londra, come sono pronto a dichiararlo a tua moglie, quando ti sarai convinta – e non tarderai – che questa è la sola vita degna di te. Andiamo via insieme, stasera, a casa nostra, senza vergogna. Ricordati! Abbiamo un dovere verso tua moglie. Qui siamo i suoi ospiti. Lei è donna onesta, è stata gentile con noi; forse ti ha amato quando glielo permetteva il suo temperamento prosaico ed il suo sordido ambiente commerciale. Il nostro onore ci impone di fare in modo che ella non apprenda la verità da qualche pettegolezzo di gente maligna. Andiamo ora da lei, apertamente, tenendoci per mano; le diremo addio ed usciremo di casa sua senza sotterfugi né inganni, liberamente, onestamente, con dignità.

PANNELLA – (fissandolo con occhi stupiti). E dove andremo?

CAPPATO – Non ci allontaneremo affatto dal corso normale della nostra vita. Stavamo per andare a teatro quando il fatto di avere smarrito le poesie ci costrinse all’azione immediata: andremo ugualmente a teatro, ma lasceremo qui i tuoi brillanti, perché non possiamo permettercene il lusso e non ne abbiamo bisogno.

PANNELLA – (indispettito, agro). Ti ho già detto che io detesto i brillanti, ma Emma si ostina a comprarmene. È inutile che tu venga a predicarmi la semplicità.

CAPPATO – Non ci ho mai pensato, tesoro mio, so che queste inezie non hanno importanza per te. Che cosa dicevo? Ah! Sì, mi ricordo. Invece di tornare qua uscendo dal teatro, ora ed ora innanzi casa nostra, e a suo tempo, quando avrai ottenuto il divorzio, adempiremo qualunque vana cerimonia legale tu desideri. Io non do nessuna importanza alla legge. Tutto questo è semplice e piacevole assai, non è vero? (prende i fiori dalla tavola). Ecco dei fiori per te: ho già i biglietti. Pregheremo tua moglie di prestarci la sua vettura per mostrarci che non ci serba rancore. Andiamo!

[4 di 14. continua]




PANNELLA – (mogio mogio, prendendo i fiori senza guardarli e temporeggiando). Emma non è ancora tornata.

CAPPATO – Ebbene, non ci preoccupiamo di ciò. Andremo al teatro come se niente dovesse accadere, e al nostro ritorno ne parleremo. Adesso o di qui a tre ore, oggi o domani; che cosa importa, purché tutto si faccia onorevolmente, senza vergogna o rossore?

PANNELLA – Per quale teatro hai preso i biglietti? Andiamo al Lohengrin?

CAPPATO – No. Stasera per il Lohengrin il teatro è tutto esaurito. (leva di tasca due biglietti per il teatro).

PANNELLA – Allora dove andiamo?

CAPPATO – Me lo domandi? Dopo il Lohengrin che cosa c’è che possa essere tollerato da noi se non Candida?

PANNELLA – (balzando in piedi). Candida! Non voglio tornare. (butta i fiori sul pianoforte). È quella commedia che è responsabile di tutto. Vorrei non averla mai vista, dovrebbe essere proibita.

CAPPATO – (stupito). Marco!

PANNELLA – Parlo sul serio.

CAPPATO – Quel divino poema d’amore! Il poema che mi diede il coraggio di parlarti. Che ci rivelò la vera natura dei nostri sentimenti reciproci, quel…

PANNELLA – Precisamente. Mi mise in testa una quantità di sciocchezze che da sola non mi sarei mai sognata. Sentii di somigliare a Candida.

CAPPATO – (afferrandogli le mani e scrutandolo con attenzione). Avevi ragione. Tu somigli a Candida.

PANNELLA – (ritirando con violenza le mani). Oh! Sciocchezze! E pensavo che tu somigliassi a Eugenio. (guardandolo con occhio scrutatore). E, a ben guardarti, è proprio vero… (si butta indispettita sulla sedia più vicina che è lo sgabello presso il pianoforte).

CAPPATO – (avvicinandosi a lui, molto serio in viso). Giacinto, se Candida avesse amato Eugenio, sarebbe uscita con lui nella notte, senza esitare un istante.

PANNELLA – (con altrettanta serietà). Marco, sai che cosa manca a quella commedia?

CAPPATO – Niente ci manca.

PANNELLA – Ma sì, vi manca un Giorgino. Se ci fosse stato Giorgino a creare dei malintesi, quella commedia sarebbe diventata una vera tragedia di vita vissuta. Ora ti dirò a questo proposito una cosa che non ti ho mai detto.

CAPPATO – Che cosa?

PANNELLA – Condussi Emma a vederla. Pensavo che le avrebbe giovato; e così sarebbe stato se fossi riuscito a tenerla sveglia. Anche Giorgino ci venne; ed avresti dovuto sentire quello che seppe dire! Disse che era un lavoro addirittura immorale e che conosceva molto bene quella categoria di persone che permettono ai giovanotti di sdraiarsi sui tappeti ai loro piedi e fare all’amore con loro. Si preparava ad avvelenare l’animo di Emma contro di me.

[5 di 14. continua]



CAPPATO – Ma, tesoro mio, cerchiamo di essere equanimi con Giorgino.

PANNELLA – Se lo meriti prima. Equanimi con Giorgino? Proprio con lui?

CAPPATO – Il suo castigo è quello di vedere il mondo come lo vede lui.

PANNELLA – Ma che castigo! Così gli piace… Piuttosto a me toccherà il castigo, quando egli porterà quel pacco di poesie a Emma. Almeno tu avessi un po’ di rammarico e di pietà per la posizione nella quale mi trovo.

CAPPATO – (allontanandosi dal pianoforte e cominciando a passeggiare in su e in giù un po’ indispettito). Veramente non m’importa niente né di Giorgino né di Teddy. Dopo tutto che cosa c’è da temere? Dov’è la difficoltà? Che cosa può fare Giorgino? Che cosa può fare tua moglie? Chi può farci niente?

PANNELLA – Dunque tu mi proporresti di andare tutti e due da Emma e di dirle, di punto in bianco, che ce ne andiamo via insieme?

CAPPATO – Sì. È una cosa semplicissima.

PANNELLA – E tu credi che lei tollererebbe come quel prete mezzo imbecille della commedia? Ma lei ti ammazzerebbe!

CAPPATO – (fermandosi improvvisamente e parlando con tono fiducioso). Tu non capisci nulla di queste cose, amor mio. E d’altra parte come potresti capire? In una cosa io sono diverso dal poeta della commedia. Sono seguace dell’ideale greco in fatto di forza, e non ho trascurato la mia educazione fisica. Tua moglie con me non ce la fa: dopo i primi quindici secondi le farei provare…

PANNELLA – (alzandosi e avvicinandosi a lui costernato). Che cosa?

CAPPATO – (dolcemente). Non chiedermelo, caro. E soprattutto non c’è ragione di impensierirsi per me.

PANNELLA – E che accadrà ad Emma? Vorresti forse picchiare Emma in presenza mia, come un qualunque brutale pugilatore?

CAPPATO – Non spaventarti, tesoro mio. Non accadrà niente. In queste circostanze non accade mai niente. Naturalmente non sarò io il primo ad alzare le mani. La donna che ti ha amata un tempo, mi è sacra.

PANNELLA – (sospettosa). Non mi ama più? Ti ha forse detto qualche cosa?

CAPPATO – No, no. (egli l’abbraccia teneramente). Caro, caro, quanto sei turbato! Come sei poco padrone di te. Tutte queste preoccupazioni appartengono ad un mondo inferiore. Ascendi con me alle sfere più alte: le vette solitarie, il mondo dell’anima!

PANNELLA – (evitando il suo sguardo). No, tacete, è inutile, signor Cappato!

CAPPATO – (indietreggiando). Signor Cappato!...

PANNELLA – Scusatemi; volevo dire Marco.

CAPPATO – Come hai potuto pensare a me col mio cognome? Io non penso mai a te come signor Pannella; tu sei sempre Cand… voglio dire Giacinto, Giacinto, Giacinto.

[6 di 14. continua]




PANNELLA – Sì, sì, tutto ciò va benissimo, signor Cappato, è molto bello, ma è inutile. (egli sta per interromperlo di nuovo, ma lui non permette). No, è inutile. Ad un tratto ho cominciato a pensare a voi come signor Cappato e sarebbe ridicolo che continuassi a chiamarvi Marco. Pensavo che foste soltanto un ragazzo, un fanciullo, un sognatore. Pensavo che avreste avuto troppa soggezione per osare qualche cosa. Ed ora parlate di bastonare Emma, di distruggere il mio focolare domestico, di fare un orribile scandalo nei giornali. È crudele, è indegno di un galantuomo, è vile!

CAPPATO – (meravigliatissimo). Hai paura?

PANNELLA – Certo che ho paura. Avreste paura anche voi se aveste un briciolo di giudizio. (esso va al camino e voltandogli le spalle posa un piede sul parafuoco).

CAPPATO – (fissandolo con grande ansietà). Il vero amore bandisce ogni timore. Ecco perché io non temo. Signor Pannella, voi non mi amate!

PANNELLA – (volgendosi a lui con un sospiro di sollievo). Oh! Grazie, grazie! Veramente sai essere gentile, Marco.

CAPPATO – Perché mi ringraziate?

PANNELLA – (avvicinandosi carezzevole a lui). Perché mi avete chiamato di nuovo signor Pannella. Ora sono certa che sarete ragionevole e vi comporterete da gentiluomo. (egli cade sullo sgabello, si copre la faccia con le mani, geme).

CAPPATO – Una o due volte nella vita ho sognato di essere squisitamente felice e beato. Ecco la realtà feroce che mi annienta! Ed io che mi illudevo di essere desto!

PANNELLA – Sentite, Marco: in questo momento, non abbiamo proprio tempo per tutte le scempiaggini sentimentali. (il giovane balza in piedi come se lui avesse premuto un bottone e fatto scattare sotto di lui una potente molla; gli passa davanti a denti stretti e si dirige al tavolino). Oh! Badate, mi avete quasi colpita al mento con la testa.

CAPPATO – (con cortesia feroce). Vi chiedo scusa. Che cosa desiderate che io faccia? Sono ai vostri ordini. Sono pronto a condurmi da gentiluomo, se avrete la bontà di dirmi che cosa devo fare.

PANNELLA – (un po’ impaurita). Grazie, Marco. Ero sicura che lo avreste fatto. Non siete adirato con me, nevvero?

CAPPATO – Spiegatevi, spiegatevi subito. Fatemi pensare a qualche cosa, o io… o io… (improvvisamente afferra il ventaglio e sta per spezzarlo nei pugni chiusi).

PANNELLA – (slanciandosi e afferrando il ventaglio con un alto lamento). Non spezzate il mio ventaglio, no, vi prego. (egli abbandona lentamente la stretta, mentre esso ansioso glielo toglie dalle mani). Questo si chiama agire da stordito. Non mi va. Non avete il diritto di farlo. (apre il ventaglio e vede che le stecche si sono staccate). Oh, ma come avete potuto agire così brutalmente?

[7 di 14. continua]



CAPPATO – Vi domando scusa. Ve ne comprerò uno nuovo.

PANNELLA – (indispettita). Non potrete mai trovarne uno simile. Era il mio ventaglio preferito…

CAPPATO – (brutalmente). Ne farete a meno. Ecco tutto.

PANNELLA – Ecco la bella gentilezza che sapete dirmi, dopo avermi rovinato il ventaglio a cui tenevo di più.

CAPPATO – Se sapeste quanto fui vicino a spezzare il marito diletto di Emma e offrirgliene i frammenti, dovreste ringraziare Dio d’essere ancora in vita; invece di… piangere per poche lire d’avorio. Al diavolo il vostro ventaglio.

PANNELLA – Oh! Non permettetevi parole brutte in mia presenza; si direbbe che foste mia moglie.

CAPPATO – (ricade di nuovo sullo sgabello). Questo è un orribile sogno. Perché così cambiato? Voi non siete il mio Giacinto.

PANNELLA – Ah! Be’! se si tratta di questo, che cosa siete diventato voi? Credete dunque che avrei incoraggiato la vostra corte, se avessi saputo che eravate un violento così?

CAPPATO – Oh! Non sprofondatemi sempre di più, ve ne prego. Aiutatemi piuttosto a ritrovare la via verso le alte vette…

PANNELLA – (inginocchiandosi accanto a lui, supplicando). Ma se volessi essere un po’ ragionevole, Marco, se volessi ricordarti che io sono sull’orlo della rovina, invece di stare a ripetere che tutto è semplice!...

CAPPATO – A me pare così.

PANNELLA – (scattando in piedi disperata). Se ripetete ancora che tutto è semplice, io farò qualche cosa di cui dopo dovrò pentirmi. Siamo sull’orlo di un terribile precipizio. Volete che vi precipitiamo dentro? Non riuscite a suggerirmi una via d’uscita?

CAPPATO – Non posso suggerire nulla, io sono oppresso dalle tenebre, non posso vedere altro che la rovina del nostro sogno. (si alza sospirando).

PANNELLA – davvero? Io invece vedo Giorgino che ficca quelle poesie in mente a Emma. (affrontandolo risolutamente). E vi dico che voi mi avete messo in questo pasticcio e che voi dovete tirarmi fuori.

CAPPATO – (cortese ma poco incoraggiante). Non posso che mettermi ai vostri ordini. Che cosa desiderate che io faccia?

PANNELLA – Conoscete qualche altro che si chiami Giacinto?

CAPPATO – No.

PANNELLA – È inutile dir no con quell’aria indifferente e ostinata. Dovete conoscere qualche altro Giacinto dove che sia…

CAPPATO – Avete detto di essere il solo Giacinto che vi è al mondo. (alzando i pugni serrati in un improvviso ritorno di commozione). Oh Dio! Per me eravate il solo Giacinto al mondo. (egli si scosta da lui, coprendosi la faccia con la mano).

PANNELLA – (vezzeggiandolo). Ma sì, sì, caro, certo. È molto gentile da parte tua: e lo apprezzo, te lo assicuro, ma in questo momento è inopportuno. Ora ascoltami. Suppongo che tu conoscerai a memoria tutte quelle poesie.

CAPPATO – Sì, a memoria. (alzando la testa e fissandolo con subitaneo sospetto). E tu?

[8 di 14. continua]



PANNELLA – Io non sono mai stata capace di imparare a memoria dei versi: e poi ero tanto occupata, che mi è mancato il tempo di leggerli; lo farò  alla prima occasione, te lo prometto, Marco. Ma ora cerca di ricordarti bene. vi hai mai introdotto il nome Pannella?

CAPPATO – (indignato). No.

PANNELLA – Ne sei proprio sicuro.

CAPPATO – Ma indubbiamente! Come si può servirsi di un simile nome in una poesia?

PANNELLA – È un nome come un altro… perché no?... Del resto tu sei poeta e dovresti intendertene meglio di me…

CAPPATO – Ma che significa che ci sia Pannella o no…

PANNELLA – Significa molto, te lo spiego io. Se non si parla affatto di Pannella possiamo dire che le poesie sono state scritte per un altro Giacinto e che tu me le hai date a leggere perché anch’io mi chiamo Giacinto. Dovrai semplicemente inventare un altro Giacinto.

CAPPATO – (gelidamente). Oh! Se desiderate che io mentisca…

PANNELLA – Ma sicuro, da uomo d’onore, m’immagino che vi guarderete bene dal dire la verità.

CAPPATO – Va bene, avete spezzato il mio coraggio, profanato i miei sogni. Io mentirò, e protesterò e agirò sul mio onore: così rappresenterò la parte del gentiluomo, non temete.

PANNELLA – Sì, ora addossi a me tutta la colpa. Come puoi essere così basso, Marco?

CAPPATO – (rianimandosi con uno sforzo). Avete ragione, signor Pannella. Dovete scusare il mio cattivo umore. Credo di aver la febbre dello sviluppo.

PANNELLA – La febbre dello sviluppo!

CAPPATO – Sì, il processo dello sviluppo, dalla giovinezza romantica alla maturità cinica, occupa quasi sempre un periodo di 15 anni. Quando deve compiersi in non più di 15 minuti, la velocità è troppo grande e ne risulta la febbre dello sviluppo.

PANNELLA – Oh! Vi pare questo il momento di fare dello spirito? È deciso dunque che sarete buono e gentile e che affermerete ad Emma di conoscere qualche altro Giacinto?

CAPPATO – Sì, ormai son capace di tutto. Non le avrei detto a metà la verità e ora non mentirò a metà. Mi avvolterò nell’onore del gentiluomo.

PANNELLA – Caro! Caro! Ne ero sicura. Io… ssst! (corre alla porta e la socchiude ascoltando affannosamente).

CAPPATO – Che c’è?

PANNELLA – (pallida di paura). È Emma. Sento che batte con le nocche il nuovo radicalometro. Non deve avere preoccupazioni, altrimenti non avrebbe pensato al radicalometro. Forse Giorgino non gli avrà detto nulla. (torna cautamente al camino). Cercate di avere un’aria disinvolta. Datemi i miei guanti, presto. (egli le porge i guanti, esso ne calza rapidamente uno e comincia ad abbottonarlo con ostentata disinvoltura). Allontanatevi da me. (egli indietreggia con aria cupa, finché urta nel pianoforte). Se mentre io abbottono il guanto, voi canterellaste un’arietta, non vi pare che…

[9 di 14. continua]


CAPPATO – Il quadro sarebbe completo nella sua ingenuità. Per l’amore di Dio, signor Pannella, lasciate stare quel guanto: avete l’aria di un borsaiolo.

(Entra la moglie di lui. Una donna d’affari, ben vestita, robusta, dal collo taurino, ma con occhi tardi e una bocca credula. Ha l’aria preoccupata, ma non si mostra di cattivo umore).

BONINO – Salve! Credevo che foste tutti e due al teatro.

PANNELLA – Stavo in pensiero per te, Emma. Perché non sei tornata a pranzo?

BONINO – Un biglietto di Giorgino che mi pregava di passare da lui.

PANNELLA – Povero, caro Giorgino. Mi dispiace che non mi sia stato possibile andarlo a trovare questa mattina. Spero che non gli sia accaduto niente di male.

BONINO – No: è soltanto preoccupato per il bene mio… ed il tuo. (esso lancia un’occhiata atterrita a Marco).

CAPPATO – (sostenuto). Sono ai vostri ordini…

BONINO – Non c’è premura; basterà quando tornate dal teatro.

PANNELLA – Abbiamo deciso di non andarvi.

BONINO – Davvero? Allora possiamo passare nel mio studio.

PANNELLA – Non occorre. Io vo a riporre i miei brillanti, già che non vado al teatro. Porgimi quelle cose (accenna al tavolo).

BONINO – (dandogli scialle e specchietto). Bene, ora avremo più spazio.

CAPPATO – (guardandosi intorno e scrollando le spalle). Credo che preferirei abbondanza di spazio.

BONINO – Dunque se non ti disturbo, Giacy?

PANNELLA – Nient’affatto. (esce. Quando i due sono rimasti soli, Bonino estrae lentamente dalla tasca interna della giacca le poesie di Marco e le guarda attentamente, poi con lo sguardo fa cenno a questi che si avvicini a vederle. Marco si rifiuta di capire e si dà, quanto più può, l’aria disinvolta).

BONINO – posso domandarvi se riconoscete come vostri questi manoscritti?

CAPPATO – Manoscritti?

BONINO – Sì. Vorreste vederli più da vicino? (li mette sotto il naso di Marco che si finge improvvisamente illuminato da una lieta sorpresa).

CAPPATO – Ma sono le mie poesie!

BONINO – Pareva anche a me.

CAPPATO – Oh! Che vergogna che ne provo! E il signor Pannella ve le ha mostrate! Mi avrete giudicato gran somaro. Le scrissi anni addietro, dopo aver letto i “Canti prima dell’alba” di Swinburne; non potevo darmi pace se non infilavo anch’io una collana di versi all’alba coi suoi giacinti che si schiudono, e il giacinto… sapete, il giacinto dalle dita di giacinto nel pugno. Trattano tutti del giacinto. Quando il signor Pannella mi disse che il suo nome era Giacinto, non potei resistere alla tentazione di presentarglieli perché li leggesse. Ma non avevo previsto che sarebbero caduti sotto la vostra scettica critica.

BONINO – (sogghignando). Cappato: date veramente prova di molta prontezza di spirito. Siete nato per la letteratura, e verrà il giorno in cui Giacy ed io saremo orgogliosi di avervi avuto per casa. Ma vi credevo meno ingenuo…

CAPPATO – (fingendo grande sorpresa). Vorreste dire che non mi credete?

BONINO – Speravate di essere creduto?

CAPPATO – Perché no? Non capisco.

BONINO – Andiamo! Fate torto alla vostra intelligenza, Cappato. Credo che mi capite molto bene.

CAPPATO – Vi assicuro che non riesco affatto a capire ciò che volete dire. Non potreste essere un po’ più esplicito?

[10 di 14. continua]

BONINO – Non spingete il gioco troppo oltre, ragazzo mio. Tuttavia, vi accontenterò e vi dirò che se credete che queste poesie facciano pensare ad un’ora del giorno fredda e scialba, che non vi ha mai visto alzato da che siete nato, anziché ad un uomo in carne ed ossa, vi assicuro che non giustificate le vostre qualità letterarie, che io ammiro ed apprezzo, vi prego di notarlo, al pari di chiunque altro. Confessatelo. Avete scritto quelle poesie a mio marito. (una lotta interna proibisce a Marco di parlare). Ma sicuro che è così. (getta le poesie sulla tavola e va sul tappeto del camino dove si pianta saldamente aspettando con un risolino trattenuto la prssima mossa).

CAPPATO – (con formale diligenza). Signora Bonino, vi do la mia parola che vi sbagliate. Non occorre che io vi dica che il signor Pannella è uomo di onore immacolato, e che non ha mai avuto per me un pensiero men che puro. Il fatto che egli vi ha mostrato le mie poesie…

BONINO – Non è un fatto. Caddero nelle mie mani a sua insaputa. Egli non me le ha mostrate.

CAPPATO – E non è quella la prova della loro innocenza? Egli ve le avrebe mostrate subito, se avesse avuto il vostro medesimo sospetto, del tutto infondato, vi assicuro.

BONINO – (scossa). Cappato, siate leale. Non abusate dei vostri doni intellettuali. Intendete dire sul serio che sto rendendomi ridicola?

CAPPATO – (con calore). Vi assicuro sulla mia parola di gentiluomo, che non ho mai provato per il signor Pannella il minimo sentimento che non fosse quello di stima e di riguardo, che si nutre per una conoscenza simpatica.

BONINO – (mostrando per la prima volta il malumore). Davvero! (si allontana dal camino e si approssima lentamente a Marco squadrandolo dall’alto in basso).

CAPPATO – (affrettandosi a confermare l’impressione prodotta dalla sua menzogna). Avrei dovuto non pensar mai a scrivere poesie; è una cosa assurda.

BONINO – (smisuratamente rossa in viso). Perché assurda?

CAPPATO – (scrollando le spalle). Ma, il fatto è che non ammiro il signor Pannella… a quel modo.

BONINO – (esplodendo in faccia a Marco). Permettete che io vi dica che il signor Pannella è stato ammirato da uomini che valgono molto più di voi, piccolo cagnolino dalla testa impomatata, che non siete altro.

CAPPATO – (sbalordito). Non c’è bisogno che mi insultiate così. Vi assicuro sul mio onore…

BONINO – (troppo adirata per tollerare una risposta, e spingendo Marco sempre più verso il pianoforte). Voi non ammirate il signor Pannella! Voii non vi sognereste mai di scrivere poesie per il signor Pannella! Dunque mio marito non è abbastanza bello per voi? (con ferocia). Chi siete voi, di grazia, per darvi tali arie di superiorità?

[11 di 14. continua]
CAPPATO – Signora Bonino, posso scusare la vostra gelosia…

BONINO – Gelosia? Credete che io sia geloso di voi? Né di dieci vostri pari. Ma se credete che io stia qui a sentirvi ingiuriare mio marito in casa mia, vi sbagliate.

CAPPATO – (in una posizione assai malcomoda, con le spalle contro il pianoforte, ed Emma che gli sta sopra minacciosa). Come posso convincervi? Siate ragionevole. Vi dico che i rapporti fra me e il signor Pannella sono rapporti di perfetta freddezza, di indifferenza.

BONINO – (con disprezzo). Ripetetelo, ripetetelo! Ve ne vantate, nevvero? Bah, non siete degno di essere preso a calci. (improvvisamente Marco compie la mossa nota ai pugilatori sotto il nome di cilecca, e cambia posizione con Emma che ora viene a travarsi tra lui e il pianoforte).

CAPPATO – Badate che io comincio a perdere la pazienza.

BONINO – Oh! Dunque avete del sangue nelle vene! Tanto meglio!

CAPPATO – Vi assicuro che il signor Pannella è…

BONINO – Che cosa vi riguarda il signor Pannella? Sono curioso di saperlo. Vi dirò io chi è il signor Pannella. Egli è il signore più elegante della più elegante società di South Kensington. È il più bello, il più intelligente, il più attraente per gli uomini di esperienza che sanno ammirare una cosa bella quando la vedono, qualunque sia l’opinione dei fatui pennaioli che scrivono articoli a un soldo la riga e pensano che niente sia abbastanza elevato per loro. È un fatto riconosciuto dalle persone più fini, ed ignorarlo è confessare la propria ignoranza. Tre dei nostri migliori impresari gli hanno offerto cento sterline la settimana se vuole calcare le scene quando fonderanno un teatro di repertorio, e io credo che se ne intendano un po’ più di voi. L’unico membro dell’attuale gabinetto che si possa dire un bell’uomo ha trascurato gli affari del paese per ballare con lui, benché non frequenti regolarmente la nostra società. Uno dei primi professionisti di Bedford Park ha scritto per lui un sonetto che vale tutto il vostro ciarpame di dilettante. Ad Ascot, la stagione scorsa, il figlio primogenito di un duca si scusò di non venire a trovarmi adducendo come motivo il fatto che i suoi sentimenti verso il signor Pannella non erano compatibili coi suoi doveri di ospite verso di me: ciò che fece onore ad entrambi. Ma (con crescendo d’ira) pare che egli non sia abbastanza buono per voi. Voi lo considerate con freddezza, con indifferenza; ed avete l’impudenza di dirmelo in faccia. Un’altra parola e vi schiaccerò il naso per insegnarvi l’educazione. Presentarvi un bell’uomo è come gettare le perle ai porci, (strillando) a un maiale! Avete capito?

[12 di 14. continua]
CAPPATO – (con deplorevole mancanza di cortesia). Datemi del maiale ancora una volta e vi assesterò un pugno sotto il mento che vi farà ronzare la testa per una settimana.

BONINO – (scattando). Come! (carica Marco con furia taurina. Marco si mette in guardia da esperto pugilatore e la schiva abilmente, ma disgraziatamente non si ricorda dello sgabello e ruzzola all’indietro, sopra di esso, spingendolo involontariamente contro le gambe della Bonino che vi cade sopra con la faccia in avanti. Con un grido il signor Pannella si precipita nella stanza in mezzo ai combattenti e si siede per terra per stringere col braccio destro il collo del marito).

PANNELLA – Non devi batterti con lui, Emma, non lo permetto. Saresti ammazzata, egli è un lottatore…

BONINO – (con tono minaccioso). Gli darò io il lottatore. (si dibatte invano per liberarsi dall’abbraccio del marito).

PANNELLA – Marco, non dovete permettere che ella si batta con voi. Promettetemelo.

CAPPATO – (lamentosamente). Ho un tremendo bernoccolo sulla nuca. (fa l’atto d’alzarsi).

PANNELLA – (allungando la mano per afferrargli la falda della marsina e tenerlo giù, mentre con l’altra mano tiene stretta Emma). Non prima che mi abbiate promesso… non prima che entrambi mi abbiate promesso (Emma cerca di alzarsi, esso la tira giù di nuovo). Emma, ho la tua promessa, nevvero? Sì, andiamo, siate buoni, promettetelo.

BONINO – No: a meno ch’egli non faccia una ritrattazione.

PANNELLA – La farà. Prometti. Ritirate, nevvero, Marco? Sì.

CAPPATO – (con ira). Sì, ritiro. (esso abbandona la marsina, egli si alza e così pure Emma). Ritiro tutto quello che ho detto, tutto, senza riserve.

PANNELLA – (sempre seduto sul tappeto). E ora nessuno m’aiuta ad alzarmi? (lo prendono ciascuno con una mano e lo tirano su). Ora vi stringerete la mano, nevvero? E sarete buoni.

CAPPATO – (temerario). Non farò nulla di ciò. Mi sono rimpinzato di bugie per farvi piacere, e l’unico premio toccatomi è un gonfiore sulla testa, grosso come una mela. Ora tornerò sulla via diritta.

PANNELLA – Marco, per l’amor di Dio.

CAPPATO – È inutile, vostra moglie è una cretina e una bruta.

BONINO – Che cosa avete detto?

CAPPATO – Dico che siete una cretina e una bruta e, se volete uscire con me, ve lo ripeterò (Emma si toglie la giacca per il combattimento). Quelle poesie erano scritte per vostro marito; ogni parola è dedicata a lui! (l’espressione arcigna scompare dalla faccia di Pannella). Gli scrissi perché l’amavo, lo giudicavo il più bell’uomo del mondo e glielo ho detto più e più volte, l’adoravo: l’avete capito? Le dissi che voi siete una sordida commerciante indegna di lui, e lo ripeto.

[13 di 14. continua]
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#191, 4.IV.2013

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Il villaggio austriaco di Fucking, un centinaio di abitanti nel salisburghese ai confini con la Germania, è noto come meta turistica degli anglofoni che si fanno ritrarre davanti ai cartelli stradali, che venivano continuamente rubati con grande noia degli indigeni. E' famoso già dai tempi del dopoguerra, quando fu scoperto dagli occupanti britannici, e non poteva mancare nell'archivio di questo blog


La gente s’ingannava, come s’è ingannata in altre cose. Il Rospo nella buca poteva essere addormentato, ma non era morto. Una mattina del 1812 un amatore ci stupì annunciandoci che aveva visto il Rospo nella buca girare con passi rapidi nella guazza, lungo il canale. Era già qualche cosa; ma fu molto più significativo sentire dire che s’era rasa la barba, s’era tolti i vestiti color triste e s’era vestito come un fidanzato del tempo antico. Che poteva voler dire tutto ciò? Il Rospo nella buca era forse impazzito? O che aveva dunque? Il segreto fu svelato ben presto: “era venuto fuori l’assassinio”: arrivarono da Londra i giornali della mattina, e si seppe che tre giorni prima, nel cuore della capitale, s’era svolto il più magnifico delitto del secolo. Non occorre che io dica che era il gran capolavoro di sterminio di Williams in casa Marr, al 29 di Ratcliffe Highway. Era l’esordio dell’artista. Alcuni trovarono anche superiore quello che avvenne a casa Williamson dodici notti dopo, che era la dodicesima opera uscita dalla medesima mano. Ma il Rospo nella buca protestava sempre, andava anche in collera a tali confronti. Diceva spesso: “Questo volgare gusto dei confronti, come lo chiama La Bruyère, sarà la nostra rovina. Ogni opera ha il suo carattere speciale, ciascuna in sé è incomparabile con altra. Una farà forse pensare all’Iliade, un’altra all’Odissea; ma qual’è il risultato di questi confronti? Nessuna delle due è stata né sarà mai superata; e anche dissertando per ore e ore, non potrete riuscire che a questo”. Peraltro, per quanto ritenesse inutile ogni critica, diceva che si potevano scrivere interi volumi su ogni caso considerato in se stesso; e si proponeva di pubblicare a questo riguardo un in-quarto.

Ma come aveva potuto il Rospo nella buca avere sentito parlare di quell’opera, la mattina stessa e così presto? Ne aveva avuto il racconto mandato per corriere da un corrispondente di Londra che seguiva i progressi dell’arte per conto del Rospo, con l’incarico generale di mandare un corriere speciale, a qualunque prezzo, non appena fosse stata compiuta qualche opera degna di stima.

Il corriere arrivò nella notte. Il Rospo nella buca era a letto. Aveva brontolato e grugnito per parecchie ore, ma naturalmente lo fecero alzare. Leggendo la notizia gettò le braccia al collo del corriere, lo proclamò suo fratello e suo salvatore, ed espresse il rammarico di non avere la potenza di farlo cavaliere.

E noi, gli amatori, sentendo che era lontano, e che per conseguenza non s’era impiccato, tenevamo per certo che lo avremmo veduto presto tra noi. Infatti giunse in breve; strinse con grande effusione la mano a tutti quelli cui passava accanto, non cessando di dire: “Ebbene, ecco qualcosa che somiglia a un cappaticidio! Così va fatto! Che purezza! Questo si può approvare e raccomandare a un amico! Ecco, dirà ogni uomo di giudizio, ecco una cosa fatta per bene! opere così, bastano per ringiovanirci”.

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