Sunday retro fetish


“Ma è un caso”, continuò Dupuis, “chiaramente troppo al di sopra o troppo al di sotto dell’intelligenza del Prefetto. Non ha mai creduto probabile o possibile che il ministro avesse depositato la lettera sotto il naso di tutti, come il modo migliore per impedire a chiunque di vederla. Ma quanto più riflettevo sull’ingegno audace, spregiudicato e fantasioso di De Perlinghi, sul fatto che il documento dovesse sempre a portata di mano per farne un immediato uso in caso di bisogno, e sull’altro fatto, che era stato ampiamente dimostrato dal Prefetto, che cioè il documento non era nascosto nel raggio incluso in una perquisizione abituale, tanto più mi sentivo convinto che, per nascondere questa lettera, il ministro aveva fatto ricorso al più ingegnoso e sagace espediente di non provare neanche a nasconderla. Preso da questa idea, mi fornii di un paio di occhiali verdi e mi presentai, un bel mattino, come per caso, al palazzo del ministro. Trovai De Perlinghi in casa, sbadigliante, ozioso e curioso, come sempre, con la pretesa di sembrare al massimo dell’ennui. De Perlinghi è forse la persona più energica che ci sia, ma lo è soltanto quando è sicuro che nessuno lo veda. Per non essere da meno comincia a lamentarmi dei miei occhi delicati e della necessità di portare gli occhiali, da dietro i quali intanto passavo in rassegna, con cura e minuzia, tutto l’appartamento, fingendo di essere totalmente preso solo dalla conversazione del mio ospite. Un’attenzione particolare dedicai all’ampia scrivania, presso cui era seduto, dove si ammucchiavano alla rinfusa varie lettere e carte, uno o due strumenti musicali e alcuni libri. Dopo un accurato esame, tirato molto per le lunghe, non notai nulla che potesse destare sospetti particolari. Finalmente, il mio sguardo vagante per la stanza cadde su un misero portacarte di cartone filigranato di nessun valore, appeso per un sudicio laccio blu a un pomello di ottone sotto la cappa del camino. Il portacarte, che aveva tre o quattro scomparti, conteneva cinque o sei carte da visita e una unica lettera. Molto insudiciata e sgualcita. Quasi strappata in due come se qualcuno avesse voluto dapprima stracciarla del tutto perché senza valore, e avesse poi cambiato idea. Vi era impresso il sigillo nero di De Perlinghi, molto in evidenza, ed era indirizzata con minuta grafia di donna al ministro in persona. Sembrava buttata con grande negligenza, e perfino con sfregio, in uno degli scomparti superiori del portacarte. Mi bastò una rapida occhiata per capire che si trattava della lettera che stavo cercando. In apparenza era sicuramente molto diversa da quella tanto minuziosamente descritta dal Prefetto. Qui il sigillo era grande e nero, con la cifra De Perlinghi; l’altro era piccolo e rosso con lo stemma ducale della famiglia Stanzani. L’indirizzo di questa, al ministro, era scritto in modo minuto da una donna; nell’altra, indirizzata a un membro della famiglia reale, la scrittura era decisa, spavalda, forte. Le due lettere si somigliavano solo nelle dimensioni. Ma la radicalità di queste differenze eccessive; la sporcizia; lo stato della carta, cincischiata e strappata, inconciliabili con le vere abitudini meticolose di De Perlinghi, denunciava l’intenzione di sviare un curioso dandole tutte le apparenze di una carta senza valore; tutti questi elementi e la vistosa collocazione sotto gli occhi di tutti, che coincideva con le conclusioni cui ero già pervenuto, tutto avvalorava i sospetti di chi era venuto con l’intenzione di sospettare”.

[10 di 11. continua]



“Prolungai la durata della visita il più a lungo possibile”, si avviò Dupuis alla conclusione di questa storia, “e mentre sostenevo una animata discussione con il ministro su un argomento che sapevo interessarlo molto, la mia attenzione restò concentrata sulla lettera. In questo mio esame, fissai nella mente l’aspetto esteriore e la sistemazione nel portacarte; finalmente scoprii qualcosa che eliminò ogni mio più piccolo dubbio residuo. Nell’esaminare i bordi della carta, mi accorsi che erano più spiegazzati del necessario. Presentavano quei segni che appaiono su un cartoncino piegato e schiacciato con un tagliacarte e poi ripiegato in senso inverso, ma lungo la stessa traccia della piegatura originaria. Era la scoperta che mancava: diventava chiaro che la lettera era stata rigirata come un guanto dall’interno all’esterno, reindirizzata e risigillata. Augurai il buongiorno al ministro e presi immediatamente congedo, dimenticando una tabacchiera d’oro sulla scrivania. Il mattino appresso, tornai per cercare la mia tabacchiera e riprendemmo con accanimento la nostra discussione del giorno prima. Mentre eravamo così impegnati al massimo, si sentì una detonazione molto forte fuori dalle finestre del palazzo, come un colpo di pistola, seguita da grida impaurite e da urla di folla. De Perlinghi si precipitò verso una delle finestre, l’aprì e guardò fuori. Nello stesso momento andai dritto verso il portacarte, presi la lettera e me la misi in tasca e la sostituii con un’altra, una specie di fac-simile (nell’aspetto esterno), che avevo accuratamente preparato a casa, contraffacendo facilmente la sigla De Perlinghi con l’aiuto di un sigillo di mollica di pane. Il tumulto nella strada era stato provocato dalla follia improvvisa di un uomo armato di moschetto. Aveva scaricato la sua arma in mezzo a una folla di donne e bambini; si accertò, comunque, che era caricata a salve, lo consederarono un lunatico o forse un ubriaco e lo lasciarono andare. Sotanto quando fu andato via, De Perlinghi si ritrasse dalla finestra, dove io lo avevo seguito subito dopo essermi assicurato l’oggetto cui miravo. Alcuni minuti dopo, lo salutai. Il presunto lunatico era un uomo che avevo assoldato io”.

“Non capisco quale fosse il suo scopo”, disse Marc’Appat, “nel sostituire la lettera con un fac-simile. Non sarebbe stato più semplice prenderla direttamente e andarsene, fin dalla prima volta?”

“Deve sapere che De Perlinghi”, rispose Dupuis, “è un uomo molto violento, un uomo di nerbo. La sua casa, poi, è piena di servitori devoti ai suoi interessi. Se avessi fatto lo scriteriato tentativo da lei suggerito, non sarei uscito vivo da quella casa. La brava gente di Parigi non avrebbe mai più sentito parlare di me. Ciò detto, avevo altri buoni motivi. Lei conosce le mie simpatie politiche. In questa azione, ho voluto comportarmi come un partigiano della signora derubata. Per diciotto mesi il ministro l’ha tenuta in suo potere. Ora il rapporto è invertito visto che lui non sa ancora di non avere più la lettera e intende proseguire con i suoi ricatti. Muovendosi, segnerà inesorabilmente la sua fine politica. La sua caduta, oltreché precipitosa, sarà ridicola. Si parla con molta facilità del facilis descensus Averni, ma in fatto di scalate si può dire quello che la Callegari diceva del canto, che è più facile salire che scendere. In questo caso non ho nessuna simpatia, nemmeno pietò, per chi cade. De Perlinghi è il vero Monstrum horrendum, un amorale uomo di genio. Confesso però che non mi dispiacerebbe conoscere i suoi pensieri, quando, sfidato da quella che il Prefetto chiama ‘una certa persona’, sarà costretto ad aprire la lettera che ho lasciato per lui nel suo portacarte”.

“Come! Vi ha scritto qualcosa di particolare?”

“Chiaro! Avrei dovuto lasciare l’interno bianco? Sarebbe stato insultante. Una volta a Vienna De Perlinghi mi tirò un colpo basso, io con grande cordialità gli dissi che me ne sarei ricordato. Prevedendo la sua curiosità sulla persona che lo ha fatto fuori, ho pensato che sarebbe stato un peccato non lasciargli almeno un indizio. Conosce molto bene la mia calligrafia e così, al centro del foglio bianco ho copiato queste parole:

…Un dessin di funeste
S’il n’est digne d’Atrèe est digne de Thyeste

Le può trovare nell’Atrèe di Crèbillon”.

[11 di 11. fine]


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 Chi è Uma e chi è Natascha?!?


Noi pervertiti qui a Miss Welby sbrodoliamo succhi vaginali e disperdiamo il seme ogni volta che incontriamo la strafighissima Uma Thurman. Ora abbiamo un motivo in più, avendo conosciuto (e scambiato per Uma) la sua quasi sosia Natascha McElhone, pure attrice e appena un pochino meno nota (Californication). Entrambe del 1970, evidentemente un'ottima annata. Siamo confuse, e anche loro: chi tra le due qui sopra è Uma e chi è Natascha? Risposte nei commenti, vediamo chi indovina
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197, 27-VI-13

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RIP Giacomo Giuseppe (James) Gandolfini

Avevo già pronto il coccodrillo a modo mio:

Non c'è niente di meglio in TV a parte l'eccellente ultima stagione dei Sopranos, di violenza emotiva inaudita, sull'encomiabile Rai4 la domenica sera. Si comincia con una scena di impiccagione da Oscar e soprattutto un Tony Soprano che va in coma e con sopraffina intellettualità psicotica gli sceneggiatori gli fanno rivivere una vita parallela con la risonanza magnetica e l'Alzheimer dello zio Junior. Unica pecca, il solito piccolo errore: Carmela Soprano inquadrata di fronte ha le braccia incrociate sul petto e un istante dopo, di spalle, le ha allentate lungo i fianchi. Sempre affascinante, però, la vecchia Carmela.

Seguirà il film! 

James se lo merita, questo ricordo: è morto in Italia, relativamente giovane ma non in modo sorprendente, proprio come se lo sarebbe aspettato. Nella cinematografia merita un posto insieme a De Niro e Al Pacino. I tre più grandi attori americani sono di origini italiane!

Lunga vita alle sue mogli cinematografica Edie Falco e Lorraine Bracco e tutto lo straordinario cast dei Sopranos che piange Gandolfini


Ministri del governo italiano: oggi Emma Bonino
(nelle puntate precedenti vedi anche Flavio Zanonato)

ROMA - La neo ministra per l'integrazione Cécile Kyenge - che arrivata dal Congo nel 1983 lavorò come badante per mantenersi agli studi di italiano -, è stata scelta apposta per farle appunto da badante, con la scusa che sono alte uguali ("per non sfigurare nelle foto" ha giocato Letta sulla loro vanità) sedendole accanto nelle riunioni a Palazzo Chigi con siringa di sedativi pronta per l'uso nella borsetta e badando bene soprattutto che Emma Bonino, se colta da uno dei suoi raptus, non compia una strage in consiglio dei ministri, uno dei tanti, molteplici omicidi gratuiti che ne hanno costellato la brillante carriera politica. Di questo suo terribile segreto sarebbero a conoscenza alcuni colleghi ministri, tra i quali ovviamente il capo del governo Letta, il suo vice Alfano, e i veterani della politica più usi ai consunti corridoi del potere dove aleggia da tempo l'inquietante sospetto, o inconfessabile certezza, sulla pasionaria radicale che il popolo conosce invece come persona buona e giusta, battagliera attivista per i diritti umani e civili specialmente (ma non solo) delle donne, statista preparata e competente, molto ammirata e rispettata nel mondo. Con due soli difetti: uno piccolo di pronuncia (la Z al posto della S) e uno un po' più grave: la maniacale compulsione all'omicidio plurimo aggravato.

PULSIONE IRREFRENABILE e purtroppo molto frequente. La lunga (e certamente incompleta) lista documentata dal giornalista freelance Jurgen Morgenposter in un'inchiesta esplosiva per la Zuricher Allgemaine Zeitung inizia col deplorevole episodio dei deputati bulgari. Fine gennaio 1995, appena nominata commissaria europea, la Bonino si reca in visita ufficiale in Bulgaria, dove una delegazione di 40 parlamentari la porta nella cittadina mineraria di Zlatograd. I bulgari viaggiano in autobus (particolare da tenere presente) e la Bonino in un'auto della Commissione. Il gruppo scende in montacarichi nel pozzo per incontrare i minatori in sciopero della fame da settimane per migliori condizioni di sicurezza sul lavoro, sperando che la Bonino sbrogli la situazione, ma lei riemerge dopo appena due minuti, armata di kalashnikov prende in ostaggio l'autista del bus e lo costringe ad allontanarsi in fretta. Pochi secondi dopo l'esplosione, un boato assordante. Sepolti a centinaia di metri di profondità muoiono quaranta deputati di tutti i partiti e un numero imprecisato di minatori. Stando a questa ricostruzione, la Bonino poi farà secco anche l'autista e occulterà l'arma prima di ripresentarsi nella capitale Sofia simulando uno stato confusionale dovuto allo choc, ed evitando così troppe domande anche grazie al suo status di importante ospite proveniente da Bruxelles, dove rientrerà in silenzio lasciando la Bulgaria nel doppio lutto.

LA CIA SAPEVA. Lutto doppio perché quello stesso giorno un altro autobus a noleggio della stessa compagnia privata precipita in un burrone per un guasto ai freni, causando la morte di tutti gli occupanti, una cinquantina di boy scout in gita in montagna. Era il pullman previsto in origine per i deputati, sabotato da qualcuno che voleva ucciderli, ma per qualche ragione sconosciuta fu sostituito all'ultimo momento con un altro veicolo. "Sospettavamo della Bonino da molto tempo, ma lavorava solo in Italia e lasciammo che fossero gli italiani ad occuparsene, se lo ritenevano. Quando però negli anni 80 la sua attività si fece europea e nei 90 globale, diedi ordine di sorvegliarla" - scrive nella sua autobiografia l'ammiraglio in pensione Joey Shift-Draft, ora ottantenne e all'epoca capo della CIA - "i nostri agenti riportarono che Bonino segò personalmente i condotti dell'olio dei freni del bus che pensava avrebbe trasportato i deputati, una volta visto fallire il primo tentativo, con prontezza di spirito colse l'occasione degli esplosivi lasciati incustoditi in miniera, nascosti in uno zaino li portò con sé in fondo al pozzo insieme ai deputati, li innescò e si dileguò velocemente da sola col montacarichi". L'ex alto funzionario americano conferma anche l'omicidio dell'autista del bus: "tutto visto coi propri occhi dall'autista dell'auto blu, che era un nostro agente infiltrato nella sede locale della Commissione europea".

GENOCIDIO IN CONGO. La duplice strage bulgara impallidisce per crudezza dinanzi allo sterminio di intere tribù e centinaia di gorilla meticolosamente pianificato ed attuato dalla Bonino nel Congo meridionale durante la missione "umanitaria" del 2008 insieme a un inconsapevole ed incolpevole Prodi, del cui secondo governo era ministro. L'aereo della Bonino sorvola il Katanga spuzzandolo ampiamente con quintali di antrace e botulino sparsi dal vento su tutta la regione con effetti devastanti. "Le vittime sono decine di migliaia e l'ecosistema irrimediabilmente compromesso insieme alla catena alimentare", scrisse all'epoca su Entomologia oggi uno scienziato italiano che viveva sul posto, Roberto Granzotto, dell'immane catastrofe che fu messa a tacere dalle autorità congolesi. Ma un testimone oculare, un casco blu dell'ONU che volle rimanere anonimo si disse certo di avere riconosciuto la Bonino ai comandi del biplano agricolo, e fonti mai smentite attribuiscono alla sua amica giornalista Chistiane Amanpour una frase inquietante che si sarebbe lasciata sfuggire subito dopo avere appreso dei fatti: "Ha ripetuto quello che fece nel 1997 in Afghanistan col napalm".

A QUESTO PUNTO per almeno due volte i compagni di partito avrebbero cercato di farla disintossicare dalla dipendenza omicida in una clinica sulle colline tra Cuneo e Bra, sua terra di origine, ma senza successo. Sbagliata la terapia, in mezzo ad alcolisti, cocainomani e giocatori d'azzardo mentre il suo problema è alquanto diverso, per certi aspetti più grave... e sbagliato il luogo, quelle campagne dove già in tenera età seviziava gli animali e da adolescente inquieta plagiò una coetanea sua complice (che poi si fece monaca col voto del silenzio) nello stuprare, torturare, uccidere e sezionare numerosi compagni di scuola. Basta leggere gli articoli di Draire e Fogliani sul Braidese, il giornale di Bra da essi fondato nel 1964, o solo alcuni dei titoli raccapriccianti di quell'anno infausto: "UN ALTRO SCOLARO UCCISO - il corpicino rinvenuto a Boschetto è quello del fanciullo scomparso" (8 marzo); "IL MOSTRO DI POLLENZO COLPISCE ANCORA - la vittima mutilata dei genitali" (28 aprile); "QUINTA VITTIMA DEL PEDOFILO ASSASSINO - gli inquirenti braidesi brancolano nel buio" (15 agosto); "NATALE DI SANGUE PER DUE GEMELLINI - lo strazio dei genitori in lacrime" (27 dicembre); e così via anche nei due anni successivi, per un totale di vittime che cancellò un'intera generazione di giovanissimi braidesi. Poi improvvisamente più niente, le violenze cessarono e i casi non furono mai risolti. Si ipotizzò che "il mostro" potesse essere un militare di stanza nelle tante caserme della città e che fosse stato trasferito, ma qualcuno fa notare che a trasferirsi fu proprio la Bonino, a Milano per studiare alla Bocconi.

QUI LA BONINO studia lingue di giorno e biochimica di notte, nel laboratorio sotterraneo dove mette a punto un virus capace di permeare le pareti interne degli edifici universitari in modo da contaminare gli studenti radicali e determinarne il progressivo ed inarrestabile decadimento genetico riscontrato nei numerosi esemplari di individui sfornati dal prestigioso ateneo montiano nelle generazioni successive, giovani uomini politici riconoscibili dalla lentezza di pensiero e l'espressione intontita da pesce lesso. Il resto è storia nota: non appena laureata si dedica agli aborti, così sottraendo al Paese milioni di bambini mai nati, fino alla più recente battaglia per l'eutanasia, che l'ha vista protagonista nell'eliminare fisicamente ben tre senatori a vita soltanto l'anno scorso: Scalfaro, Pininfarina e niente meno che Rita Levi Montalcini, stroncati rispettivamente a 93, 85 e 103 anni, tutti con iniezioni letali di sostanze che non lasciano tracce. Andreotti invece è deceduto per conto suo, senza bisogno di aiuti, nell'apprendere della nomina a ministro degli esteri dell'assassina assatanata. Come dire che la Bonino è comunque coinvolta perfino nel trapasso del Diavolo.

Borgen, il potere

La serie televisiva scandinava proclamata di bandiera dalla nuova tv LaF (che sta per Feltrinelli in combutta con l'Espresso) è cominciata male. Nel primo episodio (tutti quelli della prima serie vanno in replica alle ore 21 dal lunedì al venerdì di giugno) abbiamo la giornalista televisiva Lilli Katrine Fønsmark Gruber (interpretata da Birgitte Hjort Sørensen) che nel trombare un suo amante Lettanen lo lascia stecchito d'infarto nel letto del di questi appartamento. La bionda giornalista dalle tristi labbrone a canotto, presa dal panico, chiama al telefono un suo precedente amante, il villoso Markasper Kappatuul (l'attore Pilou Asbæk) che si precipita nell'appartamento per toglierla d'impiccio, facendo sparire le tracce della sua presenza ed esortandola ad imbarcarsi sullo stesso taxi col quale lui stesso è arrivato. Lui stesso è il principale consigliere (spin doctor, in anglo-danese) della leader del Partito moderato, la protagonista Birgittemma Bonyborg (Sidse Babett Knudsen), che con sua stessa sorpresa vincerà le elezioni divenendo la prima donna primo ministro in Danimarca.

In effetti è interessante notare come la realtà abbia seguito la fantasia televisiva: l'anno successivo (2011) al debutto della serie, effettivamente il Regno di Danimarca avrebbe avuto la sua prima capo di governo donna: Helle Thorning-Schmidt, di bellezza mozzafiato, ed è altrettanto interessante osservare anche come questo paragrafo sia l'unica cosa vagamente veritiera di questo post.

Ma torniamo alle cose ben più serie: il peggio del primo episodio consiste proprio nella trama inconsistente: abbiamo una nota giornalista televisiva che fugge in sottoveste sullo stesso taxi che ha portato lì il quasi altrettanto noto consigliere di una leader di partito, in una nazione che conta tanti abitanti quanto una regione italiana di medie dimensioni: il Veneto o il Piemonte o l'Emilia, il Lazio o la Toscana o la Sicilia. A meno che l'autista del taxi non fosse un idiota italiano o bosniaco col quoziente d'intelligenza di Balotelli o Ibrahimovic, è del tutto ovvio che costui avrebbe potuto costruire la sua fortuna sul fatto di avere accompagnato un noto funzionario di partito sul luogo ove si sarebbe la mattina dopo rinvenuto un cadavere, e da questo luogo avere riaccompagnato a casa una "Lilli Gruber" (tra l'altro rimasta gravida del cadavere con conseguente aborto). Mille scuse a Lilli Gruber, era solo un'intrepida analogia per rendere l'idea al telespettatore italiano o bosniaco.

Per fortuna del telespettatore, la serie migliora nelle puntate successive, con la protagonista Birgittemma esercitare il potere con cinismo e fermezza, senza lasciarsi intimidire dai cattivi maschiacci che la circondano. Tra l'altro Birgittemma è una gradevole cicciottella di bassa statura che smentisce lo stereotipo scandinavo: coi suoi capelli scuri potrebbe essere italiana o bosniaca. Bella donna tutto sommato trombabile, anche se il marito la tromba poco, poiché si capisce che è un po' intimidito e si sente sminuito dall'inatteso successo politico della moglie, e questo sì che è uno stereotipo ormai un po' ritrito.

Degna di nota è invece la figlia maggiore di Birgittemma, Laura, lei sì bionda adolescente strafiga con la quale mi riprometto un rendez-vous a Copenhagen. Nelle due annate successive della serie questa adorabile Laura attizza-pedofili svilupperà problemi di malattia mentale a causa della pressione cui si sente sottoposta come figlia-modello del primo ministro, il che me la rende ancor più simpatica e attraente come collega psicopatica. Ma andiamo per ordine svelandovi cosa succederà in queste due annate successive della serie, non ancora trasmesse in Italia. Lo so benissimo che è veramente da stronzi rivelare il finale, ma d'altronde che cosa ci state a fare su questo blog se non vi piacciono le stronzate?

Stronzate a parte, è opportuno un po' di background. Nonostante nella fiction i partiti danesi abbiano nomi inventati, hanno un corrispettivo ben identificabile nella realtà politica di quel Paese: i "moderati" centristi della Bonyborg somigliano molto ai social-liberali (non a caso Radikale Venstre in danese); i "laburisti" sono prevedibilmente i social-democratici; i "verdi" e i "solidaristi" alleati sono sostanzialmente comunisti o quasi, diciamo frocioni alla Vendola; i liberali di destra sono proprio i liberali di destra; e il "Partito della libertà" è riconducibile agli estremisti di destra del Partito popolare, già Partito del progresso, come dire Forza Danimarca.

Dando per scontato che abbiate già visto la prima stagione, la seconda comincia undici mesi dopo la separazione di Birgitemma da suo marito Marko-Philip Pannellasen, del quale diviene gelosa quando questi intrattiene una relazione con la giovane medico Cécile Kyenge. Sono brutti momenti per Birgittemma, alle prese con grossi problemi (Afghanistan e dintorni) con gli alleati di governo verdi e laburisti. Questi ultimi sono dilaniati da una lotta di potere tra il leader Guglielmo Marrot e i dissidenti capeggiati da Matteo Höxenhaven, che lo vuole rottamare. A tal fine l'ignobile e vendicativo ex primo ministro Berlaugesen, magnate dei media, si serve della giornalista Katrine appioppandole come fotografo accompagnatore ad un summit il frocione Mikkel Boselli-Tosoni, che seduce e ricatta Höxenhaven, il quale si suicida (giustamente, visto che come partner di governo mirava slealmente al posto di Birgittemma).

Intanto la relazione a intermittenza tra Katrine Gruber e Markasper Kappatuul vede quest'ultimo avere una quantità di relazioni con altre donne, il che per chi conosce Kappatuul come anch'egli noto frocione suonerà veramente strano, ma così vanno le cose nelle fiction danesi, italiane e bosniache. Questo comportamento stravagante di Kappatuul si riflette negativamente nelle sue prestazioni come addetto stampa della premier Birgittemma, proprio mentre le tensioni si acuiscono tra gli alleati del governo di larghe intese a causa del perfido Berlaugesen che getta benzina sul fuoco dei dissidi interni ai partiti di maggioranza. I problemi psichici di Laura dapprima peggiorano ma poi si riprende e questo riunisce sotto lo stesso tetto i genitori Philip Pannellasen e Birgittemma Bonyborg, che alla fine della seconda stagione annuncia nuove elezioni.

Nella terza stagione Markasper e Katrine hanno un bambino (Gustav Lafrìtola) mentre Birgittemma, incapace di formare un nuovo governo, si dimette, rincuorando il telespettatore che grazie a Dio non ci sarà una quarta stagione. Almeno ufficialmente, perché in questo blog se ne leggeranno un altro paio, anch'esse inventate di sana pianta.


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Oggi, Sant'Antonio da Padova, il ministro Flavio Zanonato da Padova

Il ministro dello sviluppo economico Flavio Zanonato (ex sindaco di Padova, Pd) ha letto sul sito israele.net (portale su Israele in italiano) un articolo che spiega come la sinagoga italiana di Gerusalemme fosse in origine quella di Conegliano (Veneto), caduta in disuso e smontata per essere ricostruita nella capitale ebraica. L'articolo informa che Conegliano è una piccola città situata "tra Padova e Venezia", e questa simpatica bestialità geografica ha fatto scintillare in Zanonato l'idea più rivoluzionaria mai sentita a proposito di sviluppo economico: scambiare di posto le località italiane per dare uno scossone al Paese "mescolando le carte", come ha detto lo stesso ministro illustrando il piano ieri in conferenza stampa a Montecitorio.

Il programma prevede di cominciare subito col primo scambio sperimentale, tra Milano e Portofino. Il capoluogo lombardo, col suo immenso hinterland settentrionale, viene roteato di 180 gradi e spostato davanti a Rapallo, dove c'è un mare di spazio. Circa la ricaduta economica, basti pensare all'effetto di unire Genova e Milano in una sola metropoli, una nuova Hong Kong con quattro aeroporti; mentre le province lombarde ex-settentrionali, ora meridionali, il cui sviluppo era fisicamente limitato dal confine svizzero (Varese, Como, Lecco) potranno lanciare la loro espansione nel Tirreno, conquistando i mercati di Corsica ed Elba. Quanto a Portofino, così piccolo che potrebbe essere contenuto in piazza del Duomo, della quale infatti prenderà il posto, continuerà a stare sull'acqua, anzi diverrà addirittura un'isola nell'enorme bacino formatosi dal confluire dei laghi di Como, Lugano e Maggiore, nonché fiumi come Adda e Ticino, in conseguenza del vuoto creatosi con lo spostamento dell'area metropolitana milanese dalla pianura in mare. 

Portofino sarà come sempre affollata. Il piano del governo infatti, è sperimentale nel senso che per il momento verranno spostate solo le cose materiali (edifici, strade, merci comprese le derrate alimentari, mezzi pubblici, locali pubblici, personaggi pubblici, fognature...) ma non gli abitanti (né i loro animali domestici). Per adesso, anche per non generare ingiustificato allarme nella popolazione, ognuno rimarrà al suo posto conducendo la sua vita "normale", almeno per quanto lo potrà essere per cinque milioni di persone vivere in 2,5 km quadrati che prima ne ospitavano stabilmente non più di 500, come dire diecimila individui al posto di uno. Uno sopra l'altro? In un certo senso sì: ulteriore motore di sviluppo economico sarà la necessaria verticalizzazione della nuova Portofino, con grattacieli alti fino a un chilometro nel bel mezzo del Lago Padano, esteso a sud fino al Po.

I portofinesi, da parte loro, godranno di una Milano tutta per loro come se in città fosse agosto tutto l'anno, anche per il notevole miglioramento del clima, ora nettamente mediterraneo. I pochi abitanti avranno un'ampia scelta di palazzi signorili ove stabilirsi, e di mestiere potranno dirigere una quantità di grandi aziende, comprese le maggiori banche, potendo così elargirsi reciprocamente lauti compensi e benefit. Insomma saranno creati dal nulla 500 nuovi benestanti che prima facevano il pescatore o il cameriere o l'ecuadoriano della locale piccola comunità. Costoro godranno tra le tante altre cose di un numero di stazioni ferroviarie sufficiente a servire singolarmente i loro discendenti, anche ecuadoriani, per generazioni. 

La seconda fase del progetto è ancora più ambiziosa, in quanto consiste nello spostare anche gli abitanti insieme alle rispettive città, un'intuizione che molti esperti valutano come più vantaggiosa. L'ex sindaco di Padova non poteva dimenticare le sue origini, o non voleva dare l'impressione, una volta ministrizzatosi, di essersi anche romanizzatosi. Zanonato ha così pianificato personalmente lo scambio di collocazione geografica tra Roma e il triangolo veneto Padova-Treviso-Venezia, di dimensioni e popolazione all'incirca analoghi. In tal modo il ministro - come del resto tutti i suoi colleghi di governo e altri tre milioni abbondanti di romanacci (nonché ben due papi) -, potrà muoversi tra i palazzi della capitale secondo i percorsi già noti, però lo farà a latitudine e longitudine cui è abituato tra il Brenta e il Piave, con grande beneficio della sua salute mentale e quindi della sua chiarezza di pensiero ed efficacia nell'operato.

Interessante notare come a questo punto entrambe le principali città italiane si trovino al nord: Milano conurbata con Genova sul Tirreno, e Roma affacciata sulla laguna adriatica ancora più a nord. Roma a nord di Milano?!? E' insorta la Lega, all'opposizione. Ma Zanonato non si lascia intimidire ed esorta i suoi ex conterranei, ora conterroni veneti, ad imparare che il mare a Sabaudia è meglio di Jesolo, anche se in montagna bisogna accontentarsi degli Appennini al posto delle Alpi (per adesso il piano contempla lo spostamento di centri urbani ma non ancora dei rilievi orografici né dei bacini idrici), e che se li prende la nostalgia del Prosecco, si anestetizzino affogandola nel Marino.

La terza fase del progetto è stata il parto più laborioso. Zanonato si è chiesto a lungo che cosa farne, dove cazzo spostare Napoli e la sua spazzatura senza suscitare proteste. Certamente non al nord... Invece sì! Sì, perché al ministro è venuta la soluzione per la terza metropoli dopo che aveva rinunciato e passato alla quarta vi ha trovato la soluzione: Napoli al posto di Torino e viceversa. Brillante, centinaia di migliaia di emigrati contentissimi del sole che godono al pensiero dei parenti finalmente al freddo umido, e altrettanti juventini intimiditi dagli umori del Vesuvio. 

A questo punto Zanonato aveva trovato la chiave per il successo del piano: non occorreva rompersi la testa con stravaganti abbinamenti (come il flop dell'esperimento Milano-Portofino avrebbe dimostrato negli anni), sarebbe stato più semplice procedere in modo razionale scambiando tra loro città di dimensioni simili. Bologna e Firenze (non se ne accorgerà nessuno); Palermo e Bari (Genova già sistemata); per concludere il rimescolamento con lo scambio più delicato, lasciato per ultimo in modo da acquisire esperienza nelle cinque fasi precedenti, la sfida che coronerà la gigantesca operazione: Brescia e Catania.

L'opposizione leghista, che sul Po si era già vista appioppare Roma e Napoli al posto di Venezia e Torino, alla prospettiva di metterci proprio a metà strada pure Catania ha minacciato di portare le armi in Parlamento. Il governatore lombardo Maroni ha dapprima dato in escandescenze, poi da giorni si è chiuso in un gabinetto della regione imitando Crozza davanti a uno specchio. Incredibilmente, Zanonato è riuscito a venire a capo di una situazione tanto spinosa con l'uovo di Colombo della metropolitana. Infatti in un episodio della popolare serie televisiva poliziesca, l'ineffabile tenente del dipartimento di Los Angeles interpretato dal grande attore Peter Falk viaggia in metropolitana con un uovo in mano quando gli viene l'illuminazione per risolvere un caso. Il ministro Zanonato si ricorda di quell'episodio, e per contorte associazioni di idee ne ricava l'insegnamento - da lì divenuto standard mondiale come Uovo di Zanonato -, che il problema si risolve collegando le ferrovie metropolitane delle due città, dove le due linee di metrò esistenti diverranno i terminali di un tratto centrale da Brescia, in Sicilia, a Catania, in Padania, con soste alle principali stazioni della rete ferroviaria già esistente. Mille miglia che ne faranno la metropolitana più lunga del mondo. Questo per consentire a bresciani e catanesi di recarsi nei dintorni delle proprie città, dintorni rimasti nelle rispettive regioni di origine.

A margine della conferenza stampa il ministro si è intrattenuto con la stampa in un sobrio buffet, durante il quale è tornato a sottolineare i vantaggi in termini occupazionali portati dallo smontaggio, trasporto e ricostruzione di miliardi di metri cubi di undici delle 12 maggiori città italiane più Portofino. Un'operazione del valore di altrettanti miliardi di metri cubi di euro e che comporterà la movimentazione, la migrazione di circa 17 milioni di italiani, con un saldo finale attivo per il nord di 1-2 milioni a spese del centro-sud. Un'osservazione critica, questa, sulla quale Zanonato non si è fatto cogliere impreparato, replicando che esistono milioni di persone, a sud del mediterraneo, pronte a ripopolare l'Italia meridionale. La Lega è servita.
radical

196, 13-VI-13
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