Mauro Mellini

Il Partito che non c'era

CAPITOLO 2

ALLE ORIGINI DEL REGIME


I giornali che, all'esito delle elezioni del 5 aprile '92, hanno annunciato in grossi titoli la fine di un'epoca (salvo a tornare, dopo pochi giorni, alla cronaca politica all'insegna della continuità) hanno certamente omesso di ricordare due date che contraddistinguono quell'epoca, sia essa o meno da considerare finita.
La prima data è quella del 18 aprile 1948, che segna l'inizio dell'epoca, dell'era democristiana.
La seconda è quella del 13 maggio 1974, quella del referendum sul divorzio, che all'epoca democristiana tolse il supporto di un'ideologia, cancellò lo specifico clericale della realtà politico-culturale italiana, lasciando tuttavia in piedi il regime, che, svuotato dell'ideologia del partito che ne rappresentava l'architrave, si ripiegò da allora su se stesso, sempre più caratterizzato dal programma, se così si può dire, e dai metodi dell'autoconservazione, del consociativismo, della lottizzazione.
Quella del 18 aprile 1948 non fu solo una scelta occidentale, nel clima oramai cupo della guerra fredda. Fu una scelta clericale, con la quale il paese, uscito dalla sconfitta e frastornato dai problemi delle responsabilità, dei vuoti, delle incongruenze e contraddizione lasciati dal fascismo e dalla guerra, cercava un ancoraggio ed alcune certezze. Un po' tutte le forze politiche in campo sentivano di non avere in sé forza e credibilità per le soluzioni e gli sbocchi necessari. Se a sinistra si "aspettava Baffone", fuori di tale area la paura non solo di Baffone, ma della propria debolezza, spingeva orfani del fascismo e della monarchia, antifascisti velleitari e d'occasione, masse disorientate e prive d'ogni altro punto di riferimento, a rifugiarsi in una scelta metapolitica, come tale capace di fornire un'apparenza di distacco dalle responsabilità del passato e del presente.
Parlando di quel lontano 18 aprile si evoca spesso l'atmosfera di crociata. Ma allo stesso tempo il paese visse allora una crisi di stanchezza, una voglia estenuante di deresponsabilizzazione. Tutto ciò consente di comprendere come in tali contingenze non potesse sorgere una classe politica ed un nuovo assetto ricco di senso dello Stato, improntato a rispetto autentico dei principi politici e costituzionali che il Paese si era dati o si era lasciati dare.
Né lo spirito di crociata, né la voglia di rifugio e di deresponsabilizzazione potevano produrre rigore e coerenza nella vita pubblica democratica, rispetto per le regole del giuoco e disponibilità alle alternative.
Le elezioni del 1948 furono rappresentate come "l'ultima spiaggia" della libertà e della democrazia. Ma quelle che seguirono non lo furono da meno. Elezioni democratiche, purché le vincessero i democratici, cioè i democristiani con i loro alleati. La democrazia reale, dunque, consisteva nell'assicurare comunque la vittoria dello schieramento democratico.
Si è fatto un gran parlare negli ultimi tempi, della vicenda Gladio, una vicenda tipica del "dopo quarantotto" della democrazia da guerra fredda, della politica delle doppie verità, dei risultati e delle maggioranze prestabiliti e garantiti. Ma se Gladio, oltre che un po' in ritardo, sembra essere stato espressione di un velleitarismo guerrigliero, non molto più credibile dell'attesa dei risultati del 18 aprile con la pistola in tasca, di cui ci ha parlato Cossiga in vena di ricordanze sassaresi, vi furono strumenti allora acquisiti per tener lontani i comunisti dal potere, molto più efficienti ed indiscutibilmente meno legittimi di Gladio, che hanno lasciato tracce profonde nel sistema politico che si è andato sviluppando a seguito di quella prima, clamorosa vittoria della DC.
Se la "democrazia reale" importava la necessità delle vittorie della DC e dei suoi alleati, i mezzi per assicurare tali vittorie venivano a far parte delle "istituzioni di fatto". In primo luogo il danaro. Se la macchina della Chiesa si era mossa senza alcuna remora per assicurare il successo della DC nella competizione per la prima legislatura della Repubblica, con effetto determinante, le disponibilità finanziarie larghissime non avevano avuto un ruolo molto minore, né lo ebbero nelle prove elettorali successive. Ma se il finanziamento della campagna del '48 era potuto avvenire, per così dire, sullo slancio, data la percezione del pericolo da parte dei grandi interessi industriali e, in minor misura, agrarii, la continuazione dello sforzo a sostegno del partito di maggioranza e dei suoi satelliti negli anni successivi non fu altrettanto semplice e spontanea. La crociata, con tutte le sue implicazioni, promossa, legittimata e benedetta dalla Chiesa, non poteva non comportare legittimazioni e benedizioni anche per i mezzi necessari per sostenerla. Ricavare dal potere il danaro necessario e gli altri strumenti per mantenerlo, se mantenerle ad ogni costo diveniva un comandamento della fede e della scelta di campo nella guerra fredda, diveniva a sua volta non solo lecito, ma doveroso, non meno che armarsi per far fronte ad una eventuale vittoria dei "rossi", o all'"eversione".
La tangente nasce così come una sorta di "decima", percepita da cattolici e laici per un fine, comunque, benedetto dalla Chiesa.
Bisogna dire, infatti, che i partiti laici cooptati nel sistema di potere DC, non tardarono ad adottare l'imitazione di questo antico istituto canonico nella rinnovata sua consacrazione. E dall'America non mancarono gli incentivi e le occasioni per questa via del "rafforzamento" della democrazia (eravamo, del resto, negli anni del maccartismo) se sono vere le storie e se non abbiamo perso la memoria di affari di forniture di navi "Liberty" etc. etc.
Si può dire che le tangenti degli anni cinquanta erano poca cosa per entità, estensione e complessità rispetto a quelle di oggi. E' vero anche che la successiva creazione di grosse e piccole baronie nei partiti e nelle amministrazioni, gli assetti complicati delle lottizzazioni, la sopravvivenza di nuovi equilibri politici, del consociativismo, etc.etc. hanno profondamente mutato la natura e la funzione della tangente, con una evoluzione che ricorda, appunto, quella delle decime, ad un certo punto distinte in sacramentali e patrimoniali ed entrate a far parte del complicato sistema di potere economico-politico feudale.
Mentre sulla "scoperta" di Gladio si è levato grande scalpore, quando, tutto sommato ci sarebbe stato solo da scandalizzarsi per il carattere velleitario ed assai poco convincente di tale apparato degli anni della guerra fredda, nessuno sembra che voglia ricordare che con le stesse giustificazioni, nella stessa atmosfera, dagli stessi partiti e, operanti o consenzienti, dagli stessi uomini, furono messi a punto assai meno confessabili strumenti di scavalcamento della democrazia formale, in nome della "democrazia reale" e delle necessità della guerra fredda. Può oggi sembrare oziosa ed un tantino patetica la ricerca dell'origine, per così dire. ideologica del sistema delle tangenti nei primi anni del regime democristiano. Si può dire che, se "pecunia non olet", essa non ha bisogno neppure del profumo delle giustificazione ideologiche e storiche. Sarà certamente così per i destinatari delle tangenti per gli esattori e per gli stessi contribuenti.
Ma se il sistema ha potuto svilupparsi come si è sviluppato e porre radici tanto profonde, ciò è dovuto all'assuefazione della gente e, prima di essa e quale causa di essa, ad una larga tolleranza ed ad una più o meno esplicita "comprensione" della sua "necessità", se non alle discrete assoluzioni e benedizioni assai più diffuse e frequenti di quanto oggi non si voglia e non si possa ammettere.
Un discorso non molto diverso dovrebbe farsi per le lottizzazioni, le clientele, i favoritismo nell'assegnazione di posti di lavoro, di cariche e di incarichi. Il nostro paese non conobbe le epurazioni maccartiste, con le loro tragedie e le loro sceneggiate. Ne conobbe però l'inverso: il privilegio e la sopraffazione, i favori alle persone "fidate", immuni da pecche e garantite nella loro piena disponibilità alla "buona causa" da parroci, vescovi, partiti.
Dopo il 18 aprile del'48 si ebbero conversioni talvolta grottesche, spesso assai poco convincenti. Funzionari dello Stato e dei mille enti scoprirono gli esercizi spirituali, le "settimane sociali", l'Azione Cattolica e magari qualche "terz'ordine", come in passato avevano scoperto la bellezza delle adunate e l'entusiasmo per i concorsi ginnici per gerarchi e gerarchetti, i littoriali etc. etc.
Se il maccartismo si accanì sul passato di attori e funzionari, pretendendo abiure e delazioni, il maccartismo all'italiana si accontentò volentieri del presente, chiudendo sul passato un occhio ed anche tutt'e due. Così per più di un figliol prodigo della democrazia, del cristianesimo se, per discrezione, non fu decretata l'uccisione del classico vitello grasso, fu tuttavia riservato un posto a tavola di tutto rispetto.
La connotazione clericale del regime fu in quegli anni assai marcata e sostanzialmente incontrastata. Già prima del 18 aprile, alla Costituente, l'approvazione dell'articolo 7 della Carta sulla conservazione del Concordato, aveva dato il segno della rassegnazione e della furbesca disponibilità dei laici. Ma dopo il trionfo della DC alle elezioni per la prima legislatura repubblicana prevalse il convincimento che le masse cattoliche fossero impenetrabili a qualsiasi formula, convincimento, emozione politici, che non fossero quelli del partito cattolico, cui dovevano considerarsi appartenere per inalterabile destinazione.
Dallo shock del 18 aprile nacque per la sinistra, e per il PCI in particolare, la politica del "dialogo con i cattolici", massimo obiettivo raggiungibile, fondato e finalizzato sulla gestione di rivendicazioni essenzialmente economico-sindacali recepibili anche dai lavoratori cattolici e sulla sostanziale emarginazione di ogni problema più propriamente politico, tanto più se capace di coinvolgere questioni ideologiche e problemi in qualche modo relativi a specifici interessi della Chiesa.
Ancor più paralizzante fu l'effetto dell"'onda lunga" democristiana sui cosiddetti "laici". Si sviluppò in essi una rassegnazione alla sudditanza nei confronti della DC quale condizione per la sopravvivenza, destinata a segnare, in modo che sembra ancor oggi definitivo, la loro storia.
Qui non vogliamo certamente riscrivere la storia d'Italia dal dopoguerra né fare la storia dei partiti, della Democrazia Cristiana, del regime da essa instaurato. Sarebbe già arduo, e richiederebbe ben altro spazio ed impegno, fare la storia della degenerazione del sistema politico italiano, della quale qualcosa bisogna pur dire e che bisogna capire, al di là delle generalizzazioni e dei luoghi comuni, se si vuol parlare e capire qualcosa di quanto è avvenuto e sta avvenendo, della crisi della partitocrazia, delle elezioni dell'aprile '92, delle Leghe, dell'Italia divisa in due dal voto, delle cosiddette riforme istituzionali, del travaglio dei partiti e del loro sistema.

Cerchiamo di dare uno sguardo al passato e dal passato perché il presente non ci sommerga, al punto da non poterne misurare la consistenza e scorgere la vera natura delle cose che l'oggi ci offre.

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