1. Storia e significato di un termine

Il termine Radicale, proviene dall’Inghilterra. Il radicalismo inglese ha origini lontane: la parola nasce nel linguaggio politico anglosassone attorno al 1780, per designare la riforma elettorale basata sul suffragio universale maschile, per la quale si battè lungamente John Cartwright, che venne appunto definita "Radical Reform" e che fu ispirata dalle prime società ed organizzazioni democratiche inglesi con uomini come Priestley, Price e Thomas Paine (autore di "The rights of Man"). Pur non avendo un significato preciso che varia a seconda delle diverse tradizioni storico-culturali, il radicalismo inglese rappresenta le ali più avanzate del pensiero democratico, in pratica l’estrema sinistra borghese, con precise ascendenze laico-illuministiche.

Il primo radicalismo britannico, attratto da eventi contemporanei come la Dichiarazione dei diritti americana del 1776 e i fermenti politico-sociali francesi, attingeva, con forti tendenze giacobine, alle grandi idee di fede nella ragione e nell’uomo proprie dell’illuminismo, ma finirà per prediligere i problemi concreti e le riforme ai principi astratti, rappresentando così una filosofia eretica rispetto al classico liberalismo. Il radicalismo inteso come movimento ideologico si formò grazie all’apporto di James Mill ma soprattutto di Jeremy Bentham con il suo pensiero definito dagli storici appunto "radicalismo filosofico". Secondo la concezione filosofica dei radicali inglesi, la società si fondava sull’homo economicus, il cui interesse di singolo doveva essere posto in condizione di realizzarsi nell’ambito dell’interesse generale. Secondo Bentham: "La società è talmente costituita che lavorando alla nostra felicità particolare, noi lavoriamo per la felicità generale" . Proprio Jeremy Bentham e James Mill con i loro contributi teorici dell’ "utilitarismo" , riunirono attorno al radicalismo britannico del primo ‘800 un movimento democratico e riformista che riuscirà ad esercitare un notevole ruolo politico e culturale grazie alla stampa e ad una combattiva vita parlamentare. All’azione dei radicali, preludio ideologico dell’avvento laburista, infatti si dovettero alcune importanti riforme, fra le quali quella della revoca delle restrizioni al commercio e all’industria e soprattutto la riforma del sistema elettorale del 1832. I radicali non costituirono un vero partito ma bensì un gruppo di pressione che poi si dissolverà in altre forze politiche (soprattutto nei Whigs), agendo con un forte fermento innovatore.

Il termine "radicale" passò al linguaggio politico europeo continentale soprattutto in senso negativo, non come etichetta politica, ma come epiteto usato da coloro che occupavano posizioni di potere per definire gli oppositori democratici e costituzionali. In Europa un partito radicale organizzato fu quello svizzero, sorto nel 1829 e sostenitore del metodo del referendum. Ma il radicalismo inglese ha tratti differenti dal radicalismo francese: essi in comune hanno solo il nome, ma non la sostanza, non un legame di consistenza storica. Il Radicalismo italiano ebbe come modello proprio il radicalismo francese, di cui quindi è opportuno parlarne per meglio comprendere le vicende nostrane. Quello francese fu il Radicalismo per eccellenza. Di radicali in Francia si comincia a parlare intorno al 1820. Le sue correnti ispiratrici furono il dantonismo e il girondismo , filtrati attraverso le lotte politiche che portarono alla Rivoluzione del 1848. Di radicali in Francia si comincia a parlare intorno al 1820. Il nome come già detto, viene dall’Inghilterra. Si era allora scoperto a Londra un complotto per assassinare dei ministri, e la stampa britannica aveva attaccato, ancora una volta, i "radicali", come ispiratori e fomentatori di ogni disordine politico. All’indomani dell’assassinio in Francia del Duca di Berry nel 1820, il ministro degli interni francese Simeòn aveva esclamato: "Abbiamo forse anche noi i nostri radicali?" . Il nuovo termine entrava così nel linguaggio politico francese. Il termine di origine britannica serviva quindi a etichettare ogni forma di opposizione e di dissenso: radicali sono i cittadini che criticano il governo, radicali sono gli oppositori e i nemici dell’ordine costituito.

Sotto la Monarchia di Luglio esso indica le correnti repubblicane, socialiste, le società popolari e tutti coloro che avversano il potere borghese. Nel 1837 comparvero in Belgio e in Francia due giornali con il titolo di "Radical" legato a circoli rivoluzionari. Nella Francia di Luigi Filippo fino al 1848 sotto questo termine che racchiude l’opposizione politico-sociale sono presenti due correnti: una rivoluzionaria, cospiratrice che usa il termine come un prudente travestimento (Blanqui o la Societè des Saisons per esempio), e una che si batte alla luce del sole per un programma di riforme e di trasformazione democratica del regime. Sono questi i veri primi radicali nella Francia dell’Ottocento. I radicali ottocenteschi francesi non formano un partito e nemmeno un gruppo omogeneo ma sono accomunati da un solo scopo: la lotta contro Luigi Filippo. Il radicalismo francese che è formato da una base piccolo-medio borghese con forte sensibilità per i problemi sociali, si richiama alla grande rivoluzione della fine del ‘700. Esso si rifà agli ideali della Rivoluzione francese e alla Dichiarazione dei Diritti. Sotto la Monarchia di Luglio emergono tra i radicali francesi figure come Louis Blanc e LedruRollin. Quest’ultimo deputato dell’Estrema sinistra si batté per l’allargamento del suffragio e fu tra le prime file nella Rivoluzione del febbraio del 1848 (definita anche "rivoluzione dei radicali") nella quale egli, rifacendosi ai principi del 1789, proclamerà: "Si, siamo noi gli ultra-radicali, se voi con questa parola intendete il partito che vuole fare entrare nella realtà della vita il grande simbolo della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità" . Rivoluzione che segnerà il trionfo di Ledru Rollin che salì al potere come Ministro degli Interni. Ma la reazione dei moderati, dei conservatori che porterà la Francia al Secondo Impero spazzerà via ogni illusione radicale.


Col passare degli anni nuovi radicali si affacciano sulla scena politica: sono i Gambetta, i Ferry, i Clemenceau. E col passare degli anni viene abbandonata la tentazione rivoluzionaria e abbracciata la politica riformatrice. La figura più spiccata è quella di Gambetta che è fra i primi a proporre un serio programma (detto di Belleville dal nome del quartiere parigino dove Gambetta tenne un comizio), definito "la prima manifestazione politica ufficiale del "radicalismo". I radicali chiedevano: suffragio universale, ampia tutela dei diritti, la separazione della Chiesa dallo Stato, istruzione laica. Tutti argomenti che verranno ripresi non casualmente dai primi radicali italiani. In questi anni i radicali francesi si trovano divisi fra coloro che rifiutano la vita politicoparlamentare come Louis Blanc e coloro che lottano dall’interno delle istituzioni come Gambetta. E’ la stessa distinzione fra partecipazionisti e astensionisti che ritroveremo fra i radicali italiani. Dopo la caduta dell’Impero e nei primi decenni della Terza Repubblica, i radicali, collocandosi all’estrema sinistra, diventano una forza determinante nella vita politica francese. In quegli anni a sinistra dei radicali compare una opposizione dichiaratamente socialista. Comincia così in Francia la storia dei difficili rapporti tra il movimento socialista e quello radicale, che rimarranno quasi sempre divergenti anche per la loro diversa base sociale: borghese o piccolo borghese i radicali, operaia i socialisti. Qualcosa di simile vedremo anche in Italia. Nel radicalismo francese di quegli anni spicca la lotta contro la Chiesa e la battaglia per una legislazione democratica. Questi ideali influenzeranno concretamente il radicalismo italiano che riprenderà i vizi e le virtù del radicalismo francese facendo propri punti ideologici e programmatici come, fra i tanti, la difesa della laicità dello Stato, l’istruzione primaria e i rapporti con l’estrema socialista.

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