Altre cose irritanti nel triste trascinarsi penosamente in questo mestierare l'evil-marketing tra le aziende italiane:

- la SpA. "Questa è la ditta Cazzaro SpA de Padova, ciò!, semo chiusi par ferie. Dis is (una malattia?) Cazaro ES-PI-EI, ciò!, uì ar on olideis". Benedeta ragaza, una SpA è una Società per Azioni, che in inglese è una Plc (Public limited company) e in americano una Jsc (Joint stock company). Cosa cazzo possono capire i tuoi interlocutori anglofoni se dici che siete una ES-PI-EI?? bagni termali? speriamo le vacanze le abbia fatte ad Abano a sciaquarsi la frìtola...

- le musichette di attesa. questo mestiere vi farà odiare Vivaldi e i Beatles. possibile che la metà delle aziende siano fissate con la Primavera e l'altra metà - radicali compresi - con Imagine di John Lennon?? minchia esistono anche i Deep Purple, Amy Winehouse, Astor Piazzolla, perfino i canti gregoriani...

- il fax. "semo chiusi par ferie. se gavete comunicasioni urgenti mandate un fax al numero 049... ". un fax? per comunicazioni urgenti?? ma lo sapete nel Veneto che il facsimile è una tecnologia di cent'anni fa che è andata in pensione prima ancora che la Svizzera abolisse gli assegni? complimenti alla dinamica imprenditoria del nordest.

- il Gaigabait. per una volta non me la prendo coi veneti ma con i colleghi americani, che mi sfottono perché lo pronuncio Jigabyte. minchia, faccio loro osservare, ma un gigante - Giant - lo pronunci Jaiant o Gaiant? e qualcosa di gigantesco - Gigantic - lo dici Jaigantic o Ghaigantic? adesso avete una vaga idea da dove derivi il prefisso Giga? non è servito neppure il link al dizionario di Oxford: rassegnamoci, potenza dell'ignoranza americana, è ormai ufficialmente diventato un Gaigabait e pazienza.

ah, in tema, oggi piccolo test al lavoro: quanti megabyte ci sono in un gigabyte? risposta del collega veneto-americano: dieci. complimenti per la laurea, sei il futuro dell'imprenditoria del nordest

9 commenti:

Anonimo ha detto...

Attenta a quello che scrivi, Miss, se ti leggono potrebbero sostituire "Imagine" con i requiem.

"Imagine" è una canzone politica, dunque ad una azienda non si addice ma ad un partito sì. In anni in cui ascoltando un congresso o un'assemblea radicale ti poteva capitare di sentire Vasco Carraro quella musica d'attesa era una consolazione.

Anonimo ha detto...

Però 'sta cavolo di g in inglese non sai mai come si pronuncia. C'è un motivo logico per cui la g di Gene (Hackman) si pronuncia diversamente dalla g di (Richard) Gere?

In esperanto la g di Genova si scrive "ĝ" e la g di gatto si scrive "g", dunque è impossibile sbagliare.

Anonimo ha detto...

"è ormai ufficialmente diventato un Gaigabait e pazienza."

Eh sì, qua infatti ci sono entrambe le pronunce:

http://www.merriam-webster.com/dictionary/gigabyte

Anonimo ha detto...

Una segnalazione riguardo alla tua blogroll: il blog http://www.weissbach.it/blog/ non è di Ugo Bardi. L'autore penso che si chiami Francesco, ma non è Francesco D'Ambrosio.

Anonimo ha detto...

Come direbbe Davide Van De Sfroos, basta con megabyte, gigabite e MEGABAL!

Anonimo ha detto...

ma come, non è Ugo Bardi? vabbè mi fido di te e ho corretto in Weissbach.

circa la G in inglese, m'insegni tu che è una lingua che pronunciano di volta in volta come gli pare. Gene Hackman è "Jin", mentre Richard Gere è "Gheer", e aggiungo che le scarpe LA Gear sono "Ghir". vero è che i principali dizionari ammettono sia Jigabait che Gaigabait, ma io mi sono appellata all'etimologia del gigante.

in questo senso i dizionari ammettono anche prAAAivacy oltre a prIvacy. il problema è che gli stessi inglesi di bassa cultura ormai parlano americano per via dell'immondizia televisiva. e vabbè, le lingue di evolvono e dobbiamo mettercela via, non ci si può arroccare sui purismi.

peccato però perché l'inglese sarebbe una lingua interessante, ma dovremo rassegnarci a parlare texano col naso tappato.

W le lingue che si pronunciano come si scrivono: il tedesco, il turco... l'ITALIANO! :)

PS per Il MaLe: chi è Davide Van De Sfroos? suona fiammingo

Anonimo ha detto...

C'è un post che fa pensare che sia Bardi:

http://www.weissbach.it/blog/?p=439

Ma credo si tratti di un copia-incolla da qua:

http://it.groups.yahoo.com/group/eurozev/message/358

A gestire il blog non è Bardi:

http://www.weissbach.it/blog/?p=566
http://www.weissbach.it/blog/?p=505
http://www.weissbach.it/blog/?p=179
http://www.weissbach.it/blog/?p=182

Davide Van De Sfroos è un cantautore lombardo.

Anonimo ha detto...

Quasi quasi divento geloso di mildareveno. Mah! sorvoliamo!
Ma scusa non c'è la soluzione di fottersene degli americani ed utilizzare la lingua pure e netta, fresca di colluttorio?
luigi

Mauro Suttora ha detto...

Foglio, 22.12.2001

di Mauro Suttora

Van De Sfroos non è un ciclista fiammingo. E’ il nome d’arte di Davide Bernasconi, cantautore dialettale comasco di 36 anni: «van de sfroos» in lariano significa «vanno di frodo».ininrodo». Contrabbandieri e irregolari sono infatti i personaggi delle canzoni di questo artista-rivelazione, che sta collezionando tutti esauriti in ogni concerto che tiene in Lombardia e Svizzera italiana. Così c’è il Bestia, «castig del Signuur, semper spurceleent e vestii cun’t un sacch, ma no l’era mai stracch» («castigo del Signore, sempre sporco e vestito con un sacco, ma non era mai stanco»). C’è quell’altro con «gli occhiali da tafano dell’autogrill di Fiorenzuola, pilota de la malura che scià el Gilera de rüvà ved mea l’ura» («...pilota della malora che sul Gilera di arrivare non vede l’ora»). E c’è naturalmente anche il cuoco del Grand Hotel, come su ogni lago che si rispetti, figura degna di quello di Salò cantato da Francesco De Gregori, solo che questo ha «il maa de schena, e l’è giamò ciucch a la matèna» («il mal di schiena, ed è già ubriaco alla mattina»).

Van de Sfroos, questa specie di Paolo Conte dell’Insubria, è diventato il mito nascosto della Lombardia settentrionale. Riesce a mettere d’accordo tutti: leghisti, ciellini, comunisti, forzisti. Ha vinto il premio Tenco del 1999, e il suo disco «Breva & Tivàn» (i due venti che soffiano regolarmente sul lago di Como, uno al mattino e l’altro al pomeriggio, permettendo per secoli ai «lagheè», gli abitanti del lago, di spostarsi da un paese all’altro), autoprodotto e senza una vera distribuzione, ha venduto 35mila copie spontaneamente, con la sola forza del passaparola.

Ora è uscito il nuovo «E semm partii...» (Siamo partiti), disco di folk rock che ne riconferma la fantasiosa vena poetica. Sul palco del teatro Smeraldo, a Milano, Lella Costa ha voluto leggere le sue poesie. E Ale e Franz, anche loro calati in pianura dalle prealpi (sono i comici sfigati che suonavano al citofono di «Mai dire gol»), lo hanno accompagnato con le loro battute surreali.

Il mondo di Van De Sfroos è pieno di personaggi stralunati, cantati con il suo vocione da cantastorie padano a metà fra Pierangelo Bertoli e Ligabue. Dopo i concerti, che tiene in posti dai nomi buffi come Uggiate Trevano, Zingonia, Guanzate o Tavernerio, giovani e vecchi portano sul palco ingrandimenti fotografici da firmare, bottiglie di vino e salami caserecci.

Da queste parti, fra Valtellina a nord, Brianza a sud, Svizzera a est e Orobie a ovest, il contrabbando è sempre stato qualcosa di più di un espediente per sopravvivere: fa parte della storia di ogni valle, paese e famiglia, dove c’è spesso un nonno o uno zio che andava «de sfroos». Almeno fino agli anni ‘70, quando le cose si sono incattivite e agli spalloni con sigarette e robe da poco si sono sostituiti i mafiosi con pacchi di soldi, droga e armi.

Ma è rimasta l’atavica voglia di libertà, l’insofferenza per le frontiere, la spinta di partire che fa cantare a Van de Sfroos «E sèmm partii per questa America sugnàda in pressa, una valisa che gh’è deent nagòtt, cumè tocch de vedru de un biceer a tocch...» («Siamo partiti per questa America sognata in fretta, una valigia con dentro niente, come pezzi di vetro di un bicchiere rotto...)

La musica è curatissima e moderna: va a ritmo di ska, rock, punk, reggae, in cui perfino uno strumento intrinsecamente triste come la fisarmonica quel bottone, come un coglione...) c’è uno dei versi più belli del suo ultimo disco. Quando, ricordando la notte del luglio 1969 in cui gli astronauti arrivarono sulla Luna, commenta amaro: «Perchè i naven sö la Loeö la Loela Loe i purtaven a cà i sass, e na e in giir sö la Tèra segütàven a cupàss» («Andavano sulla Luna e portavano a casa i sassi, e in giro sulla Terra continuavano a uccidersi»).

Il 7 dicembre la città di Milano ha premiato con la sua più alta onoreficenza, l’Ambrogino d’oro, un altro grande cantante dialettale lombardo, Nanni Svampa. Lui è milanese. Anzi, franco-milanese, perché forse le sue canzoni più belle sono quelle ispirate da Georges Brassens, il papà di tutti i cantautori di livello (da Georges Moustaki a Fabrizio De André) scomparso esattamente vent’anni fa. Van De Sfroos si colloca in questa scia, dove la musica profuma di poesia e confina con l’anarchia.