Polpetton, capitolo V.
"Porno Eden, un cazzo" sibilò fra i denti Mauro "un'altra serata in bianco! ... fanculo l'antimilitarismo!"
Ma alla reception dell'albergo pordenonese l'affascinante Jeremy Paxman di Gorgonzola trovò un inatteso pacchetto che lo avrebbe compensato della delusione. Lo avrebbe in effetti compensato di anni di minuziose ricerche: una mano misteriosa, appartenente a qualcuno che il portiere del turno di notte non aveva incontrato e quindi saputo descrivere, gli aveva recapitato ciò che, se autentico, avrebbe rappresentato il tassello mancante nelle sue indagini: i diari segreti di Roberto Granzotto!
E autentici avevano tutta l'aria di esserlo, sia pur trattandosi di una copia fotostatica, si convinceva sempre più mentre li sfogliava eccitato senza poter credere ai suoi occhi. Chi avrebbe potuto valutarlo meglio di lui, il biografo non autorizzato che di esplorare Granzotto nei suoi risvolti più intimi aveva fatto la ragione della sua esistenza? Lo stile era inequivocabilmente il suo, esultava trionfante Suttora scorrendo avidamente una lettera in cui il segretario radicale veneto descriveva a un altro Roberto, forse egli stesso o Polezel, le sue prodezze amatorie durante un lungo viaggio effettuato nel contesto della campagna che aveva lanciato per l'ingresso di Israele e Turchia nell'Unione europea.
Ankara, agosto 2002
Caro Roberto,
lei è una cameriera d'albergo armena, ama gli ebrei o meglio ci si sente afine nela comune antipatia per i musulmani, e non senza qualche ragione, visto che il suo popolo fu sterminato in un teribile genocidio. Un po' come i curdi che, pur di fede islamica, si sentono più vicini ad Israele che ai loro coreligionari, giaché per note ragioni il nemico dei loro nemici è loro amico. I turchi, pur molto soavi e straordinariamente ospitali, in alcune ocasioni storiche si sono rivelati, diciamo pure con un eufemismo, fin tropo "espansivi", in tutti i sensi e le direzioni! Questa loro estasiata gentileza al limite dell'ingenuità marca uno stridente contrasto con le sconceze che i loro generali (pascià) si sono esercitati a dirigere al di qua e al di là del Bosforo.
Giudea lo sembrerebe financo nel carateristico trato somatico che ne permete il riconoscimento a prima vista, il naso d'aquila. Curiosamente però, ciò che in tuto il mondo definiamo un profilo greco o un naso ebraico, gli armeni lo chiamano un tipico naso armeno. Non sono bastati cent'ani per cancelare la difidenza istilatasi geneticamente in cinque secoli di dominazione del'impero otomano, né nei balcanici, né tantomeno negli armeni di ogi che hano visuto senza qualche milione di noni e bisnoni.
Lei ha gli ochi neri, i più neri che si posano imaginare, dire nerisimi non è abastanza. Altretanto vale per i capeli, neri che più neri non si può, proprio come piace a me. Pecato non abia le tete, che invece a me piaciono molto, anzi diciamo pure che un bel paio di tete mi fa leteralmente impazire. Adoro palparle, baciarle, sopesarle, lecarle, suchiarle, e specialmente schiafegiarle col pene. Va bene le gambe storte - un difeto che i tachi alti e le calze sexy avrebero potuto compensare rendendola più troiesca -, ma ala mancanza di tete non c'è rimedio.
Perciò non la ho amata al cento per cento, pur aprezandone l'onestà, la lealtà, la coreteza che non conoscevo in altre done, o quantomeno lei è straordinariamente più dotata di un'etica veramente amirevole. Mi è rimasta fedele quando ci siamo separati, e ancora ogi ne conservo il ricordo di una delle mie migliori amiche. Eco: era ed è una splendida amica e verosimilmente fui io a sbagliare quando voli penetrarla per farne un'amante.
Si era a Istanbul sulla spiagia del mare e soto la luna piena, la baciai e superai il mio ribrezo per i suoi colant (odio i colant con tute le mie forze, vorei conoscerne l'inventore per rendergli l'onore di prenderlo a schiafi personalmente). Grazie al mare e ala luna, e nonostante i colant, fu una dele scopate del secolo, perchè lei, pur non esendo una beleza, era però molto troia. Poi compresi che forse voleva rifarsi della castità cui l'aveva costreta un padre dispotico, anzi fuor di metafora diciamo pure veramente stronzo. Lei aveva quasi quaranta ani, epure io fui solo il secondo esperimento sesuale nella sua vita, datandosi il predecesore a solo un ano prima.
Anche perciò voli penetrarla nonostante fose un po' brutina: con ipocrita altruismo mi asumevo l'incarico di contribuire ala sua emancipazione dal'odioso tirano paterno. Quando vene il momento di lasciarla, glie lo disi francamente: le disi che se avese desiderato un figlio avrebe dovuto scopare con molti altri, perché doveva elasticizarsi la fica, altrimenti il parto sarebe stato ancora più doloroso.
Poi, dopo una di quele noti in cui facevamo l'alba, e l'amore, in riva al mare in atesa dei giornali, ripresi l'auto e tornai qui nela capitale pervaso di paterna amareza: avevo conservato un'amicizia di quele che durano per tuta la vita, ma sapevo anche di avere perso la vulva più dolce e pulita che abia mai asaporato. Proprio grazie alla sua semi-verginità, aveva infati la vagina più gradevole ch'io abia mai conosciuto; le grandi labra dela sua vulva, ancora presoché inesplorate, s'incontravano con quele della mia boca, che solo da pochi mesi aveva imparato a lecare una fica; anzi, bisogna dire che da adolescente mi faceva schifo solo l'idea: dunque, alla matura semi-vergine dei Dardaneli va la mia gratitudine per avermi reso piacevole questa operazione sul baso ventre che prima reputavo solo uno sbrodoloso dovere per conquistare l'amata.
La rosea, soda inocenza dela carne dele sue labra vaginali mi conquistò, e per la prima volta fui volentieri indoto, con autentico piacere, a inumidire e anusare a pieni polmoni un organo sesuale feminile. Anche di ciò le sono grato, oltre ala pulizia del suo animo e del suo corpo, oltre ad una amicizia che mi riesce dificile imaginare meno che perene: questa dona di dieci ani più grande di me e che però contava nela memoria meno di un decimo dele mie esperienze sesuali, mi aveva involontariamente insegnato a lecare una fica come si deve. Mi sembra di ricordare che una volta mi abia fato un pompino, ma niente valeva il piacere di lecarle la fica.
Mauro Suttora era madido di sudore, dovette interrompere la lettura del diario di Granzotto e per distrarsi frugò disordinatamente nelle tasche per ripescare l'altra lettera, quella che ora, sfuocata, si stava scolorendo a macchia di leopardo: inforcati gli occhiali per osservarla più da vicino, scoprì attonito che erano scomparse tutte le doppie...
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