Orietta Callegari, Polpetton, capitolo X - La fine


Aveva portato con sé il libro, con dentro quella lettera che andava pian piano cancellandosi. Seduto sulla spiaggia in riva al mare guardava il sole tramontare e non sapeva spiegarsi il perché tanta bellezza lo facesse stare male.

Era uno spettacolo incredibile, i giochi di luce creavano sfumature colorate di una bellezza commovente e M. aveva voglia di piangere e non aveva più voglia di pensare, mentre guardava il sole che lento scendeva sull’orizzonte insanguinando con i suoi raggi, le nuvole.

Ascoltava il frangersi sensuale dell’onda sulla riva, con voluttà e amore, così dolce e insistente il mare accarezzava la terra.

M. lasciò andare il suo pensiero lontano verso il sole che, straziandosi, fuggiva dalle catene del tempo, e lo vide scontrarsi sulle creste dell’onde con un mare di parole che avanzava verso la riva.

C’erano parole dolcissime: quelle che si sussurrano all’orecchio gli amanti, e parole che non dicono niente: quelle nei negozi e nei bar, parole che possono convincerti a credere che si ha un’anima, e altre che ti portano alla disperazione.

C’erano parole della scienza, e della matematica, parole per far ridere e altre per far piangere, parole per piegare la gente, altre per farla sollevare, parole irripetibili e sconce, parole di canzoni e di ballate.

C’erano tutte le parole, le parole dei bimbi e quelle dei folli, e quelle peggiori: stucchevoli e arroganti, della banalità, dell’ignoranza e della falsità. Parole scritte e pubblicizzate avanzavano sulla riva, come un esercito conquistatore, senza risparmiare niente e nessuno.

Un gruppetto di persone si era radunato sulla spiaggia e guardava incuriosito quel corpo violaceo, mollo e gonfio che i sommozzatori avevano ripescato.

Qui c’è un libro!” disse uno degli agenti che stavano facendo i rilievi del caso.

Vedi se ha lasciato scritto qualcosa” gli rispose quello che doveva essere un capo,

No, c’è tra le pagine un foglio piegato, ma è completamente bianco!” disse l’agente consegnando il libro al capo.

Forse lo ha usato per segnare questa pagina” e lesse la poesia:


Una parola (perché la voglio conquistare),

la parola decisiva, superiore ad ogni altra,

inafferrabile, inviata – qual è mai? – sto in ascolto;

la sussurrate voi, e da sempre, onde del mare?

E’ quella che si leva dalle vostre liquide creste e umide sabbie?

E rispondendo, il mare

senza indugiare, senza affrettarsi,

mi sussurrò nella notte, e chiaramente prima dell’alba,

mi frusciò l’umile, deliziosa parola : morte,

e poi ancora morte, morte, morte.

Cinguettò melodioso, non come l’uccello

né come il mio cuore ormai desto di bimbo,

ma avvicinandosi, come per dirlo in privato,

frusciando ai miei piedi,

e poi strisciando con calma fino al mio orecchio

lavandomi tutto dolcemente,

morte, morte, morte, morte, morte.


Il giovane agente rimase scosso da quelle parole, lui ancora non lo sapeva, ma si sarebbe dimenticato di quel turgido e tumefatto corpo che per poco non lo aveva fatto vomitare, ma ogni volta guardando il mare, fosse insieme ad una donna innamorata abbracciato sugli scogli, o giocasse a pallone con gli amici sulla riva, da allora in poi, non avrebbe mai più dimenticata la parola venuta nel vento sulla cresta delle onde, la parola dal canto più dolce di ogni altro canto, quella forte e deliziosa parola che sussurrò il mare all’orecchio di quel poeta bambino.

Morte … morte … morte.

La rinascita


Apri gli occhi Mauro … svegliati Mauro … apri gli occhi!”

Che incubo!” disse mettendosi a sedere sul letto.

Ti sei agitato tutta la notte, probabilmente non hai digerito gli gnocchi al pesto di ieri sera!” le rispose C. entrando nella camera, e la prima cosa che Mauro vide furono i suoi fluttuanti capelli che accarezzavano l’aria.

Non mi ricordo niente, ma dev’essere stato un incubo terribile, sono tutto sudato!”

Lei gli sorrise e lui pensò che quel sorriso era il porto tranquillo, tanto cercato, dove aveva gettato l’ancora per restarvi per sempre, ma continuò a non ricordare.

Anche quando sedutosi sulla liberatoria tavoletta il telefono prese a squillare, sorprendendolo nella posizione del pensatore di Rodin, ancora, non si ricordò nulla.

Neppure quando arrivò la fedele L. per le pulizie della casa, con la faccia rugosa, l’abbondantissimo culo e le rinsecchite mammelle, gli venne in mente qualcosa, e quando, aprendo il pacchetto della pasticceria che L. aveva portato per la loro colazione, gustò i cannoli siciliani alla ricotta coi canditi, nulla si ricordò.

Solo quando seduto davanti al suo computer col messaggio di un compagno che gli chiedeva “Andrai a Ginevra?” vide ben piegato in quattro un foglio completamente bianco Mauro si chiese il perché.

Non ne trovò la ragione, perché continuava a non ricordare nulla.

C. entrò con la gabbia dell’uccellino, caduto forse da un nido alla sua prima esperienza di volo, che avevano raccolto due giorni prima, perché non finisse in bocca a qualche gatto, e che avevano nutrito per tutto il weekend.

Sta male” disse facendogli notare che se ne stava appallottolato sul fondo della gabbia.

Sauro si avvicinò per vederlo meglio, fino a ritrovarsi sul ciglio dell’occhio di quel pettirosso, e fu allora che vide … vide la piccola potentissima santabarbara piena di libertà, e fu allora che si ricordò tutto, e sgomento si ritrasse da quella vista.

Prese la gabbia e la portò in terrazza e liberò l’uccello che rapido e sicuro spiccò il volo verso i rami più alti della mimosa.

Avrebbe voluto dire a tutti che la libertà anemica e anoressica, appassita e frustrata, umiliata e beffeggiata nel fondo degli occhi di ogni essere vivente rifletteva perfettamente il volto numinoso di Dio, e lui, vedendolo, ne era fuggito terrorizzato.

Dalla terrazza guardò il mare e il sole e si sentì invadere dall’impotenza e dalla disperazione, avrebbe voluto gridare “MONDO! GUARDA CHE STAI FACENDO!” ma già lo sapeva che il mondo non avrebbe risposto, era troppo distratto dall’impalpabile leggerezza della superficialità.

Aveva ragione il vecchio tiranno dell’isola felice, per troppo tempo tanti insieme a Mauro erano stati rinunciatari e avevano smesso di gridare, indebolendo fino ad esaurirlo, un grande partito. Come un sistema immunitario mal funzionante lascia spazio all’invasione dell’individuo da parte di un altro sé, così loro erano stati il cancro della libertà.

Mauro piangeva, sì, sarebbe andato a Ginevra, e avrebbe voluto trovare il coraggio di dire a tutti ciò che aveva scoperto.

Avrebbe voluto invitare tutti ad infilarsi una mano nel cuore e senza paura e con forza estirpare da quella santabarbara, che ognuno possedeva, la radice della libertà e così insanguinata mostrarla al mondo.


fine

3 commenti:

lucabagatin.ilcannocchiale.it ha detto...

Che polpetton ! ;-)

Rebecca Opetsi ha detto...

Hello Miss,
Thanks for your serial book.
I like it.

Good evening

lucabagatin.ilcannocchiale.it ha detto...

Lo dico pure in inglese: this is a very big polpetton ! Ammazz'aò !