IL CENTRO DI RIFERIMENTO ONCOLOGICO DI AVIANO

[articolo di Michele Boselli da un Corriere di Pordenone del 1988]

Cancro: difficile la diagnosi, difficile la prognosi, difficile la cura. Con tutto quello che essa comporta: anche la delicata questione della ricerca di nuovi farmaci e nuove terapie. Proprio per questo, in quasi tutti gli istituti dei tumori d'Italia, esiste un comitato etico per la sperimentazione clinica. Al Cro di Aviano il comitato è presieduto dal dottor Silvio Monfardini, primario della divisione di oncologia medica e direttore scientifico del centro. Gli altri componenti sono un oncologo medico, un oncologo chirurgo, una radioterapista, un oncologo sperimentale, un anatomo-patologo, uno statistico ed un segretario, tutti medici interni all'istituto. Ci sono poi quattro membri non medici, di cui uno appartenente al centro, un giudice, un avvocato ed un moralista, rappresentato dalla figura di un prete. Chiediamo al dr. Monfardini quali sono le funzioni del comitato.

"Le sue funzioni sono essenzialmente etiche, ma anche tecniche, di valutazione della fattibilità della terapia. Pur non essendoci ancora una legge generale valida per tutta Italia, è necessario che ogni direzione scientifica si avvalga di un parere etico relativo all'opportunità della nuova terapia". Non dobbiamo dimenticare che si parla di sperimentazione di nuove tecniche per combattere il male. "Esiste sempre il pericolo" prosegue il dottore "che pur con le buone intenzioni, il ricercatore venga affascinato dall'entusiasmo, e quindi bisogna garantirsi da questo rischio. Ogni procedura diventa un protocollo scritto che il comitato deve vagliare ed approvare".

Il paziente viene a conoscenza del suo protocollo?
"Il paziente deve essere informato prima dell'inizio del trattamento. Questo naturalmente deve essere fatto in maniera tale da non traumatizzare il malato, che deve essere consenziente su quello a cui verrà sottoposto. Il fine del nostro istituto di ricerca è quello di indagare su nuove modalità terapeutiche e diagnostiche, confrontandole con quanto già esiste ed aprendo la strada a qualcosa che potrebbe essere migliore: nuovi farmaci, nuove terapie. A questo fine proviamo a volte a verificare che cosa si ottiene randomizzando un trattamento intensivo piuttosto di uno standard".

Che cosa significa randomizzare?
"Il termine indica la scelta casuale del trattamento..."

Ma il paziente sa che viene sottoposto a questa scelta casuale e che ci potrebbero essere altre possibilità di trattamento?
"E' un argomento molto molto delicato... Gli si spiega che entra in un determinato protocollo, che ciò implica questo e quest'altro, ma va usata una certa cautela nel comunicargli che ciò che viene fatto è casuale. In una persona che non comprende tutto il meccanismo si può ingenerare una situazione di sfiducia. All'interno del mondo scientifico questa è una questione dibattutissima: c'è chi sostiene che al paziente debba essere detto anche questo e chi è contrario".

Quindi per il momento è il comitato che decide?
"Il problema non Š ancora risolto. Il consenso informato viene dato, ma ci vuole qualcuno che prima, a monte, si assuma la responsabilità. Alcuni dicono che ci vorrebbe un comitato più perfetto, comprensivo anche dei pazienti e dei loro parenti. Io penso che il nostro sia un sistema imperfetto e che sia difficile possedere la formula della perfezione. Si tratta di una malattia mortale... appunto per questo, molte volte è difficile dire proprio tutto al paziente".

Che cosa non gli si dice?
"Il paziente viene informato sulla diagnosi. Per quanto riguarda la prognosi, il grado d'informazione è sempre commisurato su quello che il malato può ricevere. Dicendo ad una persona tutta la verità si rischia di farla piombare nella depressione più nera. Quindi, dal momento che non tutto può essere messo in mano al paziente, è necessario che ci sia un vaglio etico che approvi l'utilità della terapia. Ecco l'importanza del comitato, costituito essenzialmente per valutare la sperimentazione di nuovi farmaci, ma anche di nuovi mezzi diagnostici e metodiche terapeutiche. Ci deve essere la sicurezza che il protocollo di sperimentazione sia scritto e messo in pratica secondo determinate regole"

Quante volte si riunisce il comitato e come decide?
"Si riunisce quando si verifica la necessità, ogni due-tre mesi, precisamente quando arrivano i protocolli che, prima di essere applicati devono venire approvati. Si discute e dibattendo si cerca di raggiungere una decisione all'unanimità".

Nell'ambito della ricerca, con quali organismi siete in contatto?
"Noi partecipiamo ad un gruppo di lavoro dell'OERTC, che è quello degli early clinical trials groups (gruppi di prove cliniche precoci), che si occupa dello sviluppo di nuovi farmaci. Attualmente, per esempio, stiamo sperimentando la diossicoformicina, molto attiva nella leucemia dalle cellule capellute. Questo è un farmaco difficile da maneggiare, specie per i suoi effetti collaterali, diversi da quelli degli altri farmaci. Stiamo tentando di valutarne l'efficacia ed il lavoro prosegue in collegamento con tutti gli altri".

Ecco spiegato il significato del "difficile" annunciato sin dall'inizio. Una difficoltà che supera i confini tecnico-scientifici ed invade prepotentemente la sfera ben più delicata della psiche di medici e pazienti.

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