Mauro Mellini

Il Partito che non c'era

CAPITOLO 9

PARTITOCRAZIA E PARTITO DEI GIUDICI

Tangenti e prevaricazioni non sono appannaggio soltanto dei partiti del regime, dei personaggi in essi inseriti, né rappresentano soltanto gli strumenti della macchina di potere e della sua autoconservazione. Si può dire che il malcostume amministrativo abbia raggiunto una dimensione ed una estensione tale da rappresentare una delle cose che nel nostro Paese il regime non riesce a controllare. Accanto alla gestione politica della corruzione, vive e prospera quella, per così dire, artigianale, fino ai livelli minimi dei pubblici poteri e delle funzioni pubbliche. Rispetto ad essa la responsabilità politica dei partiti, degli uomini politici, dell'apparato istituzionale è quella dell'incapacità e della tolleranza, oltre quella, rilevantissima, del cattivo esempio.
Si può dire, dunque, che, come il regime non è tutto e soltanto tangenti e corruzione, così tangenti e corruzione non sono tutte e soltanto negli apparati del regime, anche se il malcostume, il dissolvimento del senso della legalità e dello Stato sono alla base di questo triste andazzo in tutte le sue manifestazioni.
A queste considerazioni bisogna aggiungerne un'altra. Se si deve parlare di regime, il discorso non può essere limitato ai partiti, all'apparato partitocratico, alle istituzioni da essi occupate, agli enti, alle amministrazioni. Ciò, beninteso, non esclude affatto che il regime sia e resti un regime partitocratico, così come, quando si usa il termine "regime" nel suo significato originario, l'esistenza di poteri non spettanti al Parlamento e non soggetti al suo intervento ed al suo controllo, non esclude che possa parlarsi di regime parlamentare.
Certo, nella accezione del termine "regime" quale situazione di deformazione strumentale e di utilizzazione per fini di parte dell'apparato istituzionale, caratterizzata dall'invadenza e dalle prevaricazioni dei partiti, è più difficile stabilire questo confine ed individuare organismi che, pur non soggetti alle forme solite di occupazione partitocratica, possano considerarsi tuttavia inseriti nel meccanismo che di fatto sorregge il sistema, o comunque funzionanti in modo tale da integrarsi con le deformazioni, per così dire, "primarie" del regime stesso e da risultare essi stessi deformati, quanto meno nella loro efficienza e nei risultati del loro operato.
Negli anni '70 era di moda negli ambienti della sinistra, specie di quella extraparlamentare. l'espressione "corpi separati dello Stato", dei quali venivano denunciate spinte autoritarie e mene sovvertitrici. Corpi che avrebbero dovuto definirsi "separati" perché non soggetti a gestione o controllo democratici.
C’è dunque da domandarsi se anche il regime, inteso nel senso più volte ricordato, abbia i suoi "corpi separati", quale che possa essere il parallelismo con quelli cui si riferiva l'espressione sessantottina.
Non abbiamo qui intenzione, e non ne avremmo comunque il modo e la possibilità, di affrontare con pretese di compiutezza un siffatto argomento, che tuttavia deve essere toccato se si cerca di dar ragione di situazioni e vicende che precedettero e seguirono le elezioni del 5 aprile '92.
Se si accetta infatti la tesi che il regime partitocratico è un regime di corruzione e che fatti che rappresentano violazione delle leggi penali sono non solo usuali, ma essenziali nella vita di tale sistema, allora il discorso deve necessariamente cadere sulla posizione della Magistratura di fronte al regime o nell'ambito di esso. Un discorso che, ovviamente, non può limitarsi alla questione dell'efficienza dell'opera di giustizia. E' oramai convincimento assai diffuso che la Magistratura italiana sia estremamente politicizzata e che l'opera dei giudici risenta fortemente delle loro propensioni politiche. Si tratta di un convincimento, almeno in parte, esatto, ma che non esaurisce affatto il problema, anzi, almeno se per "politicizzazione" si intende adesione ai partiti, che rischia di eludere la vera essenza della questione della posizione della Magistratura rispetto al regime.
Se infatti, si volesse sostenere che i Magistrati sono "lottizzati" e schierati politicamente secondo l'appartenenza e l'ubbidienza ai vari partiti, si direbbe cosa inesatta, anzi molto lontana dal vero.
A dare questa sensazione è stato, in verità, soprattutto, l'atteggiamento di un numero notevole di Magistrati nei confronti del PCI e poi del PDS, atteggiamento che si è concretato in un plateale protagonismo giudiziario che ha ricevuto un altrettanto plateale supporto da parte comunista, il cui peso politico è stato determinante per conferire a taluni di questi magistrati una capacità di condizionamento ed un ascendente nei confronti dei loro colleghi, nell'Associazione Magistrati e nella vita degli organismi giudiziari del tutto sproporzionata al loro numero e, soprattutto, alle loro qualità. Per non dire, poi. che lo sbocco della carriera politica che il PCI ha volentieri aperto a parecchi Magistrati che si erano fatti notare per certi atteggiamenti e certi metodi, ha notevolmente rafforzato questo sodalizio.
Altro fatto che ha messo in luce risvolti di dipendenza politica nella vita della Magistratura è la divisione rigida in correnti con formula ideologica dell'Associazione magistrati, correnti che, nelle loro combinazioni, alleanze, fratture ed alternanze, mentre costituiscono il supporto per le elezioni e le relative liste per il Consiglio Superiore, operano rispetto a tale organo ed alle sue delicate funzioni non diversamente da come operano i partiti rispetto alle altre istituzioni dello Stato.
Potrebbe dirsi, quindi, che vi è una "correntocrazia" che domina la Magistratura come la partitocrazia domina Parlamento, Governo, Amministrazioni. Ma ciò, oltre a non essere completamente esatto, perché si tratta di situazioni parallele, ma alquanto e spesso...... convergenti, non esaurisce affatto il problema, ed anzi non è neppure l'aspetto più rilevante.
Ciò che più conta, infatti, è che nell'ambito della Magistratura, proprio a partire dal dato formale della sua indipendenza e della sua separatezza, si è formato un vero e proprio partito dei giudici, che rappresenta, oltre tutto, un formidabile gruppo di pressione, potendo disporre di rapporti privilegiati con la stampa, anche la più autorevole, e con l'informazione radiotelevisiva, oltre che di strumenti efficacissimi legati direttamente all'esercizio delle funzioni istituzionali, per far sentire tutto il suo peso.
Anche qui dovremmo dilungarci ben oltre quanto ci sia consentito per dare una descrizione appena sommaria dei complessi meccanismi in cui si articola e funziona questa formidabile lobby. Ma già il pochissimo che abbiamo detto impone l'interrogativo circa il ruolo che la Magistratura, tutt'altro che compressa e rassegnata entro i limiti della sua soggezione alla legge e dell'imparzialità delle sue funzioni istituzionali, ha avuto di fronte al sorgere ed all’affermarsi del regime e dei suoi metodi.
Nel linguaggio dei magistrati più impegnati nell'Associazione, più noti per i loro frequenti interventi giornalistici e televisivi, si lascia intendere che tra la Magistratura ed i "politici" esisterebbe una contrapposizione netta, per il costante tentativo della prima di arginare e reprimere le malefatte dei secondi e dei secondi di imbrigliare ed assoggettare la Magistratura, attentando alla sua indipendenza.
Si tratta di un quadro di maniera, per non dire di comodo.
Al solito anche episodi in qualche modo riconducibili a questo schema fanno parte della realtà, ma questa è ben diversamente articolata e assai più complessa.
Certamente non sono mancati nel corso degli anni lontani o prossimi, interventi della Magistratura in merito ad episodi di corruzione e di depredazione e, talvolta, essi hanno avuto dimensione e suscitato clamore assai rilevanti. Ma certamente, a fronte della vastità del fenomeno della criminalità contro la Pubblica Amministrazione, alle corruzioni, alle concussioni, ai peculati, agli abusi di tutti i generi, anche il numero delle inchieste aperte è di per sé significativamente esiguo, né sembra che la Magistratura abbia mai denunciato con forza appena avvertibile l'inadeguatezza dell'opera di repressione, come invece è avvenuto di fronte alla mafia, al terrorismo, alla droga.
In secondo luogo occorre pur dire che, nella stragrande maggioranza dei casi, inchieste giudiziarie per malefatte di esponenti del mondo politico-amministrativo hanno avuto il carattere non soltanto di punture di spillo, ma di episodi inquadrabili nella lotta tra le correnti interne addirittura dei singoli partiti e nelle faide tra le varie combinazioni di potere tra partiti e correnti di partiti ed hanno avuto il risultato di determinare il tramonto dell'una e l'ascesa dell'altra. Nelle Procure della Repubblica di grandi e piccole città, spesso il sonnolento poltrire di denunce, rapporti, inchieste si è risolto ed esaurito come in una sorta di stanza di compensazione.
Alla Magistratura che voglia rimanere nell'alveo dei suoi poteri e delle sue funzioni istituzionali, non compete certamente il compito di far fronte a questioni di assetto del potere politico, quand'anche esso sia derivante da illeciti e da reati che essa debba perseguire. Ma se è vero che si sarebbe in presenza di un ennesimo caso di "supplenza" ove fosse ingaggiata una "lotta" della Magistratura diretta a smantellare tale potere, cosa che del resto, a ben vedere, non è mai stata tentata da nessuno, anche quando non sono mancate velleità ed accenti di crociata, è vero pure che tanto meno compete alla Magistratura farsi carico di preoccupazioni di salvaguardia dell'assetto politico esistente, quando si tratta di applicare la legge.
Si può ben dire, allora, che nel complesso meccanismo del regime, che non è fatto solo dei partiti che lo sostengono e gli danno vita, dei loro uomini, dei metodi specifici di approfittamento del potere e del denaro pubblici, delle solidarietà trasversali tra le forze politiche, delle lottizzazioni e delle clientele, ma di quant'altro consenta a tale macchina di funzionare e produrre i risultati che se ne attendono, vi è, accanto a quello della stampa, dell'informazione, delle banche, anche un posto ed un ruolo per una parte, almeno, della Magistratura. Un ruolo a sua volta complesso e contraddittorio, che, del resto, non si esaurisce affatto nel mero supporto che da taluni magistrati può essere dato, con comportamento attivi e con inerzie, a situazioni del potere dei partiti tradizionali, non potendosi dimenticare l'esistenza, il peso, le velleità del "partito dei giudici".
L'incidenza di tale apporto non è stata mai facilmente valutatile, anzi si è potuto persino dubitare che essa avesse una qualche reale sussistenza.

Sono stati i fatti più recenti, corrispondenti ai sintomi di scoramento del regime, il venir meno di solidarietà collaudate, le vicende di Milano con l'inchiesta Di Pietro, che hanno consentito, in presenza di iniziative giudiziarie nuove per situazioni che nuove non sono affatto, di avere la misura di quanto si fossero avvantaggiati partiti, amministratori pubblici, gruppi di potere della tranquillità nella quale avevano potuto vivere e prosperare per lunghi anni, fino a quel mutamento di clima politico che, come ha dichiarato un alto magistrato milanese, ha aperto all'azione giudiziaria contro la corruttela nuovi orizzonti, consentendo gli sviluppi dell'inchiesta Di Pietro.

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