Capitolo 1 - 1930 - 1945
IL BASTARDO PRODIGIO

"Sono un bastardo. Mio padre era un abruzzese testardo, mia madre una francese nata nella Svizzera tedesca. E lei, a sua volta, era metà provenzale e metà del Valais, lo stesso ceppo dei valdostani. I bastardi sono forti e intelligenti. Ma io non credo di essere un fenomeno".

Così Giacinto Pannella detto Marco, che nasce a Teramo il 2 maggio 1930 sotto il segno del Toro, ricorda le proprie origini. I1 padre Leonardo, nato nel 1898, proviene da una famiglia di piccoli proprietari terrieri, studia ingegneria a Torino, si laurea e si impiega alla Banca agricola provinciale. Durante un viaggio di lavoro a Grenoble conosce Andrea Estechon, nata nel 1900, figlia di albergatori: se ne innamora, la sposa e la porta con sé a Teramo.

"Cioè nel profondo Sud, perché questo erano gli Abruzzi di allora", ricorda Marco. Pannella si trascina dietro l'ingombrante nome Giacinto in onore di un prozio prete-letterato, che ospitò su una sua rivista articoli scritti da Benedetto Croce e Giovanni Gentile. "Da noi, come in tutte le famiglie del ceto medio nel Mezzogiorno, una o due persone per ogni generazione entravano nella Chiesa", racconta Pannella a Giulia Massari in un'intervista del '75, "perché al primogenito spettava il diritto di occuparsi degli affari di casa, mentre gli altri diventavano notai, farmacisti o preti".

"Questo zio monsignore", continua Pannella, "si occupò invece dell'amministrazione delle terre, rimase insomma il classico capofamiglia. Era l'unico che avesse interessi culturali. Quella sua rivista era una cosa del tutto artigianale e provinciale che però, per un caso strano e con una certa commozione, ho poi ritrovato in biblioteche specializzate a Parigi e a Vienna".

Don Giacinto Pannella, alla cui memoria Teramo ha dedicato una via centrale, fece un gesto abbastanza audace per quei tempi: "Quando mio padre tornò a casa con la moglie francese, che parlava soltanto la propria lingua e aveva i capelli corti in un paese dove tutte le donne li portavano raccolti a crocchia sulla nuca, e indossavano vesti nere lunghe fino ai piedi, lui capì che doveva aiutare la giovane coppia piombata in un mondo diverso e difficile. Così scorporò la parte di proprietà che spettava a mio padre, e gli dette qualche possibilità. Può darsi che io non abbia animosità anticlericali per questo semplice dato di cronaca: perché la persona migliore della mia famiglia era questo prete, che era stato liberale e non popolare sturziano. Ho sempre avuto ottimi amici preti. Sono un laico, tranquillamente, senza lotte interiori o problemi".

"Ma anche Marco Pannella, in realtà, è un prete", sostiene Massimo Fini, commentatore dell'Europeo e dell'Indipendente, "infatti usa spesso parole come "scandalo", "testimonianza", "vita", "verità", "dar corpo a"... Ma non è un prete latino, accomodante, tollerante. Lui è un intransigente prete del Nord, un protestante, un calvinista. E il suo spaventoso rigore morale, assoluto, quasi maniacale, lo deve aver preso dalla madre". Concorda Giulia Massari: "Dalla mamma ha ricevuto molta lucidità, dal padre cocciutaggine e gusto dell'argomentazione".

Papà Leonardo era fascista: "Come tutti quanti, allora", ha raccontato lo stesso ingegnere nel '76, "poi partii per la guerra, rimasi lontano da casa molti anni. Quando tornai ero diventato liberale. In casa nostra si parlava di politica, si leggevano i giornali. Anche Marco diventò liberale".

Due anni dopo il primogenito, in casa Pannella nasce Liliana. Diventerà docente di storia della musica all'accademia di Santa Cecilia a Roma. Parteciperà anche alle attività del partito radicale, ma se ne allontanerà in polemica con la proposta, da parte di alcuni deputati del Pr, di abolire come ente inutile una certa associazione di musicologia che le stava a cuore.

A casa Pannella, famiglia di solida borghesia agraria, negli anni '30 non manca nulla. Neanche il brivido dell'antifascismo. La signora Andrea, infatti, in casa parla soltanto francese perché vuole che i figli crescano bilingui. E così, in quell'Italia francofoba che odia a tal punto i francesismi da sostituire parole innocue come "panorama" con assurdi "tuttochesivede", il sospetto della fronda si posa su quella casa nella via di Teramo oggi intitolata a don Giacinto Pannella.

"Un'infanzia normale", ricorda Pannella, "con molte donne, zie e contadine che mi accudivano, giochi e allegria. Però in quella normalità, in quella felicità, c'erano piccole cose di grande importanza. Un vecchio calzolaio antifascista, per esempio, proprio sotto casa nostra, dove non si doveva andare. Avevo tre o quattro anni. Beveva, dicevano che era inavvicinabile per questo. Però si capiva che il male era che urlasse contro il fascismo. Mio padre lo difendeva. C'era anche allora una droga: l'alcol. E quell'uomo si ubriacava, si distruggeva perché era l'unico modo con cui poteva ribellarsi".

Anche la signora Pannella che osa parlare nella propria lingua passa i suoi piccoli guai: "C'era sempre qualche notabile che veniva a dirle che non si doveva fare, non era bene, che bisognava stare attenti".

"Da piccolo Marco era vivacissimo, sensibile, precoce", ha detto la signora Andrea, "ma con mio padre, vecchio e malato, diventava tranquillo. Gli stava accanto per ore senza muoversi, accarezzandolo con tenerezza. È stato sempre affettuosissimo". Difficile immaginare un Pannella silenzioso, a sei come a sessant'anni. Una certa venerazione per i vecchi, però, Marco l'ha conservata. Ha sempre voluto che i suoi genitori fossero presenti ai congressi radicali, e ha spesso difeso la "saggezza delle nonne che si iscrivono al partito ascoltando radio radicale".

"I genitori li adorava", conferma Aldo Canale, "aveva verso di loro un affetto che oserei chiamare borghese. E anche un certo timore borghese, una sorta di preoccupazione per quello che potevano pensare di lui". La morte della madre nell'83 gli ha lasciato un dolore profondo. "Col padre", ha raccontato Enzo Tortora, "Marco è stato semplicemente meraviglioso. Invecchiando s'indeboliva di mente, perdeva la memoria, e Pannella prendeva il treno per andare a Teramo a fargli fare esercizio: con infinita pazienza gli insegnava di nuovo le tabelline". Dopo la scomparsa della moglie l'ingegner Leonardo si è spento lentamente, ed è morto nel 1986.

Nel '35 Marco viene iscritto con un anno d'anticipo alla "primina" della scuola Montessori di Teramo. Le Montessori erano rare, a quei tempi. E la buona borghesia teramana era ben felice di sperimentare le nuove dottrine pedagogiche. L'anno dopo, però, la famiglia Pannella si trasferisce a Pescara. E Marco finisce lì le scuole elementari saltando la quinta, come succedeva allora ai primi della classe. "Ma era anche per ragioni di "classe" che noi ragazzi borghesi eravamo avvantaggiati rispetto agli altri", ricorda Pannella. "Noi infatti parlavamo già italiano, mentre i bambini poveri conoscevano solo il dialetto. Il mio maestro a Pescara era figlio o parente dei nostri contadini di Teramo. Perciò io godetti fin dal principio dei benefici della struttura classista della nostra società".

Marco-prodigio, due anni avanti a scuola, è pure bilingue. Non soltanto perché il francese è la sua lingua materna, ma anche perché ogni estate viene spedito in Francia da parenti, in vacanza. Ed è lì che, a otto anni, diventa perfino antimilitarista. Ecco come andò: "Erano i giorni del famoso convegno di Monaco, nel '38. Sembrava che stesse per scoppiare la guerra. In Alta Savoia, mentre aspettavo che mio padre venisse a prendermi, una sera i miei cugini più grandi mi raccontarono che un'intera compagnia di soldati italiani - ma in realtà era soltanto un plotoncino - aveva passato la frontiera e consegnato le armi ai francesi, perché non voleva fare la guerra contro la Francia. Erano un giovane sottotenente e dieci soldati. Vidi che erano esseri umani, quei "disertori", "traditori", "obiettori di coscienza", e non mostri come ce li dipingevano i fascisti. Quell'episodio mi diede molto da pensare sulla propaganda patriottica e sulla guerra".

Un'altra passione politica di Pannella nasce in Francia. Ecco come viene gettato il primo seme: "Mi avevano mandato a casa di un’ "instituteur" a perfezionarmi nella lingua. Io mi ero affezionato a tutt'e due, marito e moglie, che però fra loro litigavano a morte: si tradivano, si insultavano, si mettevano le mani addosso. E io ero sempre in mezzo, a volte prendendo le parti dell'uno o dell'altra. Decidevo perfino se dormire col marito o con la moglie. Mi chiedevo perché mai quei due, che si facevano reciprocamente una vita d’inferno e che invece separatamente erano persone così amabili, dovessero continuare a vivere insieme. Ero turbato, facevo il confronto con l'armonia della mia famiglia. Significava già, forse, porsi sia pure in maniera rozzissima il problema del divorzio, ribellarsi all'idea che due siano legati per sempre perché un giorno decisero di sposarsi...".

E sulla spiaggia di Pescara il piccolo Marco scopre anche il razzismo. Una scoperta dolorosa: "Avevo una compagna di giochi, si chiamava Adria. Era il mio primo grande amore, avevo preso una cotta gigantesca per lei. Ci vedevamo tutti i pomeriggi a giocare. Ma un giorno, d'improvviso, non si vide più. Scomparsa. Era figlia di ebrei, e la sua famiglia era scappata a Tangeri. Allora ho capito cosa vuol dire perseguitare le minoranze".

Antifascismo, droga, antimilitarismo, divorzio, diritti delle minoranze: tutto già lì, nel microcosmo abruzzese-savoiardo? "Sono fatterelli, però servono a dimostrare quello che ho sempre detto: vita privata e vita pubblica sono un tutt'uno. È sempre l'esperienza personale, privata, che si trasforma in politica e dà la forza per combattere le battaglie. Io dico spesso che le leggi non devono affondare solo nei giorni, ma anche nelle notti. Tanto più "privati" certi fatti m'appaiono, tanto più pubblici e politici cerco che siano riconosciuti. E quell'eterna polemica fra amore e amicizia, che grosso equivoco! Dire che con la ragazza puoi chiavare e con l’amico devi parlare, vuol dire dividere in due la propria vita. Un’assurdità".

Nel '4I Leonardo Pannella fa carriera e si trasferisce a Roma, seguendo la struttura delle banche italiane: prima provinciali, poi regionali, infine nazionali. La famiglia trova un appartamento vicino a piazza Bologna. Marco frequenta la scuola media di via Giovanni da Procida, "a venti metri dalla campagna attorno alla stazione Tiburtina, con pastori, stagni e il campo di calcio Artiglio", come ricorda in un'intervista ad Antonio Debenedetti sul Corriere della Sera. "Per i sabati fascisti c'era una caserma in piazza Ruggero di Sicilia. In classe già nel '4I sapevamo della Petacci, si raccontava di cocaina dai Ciano e ci si masturbava brancatianamente durante le lezioni".

Il più romano fra i leader politici non romani va poi al liceo classico Giulio Cesare, dove i compagni lo ricordano soprattutto perché "si arrabbiava quando lo chiamavano Giacinto". Contemporaneamente l'inflessibile madre, anticonformista ma perfezionista, non paga di avergli fatto saltare due anni, lo spedisce anche a lezioni private di violino e scherma. Con il professore di musica Marco lega subito, perché quello parla francese, legge Le Monde e discute di politica con lui. Quanto al violino, non si sa com'è andata a finire. Con la scherma, invece, male: "I1 maestro era un fascistone aggressivo", lo liquida Pannella.

Dopo i bombardamenti di San Lorenzo, nell’agosto ‘43, la famiglia Pannella sfolla per un anno in Abruzzo. Marco studia regolarmente ("Non ero un bravo studente: se un libro o una pagina mi appassionavano mi ci buttavo sopra, se no me ne fregavo"), e alla maturità nel '47 prende otto in storia, sette in matematica e storia dell'arte, e molti sei. Ma ormai, dopo il ginnasio, dal '44 a Roma sono arrivati gli americani. La libertà. La democrazia. E il partito liberale.

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