Capitolo 2 - 1945 - 1955
IL LIBERALE UNIVERSITARIO

"Un giorno ho visto in edicola Risorgimento liberale. L'ho comprato, mi ha interessato. Mi pareva che ci fosse dentro quello che più amo, la libera discussione intelligente. Da quel giorno ne ho sempre comprato due copie: una per me e una per i miei compagni di scuola, perché la leggessero e ne discutessero, mi portassero le loro obiezioni ed esponessero le loro idee...".

È divertente immaginare il Pannella quindicenne impegnato già allora, come oggi, in una missione di proselitismo permanente. Per lui è importante avere delle idee, esprimerle e battersi per esse. Ma è vitale soprattutto convincere chiunque si trovi attorno. Anche adesso, qualsiasi persona gli rivolga la parola per un qualsiasi motivo (un saluto, un incitamento, un rimprovero) si sente sempre rispondere innanzitutto con una domanda: "Ti sei iscritto al partito radicale?". Conferma la sua compagna Mirella Parachini in un'intervista del ’92: "Ha la sindrome della pecorella smarrita. Il meglio di sé lo dà con le persone che deve portare dalla sua parte. Gli piace sedurre".

Il futuro seduttore nel '45 è sedotto dal partito liberale, il più antico partito italiano. Il glorioso Pli di Cavour e Giolitti, che fino al fascismo aveva dominato la scena politica nazionale, al primo voto del dopoguerra, nel '46, crolla però al 6,8%. Marco comincia a bazzicare via Frattina, sede nazionale del Pli, prende la tessera a 15 anni e sette mesi. "Il primo gesto grave di cui ho memoria riguarda, vedi il caso, un referendum: quello del 2 giugno '46 su monarchia o repubbhca. Io e i miei amici optammo per la posizione crociana di agnosticismo, ma la maggior parte dei liberali votò monarchico".

Per la verità i ricordi di uno dei suoi amici di allora, Paolo Ungari (oggi docente della Luiss, l'università della Confindustria, e dirigente pri), non combaciano con quelli di Marco: "Pannella scriveva slogan a favore del re su fogli di quaderno e li affiggeva sui muri dei palazzi del quartiere". In ogni caso Marco, dopo il liceo, si iscrive a Legge all'università di Roma. Ma più che a studiare, pensa a fare politica universitaria. È fra i fondatori dell'Ugi (l'Unione goliardica italiana che raccoglie i laici) e poi dell'Unuri (Unione nazionale universitaria rappresentativa italiana, l'organismo unitario di tutti gli studenti).

Così lo ricorda Sergio Stanzani, futuro senatore e segretario radicale, che lo conosce nel '47: "Alto e magro come uno spettro, lavorava con una capacità incredibile. Era diverso dagli altri: aveva una maturità e una consapevolezza superiore. Ma soprattutto possedeva già quell'intransigenza interiore che lo distingue. Anche da ragazzo non ha mai concesso molto a se stesso". "Sì", conferma Pannella, "non avevo neanche i soldi per il tram e mi facevo tutta Roma a piedi due volte al giorno. Ogni tanto, per rimediare qualche lira, aiutavo mio padre in ufficio".

Leonardo Pannella nel '49 lascia la banca e si mette in proprio. Apre una ditta di import-export. Gli affari vanno bene, ma non c'è verso di coinvolgere il figlio votato alla politica. Varie volte Marco cerca di interessarsi alla società paterna, ma proprio non ce la fa. Pare che negli anni '60, a causa di un suo affare sbagliato (importò una partita di datteri senza riuscire a collocarli in Italia), per mesi i militanti radicali romani mangiarono datteri.

Gli domanda Giulia Massari nell'intervista a Playboy del '75: "Nella tua famiglia, chiaramente tendente alla "carriera" in senso borghese, cos'era il tuo fare politica?". Risposta: "Qualche volta oggetto di discussione, non di polemlca. Io già allora parlavo molto e, credo, con un certo potere dl persuasione. Forse lo esercitavo anche sui miei genitori. O forse essi erano, in fondo, abbastanza aperti, abbastanza comprensivi. O magari esasperati di sentirmi discutere senza arrabbiarmi. Del resto, nemmeno loro si arrabbiavano mai".

Conferma papà Leonardo nel '76: "Approvo sempre quello che fa mio figlio, anche se non ne discute con me". Continua Pannella: "E poi, una laurea l'ho presa, no? A Urbino, con un voto bassissimo: 66. Scelsi Urbino fra le tante università perché pareva che lì avrei potuto fare presto. Discussi per quattro ore, con undici professori. La tesi era, guarda un po', sull'articolo 7 della Costituzione: il Concordato. Me l'ero fatta scrivere da alcuni amici, un capitolo ciascuno. Io non l'avevo neanche letta tutta. Però da discutere c'era abbastanza".

I vecchi notabili del Pli, nel frattempo, dopo l'errore del referendum collezionano altri fiaschi. Alle politiche del '48 si alleano con i qualunquisti di Guglielmo Giannini per strappare elettori di destra alla Dc, ma ottengono soltanto il 3,8%.

Pannella in quelle elezioni fa comunque disciplinatamente propaganda per il suo partito. Quindi l'accusa di "qualunquismo", la più frequente scagliata dai comunisti contro i radicali, ha una sua piccola base storica.

Nel 1950, a vent'anni, Pannella diventa il capo nazionale degll universitari liberali. Augusto Premoli, senatore pli, lo ricorda come "una promessa per la nostra famiglia" con Guido Quaranta, nel libro Superpannella (ed. Matteo, Treviso 1977): "Fin dagli anni plù acerbi della sua vita faceva spicco per il gusto della polemica, per la qualità degli argomenti e, come avrebbe detto Einaudi, per il felice paludamento verbale con cui difendeva le proprie tesi".

"A queste doti non trascurabili", continua Premoli, "aggiungeva la fantasia, il fiuto nello stanare e nell'inventare temi che avrebbero fatto presa sull'opinione pubblica, e uno spiccatissimo senso del teatro. Per cui ad ascoltare Pannella, e ne valeva la pena, si aveva sempre l'impressione di far parte di una platea di spettatori non del tutto convinti, ma certo attratti dal livello della recita".

Pannella in quegli anni legge molto: "Per me sono stati importanti cinque o sei aforismi di Nietzsche sul bene e il male, Gozzano, guarda un po', e la Sonata a Kreutzer. Un certo numero di Esprit, la rivista del filosofo cattolico Emmanuel Mounier, trovato nella stazione di Modane nel '47 aspettando un treno. La Storia dell’età del barocco di Croce. Un poeta, Saint-John Perse, Nobel nel '60, da leggere come si legge un’enciclopedia, e che tutti invece trovano difficile perche conosce troppi termini. Thomas Mann, aedo della borghesia, e i libri della Medusa".

E Marx? "I miei compagni lo leggevano, ti citavano immediatamente la quarta o quinta risposta a Feuerbach. È la segnalazione che si fa liturgia o litania. Io non ho letto Marx, ma ne ho preso quel che mi occorreva. E poi, proprio bambino, ho letto i grandi romanzi russi, trovandomi sempre un po' a disagio con i patronimici ma cavandomela benissimo, perché in realtà anche nel romanzo classico non c'è bisogno di un intreccio".

Ma il pane quotidiano di Marco sono i giornali. "Perché nei giornali ci sono idee che non appaiono, forse per la loro posizione, cioè per essere collocate a fianco del fatto contingente e minuscolo, avulse dal presente. Leggere un settimanale o un quotidiano è importante, perché ne ricevi idee che prendono corpo dentro di te, che diventano te stesso. Io leggevo il Mondo. Non credo invece nelle ideologie codificate e affidate ai volumi rilegati, alle biblioteche e agli archivi. L'ideologia te la fai tu, con quel che capita, anche a caso".

Così per l'eclettico Pannella è importante anche ascoltare alla radio, fra il '46 e il '48, il Convegno dei cinque. Lo affascina in particolare Umberto Calosso, parlamentare socialista libertario, che parlava di libero amore, di preti e di religione, di liberazione umana e di pacifismo: sua fu la prima proposta di legalizzare l'obiezione di coscienza dopo il caso di Pietro Pinna nel '49.

Calosso durante la guerra era stato anche voce di radio Londra, "attraverso la quale molti di noi giovani balilla, figli della lupa, avanguardisti, che ascoltavamo la radio del regime negli anni '40, ogni tanto udivamo quella stranissima voce pirata che ci diceva cose inimmaginabili, piccole e sconvolgenti. E ce le diceva, da radicale, nella forma della narrativa e non della saggistica".

"All'università di Roma", continua Pannella, "che all'inizio degli anni '50 era ancora nel suo insieme fascista nonostante la direzione ufficialmentc antifascista, riuscimmo ad assicurare che Calosso potesse tenere delle lezioni. Il mio compagno Giuliano Rendi, nonostante si professasse nonviolento già allora, ruppe un ombrello sulla testa del fascista Caradonna per difendere quei contro-corsi sul Manzoni e sull'Alfieri, pensate un po' quanto rivoluzionari, eppure tanto temuti". Il futuro parlamentare missino, allora capo degli universitari fascisti romani, voleva infatti impedire di parlare a Calosso, "traditore e disertore socialista".

Gli attacchi degli estremisti di destra contro gli universitari laici dell'Ugi erano continui: "Ricordo una foto su un quotidiano romano del pomeriggio, Il Giornale della Sera. Era un po' sfocata, ma si vedeva un ragazzo che saltava giù da una finestra, stringendo una cassetta al petto. Ero io. Si doveva votare all'università, e i fascisti di Caradonna mettevano i bastoni fra le ruote. Votammo. Ma i fascisti entrarono, ed erano armati di pugni di ferro e altre armi, erano parecchi, avevano un'aria pericolosa. Io presi l'urna e mi calai giù dalla finestra di Scienze politiche, un primo piano rialzato. Sotto c'erano dei forni di calce viva, con degli operai attorno. Riuscii a non caderci dentro, ma ci andai vicino. I fascisti nel frattempo erano scesi e avanzavano dalla strada, sempre coi loro pugni di ferro e quelle facce da bestia. In un attimo mi vidi perduto. Ma gli operai alzarono le pale e cominciarono a scagliare calce. Insomma, fu una vittoria della classe operaia".

Pannella, dopo la laurea in legge, lavora nello studio di un amico avvocato per un anno e si iscrive all'albo professionale. Ma i suoi interessi ormai hanno tutt'altra direzione. Presidente dell'Ugi, dal '54 dirige l'Unuri, facendovi confluire anche gli universitari comunisti. "Accadde qualcosa che in quei giorni pareva impensabile: si realizzò l'unione di tutti i laici, dai comunisti ai liberali che allora erano considerati estremisti di destra".

L'Ugi è la fucina di buona parte degli uomini politici italiani: da Pannella ad Achille Occhetto, da Bettino Craxi a Gianni De Michelis, da Stefano Rodotà a Luciana Castellina. "Enrico Berlinguer invece lo conobbi nel '52-'53 quando, di ritorno da uno dei suoi incarichi nel movimento comunista internazionale, era venuto a vivere a Roma vicino a piazza Boiogna, dove abitavo anch'io", racconta Pannella a Marcello Sorgi sulla Stampa nel ‘90. "La sera Berlinguer scendeva a portare a spasso il suo cane, un pastore tedesco. Quando lo incontravo passeggiavamo insieme parlando di politica. Poi i nostri rapporti si raffreddarono. Quando lo rividi, nel '74, anziché chiamarmi "Marco" mi rivolse un gelido "Pannella"".

I giovani virgulti che si allenano negli anni '50 a far politica nelle università non navigano nell'oro. "Il movimento studentesco era molto povero", ricorda Pannella, "e per portare avanti il nostro lavoro vivevamo praticamente sui treni. Viaggiavamo di notte, in seconda o terza classe, per risparmiare i soldi dell'albergo. I nostri compagni ci aspettavano nelle stazioni per delle riunioni di un'ora o due. Poi prendevamo un altro treno per arrivare a un'altra stazione. Ma la nostra vita era piena e molto intensa". In quegli anni Pannella conosce molti futuri dirigenti radicali: Stanzani, Rendi, Gianfranco Spadaccia, Massimo Teodori, Franco Roccella, Giuseppe Ramadori, Lino Jannuzzi.

Nessun commento: