Capitolo 3 - 1950 - 1960
DUE MAESTRI: PANNUNZIO E ROSSI

"Che vuoi, Pannella? Vattene, sei giovane, sii felice, al mondo non c'è solo la politica, ci sono le ragazze, la campagna dov'è bello passeggiare, che felicità dormire su un prato...". Questo è il messaggio che Ernesto Rossi, secondo Arrigo Benedetti, vuole dare al Pannella ventenne. Rossi, antifascista illustre, è giornalista al Mondo. Benedetti ha fondato l'Europeo a Milano nel '45, ma è dell'ambiente. E l'"ambiente", nella Roma degli anni '50, è quello della redazione del Mondo, il settimanale creato nel '49 e diretto dal liberale Mario Pannunzio, a Campo Marzio.

Pannella si affaccia sempre più spesso nella sede del suo giornale preferito. Non è l'unico giovane a essere attratto da quel cenacolo di galantuomini i quali, oltre a confezionare il settimanale più sofisticato dell'epoca, usano la redazione come un salotto intellettuale perenne, che poi si trasferisce al caffè Rosati in piazza del Popolo o in via Veneto. In concorrenza con Marco, a farsi notare dagli "anziani" della cultura liberaldemocratica italiana, c'è un tale Eugenio Scalfari. È provinciale quanto l'abruzzese Pannella (Scalfari, padre calabrese direttore di casinò, è nato a Civitavecchia e ha abitato a Sanremo). E come Marco anche Eugenio, più vecchio di sei anni, è un attivista della sinistra Pli.

"Ma gli anziani diffidano spesso dei giovani da cui si vedono ricercati", scrive Benedetti sul Corriere della Sera nel ‘74. "Che ha Pannella? Che vuole?", si cominciò a dire subito. Alto, tutte spalle, esile, gli occhi vellutati, la voce calda, i capelli lisci e lunghi ricadenti sulla fronte, non si sapeva spiegare. Radicale anche lui, certo, com'erano definiti i liberali di sinistra e i superstiti del partito d'azione; però aveva un suo assillo segreto. I miei amici l'osservavano incuriositi. Il suo attivismo, il suo essere sempre pronto a correre dove fosse rischio e passione, la smania d'eccitare le sinistre a impegni "liberali" attraeva e impensieriva. Vuoi fare carriera? Un posto alla Rai? Hai sbagliato uscio, Marco. Batti altrove".

Continua però Benedetti: "Tutti, l'ammettessero o no, lo considerarono subito una promessa. Senti come parla, dicevano incantati dal timbro baritonale appena aveva la parola nel convegni. Non sottilizzava, aveva qualcosa dentro, cercava d’esprimerlo, suscitava energie. "Che trombone — esclamavano però — non avrebbe tutte le doti per un partito di massa?". Ma io ho il gusto per gli eccentrici, proprio se non si capisce subito che vogliono. Pannella seguitavo a stimarlo perché è uno di quegli italiani seri nell'intimo che non hanno paura d'esser presi per buffoni".

Allora: un Pannella "politicomane" che brucia tutta la propna gioventù tra congressi, dibattiti, mozioni e riunioni? "Eravamo ragazzi, gli stessi ragazzi che andavano a giocare a pallone o a ballare con le ragazze", dice lui, "che cioè avevano quella che si chiama una vita privata. Ma la nostra vlta privata coincideva con quella pubblica. Perché dialogo, per me, è qualcosa di complesso e completo, non unicamente "spirituale": dialogo sono anche le carezze, come i baci, i pugni e gli amplessi, oltre alle belle idee. Il mio manifesto, il manifesto dei radicali, ci viene da un grande poeta, Rimbaud: "Le raisonnable dérèglement des sens", il ragionevole sregolamento dei sensi. Una frase anti "maudit": Rimbaud aveva intuito quello che poi i cibernetici hanno dimostrato a livello scientifico. Il dramma è la "ragionevolezza"".

Ma fra i giovani che frequentano negli anni '50 i "grandi" del Mondo, gli eredi diretti di quei Gobetti, Salvemini e fratelli Rosselli che Pannella cita da quarant’anni in ogni suo discorso, Marco è quello più pieno di sacri furori? "No, soltanto un po' ardente. Però in un modo diverso dai sacri furori, che fanno sempre pensare a qualcosa di cupo, di introverso, a una voluttà di martirio. Io invece sono un estroverso, uno che ama la vita, per nulla tormentato, per nulla bruciante. "Route de braise et non de cendre", diceva un poeta: non la fiammata che brucia subito e lascia inutile e triste cenere, ma la brace, che dura a lungo"".

E quei maestri, sono stati buoni maestri? "Le persone che per me hanno contato non volevano certo essere maestri. Due vite hanno determinato la mia. Le vite di due persone che sono morte, una quando era giusto che morisse, nel '68, perché non aveva più speranza ed era convinto di avere finito; l'altra invece in un momento ingiusto, nel ‘67, quando molte delle sue previsioni si avveravano. Parlo di Mario Pannunzio e di Ernesto Rossi. Il partito radicale è fatto di tutto quello che dicevano loro due".

Cosa dicevano? "Pannunzio era la moralità, non il moralismo. Ciò che io amavo era il suo rigore, anche stilistico, quando ci predicava di ispirarci a Flaubert. La sua indifferenza al potere fu il suo maggiore insegnamento. Era un politico, se politico è colui che muta l'organizzazione della città, che incide nel proprio tempo. E chi, negli anni '50, ha inciso nel proprio tempo? Dicono: Mattei, Vanoni. Loro hanno creato forse qualcosa a livello degli oggetti, ma in realtà ciò che Enrico Mattei, il demiurgo dell'Eni, ha lasciato, è la "realpolitik" della corruzione; e Vanoni alcune buone soluzioni di meccanismo di controllo politico. Niente però che abbia veramente lasciato un segno, come appunto Pannunzio e Rossi, mai considerati dei veri politici, neppure dai loro amici. Erano due borghesi con una qualità insolita per un borghese: il disinteresse per il denaro. Perché di denaro non avevano bisogno. Non avrebbero saputo come spenderlo. Il consumismo non era affar loro".

Ma Ernesto Rossi, davvero tu lo consideri un politico? "Eccome. Lui così lieto di esistere, della letizia di un fanciullo, aveva previsto tutto: il corporativismo di Stato, la mano pubbllca che dà profitti a quella privata, il protezionismo. La sua battaglia contro la Federconsorzi dimostrò che non c’era alcuna rottura fra l'ltalia di Mussolini e quella democristiana, cioè del fascismo democratico. Il Duce a torso nudo nell’Agro pontino è forse più simpatico, certo non diverso dal dc Paolo Bonomi che dal '45 ha fatto il dittatore nelle nostre campagne come capo dei coltivatori diretti".

A un convegno su "Ernesto Rossi, democratico ribelle" nel ‘76, Pannella ricorda così il suo maestro: "Non avrei potuto concepire le battaglie per i diritti civili senza la vicinanza e l’esortazione costante di Ernesto Rossi. E questo avveniva nel '64-'65, i nostri anni peggiori, quando eravamo considerati drogati, omosessuali, scostumati. Ernesto è morto l’8 febbraio ‘67, avevamo inventato insieme quella cosa che si chiamava l’"anno anticlericale", che sembrava tanto di cattivo gusto. Il testo lo scrivemmo insieme, e il 5 febbraio diceva a sua moglie Ada, in clinica: "Vuoi vedere che quei pazzi hanno avuto ancora una volta ragione? Vedrai che alla manifestazione del teatro Adriano ci sarà molta gente, lo sento".

Continua Pannella: "Molti ci rimproveravano di sporcare un nome, quello del partito radicale, di una tradizione pulita, degna, dignitosa, austera. Ed Ernesto Rossi anche allora veniva giudicato da molti suoi amici una persona squisita, purissima, onestissima, bravo giornalista, ma che di politica non capiva nulla. Perché voleva l'abrogazione del Concordato, azioni di rottura, denunce dei compromessi contro i "padroni del vapore". Lo sentivamo tutti i giorni, anche nel Pr: "Che bravo Ernesto, come scrive bene Ernesto, ma che pazzo". E invece fu proprio lui a denunciare il dato centrale degli anni '50, lo Stato della Confindustria e dell'lri, e a scatenare la polemica sulle responsabilità miste del capitalismo privato e statale. Per questo è stato un grande uomo politico" (da Marco Pannella, Scritti e discorsi, ed. Gammalibri, Milano, 1982).

"Nessun altro, fra i politici, ti ha insegnato qualcosa?", insiste Giulia Massari nell'intervista del '75. "Davvero non saprei chi. Riccardo Lombardi è certo un'eterna lezione. Ugo La Malfa forse, in qualche momento. Sono stato abbastanza vicino a La Malfa, mi ha dimostrato benevolenza, lui, che dicono non tolleri nessuno vicino a sé. Però questo affascinante Crispi dei tempi moderni mi ha deluso. Cosa ha fatto La Malfa? La liberalizzazione degli scambi, si dice. Già, e poi? Cos'è cambiato, con la liberalizzazione degli scambi? Tutto è rimasto come prima. Politico è ciò che incide, ciò che determina sviluppo, crescita. E poi la sua insensibilità ai diritti civili, la sua unica attenzione ai fatti economici, sempre proponendo e riproponendo piccole soluzioni...".

Di minimalismo però, dopo vent'anni, Pannella accusa anche il gruppo del Mondo. Dice infatti nel '78: "Leggevamo o scrivevamo sul Mondo, ma la nostra era un'autosoddisfazione aristocratica e cieca. Eravamo una società di 40-50mila persone al massimo in tutta Italia, "libere" come "liberi" erano, sotto il fascismo, Croce di scrivere e migliaia di leggere la Critica di Laterza. In questo senso i veri eredi del Mondo e dei radical-borghesi di allora sono oggi i compagni del Manifesto: comunicano all'interno dei loro 70-80mila lettori, con la loro produzione di alta classe, i loro bei pezzi di analisi ideologica, i corsivi politici e il compiacimento del "come siamo bravi". Ma in realtà ripetono gli errori della cultura elitaria radicale degli anni '50".

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