Capitolo 4 - 1955 - 1958
NASCE IL PARTITO RADICALE

Il 1955 è un anno importante per la politica italiana. Il Psi comincia a staccarsi dal Pci, e fra gli alleati laici della Dc cresce l'insofferenza: Pri, Pli e Psdi mal sopportano il malgoverno, il clericalismo e il servilismo dei democristiani verso il Vaticano. Per di più, nell'aprile '55 viene eletto presidente della Repubblica il dc Giovanni Gronchi al posto del liberale Luigi Einaudi. I cattolici si ritrovano così in mano entrambe le poltrone più importanti dello Stato: la presidenza della Repubblica e quella del Consiglio.

È in questo clima che, nel dicembre '55, nasce il Prldi: Partito radicale dei liberali e democratici italiani. Nasce in un modo strano: su un giornale. È Pannunzio, infatti, a dare sul suo Mondo la notizia della formazione di un "comitato esecutivo provvisorio" formato da lui stesso, da Leo Valiani, dall'ex segretario pli Bruno Villabruna, dal conte Nicolò Carandini e da Leopoldo Piccardi, già ministro dell'Industria nel governo Badoglio.

Sono tre le anime dei radicali, partito degli intellettuali per eccellenza. La prima è quella della sinistra liberale. Villabruna, assieme ai giovani Pannella, Scalfari e Ungari, a Carandini, a Franco Libonati, all'ex ministro Leone Cattani e all'avvocato milanese Mario Paggi, esce dal Pli caduto in mano, nel '54, a Giovanni Malagodi. Il nuovo segretario infatti ha spostato il partito su posizioni ancor più di destra e di sudditanza verso la Dc e Confindustria.

Già da anni la sinistra liberale faceva vita a sé. A Roma si riuniva, fin dal '51, al club della Consulta nel teatro Eliseo, in via Nazionale. "Quanto a me, è nel '53 che mi sono reso conto dell'inutilità di cercare di rianimare il Pli in senso europeo", precisa Pannella. "Avete il potere? Malagodetevelo!", augurano andandosene i transfughi gobettiani ai seguaci del nuovo segretario. Il Mondo è più caustico: "Il nobile partito di Croce e Einaudi è stato affittato (forse neppure comperato) dall'Assolombarda". Nel I993 i giudici di Mani pulite scopriranno i "contributi" dell'Associazione lombarda degli industriali privati al Pli: quarant'anni dopo, nulla era cambiato.

Nel Pr confluiscono anche molti azionisti. Ferruccio Parri non aderisce. In compenso entrano Valiani e Guido Calogero, nonché esponenti di Unità popolare (la lista nata nel '53 contro la "legge truffa") come Piccardi. Infine la terza componente: i giornalisti. "Il partito radicale lo fondammo io, Pannunzio, Paggi e Libonati nella casa di Arrigo Benedetti a Marina di Pietrasanta nel maggio '55", si vanta Scalfari nel suo La sera andavamo in via Veneto (ed. Mondadori, 1986). Nello stesso anno Benedetti e Scalfari danno vita all'Espresso.

Questa versione scalfariana è contraddetta da Pannella,l'altro giovane gallo nel troppo affollato (d'ingegni) pollaio liberal-radicale: "Non è il caso di esagerare il contributo di Scalfari al Pli e poi al Pr. Eugenio era un personaggio assolutamente di secondo piano", racconta l'invelenito Marco a Giancarlo Perna, autore di Scalfari, una vita per il potere (ed. Leonardo, I990).

Chi ha ragione? "Scalfari non era un leader della corrente di sinistra del Pli", testimonia Paolo Ungari, allora capo dei giovani liberali, "era solo un giovanotto disponibile, mezzo manager e mezzo cassiere". Ma Dio solo sa quanto ci fosse bisogno, in quell'accolita di pensatori con la testa per aria, di qualcuno con i piedi per terra. Non per nulla Scalfari, prima di rompere con Malagodi, gli organizza a Milano la campagna elettorale del '53.

Pannella invece dal '50 è il responsabile nazionale degli universitari Pli. Pannella però sta a Roma, mentre Scalfari abita a Milano finché non viene licenziato dalla banca dov'è impiegato per un articolo sull'Europeo. Non hanno quindi molte occasioni di incontro, anche perché ormai Scalfari è un giornalista avviato, ha sposato la figlia del direttore della Stampa e ama frequentare "in alto". Ma sono entrambi brillanti e ambiziosi. Passano gli anni '50 a darsi gomitate per farsi notare dai "grandi". E il resto della vita ad accreditarsi entrambi come eredi unici e universali del Mondo e della tradizione liberaldemocratica. Con, in ogni caso, qualche credito in più del parvenu ds Walter Veltroni.

Nel partito radicale entrano i giornalisti del Mondo al gran completo. In prima fila Ernesto Rossi, che nel marzo '55 inaugura la fortunata serie dei convegni del Mondo (1955: Lotta contro i monopoli e Petrolio in gabbia; '56: Processo alla scuola e I padroni della città; '57: Atomo ed elettricità, Stato e Chiesa; '58: Stampa in allarme; '59: La crisi della sinistra, Verso il regime; '60: Le baronie elettriche).

I convegni saranno l'arma più efficace dei radicali in quegli anni. Vengono inoltre arruolati d'ufficio nel Pr scrittori come Ennio Flaiano e Sandro De Feo. Altri nomi prestigiosi: Arrigo Olivetti, Alberto Mondadori, Felice Ippolito, Francesco Compagna, Rosario Romeo. E, fra i giovani: Stefano Rodotà, Tullio De Mauro (ministro dell’Istruzione nel governo Amato del 2000), Piero Craveri, Giovanni Ferrara, Fabio Fabbri. Oltre, naturalmente, agli amici di Pannella: Spadaccia, Teodori, Rendi.

Il nuovo partito però subisce subito sonore sconfitte elettorali. Al Comune di Roma nel '56 la lista con il simbolo radicale di una donna col berretto frigio (ricordo della rivoluzione francese) non ottiene alcun eletto. Alle politiche del ‘58 il Pr si presenta assieme al Pri. Ma i risultati sono drammatici: soltanto l'1,4%, contro l'1,1% che il Pri da solo aveva ottenuto cinque anni prima. Fra i sei deputati eletti non c'è nessun radicale.

Commenta Vittorio Zincone sull'Europeo: "Quello radicale è un partito di notabili insediati autorevolmente in alcuni organi di stampa, i quali però sono letti soltanto dai simpatizzanti ed evitati dal pubblico agnostico. Non basta mettere insieme bei nomi di professori universitari e di apprezzati professionisti per vincere le elezioni". Le stesse parole avrebbero potuto commentare, nel '92, il fiasco della lista referendaria dei professori Massimo Severo Giannini, Ernesto Galli della Loggia e Massimo Teodori.

Pochi dei cervelloni snob che guidano il Pr negli anni '50 hanno voglia di immiserirsi nell'umile lavoro quotidiano necessario alla costruzione di un partito. "La politica è sangue e merda", ha ammonito Rino Formica con qualche ragione. Così i radicali non superano mai i duemila iscritti, e si illudono che per prender voti bastino giornali pur prestigiosi come il Mondo e l'Espresso, che però in quegli anni non superano assieme le centomila copie.

Eppure i temi da loro agitati sono importanti: eliminazione delle commistioni fra Stato e Chiesa, lotta contro i monopoli economici, difesa della scuola pubblica, opposizione alle speculazioni edilizie. Ma le brillanti e aggressive campagne giornalistiche non si traducono in consensi concreti. Inoltre affiorano divergenze su alcuni argomenti: mentre il Mondo, per esempio, in politica estera è filoamericano, Ernesto Rossi e gli ex azionisti sono neutralisti. E la politica estera, in un anno come il '56 con i fatti d'Ungheria, è un tema importante.

Il motivo più profondo dell'insuccesso radicale in quegli anni è però l'inconsistenza della strategia politica: non si poteva essere allo stesso tempo antidemocristiani e alleati di un partito di governo come il Pri, succube della Dc. Lo intuiscono Piccardi e Scalfari i quali, diventati segretario e vicesegretario nel febbraio '59 dopo la batosta elettorale, si avvicinano al Psi. Il quale però, a sua volta, è ormai lanciato verso il centrosinistra, cioè l'alleanza con la Dc.

Pannella, ancora troppo giovane, non trova molto spazio nel partito radicale. Ma si consola con la politica universitaria, dov'è diventato un piccolo mattatore. Nell'Ugi e nell'Unuri i suoi seguaci sono così entusiasti di lui che vengono soprannominati "pannellati". Al congresso dell'Unuri, di cui è presidente, Pannella nel '57 riesce a difendere l'autonomia delle organizzazioni studentesche rispetto alle fedeltà di partito. È, in nuce, il metodo pannelliano della "transpartiticità", cioè dell'unità con chiunque, al di là degli steccati ideologici, su singoli obiettivi concreti. Franco Roccella, anch'egli presidente Ugi (e nel '79 deputato radicale) conia la formula: "Non unità delle forze laiche, ma unità laica delle forze".

Nel '56 c'è la rivoluzione d'Ungheria. "Parto subito per Vienna con altri dirigenti dell'Unuri ad aiutare i profughi", ricorda Pannella, "stavamo al convento di Pierinstengas, tutta un'ala era occupata da ragazzi di Budapest scappati. Ne aiutiamo alcuni a venire in Italia, la moglie di Pannunzio era ungherese. Quando torniamo a Roma Michele Notarianni a Romano Ledda del Pci mi chiedono di non far prendere all'Unuri una posizione netta sui fatti d'Ungheria. Ma non li accontentai".

"Sempre nel '56, un giorno mi chiama a casa sua Ugo La Malfa", racconta Pannella a Giampiero Mughini di Panorama nell'89. "È in vestaglia e sotto ha il pigiama: segno inequivocabile che è incazzato. Mi dice che va al congresso dell'Ugi a Perugia, dove io avevo deciso di non andare. Mi sentivo già un po' senatore, o "padre nobile". La Malfa vuole evitare che venga eletto nella direzione dell'Ugi un giovane socialista morandiano (filo-Pci, nda). Allora decido di partire anch'io, sulla sua auto. A Perugia scopro che questo giovane del Psi è stato morandiano a 18 anni, ma che ora è un autonomista nenniano. Il veto contro di lui mi sembra sbagliato e ingiusto. Allora intervengo, e quel giovane viene eletto. Era Bettino Craxi".

"Un paio d'anni dopo", racconta Pannella a Filippo Ceccarelli su Panorama nell'86, "Craxi diventa vicepresidente dell'Unuri. A un certo punto, però, mi sembra che in quella gestione ci siano delle cose non convincenti, un po' troppo sottogoverno. Così torno a occuparmene. Bettino non ha responsabilità specifiche, è una tendenza generale. Gli vado a parlare nel suo ufficio romano, in via Piemonte. Lui è attento e sereno. Alla fine è molto disponibile, e accetta di mettersi da parte. Nessuna ruggine".

Così, al congresso dell'Unuri a Cattolica (Forlì) nel '59, Pannella e il comunista Achille Occhetto alleati scalzano il mai laureato Craxi dalla guida degli universitari italiani. Dopodiché Marco se ne va a Parigi, Achille resta a Roma e Bettino torna mesto a Sesto San Giovanni (Milano), a farsi le ossa nella Stalingrado d'ltalia. "Chi è questo Pannella che ha in mano gli universitari italiani?", domanda incuriosito il segretario del Pci Palmiro Togliatti.

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