Capitolo 5 - 1959 - 1962
ESILIO A PARIGI

Non capita tutti i giorni, negli anni '50, che a un ventinovenne "borghese", iscritto a un partito dichiaratamente anticomunista, sia permesso scrivere una lettera aperta al segretario del Pci Togliatti direttamente su un giornale comunista come Paese Sera, diretto allora da Mario Melloni (Fortebraccio). Eppure questo accade nel marzo '59 a Pannella, forte di una certa benevolenza da parte dei vertici di falce e martello dopo le vicende universitarie dell'Unuri.

Pannella, d'altra parte, non si era limitato ad aprire le porte del parlamentino universitario ai comunisti: aveva anche osteggiato, durante il primo congresso del partito radicale nel febbraio '59, la linea filosocialista del nuovo segretario Piccardi e del suo vice Scalfari. "È la Dc l'avversario principale, non il Pci", aveva detto Pannella nel suo intervento.

I giovani esponenti della neonata corrente di sinistra radicale" (gli ex goliardi Pannella, Spadaccia, Teodori, Stanzani, Rendi, Roccella, ai quali si aggiungono l'avvocato romano Mauro Mellini, Angiolo Bandinelli e, a Milano, Mario Boneschi e il figlio Luca) stimano che senza il Pci non è possibile alcuna alternativa a quello che già allora i radicali chiamano "regime democristiano". Nonostante la crisi d'Ungheria, infatti, il Pci nel '58 ha conservato il 22% dei voti. Pannella teme che se il Psi, con il suo 14% dei suffragi, andrà al governo con la Dc, forte del 42%, ne rimarrà succube, com'è già accaduto ai partitini laici negli anni '50. Bisogna quindi far entrare il Pci nel gioco democratico.

Pannella nell'articolo sul Paese esorta socialisti, radicali e repubblicani ad annunciare uno schieramento unitario, a coinvolgere i comunisti e a tracciare un programma di governo alternativo a quello democristiano. "Per edificare in Italia uno Stato democratico e moderno è necessaria una nuova maggioranza", scrive. Poi polemizza con Giorgio Amendola, "che ripropone al suo partito un compromesso con i monarchici e i reazionari, con i clericali sul Concordato, contro tutta la sinistra e i liberali. Inverosimile".

Pannella sa bene che, in quei tempi di guerra fredda, voler superare l'ostracismo dei democratici laici contro il Pci è un eresia. Quindi, rivolto più ai suoi che a Togliatti, scrive: "Fra democratici e comunisti non ci sono stati solo dissensi tattici. Chiedetene agli anarchici e ai repubblicani spagnoli, e comprenderete tra l'altro l'avventura, altrimenti incomprensibile, dell'antifascista Pacciardi e degli anarchici di Carrara che lo mandarono in Parlamento; chiedetene ai socialisti di mezza Europa, e tra questi all'onorevole Saragat, e sentirete operante il giusto ricordo di Benes, di Masaric, di Nagy, della eliminazione fisica della classe dirigente socialista nell'Europa orientale".

Pannella, infine, non rinuncia a far lezione al Pci: "Cessate di proporre mirabolanti politiche che nemmeno da soli potreste attuare. Non crediate che i grandi monopoli e gli interessi reazionari controllino ormai ineluttabilmente l'economia europea (era il motivo del no comunista alla Cee, nda). Rivolgetevi come interlocutori ai laburisti inglesi e alla socialdemocrazia tedesca, e non agli sparuti gruppi comunisti belgi, olandesi, scandinavi, inglesi, che non rappresentano nessuna reale posizione democratica e popolare nei loro Paesi".

A 35 anni di distanza sembrano parole sagge, quasi ovvie. Ma allora la proposta di Pannella crea scandalo e viene bocciata su ogni fronte. Togliatti in persona, innanzitutto, gli risponde tre giorni dopo, sempre sul Paese: "Non accettiamo queste polemiche sulla politica del Pci". E ripropone la collaborazione dei comunisti non solo con i laici, ma anche con i "cattolici organizzati", cioè con la Dc. Il Mondo, in un articolo anonimo dell'aprile '59 intitolato L’alleanza dei cretini, è ancora più duro: "Non si capisce perché i democratici dovrebbero dar peso alle tesi di un radicale che ripete per caso su un giornale comunista le tesi che il Pci cerca di diffondere da anni. Meglio discutere, nonostante tutto, con l'onorevole Togliatti". E la direzione del Pr emette addirittura un comunicato pubblico per sconfessare Pannella.

Disgustato e un po' depresso, Marco se ne va dall'Italia. Non prima, però, di essere riuscito a scambiare due battute a tu per tu con Togliatti: "Vede, onorevole, noi goliardi siamo un po' illuministi". E il segretario pci a Pannella: "Non si preoccupi, è un peccato veniale". Poi, il treno per Bruxelles. In Belgio Pannella lavora come operaio nella catena di montaggio in una fabbrica di scarpe. "Ma non ottenni il permesso di lavoro e dovetti andarmene". Finisce a Parigi, dove a corto di soldi si presenta alla redazione del Giorno, il quotidiano dell'Eni, in rue Saint Simon, 7° arrondissement.

Comincia a collaborare con la corrispondente in carica Elena Guicciardi. Copre il turno di notte. "Era già polemico", racconta Angelo Rozzoni, allora caporedattore del Giorno, a Gigi Moncalvo, autore del libro Pannella, il potere della parola (ed. Sperling & Kupfer, 1983), "invece di mandare il servizio richiesto inviava tre-quattro cartelle di controinformazione. Comunque era molto bravo e diligente, gli darei un sette. Ma aveva l'inveterata abitudine di fare a modo suo". "Frequentavo gli ambienti del Cln algerino, avevo e facevo pubblicare notizie proibite in Francia", ricorda lui, "cosicché una volta il Giorno venne perfino sequestrato a Parigi"

Nel giugno '61 il direttore Italo Pietra firma la richiesta di praticantato per il vicecorrispondente Pannella. E nel dicembre '62, dopo i rituali 18 mesi, Marco diventa giornalista professionista. Ma contesterà sempre l'Ordine dei giornalisti, e rifiuterà gli sconti su aerei, treni e autostrade a loro riservati. Il suo stipendio a Parigi: 20 mila lire al mese. Di politica non si può occupare, c'è già la Guicciardi. Ma per le pagine di cronaca riesce a intervistare Jean-Paul Sartre sulla tortura, viene inviato a Cannes al festival del cinema, va a Tolosa per un'inchiesta sulle caserme, si occupa di Dalida e del rapimento di Eric Peugeot.

Una volta da Milano lo incaricano di cercare Gina Lollobrigida a Parigi. "Le ho lasciato un messaggio in albergo", risponde sbrigativo con un telex che trasuda disinteresse. Nel gennaio ‘63 si dimette. "Mi licenziarono dopo una mia inchiesta sull Eni e Mattei", dice lui, "dopodiché fui messo all'indice. Soltanto Panorama negli anni '60 mi dedicò un po di spazio. Per gli altri ero vietato, sia come firma che come notizia".

Nei suoi tre anni a Parigi Pannella frequenta gli ambienti della gauche impegnati per l'indipendenza algerina. "Le cose più belle mi accadeva di farle soprattutto di notte", ricorda, "quando andavamo in giro a scrivere sui muri scritte anti Oas (l'organizzazione paramilitare contraria all'indipendenza algerina, nda), mentre decine di arabi venivano torturati e buttati nella Senna. E i giovani compagni socialisti che erano con me si meravigliavano che un "vecchio" trentenne rischiasse con loro le manganellate dei poliziotti francesi, allora molto spesso complici dell'Oas".

Pannella fa anche il suo primo digiuno, contro la guerra d'Algeria. Ma non allenta i contatti con il partito radicale in Italia. Anzi. Dopo la crisi del governo Tambroni nell'estate '60, con il riemergere dei fascisti e gli scontri in piazza a Genova, Piccardi e Scalfari riescono a convincere il Pr ad allearsi con il Psi per le elezioni amministrative di novembre.

Il matrimonio conviene a entrambi i partiti: il Pr cerca esiti elettorali meno disastrosi di quelli del '58; il Psi è ben felice, in vista del centro-sinistra, di attrarre voti moderati grazie ai prestigiosi intellettuali radicali "borghesi" in lista. Così nel novembre 1960, due giorni dopo l'elezione di John Kennedy a presidente degli Stati Uniti, alle comunali il risultato è buono: 51 consiglieri radicali eletti nelle principali città. A Roma salgono in Campidoglio Piccardi, Antonio Cederna e l'attore Arnoldo Foà. A Torino, unico capoluogo dove i radicali restano alleati ai repubblicani (in una lista autonoma con simbolo del Pr e con la candidatura di Norberto Bobbio), viene eletto Villabruna.

Ma è a Milano che avviene un episodio clamoroso. Su 19 eletti nella lista Psi-Pr, ben quattro sono radicali: Scalfari, Elio Vittorini (l'ex direttore del Politecnico), Sergio Turone e Alessandro Bodrero. Per Scalfari, in particolare, è un trionfo: quinto fra i più votati, con il quadruplo delle preferenze rispetto al debuttante Benedetto (detto Bettino) Craxi, relegato al quint'ultimo posto. Superano Scalfari soltanto i socialisti Mazzali, Greppi, Vigorelli e il futuro primo cittadino Aldo Aniasi. L'inestirpabile antipatia di Craxi per Scalfari risale a quelle elezioni. Dopo pochi mesi, nascerà proprio a Milano il primo centro-sinistra d'Italia.

Il 20 novembre 1960 si riunisce il consiglio nazionale radicale. Qui Pannella e Giuliano Rendi, in polemica con la segreteria, presentano una risoluzione in quattro punti. Nel primo, sui rapporti con i cattolici, chiedono l'abolizione dell’articolo 7 della Costituzione (il Concordato del '29 fra Mussolini e la Chiesa) e respingono il centro-sinistra, perché la Dc è un partito "di destra, capitalista e reazionario" Il secondo punto, sui rapporti col Psi, nega che l'alleanza fra socialisti e radicali rappresenti l'incontro fra la classe operala e la borghesia intellettuale: "Non facciamo i paternalisti, anche noi dobbiamo avere radici popolari".

La terza tesi invita a non dimenticare, dopo l'Ungheria, "i gesti di libertà degli individui e dei popoli". Ma è la quarta tesi la più innovativa. Si tratta di un vero e proprio programma pacifista: sì all'Onu, no a Nato e Ueo, Europa unita con elezioni dirette, disarmo non solo atomico ma anche convenzionale europeo, e "conseguente abolizione degli eserciti", proclamazione del diritto all'insubordinazione e alla disubbidienza civile, obiezione di coscienza.

Naturalmente il documento della sinistra radicale non viene approvato, e anzi provoca una frattura fra i "giovani": da una parte i pannelliani, dall'altra Rodotà, Jannuzzi, Ferrara, De Mauro e Craveri che vogliono invece avvicinarsi a Pri e Psdi. La battaglia riprende nel maggio '61, al secondo congresso radicale. Pannella sostiene che "bisogna lottare con tutta la sinistra contro il clericalismo, i nazionalismi, i padroni del vapore e la manomissione classista dello Stato", e ripropone l'alleanza laici-Pci.

Alla fine del congresso la maggioranza Piccardi-Scalfari filo-Psi ottiene 75 voti, contro i 35 della sinistra e i 2l della destra filo-Pri. Ma, con un trucco, i pannelliani vengono quasi eliminati dal Consiglio nazionale. La maggioranza infatti fa confluire parte dei suoi voti sui "giovani" di destra, cosicché per la sinistra vengono eìetti soltanto Roccella, il 23enne Teodori e l'avvocato udinese Manlio Gardi, contro 75 rappresentanti della maggioranza e 22 della destra. Carandini liquida così le tesi di Pannella: "È mosso da un sentimento violento ma anche commovente di inquietudine, insofferenza e impazienza. È alla ricerca angosciosa di verità sfuggenti e novità avventurose".

La corrente di sinistra comincia a organizzarsi autonomamente. Nel settembre '61 partecipa alla prima marcia per la pace Perugia-Assisi organizzata da Aldo Capitini (uno dei 12 docenti universitari che preferì perdere il posto piuttosto che giurare fedeltà al fascismo), al termine della quale Ernesto Rossi, a nome dei radicali, pronuncia un discorso contro le basi Usa in Italia. Nel marzo '62 la marcia pacifista si replica sul percorso Camucia-Cortona (Arezzo), ma ormai la burocrazia del Pci prevale sulla partecipazione popolare spontanea. Subito dopo, comunque, nasce la Consulta della pace, in cui confluiscono radicali, comunisti e i nonviolenti di Capitini.

Nell'ottobre '61 viene pubblicato il primo numero del bollettino mensile Sinistra radicaie, diretto da Giuliano Rendi, che durerà un anno. Nell'editoriale di presentazione Pannella scrive: "No al centro-sinistra: un no definitivo, severo e chiaro". E polemizza col mito della "programmazione economica" che secondo il Psi sarebbe stato lo strumento principale per trasformare la società. Da Parigi Pannella fa scrivere articoli a Jacques Vergés, difensore degli algerini (e negli anni '80 avvocato del nazista Klaus Barbie), allo scrittore partigiano Paul Vercors (autore del Silenzio del mare) e a Francis Jeanson, capo degli "insoumis" antimilitaristi contro la guerra d'Algeria.

Intanto i dirigenti del partito radicale si dividono sempre più fra filosocialisti e filorepubblicani, finché nel gennaio '62 il segretario Piccardi è costretto a dimettersi. In un libro Renzo De Felice rivela infatti che Piccardi partecipò come relatore a un convegno razzista nel '39 a Vienna. Fra accuse, controaccuse e litigi personale (Ernesto Rossi abbandona il Mondo, lui antifascista con tredici anni di prigione e confino sulle spalle, in solidarietà con Piccardi) il Pr si sfascia in pochi mesi. "Non potevano stare insieme degli intellettuali, gelosi della propria condizione e felici dell'indipendenza che da essa deriva", scrive Benedetti sull'Espresso nel marzo '62. Se ne va Pannunzio: "Era stanco delle bizze di Ernesto Rossi, delle vanità di Cattani, della supponenza di Piccardi, dell'attivismo mio, della logorrea di Pannella", ricorda Scalfari. In quale torna al giornalismo, come Pannunzio e Benedetti. Gli altri abbandonano la politica o confluiscono nel Psi e nel Pri.

La sinistra radicale si ritrova quindi in mano un partito svuotato. In giugno, alle comunali romane, il Pr presenta una lista capitanata da Pannella: mille voti, nessun eletto. In ottobre si dimette il segretario Villabruna. Nel dicembre '62 una nuova segreteria prende le redini del partito: è formata da Pannella, dal 24enne Luca Boneschi a Milano e dal bolognese Vincenzo Luppi. Elio Vittorini accetta di fare il presidente. Per Pannella è ora di tornare a Roma: si licenzia dal Giorno e versa la sua liquidazione nelle casse del Pr.

Nessun commento: