15. Il PR dopo il referendum

Il 1974 fu un anno fondamentale per lo sviluppo del Partito Radicale. La vittoria referendaria e la vivacità organizzativa di questo piccolo partito, lo portarono alla ribalta e buona parte dell’opinione pubblica conobbe così per la prima volta i metodi di lotta politica radicali e soprattutto il suo leader Pannella: "Il 1974 è stato un anno importante per la storia del PR: fino ad allora i radicali restavano una minoranza isolata dagli altri partiti e poco conosciuta all’opinione pubblica" . Dalla primavera all’autunno di quell’anno, passando per il divorzio, il PR, condusse una battaglia con le solite azioni fatte di digiuni e campagne stampa, per avere l’accesso alle trasmissioni della RAI, rivendicando anche per le minoranze non presenti in Parlamento, il diritto ad usare i mezzi pubblici di informazione. In un documento approvato all’inizio di luglio dal PR si rivendicò questo diritto: " L’opera di vero e proprio assassinio politico delle minoranze politiche e laiche...attuata con la violazione sempre più palese dei diritti fondamentali del cittadino...appare ormai quasi compiuta...il dissenso organizzato, le diversità religiose, culturali, politiche, sono ridotti all’illegalità... L’assemblea dichiara di accettare la decisione dei compagni che conducono il digiuno collettivo di proseguirlo ad oltranza..." . A metà luglio il digiuno di Pannella superò i settanta giorni e divenne un fatto da non ignorare più da parte degli ambienti politici e giornalistici. La novità dello stile delle battaglie radicali e la ostinazione nel proseguire i digiuni, aprì infatti una discussione nell’opinione pubblica che si occupò per la prima volta in maniera completa del mondo radicale. Tra la stampa il "Corriere della Sera", dedicò particolare attenzione alla lotta radicale grazie all’intervento di Pier Paolo Pasolini, che esaltò inoltre la loro nonviolenza e la totale estraneità al potere politico: "Caro lettore... Marco Pannella è a più di settanta giorni di digiuno... per l’informazione laica e in particolare il diritto all’informazione delle minoranze laiche... Si tratta di una richiesta di garanzie di normalissima vita democratica...questo principio assolutamente democratico è attualizzato da Pannella attraverso l’ideologia della nonviolenza... Ora ti meraviglierai profondamente, caro lettore, nel conoscere le iniziali ragioni per cui Pannella e altre decine di persone hanno dovuto adottare questa estrema arma del digiuno...Nessuno infatti ti ha informato... invece eccole: La garanzia che fosse concesso dalla RAI un quarto d’ora di trasmissione alla LID... la garanzia che il Presidente della Repubblica desse un’udienza pubblica ai rappresentanti della LID e del Partito Radicale..." . Pochi giorni dopo anche il settimanale "Il Mondo" pubblicò un’intervista di Pasolini a Pannella in cui il leader radicale accusava i mezzi di informazione di essere attigui al "regime": "...Noi diciamo che il regime si chiude. L’insensibilità della stampa, per settanta giorni, al nostro caso, è stata una dimostrazione enorme di questa nostra affermazione...Quando si può dire che un regime è tale? Lo si può dire quando esso non ha più bisogno della violenza perché i suoi valori siano accolti "da tutti"...Se davvero crediamo nella libertà come metodo, se siamo dei libertari, allora dobbiamo appunto considerare la libertà come un fine..." .

Queste azioni portarono ad attriti con il mondo politico e soprattutto con il PCI, ormai proiettato nell’ottica del compromesso storico , che rivendicò la non centralità del tema dei diritti civili e rifiutò atti simili compiuti da minoranze: "Per quanto riguarda le richieste di Pannella... non le consideriamo neppure il centro della problematica urgente della vicenda nazionale... e non pensiamo neppure che i gesti, disperati o clamorosi, servano a qualcosa... i suoi metodi non ci consentono di cambiare parere sulla richiesta degli otto referendum, che riteniamo sbagliata" . Agli inizi del 1975 il PR si prodigò per raccogliere firme per un referendum abrogativo per l’aborto e il 5 febbraio di quell’anno, grazie all’appoggio de "L’Espresso", furono consegnate in Cassazione ben 750000 firme per un referendum che avrebbe dovuto tenersi nella primavera dell’anno successivo.

Al XV Congresso svoltosi a Firenze nel Novembre del 1975, il PR constatò la sua crescita non solo come bagaglio di esperienze ma anche come organizzazione interna, consistentemente accresciuta e come interesse da parte di altri partiti . Il principale interlocutore politico fu individuato nel PSI e intenzione dei radicali fu non solo di preparare un comune programma politico di legislatura, ma anche di creare un rapporto federativo tra i due partiti, con le rispettive autonomie. Nonostante la vicinanza politica con i socialisti e la volontà dei radicali di creare in Italia una componente socialista e libertaria, nel 1976, come abbiamo già visto, il partito decise di tentare il grande passo dell’esperienza parlamentare e di presentarsi da solo alle elezioni politiche. Durante la campagna elettorale i radicali dopo un iniziale ostracismo della Rai e dopo un nuovo digiuno riuscirono ad ottenere l’accesso alle trasmissioni Tv per esprimere le loro idee. Il messaggio elettorale dei radicali, caratterizzato da un linguaggio diretto e dissacrante, verteva in primo luogo sulla difesa dei diritti civili e in secondo luogo sull’invito alle forze di sinistra di desistere dalla continua ricerca di accordo con la DC. Il PR ottenne l’1,1 % dei voti (394.439) e 4 deputati . Così il partito riuscì a mutare la sua condizione da promotore di lotte extraparlamentari a forza politica in grado di portare proprio dentro le istituzioni le proposte. L’esiguo gruppo parlamentare radicale cercò subito di instaurare rapporti di collaborazione con il PSI, proposta che venne subito rigettata dai socialisti . Il tentativo costante del gruppo radicale di aprire in Parlamento un dialogo con il resto della sinistra dette scarsi risultati: nella legislatura infatti della cosiddetta "solidarietà nazionale", il progetto radicale risultò inattuabile e Pannella e gli altri esponenti radicali si batterono contro la politica messa in atto dalla maggioranza della DC e del PCI.

Con la votazione del governo Andreotti nell’agosto 1976, che ebbe anche il sostegno attraverso l’astensione dei laici (PRI, PSDI) e della sinistra storica (PSI, PCI), il Partito Comunista entrò di fatto nell’area governativa: "Era nata attraverso la convergenza dei partiti del cosiddetto "arco costituzionale" una nuova stagione politica che relegava i radicali in un ruolo assai difficile e assolutamente singolare di oppositori quasi unici (Insieme a Democrazia Proletaria)...".

Conseguente fu quindi l’isolamento parlamentare dei radicali che votarono contro per numerosi provvedimenti come per esempio la legge sull’aborto che nacque come frutto di compromessi fra cattolici e comunisti. Il momento di massimo isolamento parlamentare si delineò all’inizio di marzo del 1977, quando al momento della discussione dello "Scandalo Lockheed" e della messa sotto accusa dei tre ex ministri Rumor, Tanassi e Gui, il capogruppo radicale Pannella chiamò in causa il presidente della Repubblica Giovanni Leone, e chiese un allargamento dell’indagine per accertare le sue responsabilità. Questa linea di azione radicale che mirò soprattutto ad allargare il processo al regime democristiano, mostrando come lo scandalo non fosse un’eccezione, ma una normale gestione di potere, rimase però isolata. L’esperienza parlamentare dei radicali confermò che l’azione parlamentare si sarebbe potuta rafforzare solo con un’azione diretta nel paese e quindi con il progetto referendario. Il Congresso di Napoli del novembre 1976 confermò questa strategia: "...solo con il consenso popolare espresso attraverso milioni di firme di democratici che non si consegnano al compromesso concordatario...sarà possibile impedire che in questa legislatura la DC crei le premesse per rovesciare i successi della sinistra, bloccare ogni volontà e possibilità di alternativa, di rinnovare e consolidare il proprio potere" .Il referendum rimase quindi per i radicali l’unico mezzo per scardinare il sistema che si era venuto a creare e per eliminare leggi che impedissero libertà individuali e collettive. Nell’Aprile del 1977 infatti, il PR aprì la campagna per la raccolta firme dirette a richiedere otto referendum, tra cui quelli per l’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti, della legge Reale sull’ordine pubblico e sull’articolo del codice penale fascista sul delitto di aborto . I radicali attribuirono a questi otto referendum un significato oltre che di rottura degli equilibri statici del sistema politico, di trasformazione a vantaggio delle forze di sinistra: "I radicali consideravano lo strumento referendario l’iniziativa più adatta per scuotere l’immobilismo e per dare fiato alle istanze di chi non accettava la politica del "compromesso storico"" . La campagna a cui aderirono Lotta Continua, movimenti minori e singoli militanti di sinistra, si concluse positivamente con la consegna alla Cassazione, nel giugno, delle firme necessarie: "...oltre 700000 firme per ciascuna richiesta di referendum per un totale di cinque milioni e mezzo di adesioni" . Con l’uso positivo del meccanismo referendario i radicali ritrovarono così la loro dimensione di sempre, di movimento operante nella società per un rinnovamento politico e sociale. La Corte Costituzionale non ammise i referendum sui codici e l’ordinamento giudiziario militare, sul Concordato e sul codice penale fascista ; si votò quindi solo sul finanziamento ai partiti e sulla legge Reale, visto che per i manicomi, la Commissione Inquirente e l’aborto furono emanate nuove leggi.

L’esito referendario dell’1112 giugno 1978 non fu però positivo, anche se la richiesta di abolizione del finanziamento ottenne il 43 % dei voti e l’abolizione della legislazione straordinaria sull’ordine pubblico il 23%, malgrado nessun altro partito si fosse dichiarato favorevole: un partito con poco più dell’uno per cento aveva fatto breccia su un’altissima percentuale di elettori. La scelta referendaria era ormai divenuta il nuovo strumento per combattere i partiti della maggioranza e soprattutto la DC che secondo i radicali aveva trasformato la propria egemonia in una sorta di vero e proprio "regime": "I diritti civili dovevano essere il terreno adatto per nuove aggregazioni, destinate, secondo i radicali, a risultare maggioritarie e vincenti...di qui la dimensione strategica dei referendum...il voto polarizzato su due scelte, il "si" e il "no", avrebbe comportato necessariamente una bipolarizzazione dello scontro politico e cioè una spinta verso la ricomposizione degli schieramenti in una parte progressista ed in una parte conservatrice facente capo alla DC, considerata la vera destra storica del paese" .

Tra l’inverno del 1978 e il marzo 1979 i radicali misero a punto un nuovo "pacchetto" referendario. Le richieste furono dieci : Legge Cossiga (ordine pubblico), reati di opinione, riunione e associazione, ergastolo, caccia, porto d’armi, tribunali militari, legalizzazione delle droghe leggere, centrali nucleari, smilitarizzazione della Guardia di Finanza, più tre sull’aborto, di cui uno radicale volto a garantire un pieno diritto all’interruzione di gravidanza .

Proseguì nel frattempo la felice stagione elettorale radicale: nelle elezioni politiche del 1979, anche per effetto di consensi venuti meno al PSI da parte dei suoi tradizionali elettori che non si riconoscevano nella politica di Craxi, il PR, che candidò fra gli altri lo scrittore Leonardo Sciascia, raggiunse il 3,4% dei voti, con 17 deputati e 2 senatori . Dopo questo consistente successo per un piccolo partito, i radicali preferirono continuare sulla linea del movimento agile, sciolto da ogni impaccio burocratico, evitando così di agire alla stregua di tutti gli altri partiti. In questo periodo oltre agli elementi più attivi da tempo emerse Adele Faccio, Adelaide Aglietta, Emma Bonino, e Francesco Rutelli, obiettore di coscienza, in prima linea per far chiudere la centrale nucleare in provincia di Latina e eletto segretario del partito nel 1981. Accanto a questi troviamo alla presidenza del partito personalità della cultura come lo scrittore Elio Vittorini e dagli anni’80 il prof. Bruno Zevi. Il 9 febbraio 1981 la Corte Costituzionale ammise sei dei dieci referendum radicali per i quali la votazione fu fissata per la primavera dell’81: il referendum sull’ordine pubblico ottenne il 14,9 % di "Sì" e l’85,1% di "No", l’ergastolo il 22,6% di "Sì" e il 77,4 di "No", il porto d’armi il 14,1% di "Sì" e l’85,9% di "No". Anche i quesiti sull’aborto furono bocciati, il referendum radicale ottenne infatti l’11,65% di "Sì" e l’88,4% di "No". Negli anni ‘80 l’interesse del PR si intensificò attorno ai temi della non violenza e della disobbedienza civile e si allargò oltre i confini italiani, specie contro lo sterminio per fame delle popolazioni del terzo mondo con richieste tendenti ad assicurare una iniziativa in proposito del Parlamento italiano. Dal 1981 l’iniziativa centrale del PR divenne l’impegno contro lo sterminio per la fame nel mondo e l’azione radicale si concentrò attraverso marce, digiuni collettivi e il manifesto firmato nell’estate di quell’anno, da 54 premi Nobel, che invitava i governi a mobilitarsi per l’obiettivo minimo di tre milioni di persone da salvare dallo sterminio.

Nel frattempo i radicali non persero l’attenzione verso i problemi interni e constatando la situazione politica dominata dai partiti, decisero nel 1983 di presentarsi autonomamente e ottennero il 2%, 11 deputati e un senatore, diminuendo così i voti conseguiti alle precedenti elezioni . In quegli anni i radicali, da sempre contro la politica messa in atto dai grandi partiti, coniarono il termine tristemente famoso di "partitocrazia" e proprio contro ciò, nell’87 i radicali non parteciparono alle elezioni, invitando i cittadini ad uno sciopero elettorale.


Nel XXXIV Congresso, svoltosi a Bologna, nel gennaio dell’88, i radicali decisero di non presentarsi più come tali alle elezioni politiche: nacque così una nuova formazione "transnazionale e transpartitica", priva delle classiche strutture partitiche territoriali e pronta invece a proseguire le iniziative che superassero la logica dei confini nazionali, in particolare sui problemi dei diritti umani e sui problemi dell’inquinamento, auspicando inoltre il tema federalista della costituzione degli Stati uniti d’Europa. L’idea della sovranazionalità del partito, venuta da Pannella, suscitò non poche perplessità nella stessa compagine radicale anche perché serpeggiarono malumori nei confronti di una leadership carismatica che apparve contraddittoria per un partito che si proclamava libertario. Proseguì quindi l’esperienza transnazionale del partito e proprio in nome di ciò il XXXV Congresso si svolse a Budapest, nell’aprile dell’89 ; nel corso di questo congresso il segretario Sergio Stanzani rivendicò la lungimiranza della scelta che aveva trasformato un partito di italiani in un partito composto da oltre 50 etnie europee, africane, asiatiche . Il Partito Radicale transnazionale e transpartito continuò sulla sua strada aggiungendo ai consueti temi, anche la lotta contro ogni forma di proibizionismo in materia di stupefacenti e l’impegno contro la pena di morte, da abolire in tutti i paesi. A partecipare alla vita politica italiana restò una nuova formazione politica, un movimento creato da Pannella e denominato proprio Lista Pannella per sottolineare la personificazione del partito e per simboleggiare il valore della persona da eleggere mediante il sistema uninominale, propugnato da sempre dai radicali. Lo stesso movimento, creato nel 1992, si è progressivamente avvicinato al Polo di centrodestra e in particolare a Forza Italia, per poi distaccarsene quasi subito per inevitabili divergenze di carattere politico, preferendo così ancora una volta rimanere, a prezzo del rischio di un totale isolamento, un soggetto politico fuori dagli attuali schieramenti.

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