QUATTRO ITALIANI IN BULGARIA: UN GIORNO A SOFIA NEL 1968

[da ITALIANI IN BULGARIA numero 5 del 2 novembre 1997]

Tratto da un articolo di Giuseppe Loteta pubblicato in Astrolabio del 6 ottobre 1968.

24 SETTEMBRE 1968. Nel mondo clima di guerra fredda, i carri armati sovietici a Praga. A Sofia, nel centralissimi boulevard Stamboliiski, tre uomini e una donna distribuiscono volantini, distanziati di una ventina di metri l’uno dall’altro. Sono le cinque del pomeriggio, ora di punta per la capitale bulgara. Gli operai escono dalle fabbriche, gli impiegati dagli uffici e tutti, incuriositi e cortesi, prendono i foglietti. L’abbigliamento dei quattro, blue jeans e minigonna, non lascia dubbi: sono occidentali. E ancora meno dubbi lascia il contenuto dei volantini: “basta con la guerra del Vietnam, basta con l’occupazione della Cecoslovacchia”, e un lungo appello in russo e in tedesco ai paesi del Patto di Varsavia perché ritirino le truppe dal territorio cecoslovacco. Centinaia di fogli passano di mano in mano, vengono letti con estrema attenzione perfino dai soldati. Trascorrono ben 15 minuti prima che un uomo e una donna in borghese arrivino precipitandosi trafelati. L’uomo prende per il collo il più giovane, gli sputa in faccia e gli grida più volte “fascista”. La risposta è pronta: un sorriso cordiale, un cenno di diniego e poi “no, no, socialista”.

I QUATTRO SONO ITALIANI: Marcello Baraghini, 24 anni, pubblicista; Antonio Azzolini, 25 anni, studente universitario; Silvana Leopardi, 28 anni, insegnante, il quarto non ha bisogno di presentazioni: è l’allora 38-enne Marco Pannella. La loro azione non è isolata: alla stessa ora, nello stesso giorno, altri gruppi di giovani distribuiscono analoghi volantini a Mosca, Varsavia e Budapest. L’iniziativa è della War Resisters’ International (Internazionale dei resistenti alla guerra), l’associazione pacifista che da anni si prodiga in una continua azione di sostegno dei disertori politici e dei renitenti alla leva negli USA.

OPERAZIONE EUROPA ORIENTALE. La WRI ha le carte in regola. Può organizzare il volantinaggio in Europa orientale contro l’occupazione della Cecoslovacchia perché la sua posizione e la sua azione rispetto all’aggressione americana nel Vietnam sono ben note in tutto il mondo. E così il 22 settembre, con borse e valigie cariche di volantini, i quattro lasciano Roma per Sofia, “in transito turistico per Istanbul”, come si affrettano a spiegare a doganieri e poliziotti. La sera del 23 i quattro arrivano nella capitale bulgara. Solo Silvana conosce qualche parola di russo, sufficiente a decifrare i misteriosi caratteri cirillici. Frettolosa ricerca di una pensione, un po’ di tempo per capire come è fatto il centro della città, e poi a dormire. L’indomani i compiti vengono divisi. Per tutta la mattina Marcello e Antonio girano per Sofia lasciando alcune migliaia di volantini sulle panchine e nelle buche delle lettere, nei bar e nei ristoranti, mentre Marco e Silvana scrivono alla WRI  estilano un appello al Comitato centrale del Partito comunista bulgaro. Nel pomeriggio ancora volantinaggio clandestino a coppie e poi alle cinque la manifestazione in Stamboliiski.

I SERVIZI DI SICUREZZA ALL’OPERA. I tre uomini vengono fermati e portati in un posto di polizia. Silvana riesce a volantinare ancora per dieci minuti, finché ha uno scontro verbale con un agente in borghese che le sequestra il pacchetto. Poi sembra dimenticata ed ha tutto il tempo di recarsi alla stazione, dove attende inutilmente per sei ore in una sala d’aspetto di essere fermata. Verrà finalmente presa in piena notte in uno scompartimento ferroviario diretto a Belgrado. La prima reazione dei poliziotti è di stupore: ma chi diavolo sono questi quattro guastafeste? Leggono e rileggono i foglietti, vogliono sapere se si tratta di una organizzazione internazionale anti-socialista, di fascisti, di agenti della Cecoslovacchia. Poi entrano in scena i servizi di sicurezza, inequivocabili funzionari in impermeabile scuro che prelevano i quattro e li trasportano in auto alla periferia di Sofia, nella sede della polizia segreta, dove saranno trattenuti ancora un giorno, fino all’espulsione dal paese. Sono 24 ore di continue discussioni e di interrogatori correttissimi. Ad occuparsi dei quattro è addirittura il vertice del servizio. Affiancato da un’interprete, dirige le operazioni il colonnello Petrov, che ogni tanto riferisce ad un superiore. Poco prima del rilascio compare una terza persona, sempre in borghese, a chiedere con gentilezza: “sono stati abbastanza corretti i miei funzionari?”

LA TESI DEI QUATTRO è semplice: “siamo dei radicali, dei socialisti. Non crediamo di avere commesso nessun reato perché siamo certi che la Costituzione di un paese socialista non possa non garantire a chiunque il diritto a manifestare la propria opinione. Siamo decisamente contrari all’aggressione americana nel Vietnam e alla politica dei blocchi militari. È per lo stesso motivo che condanniamo anche l’intervento in Cecoslovacchia delle truppe del Patto di Varsavia”. Di rimando, granitica, la posizione ufficiale di Mosca sulla controrivoluzione in atto a Praga e l’accusa: “siete venuti a interferire negli affari interni di un paese socialista”. Un altro funzionario cerca di convincere Silvana Leopardi che a richiedere l’intervento delle truppe sovietiche siano stati gli stessi cechi. “L’abbiamo visto con i nostri occhi in TV, siete voi occidentali ad essere male informati”.

POI, INASPETTATAMENTE, uno per volta i quattro sono accompagnati in un salone pieno di giornalisti, corrispondenti radio, cameraman televisivi: una conferenza stampa organizzata dai servizi di sicurezza per mostrare al popolo i provocatori occidentali. Pannella si rifiuta di rispondere ai rappresentanti della stampa bulgara. “Nel mio paese – chiarisce – è chi convoca la conferenza stampa a rispondere. Io non ho convocato niente, anzi sono stato convocato. Quindi non ho nulla da dire. Avrei io delle domande da porvi, ma non credo che abbiate intenzione di rispondermi”. Gli altri tre accettano la strana intervista e chiariscono ancora una volta i motivi ispiratori della loro azione. L’ultimo atto è l’espulsione: grandi automobili scure che accompagnano, due per volta, i quattro fino al confine con la Yugoslavia, l’ingiunzione agli “italiani banditi” di non tornare più in Bulgaria, l’autostop fino a Belgrado, il ricongiungimento in questa città. I quattro sono riusciti in poche ore a distribuire circa 5.000 volantini e a regalare grosse grane ai servizi bulgari.

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