IN GITA A… FILIPPOPOLI

[da ITALIANI IN BULGARIA numero 10 del 14 gennaio 1998]

LUCIANO IL GRECO definì Plovdiv “la più grande e più bella città della Tracia”, avrebbe potuto aggiungere “e della Bulgaria”, perché la seconda città del paese (con una popolazione di circa 350.000 abitanti), è uno dei centri più attraenti e vibranti, certamente molto più raccomandabile della capitale Sofia. La città vecchia incarna la lunga e variata storia di Plovdiv, con fortificazioni trace utilizzate dai macedoni, ricoperte da mura bizantine e grandi case in legno costruite durante il rinascimento bulgaro, che dominano le diroccate moschee ottomane e le dimore degli artigiani nella città bassa. Ma Plovdiv non è una mera parata di antichità: le manifestazioni artistiche e le esposizioni commerciali della fiera superano in numero quelle di Sofia, e la vivace vita notturna umilia quella della capitale, mentre l’importanza nella vita politica del paese ne è dimostrata dal presidente Petar Stoyanov, per citarne solo il più autorevole cittadino.

UN PO’ DI STORIA. Antico sito trace ricostruito e chiamato Filippopoli da Filippo II il macedone nel 342 avanti Cristo, inizialmente era poco più di un posto militare progettato per mantenere un occhio vigile sui turbolenti indigeni, una città di frontiera che i macedoni deliberatamente colonizzarono con criminali ed emarginati, tanto che lo scrittore romano Plinio avrebbe più tardi identificato Filippopoli come “Poneropolis”, la semi-leggendaria “città dei ladri”. Ma sotto la dominazione romana la cultura romana si sviluppò rapidamente, grazie alla collocazione sulla via di comunicazione Belgrado-Costantinopoli, per portava benessere economico ed era in posizione strategica per difendere la Tracia. La città fu saccheggiata dagli unni nel 447 e cominciò il suo declino a causa dei barbari che sempre più spesso facevano breccia nella frontiera danubiana. Con l’arrivo dei bulgari il controllo bizantino sull’area divenne sempre più tenue: “tanto tempo fa – lamentava Anna Comnena nel XII secolo – Filippopoli diveva essere una bella e grande città, ma dopo che gli slavi ne schiavizzarono gli abitanti fu ridotta nelle condizioni che abbiamo visto”. A quei tempi Filippopoli era un noto focolaio di eretici, una situazione dovuta agli armeni che emigrarono in massa in Tracia nell’XII e X secolo portando con loro dottrine dualistiche quali il manicheismo. Nonostante queste dottrine eretiche fecero fiasco, la popolazione armena di Plovdiv è durata fino ai giorni nostri.

LA CITTA’ BIZANTINA fu ulteriormente danneggiata dallo zar bulgaro Kaloyan nel 1206, lasciand un posto praticamente raso al suolo in eredità ai turchi che la ridenominarono Filibe nel XIV secolo, ma si riprese presto come centro commerciale, con un prosperoso quartiere di bazar e moschee ai piedi delle colline dove continuarono a vivere le comunità cristiane, molte delle quali famiglie divennero ricchi esponenti della classe mercantile nella metà del secolo scorso, esprimendo la loro agiatezza nella costruzione di case opulente che esibivano il meglio dell’artigianato locale. Costoro patronizzarono la cultura bulgara, e se le grandi potenze non avessero deciso di dividere il giovane stato bulgaro nel congresso di Berlino del 1878, Plovdiv ne sarebbe probabilmente diventata la capitale. Divenne invece la principale città della Rumelia orientale, una provincia ottomana amministrata da un governatore generale cristiano, ma il naturale desiderio della popolazione ortodossa di riunirsi al resto del paese fu finalmente conseguito nel 1885. da allora la città ha continuato a rivaleggiare la capitale come centro culturale e commerciale, soprattutto per le fiere internazionali che si tengono ogni anno in primavera e in autunno, inoltre la prossimità alla Turchia e alla Grecia fanno sì che Plovdiv sia meglio piazzata per trarre vantaggio dai recenti cambiamenti, come dimostrano le imprese private che vi hanno messo radici più rapidamente che nel resto del paese.

GRAN PARTE DI PLOVDIV può essere esplorata a piedi, nonostante sia divisa in due parti distinte: la città vecchia, del XIX secolo, che occupa la parte più orientale delle tre colline di Plovdiv, e la moderna città nuova, incentrata sulla grande piazza centrale dominata dal poderoso albergo Trimontium, decaduto insieme allo stile stalinista con cui fu costruito. Durante lo sviluppo urbanistico di quest’area furono scoperti dei resti romani, ad ovest della piazza c’è il parco della libertà, capolinea delle animate passeggiate pomeridiane di centinaia di persone lungo il viale pedonale Kniaz Alexander, affiancato da negozi e l’immancabile McDonald’s, il primo in Bulgaria. Lungo il viale troviamo al numero 15 la galleria d’arte municipale, una delle migliori collezioni in Bulgaria, il cui pezzo forte è il Ritratto del vescovo Sofronii di Vratsa, dipinto nel 1812 da un pittore sconosciuto. Il viale ci porta alla piazza Stambolinski, i cui caffà sono il punto d’incontro dei giovani plovdivchani e dove troviamo i resti di uno stadio romano visibile nella cementificazione: non è questo che un frammento di una grandiosa arena a forma di ferro di cavallo dove nel II e III secolo si tenevano i giochi alessandrini con decine di migliaia di spettatori. Pure notevole, tra i vari edifici circostanti, è la moschea del “del venerdì”, la cui architettura è tipica delle moschee cosiddette “popolari” del XIV e XV secolo, probabilmente costruita tra il 1359 e il 1385. la moschea è chiusa durante le funzioni religiose, quindi è consigliabile pianificarne la visita se si desidera ammirarne la fontana ed i motivi floreali che ne adornano l’interno. Una lapide sul muro occidentale commemora i cinque militari comunisti uccisi qui nel 1919, da cui il vecchio nome che portava la piazza, 19 novembre, durante gli anni del regime totalitario.

IL QUARTIERE DEL BAZAAR, situato poco a nordest della moschea, porta ancora nei nomi delle sue piccole strade le attività che vi si svolgevano, come Zhelezarka per i fabbri ferrai o Abadzhiiska per i commercianti della lana dei rodopi. Nei tempi ottomani il principale distretto commerciale di Plovdiv si estendeva da qui ulteriormente in direzione nord verso il fiume Marita, all’incirca lungo il corso di quella che oggi è la moderna ulitsa Raiko Daskalov, dove nel XVI secolo si contavano 880 negozi “uno sopra l’altro” secondo la descrizione di un viaggiatore arabo dell’epoca. Al giorno d’oggi non è più possibile trovare granché dell’originale atmosfera del bazar, ma è comunque un’esperienza piacevole passeggiare lungo questa strada per avvicinarci al fiume e trovare ancora molti resti del dominio turco, molti dei quali in cattive condizioni di manutenzione, per arrivare alla moschea Imaret e al museo archeologico. Vicino al fiume riconoscerete difficilmente i bagni turchi, ma più facilmente la moschea, con un pregevole minareto, che fu costruita su ordine del sultano Bajazet nel 1444, contiene la tomba del pasha Gazi Shahabedin e deve il suo nome all’ostello per pellegrini (Imaret) un tempo situato nelle vicinanze. Da qui, in piazza dell’unità, davanti al surreale monumento di Milenkov del 1885 c’è il museo archeologico. Nonostante la sua più notevole attrazione, il tesoro di Panagyurishte, sia stata spostata nel museo nazionale di Sofia, vi si trova ancora ampia evidenza della cultura dei traci di Bulgaria, gran parte della quale proveniente dagli scavi di tombe tribali effettuati a Duvanli (20 km a nord di Plovdiv). Dall’austerità delle terraglie rinvenutevi spicca il contrasto con il vasellame importato dalla Grecia dai guerrieri traci e un importante arsenale che include un elmetto di bronzo trovato vicino al villaggio di Brestovitsa, testimonianza delle deprimenti preoccupazioni nella vita quotidiana dei traci.

LA VITA NELLA TRIMONTIUM romana è ben documentata con una gamma di bronzi e terracotte, mentre il periodo medievale è rappresentato da un gruzzolo di monete del XII secolo trovato cicino ad Asenovgrad, e della espressiva vasellameria risalente al secondo regno bulgaro, decorata con turbinanti vortici e spirali multicolori. Il museo di storia naturale, a 5 minuti di distanza, non è altrettanto interessante, quindi se avete poco tempo tornate indietro per visitare la città vecchia, cioè il quartiere che è stato definito il sogno di ogni pittore e l’incubo di ogni cartografo. Con le sue strade pavimentate di ciottoli e le sue case bovinde, fugaci apparizioni di facciate ornate tentano il visitatore ad abbandonare le strade principali per addentrarsi nei cortili, e questo può essere il migliore approccio per conoscere la zona, ma cominciamo prima dalle mura della fortezza, risalenti al periodo bizantino, che si celano dietro molte stradine e sono talvolta incorporate nelle decine di case di stile risorgimentale nazionale, che sono la specialità di Plovdiv: sono tipicamente costruite su di un pendio e si espandono su più piani per mezzo di bovindi lignei, risolvendo intelligentemente sia la mancanza di area edificabile che l’esigenza di interni spaziosi da parte dei mercanti del XIX secolo. I più visibili bovindi sulle facciate denotano solitamente le grandi sale di ricezione all’interno, mentre i lati dei piani superiori sono talvolta caratterizzati da bovindi ciechi contenenti dispense di cucina o sgabuzzini. Dentro e fuori i muri sono spesso decorati con nicchie, motivi floreali o finte colonne dipinte nello stile conosciuto come alafranga, eseguite da artisti itineranti. I ricchi mercanti che vissero qui sponsorizzarono il risorgimento bulgaro, ed il ruolo culturale di Plovdiv si riflette nelle numerose piccole gallerie d’arte e negli eventi musicali che si concentrano attorno alle case della città vecchia, molte delle quali sono oggi classificate come patrimonio storico e architettonico.

LA MAGGIOR PARTE dei visitatori approccia la città vecchia partendo dalla piazza Stambolinski, dalla quale un dolce pendio conduce in su passando dalla casa di Danov. Questi fu il primo editore su larga scala in Bulgaria, considerava la distribuzione della stampa come un dovere patriottico, un passo cruciale nella lotta popolare di liberazione dal plurisecolare oscurantismo ottomano. Oltre a stampare libri, Danov aprì le due prime librerie del paese, a Plovdiv e a Ruse, fabbricò mappamondi, termometri e bilance per le scuole del paese e nel 1878 firmò il primo quotidiano di Plovdiv, Maritsa, testata ora risorta dopo i cambiamenti del 1989. proprio poco oltre la casa-museo di Danov troviamo Sveta Bogorditsa, una chiesa imponente che conserva alcune icone del maestro Stanislav Dospevski. Continuando questo itinerario, passando per una sezione della galleria municipale che ospita gli eventi tematici in estate, arriviamo alla casa Chomatov, ora dedicata alle opere di Zlatyo Boyadzhiev, uno dei più amati pittori bulgari contemporanei. Particolarmente notevolei sono I minatori di Pernik, del 1945, in cui l’artista sposa uno stile folkloristico con la sua autentica simpatia per i lavoratori, ed altri pregevoli lavori successive quali Orfeo e i due matrimoni, nei quali usa scene paesane per trasmettere un sentimento di orgoglio nazionale più terreno. Proseguiamo a salire passando dalla vecchia farmacia al numero 16 (gli intrugli in vendita richiedono la conoscenza di termini medici latini), per arrivare al museo delle icone, ricco di opere della regione del XV e XVI secolo, e alla chiesa dei santi Konstantin ed Elena, caratteristica per i colorati interni in contrasto tra loro. Un breve passaggio dalla casa Balabanov (un tempo dimora dell’omonimo mercante, ora destinata ad ospitare esposizioni di arte moderna), ci conduce alla casa Hindlian, dove possiamo godere di alcuni dei più sontuosi interni delle case di Plovdiv. La famiglia Hindlian era di prosperosi mercanti armeni, come si capisce dalle alafranga che ornano le stanze superiori con i panorami delle città ove svolsero le loro attività, tra le quali Venezia.

MOLTE DELLE FAMIGLIE ARMENE sopravvissute vivono ancora nelle strade circostanti e frequentano la scuola armena, una modesta chiesa armena ed il centro culturale “Erevan”. Un monumento nel cortile ricorda gli armeni di Plovdiv caduti per la madrepatria durante le guerre balcaniche e la prima guerra mondiale. Ma la strada che abbiamo preso ci porta altrove, ascendendo in direzione settentrionale verso la sommità della collina, transitando dall’edificio più visitato di Plovdiv, la casa Kuyumdzhioglu (dal nome del mercante greco che la commissionò nel 1848), che nella sua facciata combina motivi barocchi e folkloristici dipinti sulla facciata riccamente decorata con ordini giallo-nero. Ora è un museo etnografico con elegantissime stanze arredate col gusto dei chorbadzhii per il barocco francese e viennese, sontuosa gioielleria e costumi tradizionali dei rodopi indossati da poveri e benestanti di entrambi i sessi. La cittadella di Nebet Tepe è la prossima tappa. Arduo è discernerne precise origini storiche dalle sue macerie , ma è un sito archeologicamente ricco. Fortificato dalle tribù trace fin dal V secolo avanti Cristo, la cima della collina fu l’inizio della moderna Plovdiv, catturata nel 342 da Filippo il macedone che modestamente la chiamò Filippopoli. Ma il figlio di Filippo, Alessandro il grande, la abbandonò in cerca di nuove conquiste asiatiche. Nei secoli seguenti gli abitanti sono probabilmente spesso ricorsi al tunnel segreto che collega Nebet Tepe alla riva del fiume, per sfuggire ai saccheggi perpetrati da romani, slavi, bulgari, bizantini ed ottomani, tanto per citarne solo alcuni.

COMINCIANDO A SCENDERE passiamo dalla porta della fortezza, Hisar Kapiya, che è stata ricostruita infinite volte da quando Filippo il macedone la innalzò come porta orientale della cittadella. Vicino troviamo la casa Georgiani, notevole più per la struttura che per gli ornamenti: l’architetto combinò dei bovindi “scatolari” in una scala monumentale. L’edificio è oggi occupato dal museo della liberazione nazionale, contenente le repliche della campana e del cannone che per primi si fecero sentire durante l’insurrezione di aprile, dopo le impiccagioni di massa da parte dei boshibazouk, che vietarono alla popolazione di seppellire i cadaveri. Un altro edificio vicino che merita una visita è la casa Nedkovich, rinomata per i soffitti lignei e il grande salone a primo piano. Da qui scendiamo lungo la strada che conduce, tramite numerose botteghe di artigiani ed altri edifici, alla basilica a tre navate di Santa Domenica (Sveta Nedelya), e tramite la ulitsa Nektariev alla casa Mavrudi, meglio conosciuta come la casa dove visse il poeta francese Lamartine nel 1833 scrivendo Viaggio in oriente mentre si riprendeva dal colera che uccise sua figlia a Costantinopoli. E qui finalmente arriviamo al monumento più impressionante, l’anfiteatro romano dal quale si può godere una meravigliosa vista della catena dei rodopi, e nel quale ogni estate si svolgono eventi di musica classica. Queste imponenti rovine sono le sole rimanenze di una acropoli che i romani costruirono quando innalzarono Trimontium da città vassalla al grado di capoluogo di provincia, durante il II secolo, ma fu distrutta dai goti e più tardi usata come materiale di costruzione quando la città rinacque.

LA PLOVDIV ECONOMICA. Centro commerciale da lunga data, Plovdiv divenne il principale mercato bulgaro nella seconda metà dell’ottocento, quando fu completata la ferrovia tra l’Europa e Istanbul e vi fu trasferita la grande fiera annuale fin dal XVI secolo tenuta ad Uzundzhovo. La prima fiera internazionale di Plovdiv (1892) su un affare sostanzialmente casalingo: un uomo di Aitos propose di mostrare i suoi cani da caccia, mentre la Boemia esibì alveari. Ma a partire dal 1933 l’evento crebbe in forza, ed attualmente è la più grande del suo tipo nei balcani, articolandosi in due edizioni annuali: quella primaverile, ai primi di maggio, è dedicata ai beni di largo consumo; quella autunnale, ancor più frequentata, verso la fine di settembre, per i beni strumentali ed industriali. Entrambe le esibizioni si tengono nel grande complesso in prossimità della riva settentrionale del fiume. Così come le tre colline della città vecchia, altre tre alture circondano la parte sud-occidentale della città: dalla più vicina al centro, Sahat Tepe, si può godere una vista eccezionale della città, nonché quella che è ritenuta la più antica torre con orologio nell’Europa orientale, tanto che un’iscrizione dei turchi (che la restaurarono nel 1809 con “benedizione divina”) invita a guardare in su per ammirare. Da qui si può fissare Alyosha (diminutivo del monumento all’armata rossa), sulla vicina collina dei liberatori, qui c’era il tempio trace dedicato ad Apollo, ma negli anni cinquanta il partito unico volle onorare il suo semidio ribattezzandola “collina di Stalin”… Infine, ulteriormente a sud-ovest, si trova la collina detta della gioventù, la più grande delle tre e la più simile ad un parco naturale.

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