SLAVENKA DRAKULIC: COME SIAMO SOPRAVVISSUTE AL COMUNISMO
[da ITALIANI IN BULGARIA numero 19 del 25 maggio 1998]
Un’autrice contemporanea le cui opere sono riconosciute a livello internazionale e che consigliamo per aiutare a capire i balcani, non è bulgara ma croata. Slavenka Drakulich è nata nel 1949 a Fiume e si è laureata in sociologia alla facoltà di filosofia dell’università di Zagabria. Ha insegnato per molti anni e nel 1976 ha iniziato a collaborare con articoli e saggi ai principali giornali e riviste del paese. Negli anni 80 è diventata una delle giornaliste più quotate dell’allora Yugoslavia, contesa tra il settimanale di Belgrado Nin e quello di Zagabria Start. Nel giornalismo yugoslavo, che aveva ottime penne ma solo maschili e politiche, introduce tematiche femminil-femministe, parla di educazione sessuale e dei cambiamenti del costume, argomenti che anche nel “socialismo autogestito” erano rimasti tabù. Partecipa alla fondazione del primo gruppo femminista di Zagabria, nato all’interno della Società dei sociologi. Una raccolta dei suoi saggi e interventi esce nel 1984 con il titolo “I peccati mortali del femminismo”. Nella postfazione di questo libro dice di sé: “Tutto nella vita mi è andato storto, mai come avrei desiderato… Voglio dire mi sono successe così tante cose contro la mia volontà. Mi sono sposata, ho divorziato, ho partorito contro la mia volontà. Quando mi sono sposata pensavo che non mi sarei mai separata. Quando ho divorziato pensavo che non mi sarei mai più sposata – un bambino poi non mi passava neanche per l’anticamera del cervello. Un solo desiderio si è realizzato: scrivere […] ma un certo tipo di curiosità (o forse di testardaggine) mi costringe continuamente a reagire, a contrappormi, anche a litigare. Non posso stare zitta, nemmeno quando per me sarebbe meglio. Credo che tacere e accettare il silenzio siano le forme peggiori di repressione”. Una drammatica esperienza autobiografica è l’occasione, pratica e psicologica, per il primo romanzo, “Ologrammi della paura”, uscito nel 1987. dopo poche settimane è già esaurito ed entra nella ristretta rosa dei titoli candidati ai premi più importanti. Il tema del libro è un drammatico ritorno alla salute dopo una grave malattia. Il secondo romanzo, “Pelle di marmo”, esce nel 1989 e come il primo viene tradotto in diverse lingue. Da un lungo viaggio nell’est europeo dopo la caduta del muro nasce How we survived communism and even laughed, un reportage sulla quotidianità socialista vista con occhi femminili. Il libro riceve molti riconoscimenti e un gran successo di pubblico in Germania, Francia, Gran Bretagna e Stati uniti. Eccone di seguito alcuni brani che riguardano la Bulgaria, tradotti specialmente per i nostri lettori dall’edizione in inglese del libro.
Evelina sta preparando un party e io l’aiuto nella piccola cucina del decadente appartamento che condivide con un amico studente, poiché con lo stipendio di professoressa all’università non si può permettere di affittare un appartamento tutto per sé. Farà un’insalata di patate con cipolle, la cucinerà nel forno e la servirà con… praticamente niente. Ci sono anche quattro uova per una omelette e due scatole di sardine, più vodka e vino, e questo è tutto quello che c’è per le otto persone che ha invitato. Sediamo attorno al suo tavolo: ci sono un direttore teatrale bulgaro che vive in Germania, tre colleghi universitari di Evelina, un’amica storicista e suo marito, e noi due. Mangiamo patate col contorno di patate, beviamo vodka e discutiamo sulla prima edizione del giornale Demokratsia e la tavola rotonda tra l’Unione delle forze democratiche e il governo comunista, calcolando quanti voti prenderà l’opposizione nelle prime elezioni libere. Nessuno sembra curarsi che non ci sia più cibo in tavola, almeno fino a quando continua l’appassionata discussione politica. “Questo è il nostro cibo – dice Evelina – siamo abituati a ingoiare politica. Per colazione mangiamo elezioni, un dibattito parlamentare fa il pranzo, e per cena ridiamo al telegiornale con le bugie che cerca di venderci il Partito comunista”. Forse questa gente può vivere senza cibo – o perché è troppo caro o perché non c’è niente da comprare o per entrambe le ragioni – ma non senza politica. Si potrebbe pensare che questo succeda solo ora, quando hanno la prima vera possibilità di cambiare qualcosa. Non è così. Questa confidenza con le questioni politiche era parte della vita quotidiana, che si trattasse di odio, sfiducia, pettegolezzi o semplice rassegnazione durante il governo comunista di Todor Zhivkov. In una società totalitaria uno deve rapportarsi direttamente al potere, non c’è scampo. Quindi la politica non diviene mai una cosa astratta. E’ una palpabile forza brutale che dirige ogni aspetto della nostra vita, da quello che mangiamo a come viviamo e dove lavoriamo. Come una malattia, una peste, un’epidemia, non risparmia nessuno. Paradossalmente, questo è proprio come uno stato totalitario produce i suoi nemici: cittadini politicizzati. La “velvet revolution” non è solo il prodotto di alta politica ma anche della presa di coscienza di cittadini comuni infettati dalla politica.
Il bel libro di Drakulich comprende altri riferimenti allo stato pietoso della Bulgaria durante il comunismo: a dispetto della propaganda del regime nello strombazzare il ruolo delle donne, il governo totalitario non aveva previsto di produrre una necessità basilare come gli assorbenti per le mestruazioni, e le donne bulgare “emancipate” dal comunismo dovevano lavarsi a mano delle ottocentesche “mutandone pannolone”. Già, verrebbe spontaneo chiedersi, ma perché lavarle a mano quando i piani di produzione del regime provvedevano tutte le famiglie di una brillante lavatrice Perla? Il problema è che di una lavatrice te ne fai ben poco, se non esiste il detersivo…
Slavenka Drakuliche ha pubblicato anche in italiano (presso Il Saggiatore) ed altre lingue il libro “Balkan express”, altrettanto consigliato ai lettori che vogliano farsi un’idea della mentalità balcanica
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