NYLON!, libro terzo

AUTOBIOGRAFIA DI ROBERTO GRANZOTTO: 1981-84

A Milano, via Metastasio è per intenderci la via su cui sbocca l’uscita laterale della stazione Nord di piazzale Cadorna dal lato dei binari del treno Alitalia per Malpensa dove perciò adesso sostano pullman e taxi. Allora non aveva questa funzione, ma ci passavo per attraversare la stazione e seppellirmi nel mondo sconfinato della linea 1 e linea 2 tutte per me. Per uno che veniva da Mareno di Piave, senza autobus per la più vicina stazione ferroviaria dopo le 7 di sera e l’intera domenica (a parte il motorino, ma il tubo è un’altra cosa!), fu una libidine. Sono gli anni dell’adolescenza in libertà dopo la scomparsa in pochi mesi della nonna. A 17 anni appena compiuti mi trovavo a vivere da solo! Era molto spesso festa da me, col benestante figlio di ortolano Alberto a provvedere lo stereo e gli autotrasporti insieme al benestante figlio dell’importatore di una nota marca di autoradio Ruggero nelle rispettive 127. L’amico col legame più stretto era Fabio (anch’egli scrittore, anche se preferisce definirsi troglodita, poi rintanatosi sull’appennino marchigiano), in alfasud, che era affascinante alle ragazze ma poi finiva che gliele portavo sempre via io. Le ragazze della compagnia erano Betta, Nucci, Laura (figlia di un banchiere) e Sonia. Passai per le mani di tutte, ma solo petting, finché a 18 anni compiuti ebbi il mio primo rapporto completo con un’altra ragazza di Fabio, la figlia del re delle caramelle Sheila, e subito dopo la prima lunga relazione - oltre un anno - con Olivia Maria, che studiava come me all’Itsos di via della Pace (anni dopo fu spostato in corso Stati Uniti, non ho idea con quali risultati). Con Olivia ci si divertiva e si era tutt’uno con la moto, Cagiva 125 nero con marmitta da competizione ma omologata, viziato col migliore olio che in un due tempi è fondamentale, velocità massima 120. Scorazzavo il nord Italia da Trieste a Montecarlo ma soprattutto in Svizzera e sul lago maggiore, dove la sua famiglia aveva la seconda casa. A scuola si faveva un po’ quel che si voleva, ci si autocertificava d’ufficio le assenze senza che la preside si permettesse di aprire becco e si studiava poco, trascorrendo le ore al bar Manera di via Manera con Vasco Rossi dal juke box, fumando e trangugiando birra e panini. Ma non eravamo paninari, c’erano più freakettoni e soprattutto dark in quella scuola di sinistra monopolizzata all’epoca, a livello studentesco, da Democrazia proletaria. I prof erano simpatici. Il prof di storia fumava una bella quantità di hashish, il prof di scienze era un popolare autore divulgatore della Mondadori e ci invitava a bere e chiaccherare dei massimi sistemi nel suo splendido attico pieno di piante e di gatti in piazza Velasca, la prof d’inglese era la tipica quarantenne sinistrata e non riusciva a stabilire la trasmissione della lingua come latte materno, ma era una brava donna, così come era un brav’uomo il prof d’informatica anche se mi rimandò a settembre solo per avergli dato del travestito, e il bravissimo prof di italiano mi incoraggiò nella prima produzione narrativa, “Agente segreto 000 Paul Pepper”, subito seguita da "Hashish e menta“. Fu in quel periodo che capii che sarei diventato un grande scrittore, anche se avrei ripreso a produrre solo tre lustri più tardi, dopo il processo di maturazione che potete constatare leggendomi e grazie all’esperienza accumulata all’estero, con “Mi dispiace per il fiume”, “Spamming e vecchie puttane” a quattro mani con Orietta Callegari, i numerosi episodi della saga granzottiana e naturalmente “NyLon!”. Questo tanto per ribadire che come Autore sono veramente maiuscolo, e adesso andiamo avanti con l’Autobiografia.

Prima di morire, per il mio sedicesimo compleanno la nonna mi aveva regalato la prima tessera del Partito radicale. E’ l’inverno del 1981-82, all’apice della campagna sulla fame nel mondo, con i digiunatori nella tenda al tavolo in piazza del duomo col supporto di Mani Tese. Io sono specializzato nel megafono umano, già allora con multilingue successo, ma non partecipo alle riunioni del partito, nel tempo libero sono troppo impegnato a divertirmi. Frequento molto anche i futuri registi ed esponenti comunisti fratelli Tiziana e Massimo - col quale siamo appassionati di motociclismo e tifosi dell’Olympia pallacanestro, all’epoca Billy Milano sponsorizzata dall’omonima bibita (ma esiste ancora?) - e la loro amica radicale Ornella, che per qualche ragione un giorno al tavolo mi slinguazza ex abrupto per qualche minuto. Alcuni personaggi radicali mi trasmettevano istintiva simpatia, tipo Emiliano Silvestri e l’indimenticabile Faustino, altri inquietudine. In particolare, Adriano Ciccioni. Colmo della sfiga, in una città grande come Milano, Ciccioni risultò essere amicone di mio “suocero” dr Brambilla, dirigente d’azienda repubblicano, col quale c’erano già rapporti di competizione perché nato anche lui come me il 16 dicembre. Avete presente il suocero quarantenne salutista sportivo che vi vuole coinvolgere in alpinismo, sommozzatore e DIY quando voi sareste felicissimi semplicemente con sua figlia e la moto? Quegli anni passarono velocemente spensierati, a scuola purtroppo nonostante tutti i miei sforzi non mi bocciavano mai e, licenziato anche nell’esame di maturità senza avere ripassato quasi niente, dovetti fare ritorno nella beneamata sinistra Piave dai miei genitori. Il dramma è che nel frattempo i miei genitori si erano trasferiti di un paio di km da Mareno di Piave a Santa Lucia di Piave, due comuni attigui della sinistra Piave coneglianese, ambedue sul fiume Piave, e il dramma per i lettori consiste nel fatto che trovarono casa in via Aldo Moro.


L'ex presidente della Democrazia Cristiana, assassinato dalle Brigate Rosse nel 1978, nasce il 23 settembre 1916 a Maglie, in provincia di Lecce. Dopo aver conseguito la maturità classica al Liceo "Archita" di Taranto si iscrive a Giurisprudenza presso l'Università di Bari, conseguendo la laurea con una tesi su "La capacità giuridica penale". La tesi, ripresa ed approfondita, costituirà la sua prima pubblicazione scientifica e lo avvierà alla carriera universitaria. Dopo qualche anno di carriera accademica, fonda con alcuni amici intellettuali nel 1943, a Bari, il periodico "La Rassegna" che uscirà fino al 1945, anno nel quale sposa Eleonora Chiavarelli, con la quale avrà quattro figli. In quello stesso periodo, diventa Presidente del Movimento Laureati dell'Azione Cattolica, ed è direttore della rivista "Studium" di cui sarà assiduo collaboratore, impegnandosi a sensibilizzare i giovani laureati all'impegno politico. Nel 1946 viene eletto all'Assemblea Costituente ed entra a far parte della Commissione dei "75" incaricata di redigere il testo costituzionale. Inoltre, è relatore per la parte riguardante "i diritti dell'uomo e del cittadino". E' anche vicepresidente del gruppo Dc all'Assemblea. Nelle elezioni del 18 aprile 1948 viene eletto deputato al Parlamento nella circoscrizione Bari-Foggia e viene nominato sottosegretario agli Esteri nel quinto Gabinetto De Gasperi mentre non si arresta la sua inesauribile attività di insegnante e di didatta, con molteplici pubblicazioni a suo nome. Diventato Professore ordinario di Diritto Penale all'Università di Bari, nel 1953: viene rieletto al Parlamento diventando Presidente del gruppo parlamentare Dc alla Camera dei Deputati. Anche la sua carriera politica, a quanto sembra non conosce segni di cedimento di nessun tipo. Uomo solido e determinato, diventa nel 1955 ministro di Grazia e Giustizia nel primo governo Segni. Nel 1956, nel corso del VI Congresso nazionale della Dc che si svolse a Trento, consolidò la sua posizione all'interno del Partito. Fu infatti tra i primi eletti nel Consiglio nazionale del Partito. l'anno dopo, diventa ministro della Pubblica Istruzione nel governo Zoli. Si deve a lui l'introduzione dell'educazione civica nelle scuole. Rieletto alla Camera dei Deputati nel 1958, è ancora ministro della Pubblica Istruzione nel secondo Governo Fanfani. Il 1959 è un anno importantissimo per Aldo Moro. Si svolge infatti quel VII Congresso della Democrazia Cristiana che lo vedrà trionfatore, tanto che gli viene viene affidata la Segreteria del Partito, incarico riconfermatogli nel tempo e che manterrà fino al gennaio del 1964. Ma un altro anno assai importante, anche alla luce della tragica vicenda che colpirà il politico doroteo, è il 1963 quando, rieletto alla Camera, è chiamato a costituire il primo governo organico di centro-sinistra, rimanendo continuamente in carica come Presidente del Consiglio fino al giugno del 1968, alla guida di tre successivi ministeri di coalizione con il Partito socialista. E' in pratica la realizzazione "in nuce", del famoso "compromesso storico" di invenzione dello stesso Aldo Moro (uso ad usare espressioni come "convergenze parallele"), ossia quella manovra politica che contemplava il riavvicinamento delle frange comuniste e di sinistra verso l'area moderata e centrista. Il tumulto e il dissenso che tali situazioni "di compromesso" suscitano soprattutto all'interno degli elettori del PCI, ma soprattutto all'interno dei moderati, si concretizzano nelle elezioni del 1968 quando Moro viene sì rieletto alla Camera, ma le elezioni puniscono di fatto, dati alla mano, i partiti della coalizione e determinano la crisi del centro-sinistra. Detto questo, è inevitabile che ne risenta anche il peso prestigio dello stesso Aldo Moro. Ad ogni modo, rimangono sempre i ministeri e infatti dal 1970 al 1974, assume, anche se con qualche intervallo, l'incarico di ministro degli Esteri. A conclusione di questo periodo, ritorna alla presidenza del Consiglio formando il suo IV ministero che dura sino al gennaio 1976. Nel luglio del 1976 viene eletto Presidente del Consiglio nazionale della Dc. Il 16 marzo 1978, il tragico epilogo della vita dello sfortunato politico. Un commando di Brigate Rosse irrompe nella romana via Fani, dove in quel momento transitava Moro allo scopo di recarsi in Parlamento per partecipare al dibattito sulla fiducia del quarto governo Andreotti, il primo governo con il sostegno del Pci, massacra i cinque uomini di scorta e rapisce lo statista. Poco dopo, le Brigate rosse rivendicano l'azione con una telefonata all'Ansa. Tutto il Paese percepisce chiaramente che quell'attentato è un attacco al cuore dello Stato e alle istituzioni democratiche che Moro rappresentava. 18 marzo. Una telefonata al ''Messaggero'' fa trovare il ''Comunicato n.1'' delle Br, che contiene la foto di Aldo Moro e annuncia l'inizio del suo ''processo'' mentre, solo il giorno dopo, Papa Paolo VI lancia il suo primo appello per Moro. I servizi segreti di tutto il mondo, anche se le segnalazioni furono tante e precise, non riuscirono a trovare la prigione dei terroristi, ribattezzata "prigione del popolo", e da cui Moro invocava incessantemente, tramite numerose lettere, una trattativa. Il 9 maggio, dopo più di cinquanta giorni di prigionia ed estenuanti trattative con gli esponenti dello Stato di allora, anche lo statista viene barbaramente assassinato dalle BR, ormai convinte che quella sia l'unica strada coerente da intraprendere. La sua prigionia aveva provocato ampi dibattiti fra coloro che erano disposti a cedere alle richieste dei brigatisti e chi invece era nettamente contrario per non legittimarli, dibattito che lacerò letteralmente il paese sul piano sia politico che morale. A tale rovente clima dialettico pose fine la drammatica telefonata degli aguzzini di Moro, i quali resero noto che il corpo di Moro poteva essere rinvenuto cadavere nel bagagliaio di un'auto in via Caetani, emblematicamente a metà strada tra Piazza del Gesù, sede della Democrazia Cristiana, e via delle Botteghe Oscure, sede del Partito Comunista Italiano. Secondo le ricostruzioni, ancora frammentarie malgrado i molti anni trascorsi, lo statista sarebbe stato ucciso dal brigatista Moretti nel garage di via Montalcini, il covo usato dai brigatisti appunto come ''prigione del popolo''. La moglie Eleonora e la figlia Maria Fida, basandosi sull'acquisizione di nuovi elementi, hanno recentemente deciso di rompere il lungo muro del silenzio che da anni ha avvolto la vicenda, chiedendo la riapertura delle indagini sul caso Moro. I servizi italiani hanno centrato un importante bersaglio il 14 gennaio 2004 con l'arresto dei brigatisti Rita Algranati e Maurizio Falessi, latitanti nel Nord Africa. La prima fu già condannata all'ergastolo per il delitto Moro. Oggi Alessio Casimirri, 47 anni, marito della Algranati, rimane l'unico imprendibile latitante del gruppo delle Br che partecipò all'agguato di Via Fani.


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