NYLON!, libro terzo
AUTOBIOGRAFIA DI ROBERTO GRANZOTTO: 1976-81
Giunti a Mareno di Piave, provincia di Treviso, per prima cosa fui violentato da un gruppetto di quattro o cinque compagne di quinta elementare dietro gli spalti del campo di calcio comunale ove disputa i suoi campionati La Marenese, squadra vivaio del Torino, ma per il resto negli anni a venire la vita in campagna mi andava un po’ stretta, mi sentivo un pesce fuor d’acqua, mi sentivo diverso. In famiglia si era sempre parlato italiano mentre tutti gli altri bambini crescevano con madrelingua il dialetto, per cui a scuola ero avanti anni in italiano e di riflesso in altre materie. In prima media, prima esperienza di spogliatoi di educazione fisica, e la scoperta che sono diverso anche in quel pezzettino: sono circonciso. Decido subito che è molto più bello così, il che è oggettivamente inconfutabile. Questa sensazione di diversità si riflette sulla formazione delle scelte politiche nella mia pubertà. Non ho ancora undici anni quando vedo per la prima volta Pannella in tv, a dodici ne sono già innamorato, anche se mi ritenevo comunista. A tredici anni leggevo Lotta Continua, che si avvicinava sempre di più al Pr. Con gli amichetti coetanei Paolo e Sandro scorazziamo in sella ai motorini del quattordicesimo compleanno. Il mio è diverso. Tutti hanno il ciao o la vespa, io un Italjet quattro marce, velocità massima novanta km all’ora e non è truccato, a parte una marmitta da competizione ma omologata. In gruppo ci si spinge fino al mare, a 50 km. Ma soprattutto ricordo le estati con le feste dei santi patroni Pietro e Paolo il 29 giugno, col luna park presso la chiesa di don Rino Bruseghin, e nel campo di calcio comunale de La Marenese le feste dell’Unità e dell’Avanti, che aiutavamo a organizzare. Per una ricerca scolastica fotografo tutti i rifiuti, anche tossici, scaricati lungo il fiume Monticano e accuso il sindaco. E’ uno scandalo che fa tremare la società di 5000 devote anime marenesi. Genitori convocati dalla direzione scolastica. Provvedimenti punitivi: sospensione dell’abbonamento a Topolino (“il ragazzo è troppo fantasioso”) Fantasioso? Ma se li ho fotografati!, schiuma il precoce ribelle: rivoglio Topolino! A questo punto però il lettore si chiederà certamente il nome della via dove abitavo coi genitori a Mareno di Piave, magari un bel personaggio storico come Barnaba Oriani, Michelangelo Grigoletti o Damiano Chiesa. Invece si chiamava via Emilia e qualche anno dopo fu cambiato il nome in via Toscana. Questo perché con lo sviluppo edilizio dalla via Emilia partì una nuova strada che divenne via Emilia per cui bisognò ribattezzare il pezzettino restante di ex Emilia (come vedremo più avanti, non sarebbe stata la prima volta nella mia vita che che il nome veniva cambiato alla via in cui abitavo).
L’Emilia e la Toscana sono due grandi regioni italiane con molte cose in comune: le dimensioni, i caratteri fortemente distintivi ed evoluti delle culture autoctone, gli storici motivi di orgoglio dei rispettivi capoluoghi amici e rivali sulle due sponde dell’appennino, l’importanza strategica a giuntura delle due italie. Tornando nel Veneto, a parte qualche reperto rinvenuto in zona appartenente all’epoca romana, è comunque a partire dal Medioevo che si hanno informazioni più dettagliate circa Mareno di Piave e il suo territorio. Nell’anno 1009 venne eretto l’Hospitale accanto alla Chiesa di S. Maria di Piave, in località Talpone. La struttura, sorgendo sulla via Ungheresca, era meta di riposo per i pelligrini diretti verso luoghi santi. Una bolla papale del 1187 riporta alle dipendenze del suddetto anche la Chiesa di S. Pietro (e Paolo) di Mareno. Era questo il periodo delle prime bonifiche della zona operate dai monaci benedettini, che continuarono i lavori anche dopo la piena del Piave del 1368. Negli stessi anni i benedettini dell’Hospitale ricevettero da Alessandro III le contermini cappelle di S. Dalmazio della Cittadella e di S. Michele di Ramera (de Ramaria). Nel 1306 eressero la chiesa di Soffratta. Nel 1490 l’oratorio di S. Maria di Betlehem in Borgo Cittadella passò alle Monache Agostiniane di S. Maria degli Angeli di Murano. Duecento anni dopo, circa, queste vi costruirono nelle vicinanze un edificio monacale che occuparono fino al 1810. In età medioevale Mareno di Piave seguì le sorti politiche di Conegliano durante la sanguinosa guerra che afflisse la Marca Trevigiana nel corso dei secoli XII, XIII e XIV. Nel 1388 l’intero territorio venne assoggettato alla Serenissima, rimanendovi fedele fino al 1797, anno della supremazia napoleonica sulla Repubblica di S. Marco. Il 23 Ottobre 1866 il Veneto venne annesso al Regno d’Italia con plebiscito. L’attuale toponimo di Mareno di Piave venne istituito con Regio Decreto il 10 novembre 1887 e nell’estate del 1975 vi sbarcai io. Passano gli anni e a Conegliano incontro e comincio a frequentare il bergamasco Bruno e il piemontese Gianluca, quest’ultimo mio compagno di classe, formando il trio dei foresti dell’ovest, ma presto a quindici anni mi trasferisco a Milano in alloggio presso la nonna paterna per frequentarvi le superiori.
A Milano andai ad abitare in via Metastasio, nome grecizzato di Pietro Trapassi, il poeta italiano (Roma 1698 - Vienna 1782) figlio di un modesto negoziante, Felice Trapassi, e di Francesca Galastri, che ancor fanciullo suscitò per la vivacità dell’ingegno e la facile vena estemporanea l’interesse del Gravina, che lo adottò, lasciandolo alla morte erede della sua biblioteca e del suo patrimonio (1718). Fu educato dal maestro a una severa disciplina di studi umanistici, e dal filosofo e pedagogista cartesiano Gregorio Caloprese al gusto della sottile indagine psicologica. Nel 1714 prese gli ordini minori, nel 1718 entrò in Arcadia col nome di Artino Corasio e nel 1719 si trasferì da Roma a Napoli per dedicarsi all’attività forense, che presto abbandonò. Aveva già pubblicato i primi componimenti, di ispirazione graviniana e a Napoli compose epitalami e azioni teatrali a sfondo idillico-mitologico (Endimione, 1720; Gli Orti Esperidi, 1721; Angelica, 1721; Galatea, 1722), in cui si colgono echi della fluente musicalità tassesca e marinista. Protetto dalla cantante Marianna Benti Bulgarelli, detta la Romanina, che lo presentò a compositori come A. Scarlatti e Porpora (dal quale fu istruito nella musica), scrisse per lei Didone abbandonata (1724), primo esempio di melodramma in cui il testo acquista dignità poetica e autonomia creativa nei confronti della musica, mentre la situazione drammatica, fondata sul contrasto tra dovere e passione, si stempera in un tono amabile di commedia, culminante nella melodiosa sentenziosità delle ariette. Fu un grande successo. Seguirono, più organici nella struttura, ma gravati da un’insistenza su toni eroici e solenni cui l’autore era condotto dall’emulazione col teatro francese, i melodrammi Siroe (1726), Catone in Utica (1728), Ezio (1728), Semiramide riconosciuta (1729), Alessandro nelle Indie (1729), Artaserse (1730). Nell’agosto 1729, per interessamento di Marianna Pignatelli, contessa d’Althann, cui Metastasio fu legato da tenera amicizia, venne chiamato come poeta cesareo alla corte di Vienna, in sostituzione di Apostolo Zeno. Ligio al governo paternalistico di Carlo VI, in cui vedeva incarnate le proprie aspirazioni all’ordine e a una moderata libertà, visse un periodo di intenso fervore creativo. Dal 1730 al 1740 compose le sue opere migliori, animate da una tenue, ma autentica vena di poesia: quel patetismo tenero e commosso che ignora i conflitti aspri delle passioni, ma finemente ne sottolinea gli aspetti più trepidi e delicati (Demetrio, 1731; Adriano in Siria, 1732; L’asilo d’amore, 1732; Olimpiade, Demofoonte, 1733; La clemenza di Tito, 1734; Achille in Sciro, 1736; Attilio Regolo, composto nel 1740 e rappresentato nel 1750). Il periodo che seguì fu di declino: stanchezza, sfiducia nelle proprie facoltà poetiche, rifiuto degli sviluppi più audaci dell’Illuminismo (non accettò di collaborare all’Enciclopedia), isolamento diffidente e malinconico. Unico conforto, l’affetto filiale della sua terza Marianna, la Martinez, figlia del cerimoniere della nunziatura pontificia, presso il quale Metastasio alloggiò durante tutto il periodo della sua residenza viennese. In quegli anni, oltre a non pochi mediocri melodrammi (Il re pastore, 1751; L’eroe cinese, 1752; Ruggiero, ovvero l’eroica gratitudine, 1771) scrisse cantate, feste teatrali e le canzonette La palinodia (1746) e La partenza (1746), assai ammirate, insieme con la Libertà, di precedente stesura (1733), per il nitido disegno psicologico e la grazia cantabile del verso. Compose inoltre alcune opere teoriche (La poetica d’Orazio tradotta e commentata, 1749, poi ripresa dal 1768 al 1773; Estratto dell’arte poetica d’Aristotile e considerazione sulla medesima, 1773, pubblicata nel 1780-1782; Osservazioni sul teatro greco), intese a giustificare, secondo i canoni della poetica arcadico-razionalistica, la novità del suo melodramma, riscattato dalle stravaganze del gusto barocco e ricondotto, in ossequio alle proposte programmatiche già formulate dal Gravina e dallo Zeno, al modello dell’antica tragedia greca musicata e cantata (le ariette sarebbero il corrispondente dei cori), ma senza eccesso di crudezze e con limitato rispetto delle "unità". In effetti, egli mirò a fare del melodramma una rappresentazione che unisse alla nobiltà e alla moralità del soggetto l’attrattiva di uno spettacolo fastoso e leggiadro. Con la sua copiosa produzione (ventisette melodrammi, otto azioni sacre, circa quaranta tra azioni e feste teatrali, oltre agli innumerevoli madrigali, idilli, canzonette, poesie sacre), Metastasio riuscì amabile interprete del mondo settecentesco nelle sue esigenze di decoro, nella sua nostalgia del grandioso, nella sua sensibilità idillica e sospirosa, cui prestò un linguaggio lucido e scarno, aperto alle sottolineature del canto. La diagnosi sottile dei sentimenti, l’indugio sulle perplessità dello spirito, un’emotività talora intensa ma sempre nitidamente espressa e determinata furono le qualità della sua poesia, in cui confluì tutta l’esperienza melodica e psicologica dell’Arcadia. Essa apparve molle negli affetti e povera d’ideali agli uomini di un’età nuova, ricchi di più vigoroso sentire, ma conservò inalterato il suo valore di alta letteratura, e l’esempio di un discorso poetico semplice e perspicuo, destinato a lasciare una sua traccia anche nella formazione di artisti assai più intensamente ispirati.
Dall’arrivo in via Metastasio sarebbero trascorsi vent’anni prima che conoscessi sul forum radicale e poi di persona l'uomo col quale sarei andato a convivere e che nel frattempo era venuto a darmi il cambio a Mareno di Piave, colà nascendovi durante la mia permanenza: Roberto Polesel, tanto che c’è tra gli studiosi chi sostiene la tesi per cui Polesel sarebbe perciò il nipote segreto di nonno Giovanni Cominelli.
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