Polpetton, capitolo III
Era solo nella nebbia, Mauro S., e ripensava alle copie del suo libro da vendere, e quando si mise tra le labbra una sigaretta, la debole luce del suo accendino illuminò un gigantesco cartellone pubblicitario che attirò la sua attenzione. Incorniciato dai riccioli ribelli il faccione rubizzo di Roberto Granzotto campeggiava su 64 metri cubi di quel cartellone pubblicitario a rilievo. La mente affaticata dalle emozioni di Mauro si abbandono' a rievocare l'epoca in cui l'irresistibile ascesa del pasionario veneto era cominciata....
Per certi versi Roberto Granzotto lasciò Ginevra con le pive nel sacco. Correva il 7 aprile 2002 e tre giorni prima vi era arrivato per partecipare al XXXVIII congresso con la speranza di uscirne segretario del partito, forte dei sondaggi che negli ultimi mesi lo davano in costante ascesa. Ma non avrebbe mai potuto ottenere la maggioranza assoluta al primo ballottaggio senza l'appoggio del satrapo mesopotamico, il cui cinquanta per cento di voti gli era necessario per essere legittimato da una maggioranza forte.
Dovette accettare di malavoglia il compromesso impostogli dal grande vecchio: accontentarsi della direzione dei soli radicali italiani, un tempo sì glorioso tronco dal quale aveva avuto origine il partito transnazionale, ma oggi ormai rinsecchito nelle iniziative e striminzito nel numero di iscritti dall'incuria dei dirigenti più recenti.
"Ma che ne sarà di Capezzone?" indago' Granzotto fingendo di intenerirsi al pensiero del destino del più fallimentare segretario nella storia radicale, sperando di muovere a compassione il leader cosicché questi sfrattasse invece il belga dalla sedia transnazionale ch'egli bramava veramente. "Niente paura," lo aveva rassicurato il satrapo: "Daniele non si accorgerà di nulla se lo lasciamo continuare a fare quel che ha sempre fatto come segretario".
Ancora oggi infatti, quindici anni dopo, il radicale attento riconosce Capezzone distribuire volantini col menù davanti al McPizza in Piazza di Spagna. Lo pagano in nero sotto il salario minimo, ma è quel che gli basta per mantenersi nutrendosi di hamburger modificati geneticamente e conseguire una laurea con la CEPU ("Se soltanto avessi dato ascolto a Suttora, che me lo ripeteva sempre di prima laurearmi...")
Era un modo di metterlo alla prova su di una barchetta prima di metterlo al timone del partito vero - arzigogolava Granzotto cercando di abituarsi alla gavetta -, quello che aveva per interlocutori capi di stato e parlamenti di tutto il mondo, e tale prova nella provincia italiana egli doveva entrare nell'ordine di idee di disporsi ad affrontare come un bagno di umiltà nella missione di restituire fiducia ai militonti cosicché tornassero nell'ovile dove li attendevano ancora come figlioli prodighi i trentanove presidenti e due iscritti radicali rimasti in Italia. Una sfida quasi impossibile.
Atterrò a Ciampino con un piano di azione già ben delineato nella sua mente vulcanica e trovò ad attenderlo in Torre Argentina la direzione straordinaria che aveva nominato poche ore prima nello stupore della platea congressuale che lo aveva appena eletto. Tutte donne, tanto per cominciare segnalando un taglio netto col recente passato. Più che una segreteria, malignavano i maschietti silurati, un gineceo: Olivia Gatti, Silvja Vitelli, Rita Sanbernardi, Elisabetta Zamparrosto, Orietta Calamari...
Granzotto era un uomo di mondo a suo agio tra le donne (eufemismo per playboy in italiano, womaniser in inglese), e giunto nella saletta riunioni sfoderò senza indugi il suo piano rivoluzionario, contemplante al primo punto il cambiamento delle elle: quello radicale italiano sarebbe ora divenuto conosciuto come il movimento Laico, Liberale e Libertario. I liberisti si sarebbero incacchiati, se soltanto ve ne fossero rimasti, ma il nuovo tesoriere Polezel li aveva già licenziati tutti con un messaggio SMS, tra l'altro così risanando le casse del movimento in men che non si dica.
Naturalmente i liberisti avevano protestato, fondando all'uopo un sindacato, ma c'era ben poco da fare col muscoloso e irremovibile Polezel, campione di boxe formatosi allo studio Sbardolini, lo Zorro bresciano dal quale aveva appreso l'arte di micidiali link.
Agli osservatori più acuti di cose radicali, inizialmente la coabitazione forzata tra Granzotto e Polezel sembrava destinata ad essere burrascosa per rivalità campanilistiche: non soltanto erano nati nei comuni confinanti di Santa Lucia di Piave e di Mareno di Piave, ma erano cresciuti nella contesa frazione divisa a metà di Bocca di Strada (la localita' prendeva il nome da una prostituta che alleviò le pene dei soldati nella grande guerra), appartenti rispettivamente ai clan acerrimi rivali del Bar da Bano e della Pizzeria al Sole.
Col tempo però il sodalizio tra i roberti si andò gradualmente cementando fino a farne la coppia inseparabile che Suttora avrebbe poi impietosamente anatomizzato nel libro "Granzotto e Polezel SRL".
Cambiato un aggettivo e risanate le finanze con l'eliminazione dei liberisti parastatali, non restava che escogitare una grande campagna che avrebbe trainato il movimento verso luminosi traguardi, e Granzotto non esitò un istante nell'indicare la via: i nuovi radicali avrebbero lanciato 25 PdL! Non si perse molto tempo a consultare i militanti su quali PdL scegliere, ma vennero invece subito avviati ad un training professionale per svolgere un'azione efficace.
Superata la resistenza alla singolare novità, i militanti radicali invasero pacificamente le strade di tutta Italia per suonare i campanelli e presentare le 25 Proposte di Lavoretti popolari elaborate da Granzotto, che era un uomo pratico col bernoccolo del fai da te:
Lavare la macchina; Sturare il lavandino; Preparare il risotto; Passare l'aspirapolvere; Lucidare l'argenteria; Vulcanizzare la gomma della bicicletta; Stendere il bucato; Riparare l'orologio a cucù; Stirare le camicie; Rinnovare il filtro della lavatrice; Rasare l'erba; Cambiare il pannolino; Raddrizzare l'antenna; Programmare il videoregistratore; Rammendare i calzini; Fare la coda in posta; Scendere a prendere le sigarette; Passeggiare il cane; Portare a scuola i bambini; Aggiustare il telecomando; Sostituire le batterie ai vibratori; Pedinare il marito cornuto; Settare il modem; Sintonizzare radio radicale; Manicure e pedicure.
Fu un successo enorme. Un gioiosa armata di militanti entusiasti raccoglieva migliaia di iscrizioni e milioni di euro in contributi (sui quali avevano una percentuale come incentivo). Da Corso Venezia ai Parioli, da Quarto Oggiaro a Tor Pignattara la gente non faceva che parlare delle 25 Proposte di Lavoretti e di come i nuovi radicali granzottiani fossero divenuti indispensabili al funzionamento del Paese.
I sondaggi prospettavano successi elettorali inauditi e per Granzotto e Polesel fu un gioco formalizzare la loro leadership nel congresso italiano di luglio. In soli cento giorni avevano ricostruito il movimento e con l'esperienza acquisita sul campo si apprestavano ora a rivoltare l'Italia come un calzino con la Rivoluzione liberale.
Ma quella sarebbe stata un'altra storia, si riebbe intontito Suttora da quei frastornanti ricordi, e nel riprendere la sua indagine si avviò col suo incedere vissuto verso il Porno Eden, come la sua vecchia amica sessuologa Rhoda Pellizzi gli aveva insegnato ad anagrammare Pordenone...
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