Mauro Suttora era madido di sudore, dovette interrompere la lettura del diario di Granzotto e per distrarsi frugò disordinatamente nelle tasche per ripescare l'altra lettera, quella che ora, sfuocata, si stava scolorendo a macchia di leopardo: inforcati gli occhiali per osservarla più da vicino, scoprì attonito che erano scomparse tutte le doppie... doveva scoprire il significato di quello che stava accadendo: l’occulto, diabolico significato del “doppio”, per questo aveva comprato nella piccola libreria del paese un libro che, forse, poteva aiutarlo.
Quella sera, mentre leggeva quel libro, ebbe la malaugurata idea di ordinare in camera una profumatissima tisana per la notte, e la cameriera che gliela portò lo guardò con uno sguardo così eloquente che Mauro non ci pensò su due volte, caricato anche dalla lettura dei diari del grande amatore Granzotto, la prese con forza e con rabbia, con il sottile e perverso piacere di fottere un’altra, e quella sembrava che se ne fosse accorta e che la cosa non le spiacesse affatto.
La mattina, quando un raggio obliquo di sole entrò nella stanza, Mauro si svegliò e vide quello che non avrebbe mai voluto vedere.
Quella si stava rivestendo con calma e con un sorriso appagato sulla rugosissima faccia… “cazzo! Può essere mia madre!” pensò Mauro guardandola incredulo, e il suo sguardo si soffermò sul tremolante e abbondantissimo culo, rigoglioso di cellulite … “non può essere la stessa di ieri sera!” si disse fra sé mentre indugiava lo sguardo sulle gambe e sul quel flaccido e cadente interno coscia che aveva anche baciato, se non ricordava male … “non è possibile!” gridò senza emettere suono esterrefatto, mentre la guardava infilarsi le mammelle raggrinzite e vuote in un reggiseno push up siliconato; e per coprirsi gli occhi da quell’incredibile spettacolo cercò sul comodino il libro, ma la sua mano si scontrò con qualcosa di umidiccio, solido e freddo, che scoprì essere una protesi dentaria.
“Dio mio, non sarò mica diventato gerontofilo!” urlò mentalmente Mauro infilando la testa sotto le lenzuola.
Quella aveva finito di rivestirsi e per salutarlo gli scoprì la faccia e lo guardò, felice e riconoscente, negli occhi.
Fu allora che Mauro si trovò in bilico sul ciglio dell’occhio di lei, a guardare dentro la sua pupilla, giù, giù in fondo, e vide. Vide quello che tutte le donne hanno, da Eva a Maria, da Emma a ogni militante, quella loro potentissima e nascosta santabarbara piena di libertà, seppellita sotto una montagna di educazione, annegata in un mare di convenzioni, occultata sotto il maledetto burka invisibile che la nostra società ci impone: i nuovi idoli … una solida ricchezza, sesso e bellezza.
Avrebbe dovuto dirlo a Granzotto, al tombeur de femmes, al playboy, womaniser, di stare attento, perché le donne possedevano, per dono di Dio o per trasmissione naturale, la potenza di saltare con un balzo, con grazia e agilità, qualsiasi fiume, e la capacità di invadere l’isola felice, solo se lo avessero voluto. Era dunque meglio continuare ad ingannarle, con la complicità dei media, con gioielli e denari, o calci e pugni, e convincerle tutte, che il millenario burka invisibile che indossavano non esisteva, fantasia di femministe, e che la loro parte nella vita era quella di piacere agli uomini, tutte tette e ciapet o tutte casa e chiesa, affinché non scoprissero mai ciò che Mauro aveva visto nel fondo dei loro occhi: quel dono occulto, remoto e clandestino che si trasmettevano di madre in figlia nel loro DNA.
Ma molte donne, forse toccate da un presentimento, avevano cominciato a comprarsi una tessera del partito radicale, come se una improvvisa lungimirante saggezza glielo avesse suggerito. Un piccolo investimento per il futuro. Compravano tessere a piene mani, le imprenditrici e le commesse, le bigotte e le veline, le lesbiche, le casalinghe, le disoccupate, le comuniste e le fasciste, tutte compravano quelle tessere come fossero biglietti per un traghetto, per le loro madri, le loro figlie e per le amiche, e le nascondevano sotto il loro millenario maledetto burka invisibile, perché non andasse perduto per sempre il patrimonio dell’isola felice.
Mentre quella si chiudeva la porta alle spalle, Mauro ebbe un gesto di stizza e le lanciò dietro il libro che aveva sul comodino, “I racconti” di E.A. Poe, e le parole, sempre le parole che da un po’ di tempo lo stavano perseguitando, rimbalzarono sul muro e come farfalline silenziose presero a volare per la stanza, e una frase, l’ultima di W. Wilson, si ricompattò davanti ai suoi occhi, e Mauro poté leggerla chiaramente:
“Tu hai vinto e io cedo. Ma tu pure, da questo momento sei morto. In me tu esistevi, e ora, nella mia morte, in questa mia immagine che è la tua, guarda come hai definitivamente assassinato te stesso!”.
Mauro era esausto, si abbandonò sul letto e si coprì il volto col cuscino: “Basta, basta” disse in un delirio di profezia, infatti ancora non lo sapeva, ma gli ci sarebbero voluti due anni e quattro mesi di analisi e 16.000 euro di spesa, per riprovare l’orgoglio e la soddisfazione di una novella erezione.
Mauro guardava attonito il girotondo danzante delle parole e cercava disperatamente il senso del “doppio” quando il suo computer, con quel particolare segnale, lo avvisò che aveva ricevuto posta; “Andrai a Ginevra?” diceva il messaggio …
3 commenti:
Missssssssssssssssssssss :
c'è un Publish Post di troppo, capperi! mi rovina il capolavoro!!!!
"Mauro guardava attonito il girotondo danzante
Publish Post
delle parole e cercava disperatamente il senso del “doppio” quando il suo computer, con quel particolare segnale, lo avvisò che aveva ricevuto posta; “Andrai a Ginevra?” diceva il messaggio …"
ecco fatto, stavolta era colpa di Blogger
Strano che per cosí poco, il computer mi avverta che é pericoloso visitare questo sito...:-)
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