Mi dispiace per il fiume / Sorry about the river - 6

Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale

Quando Marco Cappato lo lasciò per suo cugino Vittorio, la prima droga cui si diede Michel Boselli fu il sesso, pensando che chiodo scaccia chiodo, che si sarebbe vendicato tradendolo a sua volta. Non ne trasse alcuna soddisfazione per quanto lo facesse nel modo più sfrenato con le decine di ragazze bulgare che in tre mesi transitarono dal suo letto. Quando nel 1999 si trasferì in Scozia, si era esaurita quella coattività sessuale che non era servita a fargli dimenticare Marco. Stabilitosi nelle Highlands, provò per un periodo a rifugiarsi nella sua droga preferita da ragazzo, ricominciando a cuocersi i polmoni di erba combusta. Sorpreso si accorse che invece di aiutarlo gli faceva l'effetto contrario. Il cervello gli proiettava a folle velocità il film di lui e delle situazioni, le emozioni che avevano vissuto insieme, e veniva preso dalla tachicardia non potendo che pensare ossessivamente a lui, impazzendo quando lo vedera nella sua immaginazione amplificata fare sesso con un altro uomo.

Smise dunque a malincuore con la cannabis che da adolescente aveva tanto amato e masochisticamente trovò effimero sollievo alla sua pena che lo intontivano e calmavano. Ma oltre a rovinargli la salute, quelle pastiglie di Tavor, Rohypnol e Lexotan che inghiottiva a sorsi di whisky ovviamente non potevano risolvere alla radice la sua angoscia, e quando l'effetto delle droghe svaniva si sentiva invadere nuovamente dalla depressione. Un giorno guardò a lungo allo specchio i suoi occhi gonfi, acquei e spenti, i capelli sporchi e la barba trascurata, i denti ingialliti e la lingua coperta da una patina nauseabonda. Erano trascorsi quasi cinque anni su quelle dolci colline, passeggiando nella quiete delle quali ritrovava ogni tanto un po' di serenità che tramontava al calare delle tenebre. Ma quattro di quegli anni furono segnati da una psicoterapia che lo modificò profondamente. Il male di vivere non era passato, non sarebbe mai passato, ma aveva imparato a dirigere verso l'esterno anziché contro se stesso la violenza derivante dal suo inestinguibile nucleo di sofferenza.

Rhoda Pellizzy, la psicoterapeuta dislessica che lo aveva rivoltato come un calzino, considerava come un grande successo averlo disintossicato, ma non avrebbe certo potuto immaginare di avere creato un mostro. Alla soglia dei 38 anni Boselli si diede all'omicidio dapprima a scopo terapeutico e poi, visto che i soldi non fanno schifo, elevò il discutibile hobby al professionismo, pianificando la sua nuova carriera di contract killer, in modo che in una decina d'anni sarebbe divenuto abbastanza ricco per fare la bella vita in una barca in giro per il mondo, concedendosi l'occasionale assassinio di prete ortodosso giusto per sfogare i nervi piuttosto di ricadere nelle droghe. Tuttavia Kozloduy aveva compromesso il suo delicato equilibrio. Sentiva dentro di se una vocina, ciò che rimaneva della sua coscienza, che gli diceva come questa volta avesse esagerato. Era un senso di colpa come una mosca fastidiosa che voleva scacciare ma non riusciva a schiacciare. Tanto godeva per la sofferenza della feccia balcanica che in passato tanta peste emozionale gli aveva contagiato, quanto era d'altra parte perfino egli disturbato dall'idea di avere violentato la natura e che a soffrire sarebbero state anche tante altre forme di vita innocenti.

Scacciava la mosca e si faceva forza pensando che ormai era vicino al traguardo che si era posto, come il viandante stremato che verso l'arrivo accelera il passo, e che a separarlo dalle placide onde cullare la sua magnifica barca non rimaneva che un tale dannato Dupuis. Tuttavia intimamente presagiva che nulla sarebbe stato come prima, come aveva sognato: si sarebbe portato con sé il senso di colpa e avrebbe dovuto ricominciare a cercare un nuovo equilibrio. Stava invecchiando, era proprio ora di andare in pensione. E anche di mangiare qualcosa. Addentò un magnifico sandwich, seduto da Tottis in piazza Aristotelis, aspettando l'arrivo alle 11 del Corriere della sera dall'abituale edicolante all'angolo. Ordinò una birra pagandola in anticipo per assicurarsi che il cameriere la portasse ugualmente nonostante lo vedesse allontanarsi lasciando mezzo sandwich inattaccato, confidando di ritrovarlo quando sarebbe ritornato dall'edicola col quotidiano preferito.

Lo ritrovò un minuto dopo e sprofondò beato nella lettura dei fatti del mondo, rinfrescato da una brezza leggera che spirava dal panorama del mare a poche decine di metri. Boselli aveva sempre amato Salonicco e preferita di gran lunga ad Atene perché meno sporca e più quieta come la gente più educata e tranquilla, il caldo meno torrido probabilmente dovuto al minore inquinamento che alla lieve differenza di latitudine, e conservava un'atmosfera cosmopolita nonostante quella che era stata un secolo prima la più grande comunità ebraica in Europa fosse stata accuratamente decimata nell'olocausto. Dalla sua Salonicco era venuto il momento di distaccarsi e starne alla larga per un bel po' di tempo, forse per sempre. In quelle ultime settimane in cui andava e veniva da Sofia aveva frequentato ormai troppi, per passare inosservato, dei ristorantini della zona del porto e piccoli alberghi a ovest della piazza dove era ormai diventato un abitudinario di Tottis e dell'edicolante serba.

Una volta che fosse riuscito a concludere quel lavoro che lo faceva tanto tribolare avrebbe dato l'addio ai baffi, tinti di biondo come i capelli, all'innocua identità di scrittore di guide turistiche, falsa come il passaporto britannico col quale attraversava la frontiera di Kalotina. Svolta la sua ultima missione, per la quale il tempo stava per scadere, il contract killer sarebbe partito da Varna sul motor yacht che era già in viaggio proprio da Salonicco per essergli consegnato nel porto sul Mar Nero, dove l'aveva acquistato col compenso ricavato da Kozloduy. Ma la severità con sé stesso non lasciandosi mai andare lo riportò bruscamente alla sgradevole realtà. Nello sfuggire ai suoi tentativi di fargli la pelle, l'agile gazzella lussemburghese si era di lui anche abilmente beffata e dimostratasi abile nel ruolo della vittima dei falliti attentati nell'accrescere la sua popolarità, tanto che ora c'era davvero il rischio che potesse uscire vincitore dalle elezioni poche settimane dopo. In terza pagina il Corriere informava Michel Boselli che Olivier Dupuis avrebbe presenziato a un evento che costituiva l'ultima occasione per eliminarlo. Non poteva sbagliare e non c'era tempo da perdere. Si avviò cupo e deciso verso la stazione ferroviaria, chissà perché pensando a Vittorio e se questi avesse ricevuto la sua lettera più recente.

Sofia, 26 maggio 2014.

Carissimo Vittorio,

tu mi conosci, se c'è una cosa che mi fa più schifo dei preti cattolici sono i preti ortodossi, sempre sporchi e spesso ubriachi, molti dei quali hanno taciuto per vigliaccheria durante il totalitarismo e alcuni ne sono stati complici per progredire nella gerarchia ecclesiastica moralmente corrotta nominata dai comitati centrali comunisti. Tuttavia non è certamente il caso di questo povero cristo del quale osservo in silenzio il cadavere mutilato della barba: troppo giovane, non più di trent'anni, forse non era ancora nato quand'è caduto il Muro. Provo sempre un sottile piacere intellettuale nel contemplare i resti di un corpo straziato: mi riporta idealmente alla lettura dell'Assassinio come una delle belle arti del nostro comune maestro Thomas De Quincey. Mi sentivo chiuso in gabbia nella cameretta di una pensione dove sono alloggiato temporaneamente per fare un lavoretto che si sta rivelando più complicato del previsto e perciò comincia a innervosirmi. Mi sono rollato un cannone ma non mi ha calmato, per cui sono uscito in cerca di uno di questi scarafaggi per fargli la gola.

L'ho trovato a colpo sicuro nella cattedrale Alexander Nevski. Camminava in atteggiamento ieratico consumando le pietre vetuste, ammantato in un'aura di trasfigurazione, di quando in quando sostando davanti a un'icona e con un gesto misurato passandosi la mano sulla testa lucidamente untuosa come la logica del dogma. L'ho seguito discretamente lungo la circonvallazione interna fino a Losenets, dove ha preso a salire il boulevard Sveti Naum - chiaramente dirigendosi verso il seminario -, in un quartiere che conosco bene per averci vissuto tanti anni fa, nella speranza che prendesse la scorciatoia dei giardini male illuminati. Il suo dio ha voluto che così facesse. Gli ho fatto la gola e scuoiato la barba e per qualche istante ho assaporato il gusto dell'omicidio fine a se stesso che non mi porta alcun guadagno materiale. Traversa dopo ponticello ho risalito il corso di questo pisciatoio che i sofiantsi chiamano fiume, verso una meritata pinta per esorcizzare la pagana cerimonia apotropaica, abbandonandomi alla malinconia che sempre mi pervade dopo ogni sacrificio umano con l'ineluttabilità di una tristezza post-coitale.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Con tanto verbo, non posso che dire una cosa insignificante che ho trovato nel primo paragrafo:...quando lo vedera nella sua immaginazione amplificata fare sesso con un altro uomo.
Cordiali saluti