NyLon!, capitolo 14
Siamo arrivati al quattordicesimo capitolo e mi accorgo di non essermi ancora presentato. Il mio nome è Granzotto, Roberto Granzotto. Facevo tranquillamente il contract killer, che in italiano si direbbe semplicemente sicario ma contract killer fa più politically correct, prima che il mio biografo non autorizzato (ognuno ha il biografo non autorizzato che si merita) si appropriasse della mia identità per inventarsi improbabili avventure che mi hanno proiettato nello stardom della politica transnazionale. Nella mia carriera ho fatto la pelle a un bel po’ di gente, che per lo più se lo meritava. In quell’onorato mestiere guadagnavo bene e mi divertivo mica male. Ma forse non tutti i biografi vengono per nuocere. La vita da sicario si era via via fatta sempre più complicata, con la storia del DNA non bastava più travestirsi e falsificare passaporti come ai vecchi tempi, quando ti dovevi preoccupare solo delle impronte digitali. Adesso mi sono riciclato come agente segreto con licenza poetica, e quale migliore aura di cosmopoliti fascino e mistero potrebbe meglio circondarmi di quella ad alta densità di elettroni nel primo debole chiarore dell’alba all’orizzonte della grande mela, nella quale il mio fiuto investigativo annusava una traccia lasciata un mese prima da un giornalista innamorato. Infatti il battello aveva appena cozzato contro il pier proiettandomi violentemente su Manhattan. Colpa mia attraversando l’Hudson dal New Jersey mi sporsi troppo dal ponte superiore per godere della skyline, che si estendeva da Harlem, all’estrema sinistra, alla statua della libertà sulla destra. Si trattava di una mera questione di prospettiva senza alcuna valenza politica, dovuta semplicemente al fatto che navigavo da est a ovest avessi viaggiato nella direzione opposta, la libertà si sarebbe innalzata a sinistra contro il proletariato nero all’estrema destra. Impensabile, se non in quella città, dove mi accorsi con fastidio che mancava qualcosa in mezzo alle mie deliranti equazioni pseudo-filosofiche e anche in mezzo al panorama dalla punta dell’isola erano scomparsi un paio di alti parallelepipedi che avevo notato qualche anno prima. Appresi più tardi che il governo federale ne aveva appaltato la demolizione a una manovalanza di immigrati arabi ai quali avrebbe poi fatto causa con grande dispiegamento di mezzi e risorse, finanziarie e in second’ordine umane, tanto per dare qualcosa da fare al complesso militar-petrolifero che stava alla base del castello di carte costituito dall’illusoria economia della Nazione in bancarotta. But never mind the politics, cheppalle, non sono qui per occuparmi di politica bensì dei radicali italiani. Sono qui per trovare la risposta alla difficilissima quinta domanda del Testosoni che mi aprirà le porte al patetico teatrino del loro comitato. Il mio naso ammaccato segue perciò la traccia ormonale lasciata dal giornalista innamorato dalla sponda estiva a quella ovestiva, dove mi conduce sulla funivia per Roosevelt Island. E qui lo trovo, pur faticando a riconoscerlo dalla foto sulla controcopertina del suo libro. Altro che fluente crine corvino: ha i capelli metallizzati come il suo saccente collega secchione della Terza C. La pancetta come me e Alvaro Vitali. Due enormi brufoli sulle labbra. La peluria craxiana spuntargli da orecchie e narici. E le gambe più storte di quelle di Naomi Campbell. Consapevole dei suoi handicap estetici, con in una mano un bottiglione di amarone e nell’altra delle mutandine tong straordinariamente somiglianti a quelle che abitualmente usa la Raffa, Mauro mi da il benvenuto tentando di giustificarsi.
- Prima non ero così brutto, ma mi sto esercitando per diventare direttore di Radio radicale, che è il mio sogno segreto. Sniff
- Piacere di conoscerti, caro Mauro. Che schifo, fai proprio senso. Se vuoi davvero diventare direttore di Radio radicale sembri proprio uguale ma hai fatto male a dirmelo lo riporterò nel romanzetto transatlantico che sto scrivendo sui radicali sfigati come te. Come tutti, del resto, se questo ti può consolare.
- Tanto non ho speranze, sta scritto nel trisagio di norme transitorio-permanenti dello statuto del partito che il direttore della radio si chiama Ergife, il leader dei giovani esperantisti è Bordini e i congressi si tengono all’Albergo Licheri. Ma non me ne importa nulla, mi sono innamorato di una donna straordinaria. Sniifff
Rispose noncurante lo Hugh Grant del Partito radicale, voracemente annusando le mutandine. Al che replicai perplesso, riconoscendovi un mio cappero tra i tarzanelli
- Uhm, e chi sarà mai?
- Posso solo dire che mi ha fatto accettare di vivere la mia sessualità. Sniiiffff
- Never mind, chi se ne frega. Invece sono venuto qui appositamente per sapere da te la risposta alla quinta domanda del Testosoni
- Non la sa nessuno, è il secondo più custodito mistero radicale. Sniiiifffff
- Ah! E quale sarebbe il primo?
- Ti pare che so il primo se non so il secondo? Sniiiiiffffff
- Cioè sono venuto qui per niente?
- Correct! Sniiiiiifffffff
Avessi avuto il tempo prima dell’ultima corsa della funivia, mi sarei interrogato sul terzo mistero radicale: come si dicesse vaffanculo in esperanto. Mauro mi è stato di scarsissimo aiuto e adesso devo contare su quello che riuscirà a combinare Andrea ad Amburgo col Tosoni autore dell’enigmatico Testosoni di radicalità.
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