NYLON!, capitolo 4.

- Nessun dorma! Non prevarranno! Surgite!

Daniele Capezzone congedò il consiglio di amministrazione con l’usuale incitamento alle membre di segreteria riunite in Torre Argentina. Erano quasi le dieci di domenica sera e voleva lasciarle libere di ascoltare alla radio quelle voci rauche e suadenti che avrebbero ispirato la strategia politica della settimana entrante. Ma dopo quattordici ore di riunione erano tutte stanche morte e altro che nessun dorma le soporifere voci rauche e suadenti non poterono ispirararle che in modo subliminale prima che surgissero al risveglio. Da me erano ancora le nove di sera e avevo anch’io passato la domenica al partito, ma un altro, mille miglia a nord-ovest. La sera prima la Raffa aveva accampato un mal di testa, frustrando la mia erezione anziché semplicemente frustarla come faceva di solito. Pazienza, mi rassegnai, e trascorsi la notte sul web cominciando a mettere in pratica il mio piano per infiltrarmi nei radicali italiani. Imparai che avevano un sito e nel sito un forum dove se le cantavano di tutti i colori. Una miniera di informazioni fornite volontariamente risparmiandomi la fatica di indagare. Da una prima analisi risultavano tre pilastri fondamentali.

1. C’era la corrente dei radicali libertari di sinistra;
2. C’era la corrente dei radicali liberisti di destra;
3. I radicali di Padova erano tutti froci.

Mi registrai nel forum ma resistetti alla tentazione di intervenire, dovevo mantenere un basso profilo per non rivelare la mia intenzione di infiltrarmi. Invece uscii all’alba per andare al partito a trascorrere la domenica scrivendo un dettagliato rapportino per Charles - che sarebbe stato contento di trovarlo nel suo fottuto Outlook il lunedì mattina -, e Janine, che lo sarebbe stata assai meno. Infatti come passo successivo avremmo dovuto finanziare l’iscrizione ai radicali italiani di una quindicina di londinesi col duplice obiettivo di conquistare una piccola quota azionaria e incuriosire il Capezzone a visitarci per conoscerci (mentre ero io che volevo studiarlo meglio). Ero certo che ci sarei riuscito, sapevo come intortarlo con un’arma segreta, ma a duecento euri a testa faceva un totale di duemila paundi. Janine non avrebbe gradito, perciò inviai solo a Charles confidando che nella sua saggezza il leader non avrebbe inoltrato la mia richiesta alla tesoriera prima di averle inumidita la gola con qualche doppio colpetto di malto singolo. Soddisfatto per il buon lavoro, tornai a casa fiducioso che quella sera con la Raffa mi sarebbe andata meglio.

Udii la Raffa sputare il glande dell’ultima pesca mentre andavo in bagno a lavarmi il pene. Non sarei tornato a letto, volevo mettermi sul wc, sul pc, per buttare giù un altro capitolo di un mio romanzetto transatlantico che scrivevo nel tempo libero, e la nottata di sesso mi aveva fornito l’ispirazione. La sera prima avevo pensato a quei due chili di pesche sul comodino come un suo invito seducente sono buonissimi i baci al sapore di pesca. Invece continuò imperterrita a sbafare pesche come se niente fosse mentre io sudavo manovrandola da ogni posizione. Stantuffavo da davanti, di dietro, di sopra, di sotto, perfino lateralmente, e intanto lei ruminava pesche come una professionista si limerebbe le unghie. A un certo punto sbottai.

- Ma la finisci co’ ’ste cazzo, ’ste palle di pesche??

- Fanno bene alla pelle

- Anche lo sperma fa bene alla pelle - replicai spruzzandola e spalmandola - e a me fanno male le palle

Ero talmente spompato che tra i gandoloni di pesca sparsi sul pavimento non mi sarei sorpreso di trovare anche un testicolo o due. Di solito indiavolata come una ninfomane, stavolta era stata inusualmente poco collaborativa. Evidentemente le passava altro per la pesca, la testa, che lasciò cadere all’indietro sul cuscino ricoprendolo in una composizione perfettamente simmetrica dei suoi capelli rossi tinti. Distesa completamente nuda con le braccia e le gambe aperte sull’invitante fritolina depilata, era davvero molto bella. Le pesche le avevano certamente fatto bene alla pelle, ma non spiegavano lo sguardo perso a rincorrere i colorati riflessi di luce sul soffitto e quel sorriso beato da un’orecchio all’altro. Evidentemente le passava UN altro per la testa.

- Ti dispiace se usciamo prima per passare a prendere Cristina? Andrea ha rotto il furgone e non può accompagnarla. In cambio ci invitano a pranzo, ma dobbiamo andare subito

Che l’altro fosse Andrea? No, era un bello stallone e una volta ci aveva fatto un giro, all’insaputa mia e della sua migliore amica, ma era lei che non piaceva a lui, dopo che quella volta questi scoprì che aveva le unghie dei piedi pittate, una cosa che Andrea non poteva sopportare. Si faceva chiamare Andrea per semplicità, il suo vero nome turco essendo Bülêňŧelıfyildız Åtatunçıller-Demıreleçţževitÿ, e faceva una buonissima insalata niçoise con i funghetti che comprava a Camden Market. A pranzo la rifiutai con la scusa che dovevo guidare per portare le ragazze in aeroporto, e per di più minacciose nubi temporalesche rabbuiavano West London. Ma lui sapeva che l’avrei gradita quella sera perché era lunedì, uno dei nostri segreti lunedì di piacere di cui le ragazze erano totalmente all’oscuro. Al chiarore dei flash delle speed-camera, le ragazze erano accartocciate sull’unico altro sedile della Ferrari lanciata sull’A4 per non perdere il transatlantico delle ore 15.

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