Marco Pannella, un eretico liberale nella crisi della repubblica
Di Massimo Teodori
Prologo
Perché un pamphlet sui successi e i fallimenti del liberalismo radicale di Marco Pannella nell'Italia repubblicana
Che cosa è davvero il liberalismo radicale di Marco Pannella? A che punto è la sua parabola? Perché colui che lo ha rinverdito, quando tutti si dichiarano liberali, è posto ai margini della scena politica? Perché un leader della sinistra democratica e laica si allea con Berlusconi? Perché Pannella distrugge tutti i movimenti che crea? E’ realmente destinato alla solitudine e all'isolamento? E’ possibile in Italia una trasformazione liberale? Chi ne può essere il protagonista?
Con queste pagine provo a dare qualche risposta o, almeno, a fornire qualche elemento di conoscenza e di interpretazione. Chi intenda ripercorrere la parabola del liberalismo radicale o del radicalismo liberale attraverso le vicende di coloro che di volta in volta si sono denominati radicali, federalisti europei e ora riformatori, non può fare a meno di occuparsi da vicino del suo artefice massimo, Marco Pannella, il quale ne ha determinato la rinascita nel quarantennio repubblicano e, al tempo stesso, ne ha rappresentato il limite.
Pochi ormai negano la rilevanza del leader radicale nell'azione di allargamento delle libertà e della democrazia. Per discuterne la traiettoria politica, occorre dunque analizzarne i continui tentativi per realizzare pezzo dopo pezzo la cosiddetta "rivoluzione liberale", individuare le difficoltà che ha incontrato e comprenderne il perché. Coloro che in sede pubblicistica e politologica hanno affrontato la questione Pannella nella politica italiana, raramente hanno evitato i luoghi comuni: quelli filopannelliani tendenti a esaltare acriticamente il ruolo politico di un leader che non ha eguali sulla scena italiana e europea, e quelli antipatizzanti che ripetono le ben note critiche alla persona ignorandone la politica. Da parte mia tenterò di evitare entrambe queste vulgate, non nascondendomi il fatto che c'è il pericolo di riprodurle. Quel che propongo qui è un contributo originale alla conoscenza e intelligenza del tema che assume un punto di vista, al tempo stesso, interno allargamento e distaccato, pur senza avere alcuna pretesa di neutralità in quanto si fonda sull'esperienza diretta.
Infatti la mia stessa vita politica si identifica con la vicenda radicale. Sono entrato giovanissimo nel Partito Radicale al momento della sua costituzione nel 1955, ho fatto poi parte del piccolo gruppo che volle conservare l'etichetta partitica rifondandone un nuovo corso all'inizio degli anni sessanta, e ho compiuto l'esperienza parlamentare con la "rosa nel pugno" dal '79 al '92. Pertanto la mia conoscenza diretta delle cose di cui scrivo risale indietro a oltre quarant'anni nei quali ho condiviso timori e speranze, sconfitte e successi, e ho coltivato frustrazioni e ambizioni politiche. Poi, quando il partito è stato dissolto nei primi anni novanta, sono stato anch'io parte della diaspora. Al giornalista che gli chiedeva come mai Spadaccia, Teodori, Negri, Rutelli e tanti altri vecchi amici lo avessero abbandonato, Pannella ha risposto: "La lunghezza delle mie amicizie è la mia fierezza: ... Teodori aveva quattordici anni quando l'ho conosciuto, cinquantadue quando se n'è andato. La vita separa. E’ già un miracolo che sia andata così. Ci si può stancare" (1). Si tratta - secondo me - di una argomentazione elusiva, di fronte alla quale proverò a esplicitare nelle pagine seguenti quelle che mi sembrano le ragioni che hanno spinto il leader radicale a dissolvere un’organizzazione politica che pure ha avuto un ruolo non indifferente per oltre un quarto di secolo e a rimanere sostanzialmente solo.
Considerare senza pregiudizi il radicalpannellismo significa, in fin dei conti, valutare quel che ha rappresentato l'irruzione e l'insediamento, sempre precario, di un liberalismo riformatore sulla scena italiana nella quale sia i contenuti che le forze politiche che ad esso hanno fatto riferimento, erano divenuti marginali quando non erano del tutto scomparsi. Già a un decennio dalla Liberazione e dalla Costituzione, i liberali attivi in politica per conquistare le libertà e difendere i diritti individuali, per affermare lo Stato di diritto, per instaurare rapporti con la Chiesa ispirati a una laica separazione, e per disegnare istituzioni costituzionalmente democratiche, erano ridotti a una minoranza senza peso. Scomparso il Partito d'Azione con tutta la vitale carica delle sue contraddizioni e ambiguità, i partiti della tradizione liberale non a caso cominciarono allora a essere definiti "minori".
E minori erano davvero divenute negli anni cinquanta e sessanta le prestazioni politiche dei partiti Liberale, Repubblicano e Socialdemocratico. Queste piccole forze non si cimentavano con i grandi obiettivi della libertà, del diritto e della democrazia che teoricamente sarebbero dovuti essere i loro; e, quando provavano a farlo, non ne avevano la forza, mentre il Partito Socialista si muoveva ancora ai margini dell'impero comunista. La guerra fredda, alla base degli stessi equilibri interni, aveva portato il PLI, il PRI il PSDI a ripararsi all'ombra dello Scudo Crociato nella modesta prospettiva di attenuare, con maggiore o minore dignità, l'integralismo democristiano arroccato in una smisurata rappresentanza parlamentare e forte di un insediamento capillare nella società dietro il mondo cattolico e il potere clericale. Quando poi, gruppi, correnti o personalità di quel mondo laico tentavano di uscire fuori dalla protettiva chioccia democristiana, come ad esempio fecero i gruppi che nel 1953 avversarono la cosiddetta "legge truffa", finivano molto spesso per cadere sotto l'influenza ancora più opprimente e filiberale del Partito Comunista, pronto a strumentalizzare qualsiasi gruppo si muovesse sia pure episodicamente nella sfera dell'opposizione.
Girando alla larga dagli iceberg democristiano e comunista, sempre pronti ad annettersi distruggendolo qualsiasi soggetto politico galleggiasse nei loro dintorni, iniziò così, tra gli anni cinquanta e sessanta, la navigazione dell'imbarcazione corsara radicale che riuscì anche a evitare di insabbiarsi nelle immobili paludi in cui ristagnavano i cosiddetti "laici". Di quel soggetto navigante che prima aveva la consistenza di una zattera e poi, mano a mano, prese le sembianze del motoscafo incursore e, quindi, le forme di un vero e proprio vascello con capacità di innalzare molteplici vele, Pannella è stato al tempo stesso il progettista, l'armatore, il carpentiere e il capitano di lungo corso. Ne risultò quella originale creazione del Partito Radicale a cui si deve la delegittimazione di una politica liberale e riformatrice non in stato di "minorità", così come era stata ridotta dalla duplice egemonia democristiana e comunista e dalla pavidità dei gruppi dirigenti laici rassegnati a un realismo minimalista.
Questo merito storico va dunque ascritto a Pannella che ha resistito, solitario e negletto, per mezzo secolo a forme dirette o indirette di satellizzazione o, come si direbbe oggi, di riduzione a "cespuglio" da parte delle due grandi potenze politiche del paese, nel mentre ricostruiva una politica liberale quando ancora era lontana quella moda di definirsi (a parole) "liberale" che sta inflazionando la destra, il centro e la sinistra. Quella radicale è stata un’esperienza totalmente politica e pienamente indipendente, fondata non già sul richiamo ad astratti valori dismessi ("il liberalismo", l'"eredità risorgimentale", "la democrazia radicale"), e neppure sull'espansione del potere partitico (come sarebbe accaduto con la vicenda di Craxi negli anni settanta e ottanta), bensì sull'ideazione di puntuali battaglie per obiettivi di libertà e di liberazione connessi a trasformazioni istituzionali.
Perché nel leader radicale c'è il Liberale, il nonviolento libertario e il democratico acomunista
Guardando alla natura del liberalismo radicale di Pannella, ci si rende conto che è stato originato da un'ispirazione, per così dire, multidimensionale. A ragione si può affermare che vi sono tre Pannella diversi - il liberale, il nonviolento libertario e il democratico alternativo acomunista - che hanno convissuto nella stessa persona, esprimendosi talvolta tutti insieme e, talaltra, in maniera separata, prevalendo ora questa ora quell'anima.
Il Pannella liberale è quello che ha rianimato le battaglie per i diritti civili rivendicando per le libertà individuali una funzione centrale nella società italiana divenuta progressivamente sempre più corporativizzata e dominata da un'astrusa iperregolamentazione statalistica. Quest'ispirazione politica si è manifestata in maniera molto marcata nella prima stagione del nuovo radicalismo, dalla politica universitaria degli anni cinquanta alla fine degli anni settanta. Con essa si compie la rivalutazione del liberalismo militante da cui hanno origine le campagne sul divorzio e l’aborto, il laicismo nei rapporti tra Stato e Chiesa con l'opposizione a ogni concordato, quindi la lunga linea garantista nella giustizia che corre dalla difesa dell'eretico Aldo Braibanti dall'accusa di plagio all'opposizione ai processi-teorema e alla lunghissima carcerazione preventiva (caso "7 aprile" con Toni Negri), dal rifiuto dell'emergenzialismo antiterroristico e dell'antimafiosità professionistica fino al caso Tortora.
Pannella, da liberale classico, torna a sostenere nella politica italiana il valore del conflitto contro le concezioni organicistiche alla Franco Rodano così amate non solo dal mondo cattolico ma anche dalla sinistra togliattiana e trasformista. Polemizza contro il giacobinismo imperante tra i cosiddetti "democratici progressisti", richiamandosi ai principi dello Stato di diritto e al valore imprescindibile delle norme costituzionali scritte contro le prassi invalse nei rapporti di potere. L'obiettivo di questo tipo di sue battaglie è la trasformazione delle istituzioni per affermare regole che prevalgano sull'arbitrio dei rapporti di forza. Per quest'aspetto si iscrive nella tradizione della destra storica e, più oltre, del liberalismo anglosassone antidottrinario che postula l'autonomia individuale, i diritti dell'uomo e la funzione creatrice della libertà.
Accanto a questa razionalità liberale, convive in Pannella un'anima nonviolenta libertaria che non raramente assume toni profetici e atteggiamenti da religione civile. Il momento cruciale in cui quest'aspetto prende il sopravvento, è la campagna contro lo sterminio per fame nel mondo da cui origina il documento teorico inserito nel 1980 come preambolo nello statuto del Partito Radicale. Con esso si proclama il dovere alla disobbedienza e l'imperativo assoluto del non uccidere, affidando a un intero partito il compito di ergersi a supremo difensore del diritto e della legge anche attraverso atti nonviolenti straordinari estranei alla politica tradizionale.
A siffatta radice risale l'utilizzazione di forme politiche inusuali, tra cui gli scioperi della fame, della sete e i satyagraha collettivi, la violazione delle leggi ritenute ingiuste, e la via giudiziaria per rivendicare particolari diritti: tutte metodologie nonviolente di cui il nuovo radicalismo ha fatto largamente uso insieme con i più normali. strumenti politici. Animato da questo spirito Pannella è stato particolarmente attento alle valenze prepolitiche e postpolitiche da incorporare nella lotta civile: ha recuperato la libertà sessuale, ha sviluppato l'antiproibizionisnìo sulla droga da contrapporre all'autoritarismo proibizionista, ha avuto attenzione per i diversi, i marginali e le minoranze d'ogni tipo, e ha libertariamente valorizzato tutti gli autentici anticonformsmi in opposizione al potere costituito. La sua intera attività politica è stata contaminata da tale modo d'essere rispondente a un profondo convincimento intellettuale e, ancor prima, a una autentica pulsione esistenziale, sia quando ha tracciato la direzione di marcia dei suoi movimenti fino al punto di adottare l'effigie di Gandhi per il Partito Radicale, sia quando ha sottoposto con la drammatizzazione nonviolenta i più disparati personaggi del mondo politico a continue prove di. dialogo.
La terza dimensione di Pannella è quella del leader che ha sempre aspirato a trasformare il sistema politico italiano in una democrazia dell'alternanza nella quale la polarità riformatrice non fosse rappresentata da comunisti e marxisti ma da un partito democratico, liberale e socialista, all'occidentale. Già alla fine degli anni cinquanta, allorché polemizzò con Togliatti sulla necessità di. costruire in Italia un'alternativa europea attraverso la socialdemocratizzazione del PCI, l'indicazione di Pannella per il sistema politico era riassumibile nel trinomio "unità, alternativa e rinnovamento della sinistra". Unità perché solo con l'unione laica di tutte le forze politiche e ideali dell’innovazione democratica sarebbe stato possibile creare un partito di stampo europeo adeguato a fronteggiare il blocco clericomoderato; alternativa in quanto solo con due blocchi contrapposti avrebbe potuto funzionare una democrazia compiuta nella distinzione dei ruoli di governo e di opposizione e il superamento dei consociativismi; e rinnovamento per la dichiarata intenzione di ammettere obiettivi liberali, umanistici e liberisti all'interno della tradizione socialista e, più in generale, di una sinistra radicalmente trasformata.
La strategia alternativistica è stata ostinatamente perseguita da Pannella almeno fino all'inizio degli anni ottanta. Dapprima con l'opposizione al centrosinistra perché sorto da un processo di cooptazione democristiana dei partiti laici e socialisti; quindi con un'apertura di credito, ben presto disattesa, all'unificazione socialista; poi con l'interesse per il tentativo della segreteria craxiana di riallineare il Partito Socialista su posizioni autonomiste concorrenti sia alla DC che al PCI e, dieci anni dopo, con l'idea, evocata ma subito abbandonata, di una federazione laica e socialista intorno al PSI.
Il dialogo con i socialisti, e talvolta con i laici, per far sorgere un qualcosa - partito o federazione - che potesse sostituirsi o incontrarsi con il PCI in funzione alternativa, non è però mai stato concepito in chiave di schieramento ma sempre nutrito di specifici contenuti: i diritti civili contro il corporativismo, il laicismo contro l'idea concordataria, lo Stato di diritto contro l'emergenzialismo, le riforme elettorali e istituzionali contro la partitocrazia; e il ricorso ai referendum per incanalare il conflitto politico in un alternativa binaria che eliminasse ogni spazio compromissorio e qualsiasi negoziato partitico. Non è un caso che la linea alternativistica abbia fatto passi avanti una prima volta in opposizione all'unità nazionale quando socialisti e radicali si sono ritrovati su un comune terreno e, una seconda volta, con le riforme elettorali referendarie attraverso cui sono stati messi in cantina il consociativismo e la partitocrazia.
Ma la principale difficoltà per un liberalriformatore come Pannella nel sostenere in Italia l'alternativa e il bipartitismo, è venuta proprio da quel PCI la cui egemonia è stata a lungo imperante sull'intera area democratica e di sinistra. Perciò la sua forza e la sua singolarità sono consistite nel tenere ferma una posizione - ideale, politica, tattica - completamente autonoma dalla grande corrente comunista che ha assorbito e svuotato tutto quanto orbitava all'esterno della Democrazia Cristiana, quali ne fossero le radici democratiche, socialiste e perfino moderate. Fin dagli anni sessanta, quando rifiutò di entrare in Parlamento come indipendente di sinistra, Pannella ha così gelosamente difeso il suo profilo di "acomunista", intendendo con ciò quell'esponente della sinistra democratica che non rinuncia, per convinzione o opportunismo, a polemizzare in nome dei propri valori con la forza comunista. E’ sulla base di questa radicale diversità dalla maggiore tradizione di sinistra che ha dominato per mezzo secolo nella cultura politica italiana, che Pannella è stato più volte definito dalla sinistra come un "anticomunista", con un epiteto rivelatore della visione del mondo dei comunisti secondo cui venivano considerati nemici tutti coloro che non accettavano di divenire loro succubi e compagni di strada.
Perché occorrono criteri particolari per seguire la rotta del vascello che ha avuto un unico progettista, armatore e capitano di lungo corso
Scontati questi meriti di Pannella, leader dal complesso profilo politico, non è però facile interpretare la storia sua e del suo gruppo, ormai entrata a pieno titolo negli annali contemporanei. L'interpretazione qui delineata che è inevitabilmente soggettiva perché frutto di un osservatore partecipante, si basa tuttavia su una ricostruzione dei fatti per quanto possibile neutrale. La difficoltà deriva dall'originalità politica di un gruppo-partito, anch'esso con molteplici sfaccettature, costituito da un nucleo relativamente esiguo dispersone con al centro un uomo che ha avuto la funzione non solo del capo politico ma anche del profeta e del capobanda.
Negli anni sessanta il Partito Radicale contava poche centinaia di iscritti e un numero ancora inferiore di militanti. Poi, negli anni settanta e ottanta, la sua dimensione, pur ingrandendosi, non è mai andata al di là della soglia di qualche migliaio di membri, tra i quali hanno svolto una funzione dirigente non più di una trentina di persone in tutt'Italia. All'interno di questo limitato universo, il rapporto tra il leader storico, i dirigenti e i militanti, è andato ben oltre la normale consuetudine politica di individui che condividono le stesse idee e gli stessi obiettivi. La natura dei rapporti intrattenuti da Pannella con questo ristretto gruppo dirigente ha condizionato anche il modo in cui si è sviluppata l'azione politica radicale.
Quel quid particolare, un po' fascino e un po' dominio, che si ritrova in Pannella, e a cui Max Weber ha dato il nome di "carisma", ha pesato fortemente, oltre che sul pubblico, anche nella vita interna del Partito Radicale. L'esercizio di questa speciale forma di autorità politica, intrecciandosi con l'intensità dei rapporti personali, è talvolta sconfinato in un sottile dispotismo, soffice ma pervasivo, di tutti i momenti organizzati dell'attività politica. E’ così potuto accadere che il capo forzasse oltre ogni misura coloro che hanno condiviso la politica radicale non solo ad ascoltare la sua parola, ma anche a decriptare in continuazione i suoi personalissimi moti dell'animo, quasi che il suo verbo dovesse essere trasmesso e ritrasmesso all'infinito, esattamente nella forma in cui veniva espresso, in una sorta di missione da diffondere tra gli infedeli. Che dire, ad esempio, degli innumerevoli interventi e comunicati di Pannella e delle citazioni del suo nome, ossessivamente reiterati a Radio Radicale, oppure della infinita ripetizione dei suoi comizi d'ogni stagione a Teleroma? E, ancora, come interpretare il fatto che in tutte le elezioni di ogni ordine e grado - da quelle circoscrizionali al Parlamento europeo - Pannella abbia sempre ritenuto di potere essere il solo individuo capace di raccogliere voti e, come tale, abbia messo in atto una moltiplicazione della candidatura in una sorta di nevrotico vortice elettorale?
In breve, Pannella ha esercitato un'autorità e un autoritarismo politici che hanno finito per sminuire la sua stessa leadership, nella pretesa che fosse continuamente sollecitata l'altrui partecipazione alle sue azioni e fosse necessariamente espresso l'altrui consenso ai suoi propositi. E’ per questo che, oltre a funzionare come un gruppo politico il cui collante sono le idee, gli interessi e gli obiettivi, il Partito Radicale ha assunto, per volontà e sotto l'impulso di Pannella, anche altri connotati diversi e apparentemente inconciliabili quello della comunità o del gruppo parareligioso a cui il capo impartisce principi e norme generali di fronte alla vita, e quello dell'avanguardia rivoluzionaria in cui la fedeltà, il gregarismo, l'ortodossia e il controllo sistematico dei comportamento dominano su un certo numero di persone.
Qui, tuttavia, non sarà esplorato il singolare rapporto tra il capo e il milieu radicale se non per quel che serve a comprendere come mai un gruppo minoritario così esiguo abbia saputo esercitare una notevole influenza sulla politica italiana, e per analizzare la particolare natura degli strumenti politico-organizzativi utilizzati dai militanti radicali. Insomma un partito come è stato quello Radicale, che ha potuto di volta in volta funzionare come una comunità di appartenenza, come un gruppo di fedeli o come un'avanguardia di stampo più o meno rivoluzionario, è riuscito ad avere un impatto politico che una formazione tradizionale non avrebbe mai ottenuto nella stessa misura. t perciò che l'estrema personalizzazione politica e l'identificazione tra partito e leader possono essere anche lette come le chiavi dell'efficacia politica e dell'alta rappresentazione pubblica raggiunte da un così piccolo gruppo, nonché dei suoi limiti quando non è stata più sufficiente una politica ridotta alla volontà di una persona.
Per tutto questo, nell’analizzare il ruolo assolutamente preminente che nella vicenda radicale ha giocato Marco Pannella, accorrerebbero le risorse concettuali di Siegmund Freud oltre a quelle politologiche di Max Weber. Come è noto, negli studi sul carisma (2) e sulle condizioni del suo esercizio, molto hanno detto le correnti psicoanalitiche. Nei riguardi di Pannella, più banalmente, la pubblicistica ha evocato diverse figure mitologiche quali il Narciso che ama guardare la propria immagine riflessa, il Saturno che mangia i suoi figli, l'Icaro a cui si sciolgono le ali volando verso il sole, il Prometeo che muove le montagne, la Trinità Divina che vuole riassumere in sé la tesi e il suo contrario, il Vampiro che ha sempre bisogno di sangue fresco.... ognuna delle quali si attaglierebbe a un qualche aspetto della sua personalità in fasi diverse.
Da parte mia, però, non mi dedicherò ad approfondire particolarmente il caso della personalità carismatica, fermandomi ai confini della psicopolitica, disciplina della quale oltre tutto non posseggo alcuno strumento concettuale. Ho voluto tuttavia precisare in premessa come sia inevitabile, in una interpretazione, tenere in conto anche l'influenza sulla politica della personalità pannelliana se si vuole ben individuare la sua parabola politica tuttora in evoluzione.
Un maestro delle scienze storiche e sociali affermava che indagare sul passato, serve a capire il presente, e studiare la politica aiuta a comprendere la storia. Osservando come ha operato Pannella, se ne comprende l'attuale impasse: così come guardando a fondo in essa si possono meglio comprendere le fortune e le disgrazie del nuovo radicalismo liberale.
Note:
(1) Giancarlo Perna, Se non vado resto per fare il governo, "L'Europeo", 27 novembre 1992.
(2) L. Cavalli, Carisma. La qualità straordinaria del leader.
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