Qui a Milano piove da dieci giorni ininterrottamente, stampa e tivù diffondono notizie allarmanti di alluvioni e allagamenti. Di solito amo il brutto tempo, ma la durata mi sta dando sui nervi e lavoro male. Oggi è venuta in studio una nuova paziente e con la scusa che era il primo colloquio ho lasciato parlare solo lei, ascoltando con scarsa attenzione, annuendo in silenzio di tanto in tanto per darle l’impressione di simpatizzare con la sua seria problematica.

Appoggiato allo schienale, con le mani strette ai braccioli della poltrona, ho trascorso un’ora a valutare esclusivamente, senza sapermi decidere, se fosse brutta oppure attraente, da un punto di vista puramente estetico. Porta bene gli oltre quarant’anni, bel viso, s’intuisce un seno ancora pieno, non ho potuto studiare bene il culo e quanto alle gambe portava i pantaloni. Tutto sommato scopabile, anche se i miei archivi pornografici offrono ovviamente di molto meglio, ma si tratta di femmine elettroniche e pensare questo mi deprime assai mentre trangugio un whisky doppio malto alla torba alternando i sorsi con una birra rossa doppio malto pure quella e voluminose boccate di tabacco Cutters Choice, digitando su questi stessi schermi.

Ovvio che non potrei mai trombare le pazienti, per quanto trombabili come questa, e non certo per i banali motivi di deontologia professionale. Il rischio di essere scoperto dall’Ordine, con conseguente scoperchiamento del contenuto del mio hard disk da parte delle autorità e così attirare l’attenzione su di me mi renderebbe molto più difficoltoso il mio altro, vero hobby preferito, quello meglio del sesso, quello di cui non potrei mai fare a meno…

Così il 10 ottobre 2003 il dottor Michele Tommaso Loperfido, psicanalista periferico con studio in via Litta Modignani, aggiornava il suo blog anonimo per i pochi ma affezionati lettori appassionati ai dettagliati resoconti del suo avventuroso hobby, sul quale si apprestava a scrivere un nuovo capitolo quella notte stessa con il suo 84-esimo assassinio.

Sette anni prima, proprio di quell’epoca, dopo averci rimuginato per quasi altrettanto tempo aveva compiuto il primo efferato delitto sgozzando un giovane prete con un coltello e per un certo periodo continuò con armi tradizionali come quelle da fuoco, per poi mettere a punto, sotto la pressione dello stress di evitare la cattura, un dispositivo più sofisticato a tecnologia laser di derivazione medica che all’occorrenza poteva anche radiocomandare per tenersi lontano dalle vittime, ma con minore soddisfazione, ed ora dopo l’esperienza accumulata sentiva di essere sul punto di un’innovazione veramente rivoluzionaria nell’arte dell’omicidio: la tecnica che aveva chiamato del corpus dissolvi.

Tale era il suo astio contro il mondo, tale era la potenza del male che invece di scaricare sembrava avere accumulato ad ogni sortita, quasi assorbito dalla rabbia delle sue stesse vittime e naturalmente dalla peste emozionale dei suoi pazienti (che per non destar sospetti non uccideva mai), che Loperfido si era convinto che avrebbe potuto togliere la vita semplicemente toccando il malcapitato concentrandosi nel trasmettergli un invisibile fluido assassino che addirittura ne avrebbe fatto svanire, dissolvere appunto, il cadavere come nell’acido.

Con alcuni strumenti elettronici di analisi medica aveva osservato di poter volutamente generare e dirigere una forza psichica impressionante, potenzialmente letale, ed era giunto il momento di verificare nella pratica la sua teoria. A notte fonda uscì in cerca di un barbone da sperimentazione, uno di quelli che quando spariscono non se ne accorge nessuno.  

Dall’altra parte della città la sua nuova paziente Giovanna Campo si dava invece alla poesia… 

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