Festa della donna / 2

Notte del 7 marzo 2010, giusto un paio di anni fa, nella sala d’aspetto della stazione di Sacile (PN) un’addetta alle pulizie rinviene il corpo senza vita della 38-enne Francesca Curtolo, originaria di Santa Lucia di Piave (TV), formalmente residente nella vicina Vazzola ma di fatto senza fissa dimora: una clochard morta per arresto cardiaco. Molti avevano visto spesso Francesca scarpinare in 2-3 ore i dieci chilometri sulla strada provinciale da Vazzola alla stazione di Conegliano, dalla quale partiva per trovare rifugio in quella di Sacile. Per questo alcuni automobilisti la deridevano col clacson, e poca gente ne conosceva personalmente quella che talvolta può essere anche una scelta di vita, ma raramente disgiunta da problemi di disoccupazione, disturbi psichici con dipendenza da farmaci e molto spesso alcolismo (anche se non si può dire con certezza fosse quest’ultimo il suo caso).

Sarà forse per un insieme di tutto questo che mi sono sentita qualificata a sopravvivere per un mese da barbona lungo la stessa linea ferroviaria Venezia-Udine, e anche perché già ferrata in materia, provenendo da un mese di analoga esperienza in Gran Bretagna. Ma a Sacile non ci sono mai arrivata. Per viaggiare gratis in treno senza multe occorre prima di tutto opportunamente “perdere” i documenti d’identità e poi, appena partito il convoglio, correre ad autodenunciarsi al controllore, il quale non potrà fare altro che sbatterti fuori alla fermata successiva, dalla quale ripartire col prossimo intercity. Bisogna infatti avere l’accortezza di scegliere treni veloci che fermino solo nelle stazioni principali. Altrimenti partendo, per esempio, da Milano verso il Nord-Est, da un treno locale si rischia di scendere a Chiari (BS) alle 10 del mattino e dover aspettare mezzogiorno il successivo locale per Brescia. Giunti a tappe a Vicenza si eviterà la tentazione di tagliare direttamente per Treviso, altrimenti si può rimanere incastrati per ore nel nulla. Insomma un po’ per volta ci si ritrova espulsi alle 00.44 a Conegliano, e non ci sono più altri treni: bisogna “dormire” qui.

Dormire si fa per dire, perché la sala d’aspetto della stazione consta in tre panche occupate in modo permanente dai residenti abituali, che ne sono rumorosamente gelosissimi pur essendo assistiti dai servizi sociali e godendo delle loro pensioni di invalidità. E così ci si sposta ogni notte da un giardino pubblico dal quale si verrà cacciati dai carabinieri in un altro giardino pubblico dal quale si verrà cacciati dalla polizia di stato a un terzo giardino pubblico convenientemente situato sotto la polizia municipale per loro maggiore comodità nel cacciarti via e tornare infine in stazione per essere cacciati dal metronotte, ultimo nella gerarchia dei cacciatori di vagabondi, nella quale categoria non rientra la polizia ferroviaria solo perché prende servizio alle 7 del mattino.

Mangiare è meno problematico: puntuale alle 11 c’è ogni giorno la mensa gratuita dei frati dietro l’ospedale e per accedervi basta registrarsi presso il Centro di ascolto della Caritas (ogni sabato mattina nell’edificio della pretura). Ed è appunto l’ospedale, nei suoi due complessi comprendendo il De Gironcoli, che offre i soli servizi igienici, in una città di 35.000 abitanti senza gabinetti pubblici, a quanti dovessero inspiegabilmente incorrere nella necessità fisiologica di evacuare i resti del cibo ottimo e abbondante (senza ironia) dei frati, che in cambio di una preghiera la domenica offrono anche un bicchiere di vino. Il vagabondo cosmopolita, che non è xenofobo ma è pur sempre alcolista, siederà a un tavolo di extracomunitari islamici un po’ emarginati dai barboni autoctoni per offrire loro parte del suo lauto pranzo in cambio delle loro ombre.

Bere è un problema relativo: bisogna mettere da parte l’orgoglio ed elemosinare, senza la pretesa di chiedere un euro bensì solo pochi centesimi, e in una mezz’oretta davanti a un supermercato si mette insieme appunto un euro per un cartone di vino o due lattine di birra. L’altro bisogno tossico primario, fumare, invece è gratis (purché ci si accontenti di tabacco) grazie al divieto di fumo nei locali pubblici: ciò ha fatto sì che nella ventina di bar del centro gli avventori fumatori siano costretti a farlo seduti ai tavolini all’aperto, tavolini sui quali è esposta la marca di sigarette che ne qualifica lo status economico superiore e rende loro arduo dirti “non fumo” quando gliela scrocchi, per cui in una sera del fine settimana si riempie un pacchetto da venti in meno di un’ora. Attenzione però a memorizzare bene la vittima, che nel frattempo potrebbe spostarsi da un bar all’altro: il doppio scroccaggio comporta triplo bestemmiaggio.

Insomma abbiamo imparato come viaggiare, mangiare, bere e fumare a costo zero. E aggiungiamo, per il vagabondo acculturato, internet gratis in biblioteca, dove stare al caldo almeno di giorno. Tutte cose delle quali l’organismo umano può fare a meno per lunghi periodi, ma non il dormire: la privazione del sonno, per mancanza di luoghi o per timore di essere derubati dai “colleghi” dei propri pochi averi, a lungo andare è causa di arresto cardiaco. Rip Francesca Curtolo.