Malato si lascia morire, il sacerdote:
«Anch'io non l'avrei nutrito a forza»
Don Aldo Danieli: «Bisogna dare vita ai giorni e non solo giorni alla vita». Umberto Gasparotto: «Non è un suicidio»

Il Gazzettino

TREVISO - Possibile che un malato di cancro in fase terminale chieda ai medici e agli infermieri di lasciarlo morire di fame e di sete? E, soprattutto, possibile che l'équipe medica scelga di assecondare una richiesta del genere? All'indomani della rivelazione della decisione choc di Antonio, 70enne che qualche tempo fa ha detto al personale dell'hospice "Casa dei gelsi" di Treviso di voler attendere la morte a letto senza più mangiare e bere, preghiera assecondata dai sanitari, la discussione sul fine vita torna ad accendersi.

«A un certo punto se ci si lascia andare si segue soltanto quella che è una legge naturale: confesso che se fossi stato io nei panni dei medici non l'avrei mai costretto a mangiare e a bere - rivela don Aldo Danieli, parroco di Paderno di Ponzano (Treviso), da sempre in prima linea sulle questioni morali ed etiche - perché bisogna dare vita ai giorni e non limitarsi a dare dei giorni alla vita, aspetto che è valido anche quando si parla di accanimento terapeutico e che non va certo fuori dalle indicazioni date dalla Chiesa».

Quando una malattia terribile come un tumore fa scattare il conto alla rovescia, insomma, la persona che sta soffrendo, ma che è ancora lucida, ha il diritto di lasciarsi spegnere. Ed è esattamente quello che ha fatto Antonio. «A un certo punto ci ha detto di non voler più mangiare e bere - ha raccontato la presidente dell'Advar, Anna Mancini, alla fine del convegno sul testamento biologico organizzato venerdì sera all'Eden - era lucido e si è disteso a letto dove ha aspettato, immobile, la morte». Nessuno poteva fermarlo.

«Non si può certamente costringere una persona lucida a mangiare e bere - ha precisato Umberto Gasparotto, presidente del comitato di Bioetica dell'Usl 9 - ma non è un suicidio, perché si arriva a un momento in cui è l'organismo stesso a rifiutare acqua e cibo».

Don Aldo Danieli, invece, è ancora più diretto. «Leggo questa difficile decisione come il suicidio di una persona che non ha più veri spazi di libertà - conclude il sacerdote - è un dolore che va guardato con rispetto e senza dare giudizi».

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