“Ma è veramente lui il poeta?”, chiese Marc’Appat, “ci sono due fratelli, questo so. Entrambi con una reputazione di letterati. Il ministro credo che abbia scritto cose notevoli sul calcolo differenziale. Lui è il matematico e non il poeta”.

“Si sbaglia; lo conosco bene, è entrambe le cose. Come poeta e matematico, deve ragionare bene; se fosse stato un semplice matematico non avrebbe ragionato affatto e si sarebbe messo alla mercé del Prefetto”.

“Lei mi stupisce”, disse Marc’Appat, “con queste sue idee, in contrasto con quel che si pensa normalmente. Non vuole ammettere un’idea maturata nel corso dei secoli. La ragione matematica è da molto tempo considerata come la ragione par excellence”.

‘Il y a à parier’”, rispose Dupuis citando Chamfort, “‘que toute idèe publique, toute convention reçue, est une sottise, car a convenue au plus grand nombre’. Ammetto che i matematici hanno fatto del loro meglio per propagare l’errore popolare cui lei allude, e che non è meno erroneo soltanto per il fatto che è propagato come una verità. Per esempio, siamo stati abituati, con artificio degno di miglior causa, a definire ‘analisi’ le operazioni algebriche. I francesi sono i primi colpevoli di questo inganno scientifico; ma se si riconosce che le parole di una lingua hanno un’importanza reale, se le parole traggono senso dal loro uso, allora posso concedere che analisi equivalga ad algebra, più o meno come accade in latino dove ambitus vuol dire ambizione, religio, religione, o homines honesti, gente di onore”.

“Vedo già”, disse Marc’Appat, “che è in polemica con qualche algebrista parigino; ma la prego di continuare”.

“Io contesto l’utilità, e di conseguenza la validità di una ragione coltivata attraverso ogni procedimento speciale che non sia la logica astratta. Contesto in particolare la ragione prodotta dallo studio della matematica. La matematica è la scienza delle forme e delle quantità: il ragionamento matematico non è altro che la conseguenza della logica applicata all’osservazione di forma e quantità. Il grande errore che persino la verità di quella che viene chiamata algebra pura siano verità astratte o generali. Si tratta di un errore tanto grossolano che sono sorpreso dall’unanimità con cui è accolto. Gli assiomi matematici non sono assiomi di verità generali. Quanto è vero dalla relazione – di forma o di quantità – è spesso grossolanamente falso relativamente alla morale, per esempio. In questa ultima scienza, non è vero che la somma delle frazioni sia uguale al tutto. Anche in chimica l’assioma non vale. Non vale, se si tratta di valutare uno stimolo: due stimoli, infatti, ciascuno con un valore dato, non hanno necessariamente, se sommati, un valore pari alla somma dei loro valori, presi separatamente. C’è un cumulo di altre verità matematiche che non sono verità se non nei limiti della relazione. Ma il matematico argomenta sempre per abitudine, a partire dalle sue verità finite, come se fossero applicabili in generale e in assoluto, come d’altra parte il mondo ritiene che sia. Bryant, nella dua notevole Mythology cita una analoga fonte di errore quando si dice che, ‘benché nessuno creda più nelle favole pagane, ce ne dimentichiamo spesso e ne tiriamo deduzioni come se fossero realtà esistenti’. Gli algebristi, però, pagani essi stessi, a certe ‘favole pagane’ danno credito, e ne traggono conseguenze, non tanto per un difetto di memoria, quanto per un’incomprensibile confusione dei loro cervelli. Insomma, non ho mai incontrato un matematico puro del quale fidarmi al di là delle sue radici ed equazioni; o uno che non fosse segretamente sicuro fideisticamente che x2+px sia assolutamente e incondizionatamente uquale a q. Provi a dire a qualcuno di questi signori, per prova o per divertimento, che crede alla possibilità che x2+px non sia completamente uguale a q; quando gli avrà fatto capire che cosa intende, si metta al riparo il più rapidamente possibile, perché indubbiamente tenterà di prenderla a pugni”.

[8 di 11. continua]


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