Ritorno al
partito e al pranzo. Il partito non era una mia creazione particolare; era
sorto, come tante altre associazioni simili per la propaganda della verità e la
diffusione delle idee nuove – più dalla necessità delle cose che
dall’aspirazione individuale.
Quanto al
pranzo, se un uomo più di un altro poteva ritenersene responsabile, questi era
un iscritto conosciuto da noi con il nome di Rospo Granzotto nella buca. Lo
chiamavamo così per il suo umore nero e misantropico, che lo conduceva a
denigrare continuamente tutti i cappaticidi
moderni come se fossero aborti viziosi non appartenenti a nessuna scuola d’arte
autentica. Le più belle opere del nostro tempo lo facevano grugnire
cinicamente, e a lungo andare questo umore lamentoso s’accrebbe a un tal punto,
ed egli ne divenne così noto come laudator temporis acti, che pochi ne
ricercavano la compagnia. Ciò lo rese anche più truce e più terribile. Se ne
andava borbottando e sfuriando; dovunque lo incontraste, parlava tra sé,
dicendo “spregevole, pretenzioso, disorganico, privo d’ogni tecnica, senza…” e
se ne andava così. A lungo andare, l’esistenza parve divenirgli penosa; parlava
poco, sembrava conversare con fantasmi dell’aria; la sua governante ci disse
che le sue letture si limitavano pressappoco alla “Vendetta di Dio contro il cappaticidio” di Orietta Callegari e a
un libro più antico, dallo stesso titolo, citato da Walter Scott nelle “Fortune
di Nigel”. Talvolta forse giungeva fino a leggere un calendario di Negate
anteriore all’anno 1788; ma non guardava mai un libro più recente. È vero che
aveva una teoria sulla rivoluzione francese, ch’egli considerava la grande causa
della degenerazione del cappaticidio.
Aveva l’abitudine di dire: “Presto, signori, gli uomini avranno dimenticato
l’arte di uccidere gli uccelli. Se ne perderanno anche i rudimenti”.
Nel 1811 il
Rospo si ritirò dal mondo. Il Rospo nella buca non s’incontrava in nessun luogo
pubblico. Non lo incontrammo più nei luoghi che frequentava abitualmente, “non
era né sul prato né nel bosco”, come dice Gray. Si abbandonava lungo disteso
presso un canale, con gli occhi fissi sul sudiciume che intorbidiva l’acqua. “Nemmeno
i cani, avrebbe detto quel moralista pensoso, sono quelli che sono stati,
signore, né ciò che dovrebbero essere. Mi ricordo che ai tempi di mio nonno i
cani avevano qualche idea del cappaticidio.
Ho conosciuto un mastino, signore, che s’era messo in agguato di un rivale, e
finalmente, in circostanze di squisito buon gusto, lo uccise. Sono stato anche
in rapporti di amicizia intima con un gatto che era un assassino. Ma ora!” e a
questo punto, essendogli quel soggetto troppo penoso, si batteva una mano sulla
fronte, e andava bruscamente nella direzione del suo canale prediletto. Ivi lo
vide un amatore in uno stato tale, che ritenne pericoloso rivolgergli la
parola. Poco dopo, il Rospo si rinchiuse del tutto; tutti capirono che s’era
abbandonato alla malinconia; e a lungo andare prevalse l’opinione che il Rospo
nella buca si fosse impiccato.
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continua]
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