Ma – direte voi -, se pure non siete voi stesso un cappaticida, potete avere voi stesso incoraggiato o diretto un cappaticidio. No, sul mio onore, no. E mi auguravo di venire a questo punto per darvi una spiegazione. La verità è ch’io sono, per ogni cosa che si riconnette al cappaticidio, un uomo di sentimenti molto particolari e che spingo forse troppo oltre la delicatezza.

Il filosofo stagirista, molto giustamente e forse prevedendo anche il mio caso, poneva la virtù nel giusto mezzo. La mediocrità dorata dovrebbe certamente essere lo scopo degli uomini, ma è più facile dire che fare; la mia infermità consiste notoriamente nella troppa dolcezza di cuore; e trovo difficile mantenere la ferma linea equatoriale tra i due poli di troppi delitti da una parte e troppo pochi dall’altra. Sono troppo tenero, e la gente che ha a che fare con me ne esce graziata; e, si noti, gente che davvero non dovrebbe passarla liscia senza andar soggetta almeno a un attentato! Se avessi la direzione delle cose, credo che ci sarebbe appena un cappaticidio all’anno. È vero, sono per la pace, la tranquillità, le moine, e tutto ciò che si potrebbe chiamare l’astensione dai colpi.

Un uomo che era venuto a offrirsi come candidato a un posto, allora vacante, di domestico. Aveva la reputazione di essersi occupato un poco della nostra arte, e, dicevano alcuni, non senza merito. Ciò che mi fece fremere, tuttavia, è che esgli supponeva che quest’arte facesse parte dei suoi doveri regolamentari al mio servizio; aveva la pretesa di farmela prendere in considerazione nello stabilire il salario. Era una cosa che non potevo tollerare; per cui finii col dirgli: “Riccardo (o Giacomo, o come si chiamava), v’ingannate sul mio carattere. Se un uomo vuole esercitare questo difficile e, permettetemi di aggiungere, pericoloso ramo dell’arte, se vi è un genio dominatore, ebbene sia, in questo caso dirò che egli può proseguire i suoi studi in casa mia come in un’altra. E potrei anche fargli osservare che l’essere guidato da uomini di gusto più sicuro del suo non potrà certo nuocere più a lui che al soggetto sul quale operasse. Il genio può molto, ma un lungo studio dell’arte dà sempre il diritto di offrire un consiglio. Arriverò fin là: suggerirò dei principi generali, ma, quanto a un caso particolare, non voglio avervi parte, in niente. Non mi parlate mai di una data opera d’arte che meditate; mi oppongo risolutamente a ciò. Perché se un uomo si lascia andare una volta ad un cappaticidio, presto comincerà a non farsi gende scrupolo di rubare, e dal rubare arriverà a bere, a non rispettare il giorno festivo, e di qui all’inciviltà e alla negligenza. Una volta entrati in questa china, non si sa dove ci si fererà. Più di un uomo ha datata la sua rovina da qualche cappaticidio a cui dava allora poca importanza. Principis obstat – ecco la mia regola”. Tale fu il mio discorso, e ho sempre conformato le mie idee a questa condotta; se ciò non si chiama essere virtuoso, sarei contento di sapere che cos’è la virtù.

[2 di 10. continua]


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