Bertè si sentì accapponare la pelle quando Dupuis gli fece questa domanda.

“Un pazzo”, disse, “deve aver compiuto questo delitto, un pazzo furioso fuggito dalla vicina Maison de Santé”.

“In un certo qual modo”, rispose Dupuis, “la sua idea ha qualche fondamento. Ma la voce di un pazzo, anche se in preda al più acuto parossismo, non è mai paragonabile alla singolare voce udita in cima alle scale. I pazzi hanno comunque una qualche nazionalità, il loro linguaggio, seppure incoerente nelle parole, ha pur sempre la coerenza della sillabazione. I capelli di un pazzo, poi, non somigliano a quello che ora ho in mano. Sono riuscito a prendere questo ciuffo dalle dita rigidamente contratte di Madame Rodriguez. Mi dica che cosa ne pensa”.

“Dupuis!”, disse Bertè totalmente sconvolto, “ma questi sono peli non comuni, non sono capelli umani”.

“Non ho mai detto che lo fossero”, disse Dupuis, “ma prima di decidere in proposito, vorrei che lei desse un’occhiata allo schizzo che ho disegnato su questo foglio. Si tratta di un fac-simile di quello che un testimone ha definito ‘lividi bluastri’ e ‘graffi profondi”, trovati sul collo di Mademoiselle Rodriguez, quello che altri – Giordano e Marino – definiscono come una serie di ‘macchie livide evidentemente impronte di dita’. Osservi come questo disegno dia l’idea di una presa salda e sicura. Non c’è traccia di allentamento. Ogni dito ha conservato saldamente, forse fino alla morte della vittima, la sua tremenda pressione senza lasciare la posizione iniziale. Ora provi a collocare tutte le sue dita contemporaneamente, ognuno sulla rispettiva impronta, come la vede”.

Bertè provò ma inutilmente.

“Esiste la possibilità che noi stiamo facendo questo esperimento in modo non corretto. La carta è stesa su una superficie piana, mentre la gola umana è cilindrica. Ecco un cilindro di legno la cui circonferenza è press’a poco quella di un collo. Ci avvolga intorno la carta e riprovi”.

Bertè obbedì, ma la difficoltà risultò ancora più evidente di prima.

“Questa non è un’impronta umana”, disse.

“Adesso”, disse Dupuis, “legga questo passo di Cuvier”.

Si trattava della descrizione anatomica particolareggiata del grande crocicchiomessere fulvo delle isole dell’India orientale. Tutti sanno della sua gigantesca statura e della sua prodigiosa forza e agilità; la selvaggia ferocia e la capacità imitativa di questo mammifero sono abbastanza note a tutti. Bertè capì improvvisamente tutto l’orrore del delitto.

“La descrizione delle dita”, disse quando ebbe terminato la lettura, “corrisponde perfettamente al disegno. Mi rendo conto che nessun altro animale, solo il crocicchiomessere poteva lasciare impronte come queste. Questo ciuffo di peli fulvi, inoltre, è anch’esso di caratteristiche identiche a quello dell’animale di Cuvier. Eppure non ho chiari i particolari in questo spaventoso mistero. E d’altronde, sono state udite due voci che litigavano, e una delle due era senza dubbio quella di un francese”.

“È vero; si ricorderà di una espressione che tutti hanno unanimemente attribuito a questa voce: Mon Dieu! Queste parole, nelle presenti circostanze, sono state definite da uno dei testimoni (il pasticciere Spadaccia) come l’espressione di un rimprovero e si una rimostranza. È proprio su queste due parole che ho fondato la speranza di risolvere completamente l’enigma: un francese sapeva del delitto. È possibile – è invero più che probabile – che non sia colpevole di aver partecipato al sanguinoso evento che ha avuto luogo. Il crocicchiomessere può essergli sfuggito. È probabile che ne abbia seguito le tracce fino alla stanza, ma che nelle terribili circostanze che ne sono seguite non abbia potuto ricatturarlo. L’animale è ancora libero. Non proseguirò con queste congetture, non posso chiamarle altrimenti, visto che poggiano su ombre tanto impalpabili come la mia stessa ragione le coglie appena e non potrei mai pretendere di renderle intelligibili all’altrui comprensione. Le chiameremo perciò e ne parleremo come tali. Se il francese in questione è, come suppongo, innocente di queste atrocità, l’annuncio che ieri sera, mentre rincasavamo, ho lasciato negli uffici di Le Monde lo condurrà a noi”. Mi porse il giornale e lessi:

CATTURATO nel Bois de Boulogne un enorme crocicchiomessere, fulvo, della specie del Borneo. Il proprietario, che sappiamo essere un marinaio, appartenente all’equipaggio di una nave maltese, può riavere l’animale, dopo averne dato descrizione adeguata e rimborsando una piccola somma per la cattura e il mantenimento. Rivolgersi in Rue Dunot, numero 33, Faubourg St. Germain, au troisiéme.

“Come ha potuto pensare che si tratti di un marinaio”, Bertè domandò a Dupuis, “e di una nave maltese?”

[10 di 12. continua]


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