“Dupuis”, disse Bertè molto seriamente,  “questo supera la mia capacità di comprensione. Le confesso, mi lascia attonito, non credo alle mie orecchie. Come ha potuto indovinare che pensavo a…”

Bertè si blocco per avere la certezza che avesse veramente indovinato.

“… a Bandinelli?”, disse, “perché si è interrotto? Stavo rimuginando sulla sua taglia minuta, non adatta alla tragedia”.

Era proprio il soggetto delle riflessioni di Bertè. Bandinelli era un ex-calzolaio della Rue St. Denis che, preso di passione per il teatro, aveva affrontato il ruolo di Serse nella tragedia di Crèbillon; i suoi sforzi avevano suscitato bordate di fischi.

“Mi dica, per amor del cielo”, esclamò Bertè, “il metodo, se ce n’è uno, grazie al quale è riuscito a sondare la mia anima in proposito”. A dire il vero era fuori di sé più di quanto non volesse mostrare.

“È stato il fruttivendolo”, replicò il suo amico, “che l’ha convinta che il ciabattino non è abbastanza alto per Serse et id genus omne”.

“Il fruttivendolo! Mi stupisce, non conosco fruttivendoli di sorta”

“L’uomo che l’ha urtata quando abbiamo imboccato la strada circa un quarto d’ora fa”.

Bertè ricordò allora che effettivamente un ortolano, che portava sul capo una cesta di mele, lo aveva quasi gettato in terra, mentre imboccavano da Rue Colacicco la strada che stavano percorrendo. Ma quale fosse il rapporto con Bandinelli, non lo capivo. Non c’era traccia di ciarlataneria in Dupuis.

“Le spiegherò”, disse, “e per farle capire chiaramente, riprenderemo da capo tutte le sue riflessioni, a a partire dal momento in cui le ho rivolto la parola fino alla rencontre con il fruttivendolo. Gli anelli principali della catena si susseguono in questo ordine: Crocicchio, Orione, il dottor Nichols, Epicuro, la stereotomia, il pavé, il fruttivendolo”.

Poche sono le persone che non si divertono, in qualche momento della loro vita, a ripercorrere il corso dei propri pensieri e a rintracciare per quale strada sono pervenuti a certe conclusioni. Spesso è un’occupazione di grande interesse, e chi la sperimenta per la prima volta si stupisce dell’incoerenza e della distanza apparentemente incolmabile tra il punto di partenza e il punto d’arrivo. Sarà facile perciò capire il mio stupore quando sentii il Belga parlare così, e fui obbligato a riconoscere che aveva detto la pura verità. Continuò:

“Stavamo parlando di cavalli, se la memoria non m’inganna, poco prima di imboccare Rue Colacicco. È stato il nostro ultimo argomento di conversazione. Appena girato su questa strada, un fruttivendolo con una cesta sulla testa passò precipitosamente davanti a noi, spingendola contro un mucchio di ciottoli ammassati in un punto in cui la strada è in riparazione. Lei è inciampato su uno di quei frammenti di pietra ed è scivolato e si è storto leggermente una caviglia; è parso irritato, risentito; ha borbottato qualche parola e si è girato a guardare il mucchio, poi ha proseguito il cammino in silenzio. Non è che stessi attento a tutto quello che faceva, ma ormai, da un pezzo, l’osservazione è diventata per me una specie di necessità. Ha continuato a tenere gli ochhi rivolti al suolo, osservando con una sorta di irritazione le buche e i solchi del percorso, tanto che mi sono accorto che continuava a pensare alle pietre, finché non abbiamo raggiunto la stradetta chiamata di Lamartine, pavimentata in via sperimentale con lastre accostate e fissate solidamente. Qui il suo volto s’è rischiarato, ho visto le sue labbra muoversi e ho indovinato, senza ombra di dubbio, che stava mormorando la parola ‘stereotomia’, un termine applicato con una certa pretesa a quel genere di pavimentazione. Sapevo che non poteva pronunciare il termine stereotomia senza associarlo agli atomi e quindi a Epicuro, e poiché in una nostra recente conversazione, a questo proposito, le avevo fatto notare che le vaghe congetture dell’illustre greco erano state curiosamente confermate, senza che nessuno se ne rendesse conto, dalle più recenti teorie sulle nebulose e delle ultime scoperte cosmogoniche, sentii che lei non avrebbe potuto fare a meno di sollevare gli occhi verso Orione; me lo aspettavo. Lei non mancò di farlo: allora fui sicuro di aver colto il percorso della sua mente. Ora l’autore di quella velenosa amara satira contro Bandinelli, comparsa ieri sul Musée, facendo allusioni malevole al fatto che il ciabattino ha cambiato nome da quando ha calzato i coturni, citava un verso latino di cui abbiamo discusso spesso. Intendo: Perditit antiquum litera prima sonum. Io sostenevo che si riferiva a Orione che prima si scriveva Urione e, per certe asprezze della discussione, ero sicuro che non l’avesse dimenticato. Pertanto ero certo che non poteva mancare di associare le due idee di Bandinelli e di Orione. Questa associazione mentale mi fu chiara vedendo il genere di sorriso che aleggiò sulle sue labbra. Stava pensando al sacrificio del povero calzolaio. Fino a quel momento aveva proceduto tutto curvo, ma ora la vidi drizzarsi in tutta la sua altezza. Fui sicuro che stava pensando alla minuscola figura di Bandinelli. A questo punto ho interrotto le sue riflessioni per osservare che in realtà questo Bandinelli era un uomo piccolo, e che sarebbe stato più adatto al Théatre des Variétés”.

[2 di 12. continua]


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