Federalismo e nazionalità, di Olivier Dupuis

2.04. Il Partito della Costituente europea

Se, come crediamo, rimane pochissimo spazio per "giocare" all'interno delle istituzioni europee esistenti, nell'intento di ottenere una loro sostanziale riforma in senso democratico e federale, dobbiamo valutare se esistano le condizioni per concepire e, poi, portare avanti dall'esterno delle istituzioni della C.E. una battaglia federalista ex-novo per la creazione da parte di alcuni stati europei dei veri e propri Stati Uniti d'Europa.

Prima di tutto una ipotesi del genere dovrebbe fare i conti con le notevoli ripercussioni dei referendum danese e francese sull'opinione pubblica dell'Europa dell'Ovest, anche quella dei paesi tradizionalmente considerati come più "federalisti europei", ripercussioni per lo più negative che si sono congiunte con le paure di un rovesciamento sull'ovest delle nuove miserie nate a Est dopo la caduta della cortina di ferro, travolgendo il "consensus mou" sulla questione Europa preesistente.

Paure e inquietudini che sono state spesso catalizzate dai nuovi movimenti nazionalistici, grazie anche - e forse soprattutto - all'assenza di risposte credibili e convincenti da parte delle istituzioni europee e delle varie classi dirigenti. Paure e inquietudini che insieme alla percezione del deficit democratico delle istituzioni europee hanno contribuito al rigetto, esplicito o meno, da parte di una parte consistente dell'opinione pubblica del Trattato di Maastricht.

Non bisogna sottovalutare l'aspetto estemporaneo, congiunturale, di questi atteggiamenti e, quindi, la possibilità di un loro eventuale superamento in tempi relativamente brevi, una volta che le riforme contenute nel Trattato di Maastricht - molto modeste come sappiamo - saranno state vissute ed "integrate" direttamente dalla gente. Rimane però il dubbio che la crisi venuta alla luce con i referendum e, soprattutto, con l'emergere ad un livello non più marginale di fenomeni razzisti e di intolleranza, non sia paragonabile ad altre crisi precedentemente vissute; essa invece esprime, insieme ad un malessere sociale e politico più profondo, un'incapacità ormai palese da parte delle classi dirigenti di mobilitare, di federare, di dare speranza oppure solamente di illudere l'opinione pubblica con un progetto "europeo" così riduttivo, il cui carattere non-democratico prima ancora che burocratico e tecnocratico, è ormai evidente a tutti.

Ma più ancora che quella del "contesto politico generale", forse l'unica vera questione che si pone rispetto ad un tale impegno è quella di sapere se saremo in grado, come Partito Radicale, di portarlo avanti, e quindi, ancora prima, se saremo in grado di trovare le risorse umane e finanziarie per sviluppare il partito transnazionale e transpartitico, rafforzandolo nei paesi dell'Europa Centrale ed Orientale, e - soprattutto - gettandone le basi in quegli stati dell'Europa Occidentale dove esistono i presupposti di una volontà popolare a favore della creazione di una vera e propria federazione europea.

Forse però, anche se una tale ipotesi avrebbe o avrà bisogno di molti passaggi intermedi, è proprio a partire da un patto di adesione al PR incentrato su un tale rilancio della costruzione europea, senza per questo accantonare battaglie come quelle per l'esperanto, l'abolizione della pena di morte, l'antiproibizionismo sulle droghe ma, al contrario, integrandole in un certo modo in questo progetto, che potrebbe risiedere una delle chiavi per un rilancio della presenza radicale nell'Europa Occidentale, oltreché, ovviamente, per un suo rafforzamento nei paesi dell'Europa centrale ed orientale.

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