Federalismo e nazionalità, di Olivier Dupuis

2.03. Approfondimento o Allargamento

Se questo diventa il criterio, è ovvio che cambia radicalmente l'approccio alla questione dell'allargamento e che, in buona parte, viene anche meno il dibattito sulla questione "approfondimento o allargamento".

L'approccio federalista consentirebbe probabilmente una adesione immediata di molti paesi del Centro ed Est europeo e, anche se con qualche riserva in materia di rispetto dei diritti umani di paesi come la Turchia o Israele; impedirebbe invece a paesi come la Gran Bretagna, la Danimarca, e, probabilmente, anche la Grecia, di imporre unilateralmente la loro visione "cooperativistica", intergovernativa dell'Europa.

E' ovvio che per questi primi paesi - del centro Europa - numerose, ed a volte assai lunghe, sarebbero le procedure di transizione in campo economico e finanziario. Questo anche al fine di evitare quanto più possibile gli effetti, spesso devastanti, di un approccio "tedesco" all'unificazione. Ma del tutto diverso sarebbe la capacità di questi paesi di partecipare, a pieno titolo e sin dall'inizio, alle politiche non strettamente di dominio economico, giust'appunto quelle la cui mancanza è oggi così crudelmente sentita dai cittadini europei.

Quanto a quei paesi oggi membri della Comunità europea, ma che non ne condividono le finalità federali, la soluzione sta - forse - nel garantirgli di poter continuare ad usufruire di una istanza di tipo "cooperativistico" o "intergovernativo", quale si configura oggi il grande mercato, chiamato dopo Maastricht, Unione Europea.

Una tale scelta di fondo costringerebbe in fine alcuni paesi - la Francia in primo luogo - ad uscire dall'ambiguità, facendo una scelta di campo chiara a favore dell'una o dell'altra ipotesi.

La questione dell'allargamento ai paesi dell'EFTA, a meno che non si parli dell'allargamento dell'Europa di Maastricht, non assume valenza politica di particolare rilevanza nell'ipotesi che ci interessa, ovvero quella della creazione di un nucleo di stati che danno vita a veri e propri Stati Uniti d'Europa.

Nella prospettiva europeista, però, l'allargamento ai paesi dell'EFTA, per via delle regole esistenti in materia di nuove adesioni ed in particolare per via delle competenze di co-decisione del Parlamento europeo in materia, potrebbe costituire una occasione, particolarmente in relazione al forte interesse britannico a favore dell'allargamento, per introdurre, in cambio dello stesso, alcune riforme di segno democratico delle istituzioni dell'Unione Europea o - anche se questa può apparire fantapolitica - in cambio dell'attribuzione di poteri costituenti al P.E.

Rimane però la questione, al di là delle valutazioni che si possono fare sulle reali capacità del Parlamento europeo, di far valere il suo limitato, ma in questo caso, reale potere, di capire se esistono ancora all'interno delle strutture dell'Unione Europea gli spazi per ottenere in tempi politici le riforme indispensabili affinché‚ l'Europa possa affrontare in modo non velleitario le tragedie in corso e quelle prevedibili che affliggono il continente europeo e il mondo, nonché‚ raccogliere le sfide ambientali, economiche e sociali all'ordine del giorno.

L'utilità in termini di "real-politik" delle istituzioni della C.E. oggi (dell'Unione Europea domani) è tale e così interiorizzata dalle varie classi politiche europee che ci sembra difficile che esse possano rinunciarci senza che vi sia una fortissima spinta esterna: dall'opinione pubblica e dalle istanze della società civile. Dalla politica agricola alla guerra nell'ex-Yugoslavia infatti, dal problema della disoccupazione alla politica nei confronti del Terzo Mondo, l'Europa di Bruxelles è diventata l'alibi per gli stati membri della C.E. dietro il quale nascondere l'evidente assenza di volontà politica.

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