Federalismo e nazionalità, di Olivier Dupuis

1. La questione delle Nazionalità

Cominciando questo tentativo di ragionamento su: "l'Europa e la questione delle Nazionalità", vorremmo sgomberare il terreno da alcuni concetti inquinati.

Prima di tutto vorremmo prendere le distanze dal concetto di autodeterminazione (e dal suo corollario, i diritti dei popoli): un concetto che è servito, nella stragrande maggioranza dei casi, a gruppi cosiddetti dirigenti per reprimere, in nome dell'indipendenza da conquistare, ogni diritto del singolo, per calpestare ogni diritto umano, per presentare la via violenta all'indipendenza come l'unica possibile, e, conseguentemente, a "liberazione compiuta", per costruire un nuovo stato centralizzato, giacobino, spesso totalitario, e più spesso ancora meno rispettoso delle proprie minoranze, politiche, etniche, religiose o di altro tipo, di quanto lo fosse lo Stato da cui si ritenevano oppressi.

A questo concetto di autodeterminazione vorremmo contrapporre quello di "autogoverno", inteso come strumento per una comunità data, mono o pluri-etnica, di governarsi in tutti gli ambiti in cui questo "governo" risultasse più efficace oltre che più vicino al cittadino che se fosse organizzato dal potere centrale. Un concetto, questo, che rinvia quindi direttamente a quelli di interdipendenza e di sussidiarietà. Rimangono ferme le necessità del coordinamento sia con le altre entità "federate", quando l'entità è parte di un insieme statuale più vasto, sia con gli stati confinanti, quando si tratta di stati internazionalmente riconosciuti.

In secondo luogo, vorremmo quanto meno tentare (l'esperienza ci dice che si tratta di un'impresa molto difficile) di togliere al concetto di federalismo alcuni dei significati che per molti ha assunto in Europa Centrale ed Orientale in seguito alle esperienze storiche politiche, in particolare quelle ex-yugoslava, ex-sovietica e cecoslovacca, alle quali è stato associato.

Federalismo, come lo dice del resto la radice stessa del termine, vuole dire "mettere insieme". Si tratta quindi di un atto volontario. Di attuazione per definizione impossibile (a meno di stravolgerne il significato) in regimi non-democratici, e, a maggiore ragione, in regimi totalitari. L'opposto quindi dello smembramento e della disgregazione paventati dai settori conservatori degli ex-partiti unici dei regimi comunisti, ora riconvertiti al nazionalismo in molti paesi dell'Europa Centrale ed Orientale.

Perché questa precisazione? Perché dai Balcani al Caucaso, dal Bacino del Danubio alla regione asiatica dell'ex-Unione Sovietica, fino, ovviamente, a quei paesi membri di questa così precaria, debole e poco democratica Comunità europea, tra ed all'interno di tutti questi stati oggi esistenti, la capacità di affrontare le nuove e grandi sfide del nostro tempo, e quindi in primo luogo una convivenza pacifica e reciprocamente proficua tra le nazioni e le etnie, oltreché uno sviluppo sostenibile, ovvero accessibile a tutti e rispettoso dell'ambiente, non potranno esistere senza che, in un modo o in un'altro, essi trovino tra di loro ed al loro interno nuovi modi VOLONTARI e DEMOCRATICI, quindi FEDERAL-DEMOCRATICI di organizzazione delle interdipendenze, di luoghi per agire insieme e per difendere dei comuni interessi.

1.1. Nazionalità e Stato dei Cittadini

Questi principi sono, però, molto generali, e spesso di difficile attuazione nelle situazioni complesse e a volte drammatiche oggi esistenti nell'Europa Centrale ed Orientale. In effetti, se è vero che una delle grandi linee di demarcazione tra democrazia e non-democrazia passa tra lo stato dei cittadini sognato, tra gli altri e drammaticamente, dal Presidente bosniaco Izetbegovic ed i vari progetti pan-nazionali, a cominciare da quello di Milosevic, con questo però non si esaurisce la problematica dell'articolazione, in regime di democrazia, tra i diritti il cui esercizio va organizzato in modo univoco e quelli il cui esercizio va diversificato in funzione dell'etnia o meglio della comunità etnica-culturale di appartenenza.

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