Capitolo 11 - 1971
"ECO E MIELI CON LE ARMI IN PUGNO? FREGNACCE"

Pannella non ha il tempo di gustare la vittoria sul divorzio. Appena un mese dopo l'approvazione della legge, ai primi di gennaio del '71, il professore di diritto romano Gabrio Lombardi, cattolico integralista, deposita la richiesta di referendum abrogativo assieme ai filosofi Sergio Cotta e Augusto Del Noce (padre del giornalista Rai Fabrizio), a Giorgio La Pira e a Luigi Gedda, già presidente dell'Azione cattolica. I vescovi italiani lanciano un appello ai cattolici "per difendere la famiglia con tutti i mezzi democratici".

I radicali non si fanno intimorire, e anzi raddoppiano: 1'11 febbraio, anniversario del Concordato, fondano durante una manifestazione pubblica a Milano la Liac: Lega italiana per l'abrogazione del Concordato. Aderiscono Sciascia, Montale, Silone, Parri, Galante Garrone, Ferrarotti, Scalfari, Jannuzzi, Buzzati Traverso, Piccardi, Basso, Fortuna e Cesare Pogliano (futuro presidente di Amnesty International). In quegli stessi giorni si tiene anche il primo congresso del Mld, che chiede l'aborto legale.

"Continuando in una vergognosa, secolare tradizione di inumano, scandaloso esercizio di un potere illecito, vescovi, parroci e suore, stipendiati dallo Stato con i soldi di tutti i cittadini, in marzo cominceranno a raccogliere le firme contro il divorzio. Troviamoci tutti a piazza Navona domenica 14 marzo alle 10.30!", tuona Pannella.

Il leader radicale però è preoccupato per la mancata crescita del Pr: "Se oggi ci ritroviamo con vecchi compagni come Scalfari, se il Messaggero riprende antiche battaglie borghesi, a qualcosa è pur valsa questa nostra avventura. Ma se restiamo soli, se coloro che ci approvano non saranno anch'essi radicali, anche il Pr può andare al diavolo. Non siamo uomini di chiesa, di setta, di bandiera. Non siamo "capi" né "dirigenti", e non abbiamo voglia di "servire" nessuno, neanche il popolo. Qui tutti possono iscriversi. Non ci spaventano le "doppie tessere" con altri partiti, che il nostro statuto ammette. Noi non siamo monogami e non abbiamo rapporti "indissolubili", almeno in politica".

Il 20 giugno '71 a Firenze, in contemporanea col deposito del milione e 300mila firme per il referendum contro il divorzio raccolte in tutte le parrocchie d'ltalia, Pannella e Scalfari (diventato deputato psi) parlano insieme durante un comizio del Pr in solidarietà con i cattolici del dissenso della comunità dell'Isolotto di don Mazzi processati l'indomani. Poi presentano una proposta di legge per impedire il referendum, considerato anticostituzionale perché viola i diritti delle minoranze. Ma il Pci e i partiti laici, impauriti dall'offensiva clericale, per evitare il voto tentano invece il compromesso con la Dc: nel dicembre '71 l'indipendente di sinistra Tullia Carettoni offre alcune modiche alla legge sul divorzio, come l'allungamento dei tempi se il coniuge cattolico fa opposizione.

A Pannella, intanto, è giunta un'incriminazione per avere diretto il giornale Lotta Continua. Sia lui che altri dirigenti radicali giornalisti come Aloisio Rendi e Marcello Baraghini, imitando il Sartre del giornale gauchista La cause du peuple, concedevano la propria firma a qualsiasi pubblicazione anarchica, trotszkista o pacifista che avesse bisogno di un direttore responsabile. Pannella in quei tempi "dirige" anche Re nudo, fondato da Valcarenghi. Unica condizione posta dal leader radicale: "Non voglio vedere una riga di quel che pubblicate".

Il medesimo spirito voltairiano avevano dimostrato gli illustri coimputati di Pannella, anch'essi rinviati a processo a Torino nell'ottobre '71 per "reati a mezzo stampa": Pier Paolo Pasolini, Piergiorgio Bellocchio, Roberto Roversi, Pio Baldelli (deputato radicale dall'80 all’83) e Gianfranco Pintore. Pannella è quello che ha collezionato più denunce: una ventina, per vilipendio all'esercito, istigazione alla diserzione e a delinquere, e altri reati d'opinione.

In vista del processo Lotta Continua raccoglie un'autodenuncia di 52 intellettuali, i quali firmano un'impegnativa dichiarazione: "Quando essi (i lottacontinuisti incriminati, nda) si impegnano a "combattere un giorno con le armi in pugno contro lo Stato, come già ora in Vietnam e in America latina, fino in fondo, fino alla liberazione dai padroni e dallo sfruttamento", noi ci impegnamo con loro. Quando essi gridano "lotta di classe, armiamo le masse", lo gridiamo con loro".

Nel '71 le Brigate rosse non esistono ancora, Feltrinelli non è ancora morto, la violenza "rivoluzionaria" non è tabù. Anzi, nei salotti è abbastanza di moda. Aderiscono quindi all'appello, fra gli altri, Umberto Eco, Paolo Mieli, Lucio Colletti, Tinto Brass, Paolo Portoghesi, Natalia Ginzburg, Mario Scialoja, Giovanni Raboni, Tullio De Mauro, Pasquale Squitieri, Salvatore Samperi, Giovanbattista Zorzoli, Giulio Carlo Argan, Franco Lefebvre, Domenico Porzio.

Pannella il nonviolento li prende in giro: "Dubito che di "pensiero", marxista o no, ce ne sia molto in chi pensa di "fare la rivoluzione impugnando le armi contro lo Stato". Questo non è un reato: è un'imbecillità, coeva più alle spedizioni fiumane di D'Annunzio che alla lotta politica odierna. Adriano Sofri pensava addirittura che la rivolta sanfedista del '70 a Reggio Calabria fosse l'inizio della rivoluzione, e voleva assicurare la "militarizzazione" della lotta. Comunque, se queste fregnacce voleva scriverle, dovevamo assicurargli di poterlo fare. E l'ho fatto".

Nell'88, dopo l'arresto di Sofri per il caso Calabresi, Giusi Ferrè dell'Europeo raccoglierà qualche imbarazzo fra i firmatari di quell'appello incendiario: "Me l'avrà chiesto Eco, allora corsivista del Manifesto con lo pseudonimo di Dedalus. Sa, eravamo tutti più giovani e scatenati...", risponde Porzio. E Lefebvre: "Era l'aria del tempo. Un compagno telefonava e si aderiva subito, senza leggere fino in fondo. Mi pare che in questo caso sia stato Mieli". "Era un gesto garantista", si giustifica Raboni. E la Ginzburg: "Non ho niente da dichiarare".

In vista del processo, nel luglio '71 a Pannella viene ritirato il passaporto. Scalfari presenta un'interrogazione al governo: "Occupatevi piuttosto di Luciano Liggio, di Junio Valerio Borghese o di Felice Riva in Libano". Il capo radicale commenta ironico: "C'è tanto da fare in Italia per conquistare il diritto di vivere un po' più liberi e felici, che non avevo davvero nessuna intenzione di prendermi proprio adesso una vacanza in Svizzera o in Libano".

Nell'aprile '71 alcuni omosessuali torinesi protestano contro la Stampa per un articolo diffamatorio. A Milano gruppi di gay discutono sui modi per uscire "fuori" dal ghetto. E in dicembre Angelo Pezzana pubblica il numero zero della rivista Fuori (Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano). Nel luglio '71 la Loc blocca alla Camera una legge truffa appoggiata dal Pci sull'obiezione. E in settembre si celebra, al tribunale militare di Torino, il processo agli obiettori Pizzola e Matteo Soccio. Anche in questo caso i radicali della Loc usano i metodi già sperimentati con la Lid: migliaia di cartoline inondano la Camera per sollecitare l'obiezione legale.

Nell'autunno '71 Teodori fonda il trimestrale Prova radicale. Nel primo numero i radicali condannano le proposte di finanziamento pubblico ai partiti (che verrà introdotto tre anni dopo). Si descrive il fallimento della raccolta di firme organizzata da Magistratura democratica per un referendum contro i reati d'opinione: soltanto 200mila adesioni raccolte, a causa del disimpegno comunista.

Teodori attacca il movimento dei "giornalisti democratici", "uccisi da frontismo, minimalismo e inazione", per lo scarso interesse mostrato nei confronti del referendum. Presidente della Fnsi (Federazione Nazionale della stampa italiana), il sindacato dei giornalisti, è il dc Luciano Ceschia. In giunta ci sono il pci Sandro Curzi (poi direttore del Tg3) e Andrea Barbato, allora socialista. L'Ordine è presieduto dal dc Guido Gonella, che Teodori definisce "la più autentica incarnazione del clerico-reazionarismo".

Anche Pannella se la prende con i "giornalisti democratici": "I dc Ceschia e Nuccio Fava, ultimo fallimentare presidente dell'Unuri travolto dal '68, i pci Rodolfo Brancoli e Raniero La Valle, i psi Enrico Manca e Alberto La Volpe, i pennuti radiotelevisivi realistico-rivoluzionari o misticorustici che tanto bene vivono e mangiano insieme, alla faccia dell'onestà giornalistica, sono una grottesca incarnazione del velleitarismo e dell'ipocrisia neofascista e veterocorporativa".

Altri bersagli di Prova radicale: le Acli "equivoche", le proprietà immobiliari del Vaticano, il comunista Bufalini che cerca con i dc Forlani e De Mita un compromesso sul divorzio, il processo Valpreda e i "mezzibusti" Rai, con l'anticipazione di un esilarante capitolo del libro di Sergio Saviane.

Nonostante tutti questi fermenti, però, la salute del Pr non è buona. Scrive Teodori ne I nuovi radicali: "Tra il 1970 e il '71 la strategia della tensione sposta a destra gli equilibri politici. La campagna per il divorzio aveva colto di sorpresa la classe dirigente, compresa quella di sinistra, e non era facile per i radicali ripetere con successo l'azione combinata di guerriglia politica e di pressione sui partiti". Il Psi, tanto amato l'anno prima da Pannella, si rivela una delusione. E l'anno seguente Scalfari pagherà duramente il suo impegno anticlericale a fianco dei radicali: non verrà rieletto nel Psi alla Camera, anche per l'ostilità di Craxi.

Al congresso di Roma nel novembre '71 Pannella e il segretario Cicciomessere vogliono sciogliere il partito. Si oppongono Teodori, Mellini e Bandinelli. Spadaccia propone un compromesso: il Pr chiuderà se non arriveranno mille iscritti entro il '72. Bandinelli torna segretario, con Ramadori tesoriere.

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