Capitolo 7 - 1967
L'"ANNO ANTICLERICALE"

Tutti i partiti sono preoccupati per il successo che Pannella e la Lid stanno ottenendo. L'Italia è uno degli ultimi Paesi europei a non avere una legge che permetta il divorzio. Ma il Vaticano e la Dc non sono disposti a concedere alcunché. Scende in campo perfino Paolo VI, che nel gennaio '67 esprime pubblicamente "sorpresa e dispiacere" perché il Parlamento non ha giudicato incompatibili divorzio e Costituzione.

Il Psi ha paura che la Dc tronchi il centrosinistra: "Il divorzio è una bomba a orologeria", avverte il segretario socialista Pietro Nenni. Il Pci teme per i suoi rapporti con le "masse popolari cattoliche" e con i dc di sinistra: soltanto nel marzo '67 si decide a presentare un suo progetto di legge. Ma anche i laici non vogliono "guerre di religione", e il ministro della Giustizia repubblicano Oronzo Reale tenta di spostare il divorzio nella riforma complessiva del diritto di famiglia, per allungare i tempi.

I tempi: è proprio questa la preoccupazione principale di Pannella. Egli sa che l'arma più efficace della Dc guidata dal soporifero presidente del Consiglio Aldo Moro è quella del rinvio ad libitum. Così accentua la pressione su ogni singolo parlamentare: gli fa scrivere e telefonare dagli elettori del suo collegio affinché questi senta sul collo il fiato dell'opinione pubblica.

A questo proposito c'è però un mito da sfatare: che il "Paese reale", la mitica "società civile", volesse la legge sul divorzio, e che soltanto i politici retrogradi la ostacolassero. Non è vero. Secondo la Doxa nel '65 gli italiani favorevoli al divorzio sono appena il 24%, e aumentano al 30% nel '67. Con qualche ragione, quindi, Ugo La Malfa investe Pannella: "È una follia, farai saltare il governo, ci porterai tutti alla rovina!". E Pannunzio, addirittura: "Pannella, lei metterà questo Paese nelle mani dei comunisti".

Tanto di cappello al leader radicale, quindi, perché sul divorzio non si limita a cavalcare l'opinione pubblica, ma la crea lui stesso con la sua Lid. Nella quale può entrare chiunque ("Anche i fascisti"), con spirito deideologizzato. Le adesioni prestigiose aumentano: dai comunisti Vittorio Vidali, Fausto Gullo, Massimo Caprara e Castellina ai liberali come Antonio Baslini. E più tardi anche l'ex presidente della Corte costituzionale Giuseppe Branca, Lidia Menapace, Giorgio Benvenuto, Lelio Basso, Arrigo Benedetti, il pastore Mario Sbaffi.

Ogni anno in Italia ci sono diecimila separazioni. I figli illegittimi sono 22mila. La Lid riesce ad arrivare a 20mila soci, ma il nucleo portante è costituito da radicali. Nei primi tre anni di attività i divorzisti mobilitano, fra comizi e invii di cartoline in Parlamento, 200mila persone. È il primo movimento spontaneo, fuori da Chiesa e partiti, nella storia dell'Italia repubblicana.

Il cammino della legge, però, è lentissimo. Nell'autunno '67, superate le pregiudiziali dc di incostituzionalità, il progetto Fortuna riesce ad approdare alla commissione Giustizia della Camera. Ma, nonostante le ulteriori 120mila firme raccolte da Abc, vengono approvati soltanto tre articoli. Poi ci sono le elezioni. Al congresso Lid, nel dicembre '67, il segretario Pannella minaccia di presentare liste divorziste alle politiche del '68. Alla fine la decisione è di appoggiare candidati di ogni partito che si impegnino a favore del divorzio.

Il partito radicale non trae benefici dal successo della lotta divorzista. Gli iscritti nel '67 sono sempre un centinaio. E le loro energie sono in gran parte assorbite dalla Lid. Ciononostante, il Pr proclama il I967 "Anno anticlericale". In febbraio, per l'anniversario dei Patti lateranensi, organizza una manifestazione di duemila persone contro il Concordato al teatro Adriano di Roma. In aprile un dibattito su "Sessuofobia e clericalismo", con Luigi De Marchi, fondatore dell'Aied (Associazione italiana per l'educazione demografica). A Pasqua, in piazza San Pietro, quando il papa appare per la benedizione i radicali tirano fuori un enorme striscione con la scritta: "Un milione di aborti all'anno. Trentamila donne muoiono di aborto clandestino e vogliono la pillola. Sì al controllo delle nascite". E il 20 settembre, giorno della presa di Roma, i laici del Pr festeggiano.

Proseguono anche le provocazioni antimilitariste. In fehbraio a Sulmona Mario Pizzola si dichiara pubblicamente obiettore di coscienza. Il 24 maggio, anniversario dell'entrata in guerra dell'Italia nel 1915, sull'Altare della patria a Roma i radicali organizzano un teach-in sul disarmo e depongono sulla tomba del milite ignoto una corona di fiori con le parole: "Nel Vietnam continuano ad assassinarti". Il 2 giugno, giorno dell'annuale parata militare, Valcarenghi e Taschera finiscono in prigione per aver distribuito un volantino contro l'esercito.

Il '67 è l'anno del colpo di Stato dei colonnelli in Grecia e delle rivelazioni sul mancato golpe del Sifar (i servizi segreti italiani) nel '64. Inoltre cresce anche in Italia la protesta contro la guerra del Vietnam, ma i radicali non partecipano alla manifestazione nazionale di giugno a Milano per tre motivi: l'antiamericanismo del Pci, l'esaltazione della guerriglia violenta dei vietcong e il rifiuto da parte marxista di mettere in discussione l'esistenza stessa degli eserciti.

Il Pr e i pacifisti di matrice cartolica appoggiano invece la "terza via" dei bonzi buddisti nonviolenti che si danno fuoco a Saigon, e ne invitano alcuni a Roma. I fatti, dopo il ritiro degli Stati Uniti dall'Indocina nel '75 e gli orrori dei governi comunisti in Vietnam e Cambogia, daranno loro ragione. Ma nel '67 c'è un salto di qualità nell'antimilitarismo radicale: in agosto parte la prima marcia per la pace Milano-Vicenza (sede del comando Nato) organizzata con gli anarchici, che si replicherà ogni estate fino all'85 su vari percorsi.

Pannella partecipa alla lunga camminata, che alla partenza da Milano è sorvegliata dal commissario Luigi Calabresi. Così lo ricorda Pannella dopo il suo assassinio, cinque anni dopo: "Lo conoscevamo bene. Si ostentava amico. Per alcune centinaia di metri, poco prima di Gorgonzola, si accompagnò con Pino Pinelli (l'anarchico che Calabresi fu accusato di avere ucciso nel '69, nda) e con me. Risalì sulla macchina dell'ufficio politico solo quando un compagno pretese che indossasse anche lui un cartello-sandwich, se voleva continuare a camminare con noi".

Continua Pannella: "La mattina all'alba, in piazza Sire Raul, mi si era presentato: "Sono il dottor Calabresi, siamo a vostra disposizione". Sembrava contento che le sue mansioni lo portassero a "vivere fra di noi" radicali, anarchici, libertari. Libri, dischi, discorsi, diritti civili per militari e poliziotti, nonviolenza: tutta la nostra roba sembrava coinvolgerlo. Forse lo coinvolgeva effettivamente. Ma questo rapporto mi preoccupava: era torbido e pericoloso. Lo rifiutai subito".

"La sera del 12 dicembre '69, dopo l'attentato alla Banca dell'Agricoltura la prima sede perquisita fu quella del partito radicale, in via Lanzone: la tv non mancò d'annunciarlo. Per questi giochi provavamo pena e commiserazione. Ho personalmente sempre pensato che Calabresi fosse un "uomo di buona fede". Schizofrenico, vittima anche lui, prima che boia, del sistema che doveva servire. Dove l'inquisizione lega psicopaticamente, a volte, il torturatore al torturato. Dove il demonio che si deve scovare e uccidere nell'altro finisce per essere il proprio, uno specchio di se stessi. Sartre di Morti senza sepoltura lo aveva intuito e denunciato".

Una denuncia per vilipendio delle forze armate intanto se la prende Pannella nella tappa di Bergamo della marcia, dove un giornale locale lo definisce "playboy in disarmo", perché ha osato definire in un comizio "esercito da operetta" quello italiano.

Nel maggio '67, a Bologna, si riunisce il terzo congresso del partito radicale. È il primo della nuova gestione di Pannella, dopo quattro anni e mezzo. Partecipano 250 persone, la metà ha meno di trent'anni. I giornali ignorano quasi completamente l'avvenimento. Lo slogan del congresso è: "Per una civiltà laica e pacifista, per un'Europa liberata dalle strutture militari, monopolistiche, autoritarie e clericali".

Viene approvato uno statuto molto aperto: chiunque può iscriversi senza controlli, basta versare la quota annuale. Non ci sono probiviri, discipline, espulsioni: chi aderisce al Pr accetta semplicemente il programma deciso ogni anno dal congresso, che è autoconvocato nella prima settimana di novembre. I partiti regionali sono autonomi e decidono a loro volta i temi su cui battersi annualmente.

I bilanci sono rigorosamente pubblici e autofinanziati. non esistono funzionari pagati. Il segretario nazionale e il tesoriere vengono eletti direttamente dal congresso, in cui possono votare tutti gli iscritti: anche chi ha versato la quota cinque minuti prima.

Sarebbe stato piuttosto facile quindi, almeno fino agli anni '70, impadronirsi del Pr portando 200 persone al congresso e facendole iscrivere all'ultimo momento. "Volete il partito? Accomodatevi, troverete soltanto debiti", scherza Pannella con chi gli fa notare questo pericolo. In realtà, i dirigenti radicali non hanno mai considerato il partito con mentalità "proprietaria". Anzi, "si è diffusa la valutazione che ogni struttura sia a perdere, e che ogni supporto organizzativo della politica debba sottostare alla filosofia dell'usa e getta", noterà il tesoriere Marcello Crivellini nell'82.

La ragione di uno statuto così aperto, insomma, sta nell'idea stessa di partito che hanno i radicali: uno strumento agile per condurre battaglie su singoli temi, coinvolgendo la gente con1une e non i professionisti della politica. "Senza la partecipazione del cittadino alla vita pubblica non si ha "consenso", si avranno tutt'al più seguaci e sudditi... E alla lunga ribellioni e rivolta", scrive Pannella nel '66, anticipando i fermenti del '68.

Segretario nazionale, al congresso del '67, viene eletto il 32enne Gianfranco Spadaccia. Della direzione fanno parte Mellini, Loteta, Marcello Baraghini (negli anni '70 fondatore di Stampa alternativa e nei '90 inventore dei libretti Millelire), Aloisio Rendi (fratello di Giuliano), Lorenzo Strik Lievers (senatore radicale nell'87), Angiolo Bandinelli.

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