10. La sinistra radicale e il nuovo partito
Dopo la crisi del 1962 che, come abbiamo visto, segnò la fine del primo Partito Radicale, l’unica organizzazione del partito che rimase in piedi fu la corrente di sinistra che aveva nel gruppo romano il suo nucleo fondamentale. Tale gruppo si trovò alle prese con notevoli problemi di organizzazione e di immagine; infatti mentre il Partito Radicale di Pannunzio aveva un nucleo dirigente formato da nomi prestigiosi e di solida esperienza politica, e poteva contare per di più sull’appoggio di settimanali come "Il Mondo" e L’Espresso, il nuovo gruppo era formato da giovani provenienti soprattutto da associazioni universitarie, con scarsi legami con il mondo politico-istituzionale e con tecniche di azione politica innovative e profondamente differenti dai predecessori radicali: "Non c’è dubbio che il patrimonio radicale appartenesse appieno alla sinistra radicale non solo sul piano storico-ideale ma su quello politico...ma vi erano stati altri esperimenti ed esperienze... l’esperienza dell’Unione Goliardica italiana e della politica universitaria". Gli atteggiamenti e il modo di fare politica del nuovo partito derivavano proprio dalla presenza politica laica nell’Università che sin dal 1949 era stata un fenomeno originale. Da questa esperienza derivarono il senso della concezione dell’autonomia di ciascun momento politico nei confronti di dipendenze e egemonie partitiche ed un senso della politica e delle sue alleanze diverso rispetto ai metodi tradizionali. Per un decennio infatti la politica universitaria aveva rappresentato una sfera fortemente autonoma rispetto agli equilibri politici del paese: "...e in particolare la forza laica dell’UGI non era per nulla stata la trasposizione meccanica dei partiti laici minori (PLI, PRI, PSDI), ma un momento vissuto nella sua specifica esperienza intorno a cui si formavano ragioni di unità, di convergenza e di divisione...la formula che espresse nell’UGI tale metodo, " non unità delle forze laiche ma unità laica delle forze come fondamento della democrazia", simboleggiava la lontananza da qualsiasi concezione terzaforzista dei partiti minori e affermava invece come valore il metodo laico del modo in cui si sta insieme piuttosto che la matrice ideologica". L’associazionismo già applicato nell’ambiente universitario dai laici dell’UGI sia con le componenti comuniste che cattoliche, fu infatti per la sinistra radicale, ormai partito politico, una riscoperta cardine, tant’è che il nuovo PR avrebbe ricercato con ostinazione, modalità di unità a sinistra rifiutando formule "frontiste": "Del resto il movimento universitario laico aveva saputo guadagnarsi su queste linee un’effettiva egemonia nella prima metà degli anni ‘50; e tale successo ebbe probabilmente influenza nella convinzione dei nuovi radicali di potere ripetere anche nel paese, ciò che si era verificato nell’Università, e cioè affermare un vigoroso movimento laico e non solo una posizione laica... Un’impostazione assai simile a quello delle associazioni ugine, basata non su criteri organizzativistici o ideologici, ma su forme aperte, si sarebbe quindi ritrovata nei movimenti e leghe promossi dai nuovi radicali". I concetti dell’UGI furono dibattuti, ancora minoritari, al momento dello statuto del primo PR nel 1956, e poi avrebbero avuto maggior fortuna giungendo a maturazione definitiva nello statuto che il nuovo PR si dette nel 1966. Il nuovo PR già dai primi mesi di vita si fece interprete di una teoria mirata ad identificare la DC non solo come partito di governo, ma come struttura portante di regime. Cade l’illusione che la situazione italiana possa ancora qualificarsi come tipica di un paese a democrazia liberale fondata sull’ alternanza al potere, che è monopolizzato dalla DC. La soluzione reale era quindi l’alternativa di sinistra: "Questa posizione rappresentò allora un fatto di profonda rottura...ma la novità fu rappresentata dal fatto che a caratterizzarsi su questo discorso era una forza politica non marxistaleninista".
Il nuovo Partito Radicale mosse i primi passi nel Consiglio Nazionale, svoltosi a Bologna nei giorni 9 e 10 marzo 1963, quando venne approvata una mozione che prevedeva la riorganizzazione strutturale del partito con caratteri federativi, mozione che ribadì inoltre l’opposizione al centrosinistra e rivendicò l’unità delle sinistre come unica alternativa laica e democratica all’egemonia democristiana, tant’è che alle politiche del 1963 i radicali non si presentarono con una lista propria ma preferirono dare un’indicazione di voto per i quattro partiti della sinistra. I primi anni dell’attività radicale furono caratterizzati dalla ricerca di una formula autonoma, e nonostante le difficoltà organizzative, il nuovo partito manifestò subito la sua caratteristica indipendente dagli altri partiti di sinistra: "Il fatto che vi fosse in quei tempi una indicazione di voto comunista costituiva per i radicali la vera novità politica". La creazione, il 15 luglio 1963, di un’agenzia di stampa quotidiana, Agenzia Radicale, rispose proprio all’intento di dare voce alla rinnovata presenza del partito: "...uno strumento che si rivelerà insostituibile e tipico del modo di fare politica dei radicali... ciclostilato quotidiano di politica sindacale, unità e rinnovamento della sinistra, antimilitarismo, anticlericalismo, lotta alla corruzione politica e alla baronie economiche..". Dal gennaio del 1964 sino al 1967 Agenzia radicale portò avanti importanti campagne di denuncia e di informazione, quali l’inchiesta sull’ENI e sui finanziamenti elargiti dall’ente pubblico a stampa e partiti, nonchè la campagna sull’assistenza pubblica e sulla gestione democristiana dell’INPS e dell’ONMI. Parallelamente all’azione dell’agenzia di stampa i radicali furono presenti in numerose organizzazioni e iniziative unitarie della sinistra, nelle quali portavano temi, che sin d’allora emergevano come caratteristiche del partito: laicismo e anticlericalismo, pacifismo, antimilitarismo e internazionalismo. Questa concezione radicale della politica intesa come intervento sui problemi concreti, nonchè un’organizzazione agile resero questo nuovo partito assai anomalo rispetto ai tradizionali partiti abituati a rigidi apparati e lo videro al centro di vivaci polemiche soprattutto con il PCI: " Il partito doveva essere un gruppo di persone che fanno politica, che si battono per certi obiettivi... partito non di massa, non di élites, ma di militanti, persone che hanno la capacità di pagare alla vita politica, col loro impegno personale, la fedeltà alle loro idee e ai loro programmi".
In quegli anni si andava sviluppando il dibattito sull’unità delle sinistre: esauritosi rapidamente la spinta riformistica del centrosinistra e le speranze che intorno ad essa erano nate, in alcuni settori della sinistra si poneva il problema di un’alternativa alla DC. Il PR si era espresso in senso contrario sia alla formula del centrosinistra (considerata una gabbia per il PSI), sia all’eventuale unificazione delle sinistre non ritenuta una reale prospettiva di alternativa al potere democristiano: "Le proposte di unificazione delle sinistre vorrebbero porsi come via d’uscita al continuo deterioramento del governo e della politica del centrosinistra... il Partito Radicale ritiene che una proposta di unificazione delle sinistre sia valida solo in quanto si basi sui seguenti punti: a) essere chiaramente posta come reale prospettiva di alternativa b) prevedere una trasformazione degli attuali apparati dei partiti della sinistra... Si pone quindi il recupero di una chiarezza interna alla sinistra italiana...". Nel 1966 il PR si presentò alle amministrative accordandosi con il partito politicamente più vicino, il PSIUP (nato nel 1964 dalla scissione della sinistra socialista), con il quale strinse alleanze elettorali a Roma e a Genova: "Il PSIUP sembrava costituire il partito della sinistra che più di ogni altro affermava la volontà della contrapposizione frontale al mondo cattolico e della conservazione". Il risultato elettorale fu giudicato dal PR assai utile soprattutto per verificare la consistenza dell’elettorato radicale. Alla vivace attività politica radicale di quegli anni non corrispondeva però una sua crescita organizzativa: il numero degli iscritti non superava il centinaio, il bilancio basato sulle quote degli iscritti e sui contributi dei simpatizzanti era assai modesto e per il piccolo partito si poneva seriamente il problema di darsi una struttura adeguata agli innumerevoli interessi che portava avanti. Dal settembre del 1966 il PR, che aveva già come caratteristiche politiche peculiari l’antimilitarismo, il laicismo e i diritti civili, si trovò impegnato nella preparazione del suo congresso di rifondazione.
Il criterio base seguito dalla commissione rispondeva a un quesito fondamentale: come ricostruire un partito, che ormai aveva una sua collocazione politica, capace di suscitare consensi, quali strutture creare per non disperdere il patrimonio acquisito e per essere in grado di affrontare il lavoro futuro. La commissione individuò quattro temi di lavoro: il primo riguardava i diritti civili in cui venivano messi a punto proposte sul divorzio e l’obiezione di coscienza. Il secondo riguardò le istituzioni e le strutture dello stato, mentre il terzo si occupò dei rapporti internazionali e sui modi delle lotte pacifiste e del federalismo europeo. Il quarto infine, che ebbe come argomento il partito moderno e laico, cercò di individuare una forma di partito diversa dai tradizionali partiti burocratici e si pose come obiettivo l’elaborazione " di tesi valide per tutta la sinistra, nella prospettiva della costruzione di una società laica...in vista di una prospettiva politica: l’unità delle sinistre e la costruzione di un’alternativa democratica e socialista.". Il dibattito preparatorio al Congresso fu lungo e accurato: il nuovo partito doveva essere un modello per tutti i partiti di sinistra, non un partito di elitè ma aperto al contributo diretto e al controllo della gente e autonomo finanziariamente. Si faceva quindi strada l’idea di un partito non solo di militanti, ma anche di associazioni che potessero aderire su specifici temi conservando contemporaneamente la propria autonomia. Altro punto dibattuto era quello riguardante il Congresso, annuale, che doveva impegnare il Partito non su programmi di carattere generale ma su singole battaglie politiche. Ampia autonomia era lasciata alle differenti istanze locali, unità base del partito era infatti considerata la federazione regionale. Il III Congresso radicale si tenne a Bologna nel maggio 1967, aperto anche a non iscritti e a militanti delle altre organizzazioni della sinistra. Inaugurato con il titolo significativo " I radicali per l’alternativa laica ", nella mozione politica finale ribadiva i temi principali dell’anticlericalismo, dell’antimilitarismo, della lotta per i diritti civili. Lo statuto uscito dal Congresso dava le caratteristiche al partito: una federazione di autonomi partiti regionali, autofinanziamento, autonomia delle federazioni di base, pubblicità dei bilanci, cariche non retribuite: "...Il Partito Radicale è un organismo politico costituito dagli iscritti al partito, dagli iscritti nella associazioni non radicali aderenti a livello regionale, dalle associazioni radicali, dai partiti radicali regionali... Gli organi del Partito federale sono il Congresso da tenersi ogni anno (quello ordinario), che decide la linea politica, ed elegge gli altri organi, il consiglio federativo che coordina la politica del partito federale con quella dei partiti regionali, il Segretario che ha la funzione di attuare la politica decisa dal congresso, la giunta, il tesoriere, e il collegio dei revisori dei conti... I Finanziamenti provengono dalle quote individuali degli iscritti, dalle quote delle associazioni ( per le quali non è prevista l’iscrizione al PR) aderenti a livello regionale".
Il quinquennio successivo al Congresso di rifondazione vide il Partito Radicale impegnato nella tematica dei diritti civili: "I radicali hanno contribuito a trasformare in politica ciò che politica non era: l’individuo è diventato politico, il bisogno del singolo si è legittimato per se stesso, il represso è divenuto espresso". L’impegno radicale su questo fronte si concretizzò in diverse iniziative: giustizia, sessualità, abrogazione del concordato, analisi della condizione della donna (proprio in quell’anno nacque anche la LID), obiezione di coscienza: "La scelta culturale dei radicali del ‘66 fu proprio quella di recuperare nel patrimonio teorico e storico della sinistra molto di ciò che era stato liquidato e abbandonato come utopistico...ricercando nelle antiche lotte socialiste quei valori del liberalismo e della democrazia che avevano preso corpo nelle lotte del proletariato contro la borghesia". Tutta l’azione del PR in questi anni tese infatti a costruire una posizione politica autonoma sulla base di singole battaglie e di un rapporto con la sinistra tradizionale esclusivamente misurato sull’adesione ai contenuti delle stesse battaglie e basato su una unificazione politica ma solo a patto che queste battaglie fossero condivise dalle correnti maggioritarie dei comunisti e di socialisti: "La strada scelta dai radicali...fu la strada difficile di una minoranza culturalmente rifiutata e ignorata".
Il PR promosse iniziative politiche originali e volte a rendere concreta la sua linea politica dichiarando il 1967 "Anno Anticlericale", e promuovendo il 12 febbraio del 1967 al teatro Adriano di Roma la prima grande manifestazione pubblica di questa iniziativa radicale: "Sarebbe stata la rivincita morale di uno dei maestri del radicalismo italiano Ernesto Rossi, morto due giorni prima e autore di tante parole anticlericali come queste: "...i dirigenti dei partiti progressisti devono convincersi che la lotta anticlericale è di nuovo, oggi in Italia, lotta contro la reazione...occorre che tutti coloro a cui puzza il dominio dei preti siano fermamente decisi a riprendere il cammino sulla strada che nel 1870 ci condusse al trionfo della breccia di Porta Pia".
L’iniziativa "1967, anno anticlericale" autofinanziata e organizzata dal PR ebbe vaste adesioni in Italia tra i partiti di sinistra. Tra le tante manifestazioni, quella clamorosa di quell’anno fu la presenza di radicali in Piazza San Pietro, che all’udienza domenicale del Papa riuscirono a portarsi fra le prime file a mostrare cartelli di protesta contro la Chiesa.
Anche sul piano elettorale la volontà autonoma del partito fu confermata dalle elezioni del 1968 in cui i radicali optarono polemicamente per la scheda bianca, poiché le forze nuove della sinistra non avevano alcuna possibilità di essere presenti efficacemente nella competizione elettorale ed erano estromesse dalla informazione politica, soprattutto televisiva, volta a tutto vantaggio dei partiti rappresentati in Parlamento: "Apparve lì per la prima volta la polemica sull’uso dei mass media e sulla loro centralità nel gioco democratico...". La contestazione operaia e studentesca di quell’anno vide il PR su una posizione marginale poichè nonostante molti temi, come l’antimilitarismo, fossero comuni, il carattere di massa del movimento contestatore di quell’anno rese difficile la visibilità e la capacità organizzativa del PR: "Durante questo periodo i radicali furono per lo più impegnati nella battaglia per il divorzio, e solo marginalmente si trovarono coinvolti nei movimenti del tempo... I radicali si trovarono in posizione esterna al movimento, pur se l’esistenza stessa del gruppo radicale aveva la sua ragion d’essere proprio in due modi che si ritrovavano alla base dello stesso movimento: la necessità di rompere con lo stagnante equilibrio politico e il rifiuto dei modi burocratici di fare politica con il ricorso all’azione diretta". Ma i radicali, pur impossibilitati a superare il salto tra gruppo di minoranza e gruppo di massa, approvarono quel rivolgimento sociale tant’è che proprio due radicali, Carlo Oliva e Aloisio Rendi, scrissero un documentato studio su Il movimento studentesco e le sue lotte, e partecipando con interesse a convegni sul tema come per esempio quello tenutosi a Bologna nel febbraio 1968 dal titolo Credenti o non credenti per una nuova sinistra: "nasceva allora la speranza di una nuova sinistra...i radicali guardarono con interesse a tale aggregazione, sia per il processo di laicizzazione, sia per la forma di organizzazione nuova ipotizzata". Il V Congresso del partito, svoltosi a Ravenna nei giorni 24 novembre 1968, lanciò una campagna nazionale per l’abolizione del Concordato che tre anni più tardi porterà a un’assemblea nazionale di laici, tenuta nel febbraio del’71 a Milano, che deliberò la costituzione della LIAC (Lega Italiana per l’Abrogazione del Concordato). Quando agli inizi del 1968 il problema dell’obiezione di coscienza venne alla ribalta il PR si impegnò per ottenere una legge, che riconoscesse tale principio, confermando così ancora di più il carattere originale del partito concentrato sui diritti civili e su tematiche ritenute eretiche e inutili dai grandi partiti tradizionali. Malgrado la vivace attività nei vari settori, la situazione organizzativa del gruppo in quegli anni era insufficiente: una discreta area di simpatizzanti ma un esiguo numero di iscritti, bilanci modesti, scarsa presenza territoriale. Il X Congresso di Roma del 1971, in cui fu introdotto il principio della doppia tessera per i militanti, si aprì con l’ipotesi di terminare la vicenda radicale: provato dalle lotte di quegli anni il PR lasciava al Congresso e specialmente ai militanti non radicali la verifica della sua esperienza: "La nozione dell’esistenza dl partito radicale è legata ad alcuni fatti singolari. Presso la più vasta opinione pubblica i radicali sono quelli del divorzio...hanno un leader Pannella che rischia di andare in galera...". Lo stesso Congresso introdusse il diritto e la pratica delle iscrizioni dei militanti laici nell’arco dei partiti di sinistra, denominata "doppia tessera" che rimarrà una caratteristica di questo partito. Nell’estate del 1972 il partito lanciò un appello all’opinione pubblica per raggiungere almeno la soglia dei 1000 iscritti necessari alla sopravvivenza. All’undicesimo Congresso di Torino che si svolse nei giorni 13 novembre del 1972, gli iscritti risultarono circa 1300 ciò permise di votare una mozione, importante perché confermava l’importanza dello statuto e gettava le basi del programma per gli anni futuri: "Il Partito Radicale veniva rilanciato con l’afflusso di nuove energie: si iscrissero liberali e repubblicani, presero la doppia tessera socialisti e comunisti...". La scelta referendaria uscita da Torino (confermata dal Congresso straordinario di Roma nel 1973) costituiva per i radicali la risposta necessaria a quello, che sempre più, secondo la analisi radicale, era diventato un regime assai simile a quello fascista: "La strada del referendum assumeva un valore che trascendeva le singole proposte abrogative. Stava a significare l’indicazione di uno strumento partecipativo e deliberativo attraverso cui cittadini provenienti da diverso orientamenti politici e ideologici potevano convergere e formare uno schieramento maggioritario...i diritti civili dovevano essere il terreno adatto per nuove aggregazioni...". La raccolta per le firme per gli otto referendum per una repubblica veramente costituzionale, doveva essere un modo per sviluppare un vasto dibattito e partecipazione nel paese, e per rompere il tradizionale equilibrio tra le forze politiche: due referendum riguardavano il Concordato nel 1929 tra Italia e Vaticano, il primo intendeva abrogare l’articolo 1 della legge 27 maggio 1929, che rende effettiva l’"esecuzione del trattato e del Concordato, sottoscritti in Roma fra la S. Sede e l’Italia, l’11 febbraio 1929"44, il secondo riguardava gli articoli 17 e 22 della suddetta legge inerente le disposizioni relative al matrimonio, secondo le quali le autorità ecclesiastiche potevano annullare i matrimoni, anche con effetti civili. Due erano i referendum che riguardavano la materia antimilitarista e precisamente l’abrogazione del codice militare di pace e dell’ordinamento giudiziario militare; due si occupavano della libertà d’informazione e intendevano abrogare la legge 3 febbraio 1963 che istituiva l’ordine dei giornalisti e la legge sulla stampa dell’8 febbraio 1948, ritenuta restrittiva. Il settimo referendum rivendicava la libertà di antenna, poichè intendeva colpire le disposizioni legislative del decreto 29 marzo 1973 che prevedevano l’allargamento del monopolio dell’Ente televisivo di stato sulle Tv via cavo. L’ultimo infine chiedeva l’abrogazione di articoli del codice penale che punivano i reati di opinione, e "le norme che riflettono una arcana concezione della vita familiare e avviliscono le condizioni della donna quali il diritto di aborto procurato su donna consenziente... e le norme contravvenzionali in tema di pubblici spettacoli...". Il 1974 è stato un anno importante per la storia del PR: fino ad allora malgrado l’apertura di diversi fronti e la vittoria del divorzio, i radicali restavano una minoranza isolata dagli altri partiti. Dalla primavera all’autunno del 1974 il PR, essenzialmente nella persona del suo leader Pannella, condusse una battaglia con digiuni, campagne di stampa ecc. per avere l’accesso alle trasmissioni della RAI, rivendicando per le minoranze, non presenti in Parlamento, il diritto ad usare i canali pubblici di informazione. La novità dello stile delle battaglie radicali aprì una discussione nell’opinione pubblica, che volse l’attenzione verso questo partito anomalo ma soprattutto verso il suo leader carismatico che ora si concentrava su un altro problema scottante: l’aborto. Infatti nel 1975 il PR si concentrò su questo obiettivo importante chiedendo la sua depenalizzazione e il varo di una legge che lo togliesse dal dramma della clandestinità. Già nel 1973 Adele Faccio a Milano aveva fondato il CISA (Centro Informazione e Sterilizzazione Aborto), federato al PR, che aveva assistito numerose donne. Il PR, come vedremo, assunse la responsabilità politica dell’iniziativa (Spadaccia venne arrestato e la Faccio si costituì) iniziando "...una campagna per un referendum abrogativo delle norme penali sull’aborto che proseguì anche con l’appoggio di una parte della stampa ("L’Espresso", "Panorama") e terminò positivamente nel luglio 1975 con la raccolta delle firme necessarie". Al XV Congresso tenutosi a Firenze nel novembre 1975 il PR riscontrò una cresciuta e irrobustita organizzazione. Infatti era salito il numero degli iscritti a circa 3000, e si cominciavano a delineare quelle strutture periferiche previste dallo Statuto, come i partiti regionali che stavano sorgendo in Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia. Questi risultati positivi furono alla base della decisione, presa allo stesso Congresso, di presentarsi per la prima volta da solo alle elezioni politiche: "La volontà di essere presenti in prima persona anche in fase elettorale interrompeva una linea seguita per oltre un decennio. Durante tutti quegli anni i radicali o si erano astenuti dal partecipare alle prove elettorali (politiche 1968, amministrative 1971, politiche 1972) o avevano appoggiato altri partiti della sinistra (politiche 1963: indicazione per tutte le forze della sinistra; regionali 1970: voto PSI con accordo; regionali 1975: appoggio esterno al PSI, al repubblicano Franco De Cataldo a Roma, e ad Avanguardia operaia). In realtà la decisione del 1976 di confrontarsi direttamente con l’elettorato aveva le sue radici anche nell’acquisita consapevolezza del gruppo di aver raggiunto sufficiente forza e ascolto nel paese...".
Alle elezioni politiche del giugno 1976 il PR si presentò con liste proprie sia alla Camera che al Senato, non più con il simbolo della dea libertà con il berretto frigio48, ma con la rosa nel pugno, emblema del socialismo libertario e ripreso a imitazione della sinistra unita francese di Mitterrand. I risultati pur esigui numericamente (ottennero infatti l’1,1%, 394.623 voti, al Senato invece ottennero lo 0,8%, 265.420 voti, ma nessun seggio) portarono i primi quattro deputati radicali in Parlamento. La scelta parlamentare del PR arrivava alla fine di un lungo percorso extraparlamentare: "La scelta parlamentare del PR non era contraddittoria con la natura del gruppo come in apparenza potrebbe sembrare. Nonostante lo stile politico quanto mai inusuale per il nostro paese, la trasgressione di leggi ritenute vessatorie, la continua provocazione, i radicali si sono sempre riconosciuti nella democrazia rappresentativa e nei suoi istituti...". Così il nuovo gruppo del PR arrivato alla Camera mantenne sia le caratteristiche di partito-movimento, coniugandolo con il nuovo status, sia trasferì in Parlamento i propri metodi di lotta che susciteranno a volte interesse in settori importanti dei grandi partiti di sinistra, ma si scontreranno spesso con le tradizionali forze politiche: " La cultura dei radicali coniugava elementi tutti estranei ai moduli di cultura esistenti nel paese: un soggettivismo di azione politica che aveva semmai gli antecedenti in una certa tradizione democratico-risorgimentale...unitamente a metodi di azione di derivazione anglosassone, fondati sul coinvolgimento personale, sulla fiducia nell’azione volontaria dei singoli cittadini o di piccoli gruppi, spingendosi fino alle prime sperimentazioni di azioni dirette, e all’uso esteso della disobbedienza civile".
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