11. Le battaglie esemplari: ENI, ONMI, piano Thirring, antimilitarismo, obiezione di coscienza, scuola, aborto, lotta per il divorzio

La fondazione nel 1963 dell’agenzia di stampa Agenzia Radicale, rispose all’intento del nuovo partito, ancora giovane e debole, di creare uno strumento funzionale agli obiettivi dell’azione che i radicali intendevano svolgere e ai metodi stessi connessi con quegli obiettivi. L’agenzia ebbe la funzione importantissima di esaltare i problemi della politica quotidiana e di stigmatizzare singoli episodi: "... le posizioni e le battaglie passarono tutte nell’agenzia di stampa che fungeva al tempo stesso da canale pubblicistico e da punto di riferimento di eventuali aggregazioni di interessi politici intorno alle campagne condotte".

Una delle prime battaglie politiche di Agenzia Radicale fu quella iniziata nel gennaio 1964 indirizzata all’ENI e ai suoi dirigenti Cefis, Girotti..., alla sua politica economica e al suo ruolo nella situazione politica di quegli anni. Ma come nacque questa battaglia che il piccolo PR ingaggiò contro il colosso di stato? Nel dicembre del 1963 i radicali ebbero modo di informare le direzioni di tutti i partiti della sinistra di aver raccolto elementi e documenti di estrema gravità riguardanti l’ENI. Questi documenti provavano che l’ENI era divenuto un centro di corruzione e di condizionamento nei confronti del potere politico: "Veniva inoltre documentato l’integrazione dell’ENI al regime doroteo, con le connessioni tra l’allora presidente della repubblica Antonio Segni, i servizi segreti del SIFAR facenti capo ai generali Allavena e De Lorenzo, e il vice presidente dell’Ente, Eugenio Cefis".Questi i fatti che Agenzia Radicale denunciò nei primi mesi del 1964: L’AGIP aveva versato circa mezzo miliardo al settimanale di estrema destra "Lo Specchio" che scatenò una campagna contro gli enti di Stato tranne l’ENI. L’ENI aveva distribuito attraverso l’AGIP 20 miliardi per asservire la stampa.

L’ENI aveva ormai trovato una situazione di equilibrio e spesso di accordo con le forze economiche private confindustriali, realizzando una politica di allineamento e di accordi di tipo monopolistico. Si trattava di documentazioni precise ma sulla stampa non passò neppure un rigo: "Questa campagna il cui significato politico fu comunicato in partenza ad alcuni dirigenti dei grandi partiti della sinistra per cercar di coinvolgere forze maggiori di quelle di cui potevano disporre i radicali, finì al contrario per essere proprio il fatto determinante delle ragioni di ostilità al nuovo gruppo da parte delle dirigenze comunista e anche psiuppina". I radicali infatti rappresentarono per la prima volta una forza di sinistra che aveva denunciato questi fatti, e toccarono un nodo che la sinistra organizzata non poteva e non voleva attaccare, sia per il coinvolgimento degli stessi partiti di sinistra nel sostegno del centro di potere, sia per un rifiuto di mettere in discussione il significato dell’economia pubblica: "Con lo strumento dell’indagine su una specifica struttura, sulla scia del metodo che era stato proprio di Ernesto Rossi e di Gaetano Salvemini, i radicali erano riusciti a centrare l’attenzione, nella prima metà degli anni sessanta, su una delle istituzioni cruciali del nuovo assetto del potere economico e politico. Uno dei mostri sacri della sinistra intera non veniva risparmiato... Allora si sarebbe individuato nelle partecipazioni statali uno dei principali fatti di crisi del meccanismo economico e del suo corretto rapporto con la vita democratica del Paese...". La Procura di Roma aprì un’inchiesta e nel maggio 1964 il Procuratore Giannantonio comunicò ai massimi i dirigenti dell’ENI la convocazione da parte dei sostituti procuratori Saviotti e Bruno: "Da Cefis a Girotti, da Bartolotta a Niutta, a molti personaggi dell’apparato amministrativo dell’AGIP, l’intero stato maggiore del più potente e prepotente ente di stato dovette rispondere alle domande dei magistrati..". Ma nonostante l’azione della Procura e il sostegno che venne dato ai radicali da alcuni settori interni all’ENI e dal sindacato CGIL dei lavoratori del petrolio, la campagna rimase senza seguito proprio per il silenzio e la difesa che stampa e partiti assicurarono all’Ente.

Il Partito Radicale attraverso la sua Agenzia Radicale si occupò anche dei problemi dell’assistenza pubblica. I radicali avevano individuato nell’esteso mondo dell’assistenza un elemento portante della costruzione del potere politico. Infatti a partire dal giugno 1965 l’agenzia di stampa iniziò una campagna di denuncia e informazione che metteva in luce i metodi di corruzione e di sostegno clericale con i quali si era formata in quegli anni la classe dirigente DC nella capitale: "Il Mondo clericale e ecclesiastico sa di godere, nel suo temporalismo di un’assoluta impunità... Con procedure corruttrici esso ha potuto realizzare in un ventennio un vero e proprio "saccheggio" in settori essenziali della vita del paese...da quello militare a quello della sicurezza sociale...". Agenzia Radicale raccolse una cospicua documentazione di sperperi, corruzioni, peculati che coinvolgevano ordini religiosi, enti di assistenza e l’ONMI (Opera Nazionale Maternità e Infanzia). Il PR presentò la denuncia nella quale si accusava l’ONMI di essere diventata una macchina elettorale a servizio della DC attraverso vari meccanismi: "...l’utilizzazione a fini elettorali dei cosiddetti "sussidi una tantum"...l’inflazione degli enti religiosi cui venivano riconosciute le caratteristiche di ente assistenziale...l’omissione dei controlli sulle forme di assistenza e sulle attività patrimoniali..,". Dopo un anno di indagini fu arrestato Amerigo Petrucci, ex sindaco di Roma e potente DC, reo secondo la Procura di Roma, di reati commessi tra il 1958 e il 1961, epoca in cui Petrucci era commissario dell’ONMI. Questa volta i radicali non furono soli nel condurre questa campagna: "Quell’azione ebbe eco anche sulla stampa di sinistra "L’Espresso", "Il Paese", la quale, per la prima volta dal nuovo corso, dette spazio all’attività radicale...".Nel 1964 il PR sempre attraverso Agenzia Radicale concentrò la sua attenzione su una proposta di Hans Thirring, un senatore della sinistra socialdemocratica austriaca, che aveva toccato un altro tema caro ai radicali: l’antimilitarismo. Il senatore aveva proposto un progetto di disarmo unilaterale dell’Austria che prevedeva la smilitarizzazione di una fascia di territorio anche da parte dei territori confinanti. Tale proposta fu pubblicizzata in Italia dal Partito Radicale, che aveva patrocinato per l’occasione la costituzione del Comitato per il Disarmo Atomico e Convenzionale dell’Area Europea. Fu allora concepito e diffuso un appello nel quale si sottolineava l’importanza del senatore, e si metteva in luce come essa poteva rappresentare un’adeguata risposta alla minaccia proveniente dall’autoritarismo militare di De Gaulle (si era nel 1964), dal fascismo portoghese e spagnolo. Furono più di quattrocento i Consigli Comunali che aderirono all’appello, e vi si associarono quali proponenti e firmatari; significativa fu anche l’adesione di Vittorio Vidali e di numerosi esponenti della federazione triestina del PCI. Purtroppo anche in questa occasione i partiti della sinistra si mostrarono completamente sordi all’appello radicale: "il significativo disinteresse di tutta la sinistra ufficiale per la proposta Thirring evidenziava la costante diffidenza del PCI e della sinistra tradizionale nei confronti del pacifismo e delle tesi del disarmo unilaterale...". Non un solo giornale riprese l’appello nè tantomeno spiegò ai lettori il suo contenuto: "quello era stato ritenuto un comportamento settario e discriminatorio dei maggiori partiti di sinistra, accusati di aver ignorato o distorto le informazioni sulle attività del PR, dopo aver parlato della "proposta Thirring"..."

L’antimilitarismo fu uno dei tratti caratteristici del nuovo partito secondo cui le strutture militari non erano altro che possibili veicoli di regimi autoritari. Posizione questa che lo allontanarono e lo resero diverso rispetto alle classiche posizioni della sinistra italiana. Alla posizione antimilitarista radicale contribuivano elementi diversi fra i quali l’avversione ai valori militari e autoritari in contrapposizione a quelli della non violenza e del libertarismo e la lotta alla corsa agli armamenti. Obiettivo della politica radicale era quindi una "progressiva trasformazione delle strutture militari, che rappresentano una costante indiscussa degli stati comunisti non meno che degli altri a diverso regime, in strutture di pace e di servizio civile". L’antimilitarismo radicale aveva come motivo peculiare e come bersaglio la militarizzazione della vita civile e le conseguenze del militarismo sulle strutture interne, e inoltre rifiutava la proliferazione atomica sia che fosse promossa da paese capitalisti che comunisti. Il disarmo unilaterale era già stato proposto da una rappresentanza del partito che aveva partecipato alla formazione, avvenuta ad Oxford nel 1963, dell’"International Confederation for Peace and Disarmement". Aderente a questa associazione e sotto l’impulso di gruppi di pacifisti e di radicali, venne organizzato nel 1962 un "Comitato per il disarmo atomico e convenzionale dell’area europea" (CDCAE). Attraverso di esso i radicali parteciparono alla Consulta italiana della Pace, realizzando una serie di iniziative specifiche come la marcia della pace tenutasi a Roma nel 1963 e un’altra per il Vietnam nell’aprile 1965. Di queste e di altre iniziative tra gli ispiratori e i principali animatori ci furono i radicali, che si scontrarono negli anni con formazioni extraparlamentari (soprattutto con Lotta Continua) e con altre organizzazioni pacifiste e in particolare con il Movimento della Pace, che rappresentava l’organizzazione comunista ispirata a una generica pace, che mai doveva entrare in contrasto con la politica internazionale dell’URSS: "Mentre i "partigiani della pace" (così si chiamavano i militanti del Movimento della pace) portavano nell’organismo unitario della Consulta la linea comunista, i radicali proponevano una posizione di disarmo che valesse nei confronti dei due blocchi, e in particolare, una decisa opposizione al riarmo e agli eserciti sia atomici che convenzionali in ogni regione del mondo...con il pacifismo e l’antimilitarismo i radicali si distaccarono dunque nettamente dalla pratica e dalle posizioni della restante sinistra."

Con questi temi così controcorrente i nuovi radicali poterono sperimentare metodi di azione diretta e nonviolenta che continueranno a caratterizzarlo da qui in avanti: azioni dirette, volantinaggi, sit-in divennero strumenti usuali di azione politica radicale. Nella cronaca delle battaglie pacifiste dei radicali è opportuno ricordare l’arresto degli studenti Lorenzo ed Andrea Strik Lievers, poi assolti, che il 4 novembre 1965 in occasione della festa delle forze armate, avevano distribuito a Milano, un volantino radicale sui temi del militarismo in cui si chiedeva il diritto a sostituire il servizio militare con un servizio civile alternativo: "Alcuni mesi dopo i due giovani furono arrestati rappresentando così le prime vittime dell’azione diretta nonviolenta radicale in campo antimilitarista...". Un ‘altra manifestazione, degna di essere menzionata, in cui fu arrestato Gianfranco Spadaccia all’epoca segretario del partito, è del 24 agosto dello stesso anno davanti alla sede commerciale dell’Ambasciata Greca: fu bruciata una fotografia del Re Costantino, sulla quale era scritto: "Vilipendiamo un capo di stato fascista". Il tema trattato con ostinazione dai radicali portò ad un’importante manifestazione che iniziata nel 1967, si svolse ogni anno fino al 1972. Infatti nell’estate di quell’anno si svolse la Marcia Antimilitarista sul percorso Milano-Venezia, che divenne un momento di ricerca di mobilitazione unitaria dal basso e uno dei classici appuntamenti dell’antimilitarismo italiano. La marcia infatti offrì per la prima volta nel nostro Paese un luogo e uno spazio di incontro, di dibattito per militanti antimilitaristi e provenienti da diverse esperienze e appartenenze ideologiche: "Con le marce, organizzate dai radicali con la partecipazione di anarchici, pacifisti di diverso orientamento, extraparlamentari anche di fede marxista, generici militanti di sinistra poterono costituire al tempo stesso momento di azione e di riflessione collettivo". Nel 1972 la marcia annuale mutò percorso per svolgersi tra Trieste e Aviano nel Friuli, e toccò quindi luoghi ritenuti sacri dalla retorica nazionalista e dai miti irredentisti. A questa "provocazione" la destra reagì con i deputati MSI già militari, Birindelli e De Lorenzo, che tentarono senza successo di far vietare la manifestazione. In realtà quella che da più parti era stata considerato un atto pericoloso, non era altro che una volontà di far riguadagnare alla sinistra democratica e pacifista il diritto di rendere ragione alle vittime delle guerre, e non lasciare alle forze eredi di passate responsabilità il monopolio di tali celebrazioni. L’invasione sovietica in Cecoslovacchia nell’estate del 1968 dette modo ai radicali di rivendicare con fermezza la loro ideologia antimilitarista: "Ovunque, anche nel mondo comunista, la funzione degli eserciti è repressiva e totalitaria; il loro compito non è più quello di garantire, nell’epoca della bomba nucleare e dei missili intercontinentali, la difesa di confini nazionali e la sicurezza internazionale, ma di controllare e di reprimere con le armi ogni mutamento democratico dal basso e ogni fermento rivoluzionario". Nel settembre di quell’anno i radicali si resero protagonisti di un’azione di protesta, rigorosamente non violenta: Marco Pannella, Marcello Baraghini, Antonio Azzolini e Silvana Leonardi per condannare l’occupazione della Cecoslovacchia da parte delle truppe del Patto di Varsavia, si recarono nella capitale della Bulgaria, Sofia, inscenando una pacifica distribuzione di volantini. I quattro furono arrestati e rilasciati subito dopo.Se l’antimilitarismo ha rappresentato lungo un decennio per i radicali, viste le condizioni internazionali, un ideale importante ma irraggiungibile, l’obiezione di coscienza ha rappresentato la specifica riforma che il PR ha individuato e perseguito come concreto, imminente e possibile obiettivo di azione. Infatti parallelamente alle marce antimilitariste, si svolse la lunga lotta per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza: "Fino al 1968 gli obiettori di coscienza in Italia erano pochi... Grazie all’azione radicale e al più generale clima del paese, con il ‘68 aumentavano le obiezioni motivate da ragioni politiche sicchè l’azione per il suo riconoscimento divenne uno degli impegni radicali". Rivelatasi palesemente insufficiente la legge Pedini dell’8 novembre 1966 che consentiva a qualche decina di laureati e diplomati di svolgere un servizio civile in Paesi del terzo mondo, il Parlamento italiano si trovò a dare attuazione a una risoluzione approvata nel gennaio 1967 dell’assemblea del Consiglio d’Europa, che affermava il principio fondamentale del diritto all’obiezione di coscienza. Tale risoluzione restò lettera morta per il Parlamento finché l’obiezione non fu affrontata con serietà fino a quando i radicali, con il loro obiettivo di rendere più ampio e incisivo il dibattito sul problema, furono tra i promotori della "Lega per il Riconoscimento dell’Obiezione di Coscienza" fondata nel 1969 a Roma. In un’assemblea nazionale della Lega, nei giorni 31 gennaio e primo febbraio del 1970, venne approvato un programma dove si definivano gli obiettivi: "L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli...la Lega intende svolgere la sua azione onde ottenere al più presto che il parlamento della repubblica approvi una legge adeguata che collochi l’Italia, in questo campo, al livello dei paesi più progrediti del Mondo". Nel sostenere questa posizione, che considerava l’obiezione di coscienza un fatto politico e non solo come fatto privato, e al tempo stesso tendeva a dilatarne il significato nella contestazione delle strutture militari, i radicali si mossero per organizzare obiezioni di gruppo, accelerando così i tempi della riforma. L’iniziativa si basò su diversi strumenti fra i quali il coinvolgimento della pubblica opinione attraverso digiuni di protesta, appelli e manifestazioni, la pressione al Parlamento grazie a migliaia di cartoline alla Commissione difesa della Camera. Nel 1970 vennero presentati alcuni progetti di legge, e nel luglio del 1971 fu approvato dal Senato un progetto di legge presentato dall’esponente della DC Giovanni Marcora molto restrittivo: non erano infatti ammesse le obiezioni di natura politica, era previsto che il servizio civile alternativo durasse otto mesi, uno più del servizio militare e, infine, i candidati potevano essere sottoposti all’esame di una commissione giudicante per valutarne le reali convinzioni. Continuavano intanto incessanti le dimostrazioni radicali come quella del marzo 1972 in cui Roberto Cicciomessere, ex segretario del PR, si consegnò alle autorità militari insieme a una decina di altri obiettori, proseguendo dall’interno del carcere di Peschiera dove fu rinchiuso, la battaglia con la denuncia delle condizioni e del trattamento degli obiettori. Il ricorso alle elezioni anticipate del 1972 fecero decadere il progetto Marcora approvato solo dal Senato. Il primo ottobre dello stesso anno i radicali iniziarono uno sciopero della fame collettivo, che portò all’impegno assunto il 4 novembre dall’allora Presidente della Repubblica Pertini di porre rapidamente all’ordine del giorno della Camera la votazione della legge Marcora per gli obiettori, che fu finalmente approvata il 15 dicembre, con alcuni emendamenti migliorativi rispetto al testo originale che si rivelerà inadeguata alle aspettative radicali: "Cari Compagni...come sapete il 15 dicembre è stata approvata alla Camera la legge per il riconoscimento giuridico dell’obiezione di coscienza. La legge è certo inadeguata, repressiva, discriminatrice...ma rappresenta una seria vittoria per tutti noi...". Nel gennaio del 1973, ottenuta la riforma con il principio dell’obiezione entrato a far parte dell’ordinamento giuridico, si costituì la LOC (Lega degli Obiettori di Coscienza) federata al PR, per affrontare i temi specifici derivanti dal nuovo assetto giuridico, ponendosi come obiettivo la modifica della legge con la creazione di un effettivo servizio civile smilitarizzato e con la possibilità per gli obiettori di scegliere gli enti presso cui prestare servizio, e per continuare l’agitazione antimilitarista dentro e fuori l’esercito. Lo scontro con le istituzioni militari infatti proseguì con processi e condanne agli obiettori tra cui quella di Cicciomessere, segretario della LOC, condannato nell’aprile del 1973 dal tribunale militare di La Spezia a molti mesi di carcere: "Ancora una volta... l’azione dei radicali in sostegno a quella degli obiettori provava quanto difficile fosse la trasformazione di leggi, di norme e di comportamenti, e verificava, proprio sull’obiezione di coscienza, la dura resistenza delle istituzioni all’introduzione di prassi democratiche".

Il PR nella intenzione di rinnovare radicalmente la società italiana individuò nella scuola un settore importante e fondamentale per la crescita di un paese. Attraverso organizzazioni studentesche universitarie come l’UGI e il "Comitato promotore del sindacato nazionale della scuola pubblica", formatosi grazie a dei radicali nel 1964, il PR cercò di dare impulso all’attuazione di istanze di rinnovamento quali la libertà di insegnamento e la riforma sindacale della scuola. Per quanto concerne infatti la scuola nel 1963 e negli anni immediatamente successivi il partito prese particolari iniziative, fra cui quella di rivitalizzare la ADESSPI (associazione per la difesa e lo sviluppo della scuola pubblica italiana). Questa associazione il cui congresso costituente si era tenuto a Roma nei giorni 19, 20 e 21 febbraio nel 1960 e che si era avvalsa anche dell’apporto di uomini non appartenenti al mondo scolastico, si rese portavoce della necessità di una effettiva applicazione degli articoli 33 e 34 della Costituzione, quelli cioè che regolano i problemi dell’istruzione. Al secondo congresso dell’ADESSPI nel 1963 i radicali, ritenendo blando l’apporto di altre associazioni, decisero di promuovere manifestazioni come la "marcia della scuola" del 1964, e convegni, come quello dello stesso anno sul tema "scuola e pace" e fornendo informazioni alla stampa per diffondere i temi del problema scuola. A tre anni dalla sua fondazione l’associazione mancava di una politica organizzativa e un impegno nella lotta politica quotidiana e le componenti maggioritarie erano immobili: "Già nel 1963 il PSI si era praticamente disimpegnato, confinando l’organismo nel dimenticatoio delle vecchie strutture frontiste. Il timore di atteggiamenti ancora più gravi da parte della sinistra di governo portava il PCI a congelare di fatto ogni possibile iniziativa di respiro... e gli altri gruppi della sinistra (sinistra socialista) persistevano in un atteggiamento di indifferenza". I radicali, che nella sezione dell’ADESSPI romana godevano della maggioranza, ebbero motivi di dissidio nell’organo nazionale di questa associazione con i socialisti e i comunisti che erano più numerosi, e ben presto i radicali abbandonarono l’ADESSPI accusandoli di anteporre ai problemi della scuola gli interessi partitici. Nel 1964 un’altra iniziativa del PR insieme ad alcune centinaia di insegnanti di sinistra, comunisti, socialisti dette vita ad un Comitato Promotore del SNSP (Sindacato Nazionale della Scuola pubblica); esso doveva servire a imprimere una svolta nella scuola pubblica italiana: "Il comitato promotore invita tutte le forze della scuola a raccogliersi ed operare insieme per esigere la convocazione di un congresso nazionale unitario che superi le attuali divisioni corporative e renda a questo settore che è di primaria importanza per lo Stato la capacità di esercitare efficacemente il proprio ruolo di direzione...afferma che la crisi del sindacalismo scolastico investe sia le strutture sia le stesse idealità, gli obiettivi e i metodi esistenti... le organizzazioni esistenti appaiono cristallizzate... incapaci di raccogliere la volontà di una grande battaglia per la democratizzazione e l’autonomia dell’insegnamento... Il comitato rivendica una organizzazione unica, comune e democratica di tutte le categorie del mondo della scuola...". Questa iniziativa non fu incoraggiata dalla CGIL a cui il sindacato pur faceva riferimento, ma gli fu contrapposto un sindacato scuola CGIL, emanazione dei vertici sindacali con la riproduzione al proprio interno dei dosaggi tra le correnti partitiche. Il comitato promotore del Sindacato Nazionale Scuola Pubblica continuò a registrare centinaia di adesioni, ma ben presto si trovò dinanzi alla scelta tra il proseguimento di una iniziativa che nonostante la buona volontà era iniziata sotto i peggiori auspici, o rinunciare ad operare in questa direzione: il PR scelse questa seconda soluzione.

L’aborto, che era già da anni un obiettivo del partito, divenne negli anni settanta un tema centrale di azione radicale e assunse presto il carattere di questione sociale di massa riguardante le donne, e su di esso si affondarono le radici dell’intero movimento femminista. Il PR infatti con i movimenti femministi ingaggiarono un’azione popolare in favore dell’aborto libero, gratuito e autogestito. Il 27 e 28 febbraio del 1971 si svolse a Roma il primo congresso del Movimento della Liberazione della donna in cui si parlò particolarmente del problema aborto. Tale movimento, sorto nel gennaio del 1970, si era prefisso i seguenti obiettivi: " 1) Conquistare alla donna il diritto di disporre liberamente del proprio corpo; 2) Combattere condizionamenti psicologici e modelli di comportamento; 3) Eliminare lo sfruttamento economico della donna perché essa possa raggiungere attraverso il lavoro non domestico la propria autonomia economica e psicologica". Questo congresso decise di iniziare da maggio una serie di autodenunce per aborto, e di preparare un progetto di legge d’iniziativa popolare che liberalizzasse l’aborto. Il 5 maggio l’MLD presentò alla stampa il suo progetto di legge sull’aborto che prevedeva anche l’abolizione dell’ONMI: con questo progetto veniva abrogata ogni norma punitiva dell’aborto volontario, mentre veniva punito il procurato aborto su donna non consenziente e chi impediva alla donna di abortire, qualora lo volesse. Veniva inoltre stabilito che: "Gli ospedali, le cliniche, le case di cura gestite da enti pubblici o che ricevono sovvenzioni pubbliche o che siano convenzionate con enti pubblici previdenziali o mutualistici, che abbiano reparti di ostetricia, ginecologia, maternità o comunque compiano prestazioni... debbono assicurare anche il servizio sanitario per l’aborto volontario o per la consulenza circa ogni mezzo anticoncezionale. I medici condotti non possono rifiutare le prestazioni per il conseguimento dell’aborto...". Tale progetto non raggiunse però le cinquecentomila firme necessarie per la presentazione in Parlamento, ma un progetto di legge sul tema venne presentato ad opera di deputati socialisti. Il primo, nel giugno 1971, venne depositato dai senatori Arialdo Banfi, Piero Caleffi e Giorgio Fenoaltea: l’aborto veniva ammesso solo qualora fosse pregiudicata la salute della donna o del nascituro, o la donna fosse incinta a causa di violenza carnale, o avesse compiuto i 45 anni, o se avesse avuto già cinque figli. Il 13 gennaio del 1975 venne arrestato il segretario del Partito Radicale Gianfranco Spadaccia, in seguito alla sua dichiarazione di corresponsabilità per la clinica di Firenze che aveva praticato migliaia di aborti, diretta da Giorgio Conciani (anch’egli arrestato) e organizzata dal CISA (Centro Italiano Sterilizzazione e Aborto): "...il dato prorompente che susciterà clamore è la fondazione a Milano il 20 settembre 1973 del CISA ad opera di Adele Faccio con la funzione di praticare aborti e attività informativa e pedagogica". Il segretario affermò la responsabilità politica del PR: "Fin d’ora assumiamo le nostre responsabilità politiche e militanti. Le comunichiamo come CISA, che è federato al Partito Radicale. Le assumiamo come Partito Radicale che appoggia e sostiene l’attività del CISA "95. Con questa assunzione di responsabilità politica, la questione assumeva da questo momento un aspetto di disorganizzata disobbedienza civile del quale si faceva carico un partito: "Si saldavano così, per i radicali, i due aspetti che da tempo contraddistinguevano il metodo del loro intervento: da un lato l’azione di mobilitazione popolare per trasformazioni legislative proposte direttamente...e dall’altro l’azione diretta, appoggiata, se necessario, da atti di aperta trasgressione di leggi ritenute ingiuste...". Dal 24 al 26 gennaio si svolse a Roma una conferenza nazionale sull’aborto, promossa dall’MLD e dal Partito Radicale: nella giornata conclusiva venne arrestata Adele Faccio, presidentessa del CISA con l’accusa di associazione a delinquere aggravata e procurato aborto pluriaggravato. Poco prima del suo arresto la stessa Faccio aveva detto nel suo intervento: "Soltanto la donna ha diritto di scegliere se abortire o no proprio perché la maternità è una cosa seria, molto più seria di quello che la Chiesa vuole ammettere". Al convegno Loris Fortuna prospettò la necessità di indire un referendum sull’aborto, e il 5 febbraio una delegazione comprendente Pannella e Livio Zanetti, direttore de "L’Espresso", presentò alla Corte di Cassazione la richiesta di un referendum abrogativo degli articoli riguardanti i reati di aborto su donna consenziente, di istigazione all’aborto, di atti abortivi su donna ritenuta incinta e di sterilizzazione. Al referendum patrocinato dalla Lega XIII maggio, da "L’Espresso", e naturalmente dal PR, aderirono anche Lotta Continua, Avanguardia Operaia e PDUP-Manifesto; ma una parte importante la svolse l’MLD che nel suo secondo congresso svoltosi a Roma l’11, 12 e 13 aprile oltre a ribadire l’impegno referendario, precisò di riaffermare "la propria volontà federativa al PR in quanto movimento di liberazione della donna che ha un suo specifico autonomo campo di lotta...". Il 15 aprile iniziò la raccolta di firme per il referendum per l’aborto, da indire per la primavera del 1976, che ottenne la ragguardevole cifra di oltre settecentomila firme: Il 30 marzo 1976 viene approvato alla camera l’articolo 1 della nuova legge sull’aborto, e il 2 aprile venne votato e approvato con 298 voti favorevoli sull’asse DC-MSI, anche l’articolo 2 che stabiliva che l’aborto era un reato, ma le pene previste non sarebbero stata applicate quando l’aborto era stato commesso per impedire un reale pericolo per la vita. Tutto ciò fu accolto con disapprovazione dal PR sempre più convinto della necessità di un coinvolgimento diretto del popolo sullo specifico obiettivo, ma lo scioglimento delle Camere nell’aprile del 1976 e le conseguenti elezioni politiche allontanarono per il momento il referendum (che si terrà nel 1981) dall’orizzonte politico: "Su quella decisione aveva influito decisamente la volontà di gran parte delle forze politiche di non tenere il referendum sull’aborto...".

Un ultimo obiettivo predominante della linea politica del Partito Radicale, perseguito con ostinazione per molti anni, fu affrontato come vedremo con successo nel 1976: il divorzio. "Il primo convegno nazionale del divorzio fu convocato alla fine degli anni ‘50 dal Partito Radicale. Negli anni successivi, sempre, il tema è stato caratterizzante della posizione radicale, e spesso in polemica con tutte le altre forze della sinistra o del centro laico, che sostenevano allora non essere questo problema davvero politico e davvero popolare". Questa battaglia risulterà sicuramente il tema politico su cui il partito fonderà o meno, a secondo dei punti di vista, le sue fortune future.

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