9. Alternativa e centrosinistra

Negli anni fra il 1956 e il 1962 i radicali si impegnarono attraverso i convegni sul piano culturale per dare nuovo vigore e significato ad un dibattito politico che sembrava ignorare i problemi concreti del paese e per disegnare un scenario politico migliore. Lo strumento per realizzare un nuovo corso politico si identificava in un nuovo schieramento politico quale alternativa alla DC e al PCI. Il leit motiv del dibattito politico di quegli anni fu la formula dell’alternativa e in seguito quella del centrosinistra: "... la formula rappresentava qualcosa di diverso e di più di un semplice accordo di coalizione: era la risposta di alcune forze politiche a profondi mutamenti socioeconomici nel paese e il modo in cui una parte della sinistra pensava di fornire una soluzione ai problemi della società in trasformazione apparsa con sempre maggior veemenza intorno agli anni ‘60". Lottando sui fronti cattolici e comunisti i radicali non cessarono mai di invitare il PRI e il PSDI ad abbandonare il quadripartito e unirsi al PSI per un’azione comune di sinistra, escludendo il poco liberale partito di Togliatti: "Il centrosinistra non intendeva soltanto essere l’alleanza di democristiani, socialisti, socialdemocratici e repubblicani, ma pretendeva di rappresentare un " nuovo corso"..."

Già nei primi mesi del 1957 il quadripartito stava cadendo, il centrismo, bersagliato dalle battaglie radicali, era ormai alla fine e la decisione dei repubblicani prima e di Saragat poi di uscire dal governo Segni a maggio di quell’anno fu accolta con soddisfazione da "Il Mondo" che vedeva nella fine del quadripartito il momento propizio per arrivare ad’ un’intesa fra i partiti laici: "Il centrismo è finito...Si apre nella nostra vita politica un’altra fase e per la prima volta da molti anni le forze democratiche laiche e rinnovatrici vi entrano avendo vinto una battaglia di grande importanza...l’immobilismo sembra finito". A Segni successe un monocolore DC presieduto da Zoli con l’appoggio della destra, ma non fu che un governo di transizione fino alle imminenti elezioni della primavera del ‘58. I radicali intanto si preparavano ad un’alternativa di governo, ad un’alleanza tra partiti laici e socialisti e condussero la campagna elettorale mantenendo una priorità: "L’esigenza assolutamente primaria di fermare l’assalto democristiano allo stato"76. La battaglia dei radicali era volta a combattere lo strapotere della DC nella vita politica, negli enti pubblici, nelle banche. questo era possibile con un’interlocutore importante e per questo Leone Cattani si rivolgeva i socialisti proprio per formare uno schieramento alternativo di governo, in grado di contrastare la clericalizzazione dello stato: "...si facevano sempre più insistenti nel Mondo, le voci di coloro che chiedevano la costituzione di una grande sinistra, di una "seconda forza" di opposizione...". I radicali temevano che la DC instaurasse un regime per conto della Chiesa che scendeva sempre più spesso nell’agone politico con pesanti interventi di chiara matrice politica sull’Osservatore Romano. L’arroganza del potere si manifestava in vari aspetti della vita pubblica; un esempio fu la risposta del presidente del consiglio, Zoli, alla di richiesta di La Malfa e Carandini rivolta ad ottenere che il tempo della propaganda elettorale radiotelevisiva fosse diviso equamente fra tutte le liste partecipanti alle elezioni. Zoli rispose che non poteva aderire a tale richiesta perchè da anni il PCI era aiutato da Radio Praga. il Mondo commentava con preoccupazione perchè questo episodio equivaleva dire: "Noi siamo i più forti; il mio partito ha in mano il potere, non dobbiamo dare spiegazioni a nessuno". Ma l’intento dei radicali non era solo rivolto a contrastare la DC ma anche al PCI. Il partito di Togliatti era sempre più incline a un modello di tipo sovietico con il soffocamento di qualunque dissidenza interna a cominciare dagli intellettuali come Calvino. Il Mondo commentava: "E’ ormai una forza di opposizione inutile per tutti fuorchè per il governo: fin quando una larga quantità di voti è raccolta da quella parte, i democristiani non subiscono nessun danno". Il settimanale visti questi presupposti invitava a formare un polo di sinistra democratica. Ed era compito del PSI, resosi autonomo dopo i fatti del ‘56, fungere da centro di questo polo. Il partito di Nenni stava dando prove concrete di questo distacco dal PCI, votando per esempio a favore dell’EURATOM e astenendosi sulla CEE, e il settimanale pannunziano non poteva che rallegrarsene: "I democristiani debbono mettersi l’animo in pace, il Partito Socialista esiste come una realtà autonoma ed operante. la discussione con questo partito è aperta". Nell’approssimarsi delle elezioni il PSI si andava rafforzando e acquistando consensi: la confluenza nelle sue file del transfuga Giolitti e del movimento di Unità popolare di Codignola non faceva che confermare questa crescita: "il problema commentava La Malfa è di lavorare sul terreno ideologico e quindi politico, per dare coesione a una grande forza capace di inserirsi fra il trionfante mondo cattolico da una parte e il mondo comunista dall’altra". La volontà di alleanza con il PSI era frenata dai sospetti suscitati negli ambienti radicali per la tendenza socialista a dialogare con i cattolici: "c’è il timore commentava De Caprariis che l’alleanza dei cattolici e dei socialisti non debba riuscire ad un compromesso social-confessional-corporativo...". Il Mondo invitava quindi i socialisti a liberarsi dal problema di collaborare o meno con i cattolici, ma di elaborare una precisa linea politica. Ma i tempi non erano ancora maturi per una nuova stagione politica che inizierà pochi anni dopo. La decisione alla fine del ‘57 di allearsi con i repubblicani per le elezioni del’58 e la successiva disfatta elettorale delusero i radicali: Il PCI mantennero la stessa percentuale di voto del’53, la DC passò dal 40 al 42%, i liberali, i socialdemocratici e i socialisti riuscirono ad ottenere un risultato lusinghiero. La sconfitta più vistosa toccò all’alleanza radical-repubblicana che ebbe meno suffragi di quelli ottenuti dal solo PRI nelle precedenti elezioni. Con un’analisi più meditata il Mondo rilevò che l’elettorato si stava spostando sempre più a sinistra84 : infatti mentre nel ‘48 la percentuale dei voti ottenuti dai partiti di sinistra, compresi i repubblicani e i socialdemocratici, era stata del 40,9%, nel ‘53 era salita ancora e nel ‘58 aveva raggiunto il 43,5%. Questa lenta ma costante crescita della sinistra manteneva intatto l’ottimismo dei radicali che era rinfrancato dal fatto che i socialisti, che per il PR era la componente essenziale per il rinnovamento del paese, avevano aumentato i loro consensi. Per il settimanale doveva continuare l’atteggiamento di netta opposizione dei partiti di democrazia laica e socialista: perciò incitava i repubblicani e i socialdemocratici a rifiutare l’invito del presidente del consiglio Fanfani a collaborare ad un falso governo di centrosinistra e a formare una "valida e ampia alternativa di sinistra democratica, laica e socialista". Tale rimase la posizione di radicali anche quando Fanfani riuscì a formare un governo che chiamò di centrosinistra con i socialdemocratici e con l’astensione dei repubblicani e dei monarchici. Il Mondo espresse la sua contrarietà: "Comunque su rimescolino le carte in Italia esistono soltanto tre maggioranze effettive: di centro, di destra, e di sinistra". Mentre le prime due erano impraticabili, la terza, cioè l’incontro con i socialisti era: "l’unica soluzione vera dei problemi del nostro paese". La caduta del governo Fanfani sei mesi dopo confermarono i timori dei radicali di una politica ormai stanca delle solite formule, e rinvigorì il progetto di collaborare con il PSI che ormai si presentava come un partito costituzionale e incline a una unione con la sinistra laica nell’elaborazione di un programma comune. Il Congresso del PSI tenutosi a Napoli confermò questa nuova tendenza con la svolta di Nenni che abbandonò la formula dell’apertura a sinistra per quella dell’alternativa socialista. La decisione di Nenni si aggiunse al rifiuto dei repubblicani e socialdemocratici di Saragat (ormai privi dell’ala sinistra che, uscita dal partito, aveva fondato il MUIS, destinato a confluire nel PSI) di partecipare a qualsiasi governo con la DC all’infuori del centrosinistra. Alla DC venne quindi a mancare quella copertura laica che, attraverso la formula centrista, le aveva permesso di governare e all’interno del partito di maggioranza vennero a galla contrasti fra le diverse correnti: la sinistra era per un’apertura ai socialisti, la destra di Andreotti preferiva l’alleanza con i partiti di destra, mentre i dorotei puntavano sull’immobilismo per conservare il potere. La DC fu così costretta a ricorrere al monocolore Segni sostenuto dai liberali, monarchici e missini. Il Mondo commentò che era l’eterno monocolore e rilevò che la sinistra italiana aveva davanti a sè la sola via di un’opposizione democratica, alternativa. Fra il primo congresso radicale del febbraio 1959 e il secondo congresso nel maggio 1961, i radicali guardarono con maggiore interesse il gioco politico nel quale inserirsi. In quegli anni infatti il Partito radicale cambiò linea politica passando dalla formula dell’alternativa a quella del centrosinistra. Non fu un cambiamento di rotta come alcuni hanno pensato88. Si trattò invece di un passaggio graduale da una posizione di assoluta intransigenza ideologica ad una più realistica visione della situazione politica. I radicali, di fronte alle mutate condizioni politiche come la crescente disponibilità del PSI a collaborare con la DC, si volsero ad obiettivi più immediati pur restando fedeli ad una strategia di fondo. Il primo punto perseguito dai radicali era quello di costringere la DC, attraverso un fronte unitario dei partiti di democrazia laica e socialista a scegliere fra gli schieramenti dei partiti una linea politica: "Il prezzo che la DC deve decidersi a pagare se vuole evitare il fronte popolare e la fine della democrazia italiana scriveva Adolfo Battaglia è il riconoscimento della sufficienza democratica del PSI, è l’incontro programmatico con tutte le forze della sinistra democraticamente qualificate: è in altri termini una autentica politica di centrosinistra". La vecchia tesi di alternativa di governo lascerà il posto a un’alternativa di linea politica che d’ora in avanti sarà sostenuta dai radicali: "Che cosa significa infatti continuava Battaglia alternativa democratica? Significa esplicitamente, alternativa di linea politica, alternativa di potere reale...cioè trasferimento del potere reale di direzione dello stato da certe forze, che oggi sono quelle clericoconservatrici...ad altre forze, che sono quelle della sinistra democratica laica socialista e cattolica". La lunga battaglia per il centrosinistra fu condotta con instancabile tenacia da il Mondo e dai radicali: la politica di centrosinistra non doveva essere una semplice formula di maggioranza o di governo, ma l’avvio della soluzione dei problemi politica irrisolti e doveva rappresentare lo sbocco obbligato della vita politica. La partecipazione indispensabile del partito socialista allo sviluppo democratico del Paese era subordinata a una frontiera tracciata alla sua sinistra. I primi segni di distensione tra Krushev e Eisenhower non risolvevano secondo il Mondo il problema fondamentale, cioè la fedeltà del Pci allo statoguida, da cui derivavano i problemi di libertà, di democrazia e di autonomia che costituivano " da più di trent’anni il nocciolo di tutte le divergenze fra socialisti e comunisti". Verso la fine del ‘49 e i primi mesi del ‘60 l’apertura a sinistra sembrava imminente; secondo La Malfa si era giunti alla fase decisiva: "Si trattava di sostituire a una formula e a un programma politico, controllati strettamente da forze moderate, interne ed esterne alla DC, una formula e un programma politico che fossero controllati dalle forze della sinistra democratica, laica e cattolica...". Il Mondo tuttavia non ignorava la resistenze delle forze contrarie all’apertura a sinistra che avrebbe potuti spaccare lo schieramento politico: "c’è obiettivamente una coalizione clerico-fascista nel paese...". I timori del settimanale pannunziano furono confermati dalle dimissioni del governo Moro che stava faticosamente lavorando per un’apertura a sinistra. Nella crisi che ne seguì i partiti laici e i socialisti costituirono un fronte compatto e deciso ad accettare solo la soluzione di un governo di centrosinistra. Il Mondo soddisfatto commentava: "Per la prima volta in Italia si ha una coalizione abbastanza compatta che comprende non soltanto i radicali, i repubblicani, i socialdemocratici e i socialisti ma anche una larga parte della DC...". Questa unità dei partiti laici costrinse la DC a scegliere se allearsi con le destre o con le sinistre. Trattative formali furono aperte tra i socialisti e i democristiani, ma Segni, che aveva avuto l’incarico da Gronchi, che tentò una simile operazione trovò di fronte l’opposizione netta di tutti i gruppi conservatori del paese, dalla Confindustria alle Acli, dai coltivatori diretti alla Chiesa. La coalizione definita "clerico-fascista" dal Mondo riuscì a imporre Fernando Tambroni come presidente del consiglio che si appoggiò ai voti delle destre. Durante i tragici fatti di Luglio, seguiti alla rivolta della popolazione genovese contro il congresso del MSI, quando, come il Mondo aveva temuto, il paese rischiò di spaccarsi in due, i radicali parteciparono alle manifestazioni popolari antifasciste e agli scontri con le forze dell’ordine. "Quando sono in gioco i valori dell’antifascismo, la difesa della carta costituzionale, si ricostituisce inevitabilmente l’unità di tutte le forze che non vogliono il fascismo..." . Caduto Tambroni i radicali aderirono con riluttanza al governo delle convergenze parallele, ideato da Moro e presieduto da Fanfani. Il governo, sostenuto dai voti dei repubblicani, socialdemocratici e liberali con l’astensione dei socialisti, si presentava come un governo di emergenza col compito di ristabilire l’ordine democratico spezzato dalla triste vicenda tambroniana. Per i radicali questa situazione non rappresentava un momento di scelta di linea politica del partito di maggioranza come essi auspicavano, ma invece un’occasione, un’ancora di salvezza per la grave crisi della DC. I radicali pur con queste riserve si impegnarono a non attaccare il governo fino alle amministrative del novembre del ‘60. In realtà il governo delle convergenze parallele rispondeva perfettamente al disegno di Moro di prendere tempo per poter sviluppare la sua azione mediatrice in attesa di condizioni più favorevoli, soprattutto nell’ambito della chiesa. Dalle convergenze parallele al primo vero governo di centrosinistra, costituito da Fanfani nell’ottobre del ‘62, il Partito Radicale insisterà con convinzione in questa direzione. A conferma di ciò, per le elezioni amministrative radicali e socialisti conclusero un’alleanza elettorale: "Socialisti e radicali si sono trovati d’accordo nel proposito di proseguire la lotta per una svolta a sinistra della politica italiana...hanno ritenuto che la prossima consultazione elettorale sarà il banco di prova di questa politica...Essa dovrà superare l’attuale situazione transitoria di emergenza, della quale il governo Fanfani è espressione...". Il Mondo confermava questa alleanza: "Se oggi i radicali in piena autonomia si schierano accanto al partito socialista nella competizione amministrativa... vuol dire che essi giudicano la situazione politica matura per una nuova vigorosa iniziativa di rottura e di trasformazione". I risultati delle amministrative registrarono, rispetto alle politiche del ‘58, un notevole progresso del PCI, una consistente perdita della DC, e un lieve miglioramento del PSI. I radicali ottennero una cinquantina di seggi nei consigli comunali e provinciali di cui tre a Roma (Cederna, Piccardi e Foà) e quattro a Milano (Scalfari, Bodrero, Turone e Vittorini). La svolta politica che i radicali chiedevano non si verificava. Le convergenze parallele, passata l’emergenza, non avevano più senso e l’irritazione verso l’atteggiamento dilatorio di Moro cresceva sempre di più. In questo clima di nervosa attesa emergevano all’interno del partito alcune divergenze. La maggioranza che comprendeva il gruppo del Mondo vedeva nel centrosinistra l’unica via percorribile mentre Ernesto Rossi era contrario a una soluzione del genere poichè con il suo intransigente anticlericalismo non concepiva un’alleanza di governo proprio con l’espressione politica del potere clericale. L’opposizione più decisa alla linea prevalente del partito proveniva dai giovani che, divisi in due gruppi, occupavano le due ali estreme dl partito. A destra il gruppo Ferrrara, Rodotà, Jannuzzi auspicava la formazione di un fronte con repubblicani e socialdemocratici; a Sinistra il gruppo Pannella, Spadaccia, Teodori che sosteneva che il Partito Radicale doveva perseguire una politica di alternativa alla DC in comune non solo con la sinistra democratica, ma anche con quella comunista. Queste tre tendenze si confrontarono al secondo congresso del partito, svoltosi a Roma, il 26 maggio del 1961: la linea di centrosinistra, duramente attaccata dalle due ali minoritarie, fu confermata sul Mondo da Piccardi che rispose così alle critiche: "Lo strumento concreto di una politica di sinistra democratica è stata ed è ancora oggi quella linea di azione che ha preso ora il nome di alternativa, ora quello di apertura a sinistra: due formule che molti si ostinano a considerare contrapposte, mentre sono e sono sempre state, due facce dello stesso processo... in questa situazione non esiste un’alternativa nel potere che ne possa escludere la DC: vi è solo una politica di alternativa a quella del partito di maggioranza relativa. Politica di alternativa...come può costituire la piattaforma di una formula di collaborazione tra sinistra democratica e DC". Il dissenso fra le varie correnti confermato dal Congresso, si accentuava riguardo il rapporto con il PSI: Scalfari e Piccardi sostenevano che l’unica via per i radicali era un’alleanza con il PSI vista la recente esperienza delle amministrative. Cattani invece voleva che il partito fosse libero da impegni elettorali visto che la sua linea doveva rimanere quella dell’alleanza di tutte le forze della sinistra democratica. Su una posizione a parte stava Ernesto Rossi che non credeva in un’evoluzione democratica della DC e diffidava del PSI. In realtà col mutare della situazione interna e internazionale, il Partito Radicale, avviandosi a passare dalla strategia delle grandi riforme alla tattica delle scelte immediate di partito, stava esaurendo la sua funzione. Nell’autunno del 1961 il processo verso l’incontro fra socialisti e democristiani sembrava avviato a soluzione. In questo quadro gli eventi internazionali come la distensione fra Krushev e Kennedy e la "prudente simpatia" espressa dal presidente americano per un’apertura a sinistra in Italia, sembravano aiutare lo sviluppo politico. Nel luglio dello stesso anno, Giovanni XXIII, con l’enciclica Mater et Magistra, invitava i cattolici a operare per la giustizia sociale scegliendo le alleanze più idonee a tale fine. Avvicinandosi quindi l’obiettivo più immediato della loro azione politica, i radicali rischiavano di perdere lo slancio che li aveva sorretti fin dalla loro comparsa sulla scena politica. Sullo sfondo di tutto ciò sopravvenne il caso Piccardi a porre fine al partito radicale nella sua forma originale. Un Taccuino del Mondo spiegò le ragioni della scissione:" Da alcuni mesi il Partito Radicale era in crisi. Se finora avevamo preferito non toccare questo argomento, per noi così doloroso, era perchè conservavamo ancora la speranza che in qualche modo si potesse guarire il male che aveva colpito un partito...le cose purtroppo sono andate diversamente e la crisi è finita nella rottura. Era questa ormai la conclusione naturale. Un caso penoso e delicato, che a torto veniva definito "personale", mentre era un caso politico e insieme morale ha travagliato a lungo la vita del partito. Una parte dei soci si era schierata intorno ad un uomo pubblicamente discusso perchè gli fosse data, per il suo passato, una solidarietà che un’altra parte dei soci obiettivamente non avrebbero potuto concedere...questi soci dimostravano di essere disposti a distruggere il partito pur di ottenere qualcosa che in realtà doveva lasciare inappagate lo loro coscienze. Giacchè le assoluzioni non si ottengono a colpi di maggioranza, nè tanto meno si chiedono sotto la minaccia di rotture e di rappresaglie". Concluso il Congresso di Napoli della DC nel gennaio di quell’anno col successo delle tesi di Aldo Moro, cadeva la formula delle "convergenze" per dar luogo, nel marzo, al primo esperimento di centrosinistra. Fanfani succeduto a se stesso, formava nel marzo 1962 (definito dal Mondo "l’anno della nuova frontiera") un governo con socialdemocratici e repubblicani su un programma concordato con i socialisti che, pur con la formula dell’astensione, l’appoggiavano dall’esterno, impegnandosi a votare a favore dei singoli provvedimenti. Il governo Fanfani durò fino alle elezioni politiche del 1963, e durante tale periodo furono realizzate le riforme più significative del centrosinistra e indicate costantemente dai radicali e dal gruppo del Mondo: la nazionalizzazione dell’industria elettrica, l’istituzione della scuola media unica e obbligatoria fino ai quattordici, l’imposta cedolare sulle azioni. Nonostante questo promettente avvio la svolta che i radicali si auspicavano non avvenne. L’ingresso socialista al governo veniva ostacolato non solo dalla sinistra del partito, ma soprattutto dall’opposizione degli ambienti conservatori e moderati della DC. Un primo ostacolo al centrosinistra si ebbe con l’elezione nel maggio 1962 di Segni a presidente della repubblica, imposto da Moro da contrappeso alla nuova politica, preferito al candidato delle sinistre Saragat. Il centrosinistra non riusciva a decollare ma anzi metteva in crisi i partiti che ne facevano parte come nell’elezioni del ‘63 dove sia il PSI che la DC perdevano a danno del PCI. Nel dicembre 1963 si ebbe finalmente il primo centrosinistra organico con il governo MoroNenni106. Il Mondo parlò di " avvenimento storico poichè per la prima volta nella storia unitaria del nostro paese" il PSI assumeva "direttamente e coraggiosamente la direzione della cosa pubblica, mettendo da parte le tentazioni demagogiche ed il complesso dell’opposizione". Dal ‘62 al ‘64 il Mondo incitò e criticò costruttivamente l’azione del centrosinistra. Nei punti del programma figuravano infatti riforme invocate a lungo dal settimanale di Pannunzio: la riforma urbanistica, fiscale, della scuola, l’attuazione delle regioni, la legge antitrust. La maggioranza di centrosinistra si trovò presto a fare i conti con scissioni nel mondo socialista, (come quella del 1964 dell’ala sinistra dei socialisti di Basso che formeranno il PSIUP) e critiche dagli ambienti conservatori e confindustriali. Il 21 marzo del 1964 Il Mondo con il suo ultimo convegno "La politica del centrosinistra" tentò un primo bilancio dell’esperienza. Anche se il bilancio non era confortante all’infuori del centrosinistra, gli Amici del Mondo non vedevano un’altra possibile alternativa di potere. Alla fine di giugno il governo entrò in crisi per un’ennesima inadempienza degli accordi circa i finanziamenti alla scuole private. La DC ormai saldamente in mano al gruppo doroteo non era più in grado di garantire una seria politica riformatrice. Il secondo governo Moro rappresentò una vera e propria inversione di tendenza, ma l’elezione di Saragat alla presidenza della repubblica alla fine del 1964 aveva fatto rinascere le speranze di una ripresa della politica riformistica: "Non c’è dubbio scriveva il Mondo che l’esigenza di un’immediata ripresa politica sia nella cose stesse...Procedere alla verifica del centrosinistra altro non può voler dire se non riconfermare il rilancio del programma e di tutto il programma di governo".


Il 1965 fu l’anno peggiore del centrosinistra: scriveva il Mondo: "La DC insabbia, rinvia...", e il settimanale sottolineava con delusione il fatto che tale progetto fosse finito nell’immobilismo: "La lentezza è diventata un metodo, un vizio, un’esasperazione. L’unica decisione che sembra possibile prendere...è sempre quella di non prendere decisioni, di rimandare, di consultarsi ancora. E’ il significato stesso del centrosinistra a perdere in questa lenta nebbia del non fare, la sua consistenza e la sua fisionomia". Il Mondo rimanendo fedele alla sua ispirazione originaria assisteva alla progressiva disintegrazione di una linea politica alla degenerazione della vita politica, alla lotta per posti di prestigio, alle manovre di sottogoverno, agli scandali come quello dell’INPS che rendevano nullo ogni sforzo riformistico: "Lo scandalo vero in Italia è rappresentato dall’inspiegabile e colpevole inerzia della classe politica e di un governo di fronte alla scoperta sempre più frequente di situazioni che denunciano il grave stato in cui versano tutte le branche della pubblica amministrazione... Ogni futura possibilità di mandare avanti una politica di riforme...è ormai condizionata dalla soluzione del problema della correttezza della vita pubblica...". Il settimanale e i radicali speravano ancora nel rilancio del centrosinistra anche se la situazione non era più propizia: "Manca è chiaro la volontà politica, la volontà di fare: Manca lo spirito di iniziativa, lo slancio, il coraggio. Al vertice è tutto fermo...". Nel febbraio del 1966 si costituì il terzo governo Moro di centrosinistra. Il giudizio del Mondo era ormai negativo: il centrosinistra era considerato "come la formula della stabilità e della moderazione sociale". Il settimanale con amarezza constatava che il connubio cattolici-socialisti era destinato a durare in una situazione bloccata che escludeva le minoranze dalla vita politica, quelle minoranze che avevano contribuito e sperato nel progetto riformistico del centrosinistra: "Come è sempre stato il loro destino concludeva toccherà ancora alle minoranze indipendenti ritrovare la propria ineliminabile ragion d’essere, riesaminare le proprie ideologie e i propri compiti e ricominciare da capo". Il tanto desiderato programma della pianificazione si disfaceva nel vuoto di una politica debole: il settimanale scriveva che mentre i politici declamavano stancamente le loro formule, i grandi gruppi oligopolistici andavano per la loro strada "ignorando le pallide dichiarazioni di principio del potere politico, del centrosinistra...le grandi decisioni in materia economica vengono prese fuori dal piano. Ma il fatto è che il piano ancora non esiste". Parallelamente al fallimento del centrosinistra si concluse anche la vicenda del settimanale che in tale progetto aveva creduto e aveva rappresentato una tappa fondamentale per i radicali nella battaglia contro il centrismo e il frontismo che il giornale aveva intrapreso sin dall’inizio. "La maggiore ambizione politica ha scritto Tamburrano era la sfida democratica al comunismo. Rompendo l’alleanza tra socialisti e comunisti e isolando il PCI all’opposizione la classe dirigente e socialdemocratica era certa che sarebbe diminuito il peso elettorale del partito comunista. se si fa un bilancio... la sfida appare vinta dal PCI... il PSI che avrebbe dovuto contestare al PCI la guida del movimento operaio si è indebolito in modo serio... Il centrosinistra in definitiva, non ha risolto. anzi ha reso più acuto il problema del PCI." Anche i radicali si fecero coinvolgere in questo errore di valutazione continuando a mantenere un atteggiamento di netta contrapposizione al comunismo: "proprio negli anni in cui sottolinea Tamburrano il PCI punta sempre meno sulle modificazione del rapporto di forza tra Usa e Urss... e sempre più sulla sua capacità...di legarsi a strati crescenti della popolazione".

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