8 La terza forza

Nelle elezioni del 18 aprile del 1948 il gruppo dei piccoli partiti laici (PLI, PRI, PSDI) aveva conseguito complessivamente il 13,4% dei voti, contro il 48,5% della DC e il 31% del fronte democratico popolare (PCI-PSI): queste cifre rivelavano la debolezza della cosiddetta "Terza Forza". In realtà anche di fronte al successo democristiano che aveva avuto la maggioranza alla Camera e alla buona tenuta delle sinistre, i laici continuavano a rappresentare una discreta parte del corpo elettorale e soprattutto, una tradizione politica di grande prestigio; ma erano divisi, separati più che da sostanziali divergenze ideologiche, dalla difesa di qualche interesse particolare e da molte rivalità di parte. La difficoltà maggiore per i "partitini" era quella di doversi muoversi in una congiuntura internazionale difficile che si ripercuoteva sulla politica italiana ed in queste condizioni era difficile impostare un discorso di alternativa alla DC e al comunismo. Il fronte laico si illudeva così di poter trovare una strada tra il conservatorismo clericale-democristiano e la sinistra marxista. In realtà, la vaghezza dei loro programmi e la persistente debolezza organizzativa e la sudditanza alle direttive democristiane non rassicurarono una piccola e media borghesia che preferì rimanere fedele alle strade elettorali conosciute. Proprio negli anni fra il ‘51 e il ‘53 lo spostamento di larghe masse piccolo-borghesi, specialmente al Sud, verso le file monarchiche e missine tolse ai terzaforzisti quel terreno su cui contavano per un rilancio laico del nostro Paese.

Fulcro e convinto assertore della terza forza fu proprio il gruppo laico che si era raccolto intorno a "Il Mondo" che era approdato, come abbiamo visto, al Partito Radicale e apparteneva a quell’area liberal-democratica molto vicina alla destra del Partito d’Azione. Nel periodo clandestino aveva fondato il nuovo PLI e decisamente antifascista e ispirato alla religione della libertà di Croce, si dimostrava sensibile ai problemi sociali da risolversi col metodo liberale e si ricollegava in un certo senso alle posizioni di Gobetti e di Amendola. Aspirava alla costituzione di uno stato moderno incorrotto ed efficiente e ad una classe dirigente che fosse espressione della migliore borghesia italiana immune da suggestioni dogmatiche e confessionali. Era una linea coraggiosa che non ebbe il tempo e lo spazio di farsi valere. I ceti illuminati della borghesia italiana su cui il nuovo liberalismo contava erano divisi e seguivano in larga misura il Partito d’Azione. Prima ancora che il Nord fosse liberato, dove le istanze di un neo liberalismo avrebbero potuto raccogliere maggiori adesioni, confluì invece nel partito il movimento di Democrazia Liberale, formatosi intorno al Governo Badoglio costituito da vecchie clientele governative e trasformistiche che non avevano conosciuto la Resistenza e che erano generalmente conservatrici e monarchiche. A poco a poco anche dal Nord liberato rientrarono nelle file uomini del passato conservatore e reazionario, esponenti di ceti moderati e ben pensanti a riprova che, nell’opinione pubblica italiana, il termine liberale aveva un significato conservatore. Perciò il nucleo fondatore del PLI era destinato a scontrarsi con la maggioranza monarchica e conservatrice che al referendum per la repubblica decise di votare per il Re e alle elezioni impose l’alleanza con l’Uomo Qualunque di Giannini, nominando segretario il reazionario Roberto Lucifero. Troppe le differenze di pensiero, di strategia politica. Ai fondatori della sinistra liberale raccolti intorno alla rivista di Panfilo Gentile "Rinascita Liberale" non rimaneva che abbandonare il partito. In un convegno tenuto a Roma il gruppo decise di restare unito e di creare una nuova formazione politica a cui fu dato il nome di Movimento Liberale indipendente con sede a Firenze e con presidente un noto liberale della città, Enrico Finzi. Il movimento non partecipò alle elezioni politiche del 1948, ma si pose l’obiettivo di un moderno liberalismo che indicasse una "terza via", la ricerca di un’intesa con le forze di democrazia laica, con i repubblicani, con i socialdemocratici: si maturò così l’idea della terza forza che Spadolini così ha definito: "...quello schema di intesa tra le forze intermedie, che abbracciava il PLI, il PSDI, il PRI, e tendeva a costruire un cartello laico come cuneo di rottura fra una DC arroccata su una posizione egemonica moderata e la sinistra socialcomunista...". Dal 1949 fu Il Mondo a farsi sostenitore della necessità di una terza forza: Mario Paggi dalle colonne del settimanale pannunziano sperava che numerose forze si sarebbero presto staccate dal PCI e sarebbero confluite nei democratici. L’esito delle elezioni rafforzò nei liberali di sinistra la convinzione che soltanto una terza forza laica avrebbe potuto sbloccare una situazione senza sbocchi. Le forze democratiche e laiche avrebbero dovuto costituire un fronte unico contro lo strapotere della DC, l’invadenza del clero e la minaccia del totalitarismo comunista, se si volevano salvare i valori trasmessi dal Risorgimento. In questi anni pressante e continuo fu l’invito alle forze laiche dei liberali di sinistra in questa direzione: Arrigo Cajumi rivolse un appello ai socialdemocratici di Saragat, altra componente essenziale di questo ipotizzato schieramento, che dovevano diventare coi repubblicani e coi liberali un polo di raccolta e organizzazione politica della classe media progressista: "... I borghesi piccoli e medi sono diffidentissimi verso un partito che non ha rotto i ponti con il "proletariato" e con il dirigismo economico, e vorrebbero un Saragat umanista e laico, che lasci in pace gli affari... rintuzzi la invasione clericale...". Il maggior impegno del Movimento Liberale indipendente fu appunto quello di cercare punti di incontro, alleanze elettorali (amministrative del ‘51), accordi, iniziative comuni con gli interlocutori prediletti.

Ma i laici si sottrassero spesso agli inviti dei liberali di sinistra. Nella primavera del’49, per esempio, Movimento Liberale organizzò un convegno sulla terza forza a Firenze, ma i maggiori rappresentanti dei partiti laici, La Malfa e Saragat non vi parteciparono. I partiti erano troppo dipendenti dal centrismo degasperiano. Essi speravano di poter condizionare meglio la DC stando al governo piuttosto che all’opposizione, un’opposizione rischiosa perchè l’elettorato non avrebbe capito. Nè il PCI poteva rappresentare una forza alternativa, impegnato a sostenere la politica staliniana e non a fare un’opposizione costruttiva. All’interno dei minori però però non mancavano segni di dissenso alla linea ufficiale delle segreterie. Nel PSLI le correnti di sinistra premevano per una politica più incisiva e riformistica; nel PRI si rafforzava la corrente di La Malfa contro la governativa ala pacciardiana. Puntando su questi fermenti i liberali di sinistra lanciarono dalle colonne de "il Mondo" ripetuti inviti ai partiti laici di politica comune. Per attuare un disegno del genere si doveva cercare il favore dei ceti medi, le forze più inclini ad appoggiare un movimento d’opinione: "Oggi scriveva Mario Ferrara o potremo dar vita a questa terza forza che esprima la volontà degli uomini liberi o, tra breve, non avremo più nulla da fare se non chiederci a chi servire". In difesa della terza forza si aggiunse anche la voce di Salvemini.; la terza forza a suo parere doveva consistere in una confederazione fra i gruppi di centro sinistra e di sinistra che si impegnassero ad un’azione comune " per la conquista di quella mezza dozzina di riforme necessaria al paese e di cui non si occupano ne clericali ne’ comunisti... Questa e’ la ragione per cui in Italia c’è posto per una terza forza, cioè per uomini che non vendano né a destra né a sinistra il loro diritto di progenitura per un piatto di lenticchie". Il Paese non era politicamente maturo per avere un modello occidentale di forze liberali e i piccoli partiti non avevano il coraggio di avventurarsi in strappi clamorosi. Nonostante le prospettive non fossero proprio rosee, il gruppo tentò ugualmente di offrire al Paese un’alternativa. "Il Mondo" fu infatti in quegli anni la sola voce libera e democratica di opposizione al governo-regime DC. La dialettica democratica era in pericolo a causa, secondo " Il Mondo", della natura stessa della DC: "La DC notava Averroè pseudonimo di Panfilo Gentile come partito sincretistico finisce per avocare a sé le funzioni specifiche dei singoli partiti debilitando la dialettica democratica". La spregiudicatezza del settimanale di Pannunzio l’invito della sinistra liberale ad un’azione comune, ebbero comunque una funzione di stimolo sui partiti democratici, contribuirono a infrangere molti tabù e a preparare il terreno per un’evoluzione politica e culturale del Paese. Era una voce sgradita soprattutto per la DC, ne è un’esempio il famoso attacco di Scelba a Venezia nel ‘49 contro quel mondo liberale e laico da lui definito culturame. A questo attacco reagì Il Mondo: " ... Il partito vuole che nessuna altra forza politica sopravviva alla DC stessa. Liberali e laici sono condannati a perire... i democristiani non si accontentano di avere la maggioranza, vogliono l’unanimità. Non basta loro di governare? dimenticano un fatto importante: il 18 aprile vinsero non perchè gli undici milioni di votanti fossero tutti democristiani, ma per "La paura" del Paese. Scelba e Dossetti credono forse che gli italiani abbiano votato per la Rerum Novarum? che dobbiamo concluderne? l’anticlericalismo era finito in Italia, ma certi oratori sembrano uno sforzo della natura per farlo risorgere. Purtroppo in Italia cattolici si nasce e anticlericali si diventa". Il problema della terza forza fu lungamente dibattuto sul Mondo e fu messo definitivamente a fuoco grazie a una polemica fra Panfilo Gentile e Don Luigi Sturzo. Quest’ultimo aveva scritto un’articolo sulla "Nuova Antologia" criticando l’istanza laicista. A questa accusa rispose Gentile nel diario politico dell’8 ottobre 1949 che reagì confermando la sua fiducia nella bontà dell’istanza laica: il pensiero democristiano era inconsistente, un miscuglio indigesto. Sturzo rispose con un articolo sul Mondo il 29 ottobre di quell’anno: la tesi del fondatore del partito popolare era che il laicismo in Italia in quel particolare momento storico non era in grado di coagularsi in un’autonoma e ben definita forza politica, poichè non si trattava di un ideale positivo, capace di raccogliere largo consenso. La lotta era per Sturzo ormai fra la concezione cristiana e comunista, ai laicisti mancava un concreto obiettivo economico e politico. Tuttavia il dibattito sulla terza forza si andava spegnendo, il Piano Marshall stava ricostruendo l’economia, il centrismo degasperiano appariva ben consolidato e per il momento considerato fallito l’obiettivo della terza forza, il Movimento liberale indipendente doveva scegliere o restare nell’area de " Il Mondo" o rispondere ai richiami del PLI che non aveva più come segretario Lucifero, ma Villabruna, l’uomo idoneo a riprendere contatti con la sinistra transfuga. Scriveva Mario Ferrara: "...i dispersi della borghesia liberale e riformatrice...liberali e liberisti...i militanti di questo partito potrebbero dare il segnale della riscossa che da troppo tempo si attende". Dopo molti tentennamenti la sinistra PLI ritorno’ nel partito nel 1951 e riprese subito il discorso sulla terza forza. Mario Ferrara in un suo articolo aveva incalzato che era tempo di trovare un "matto" ai liberali: "...Senza questo matto, i poveri liberali non riusciranno più ad essere liberali...". Ma questo atteso ritorno non aveva portato mutamenti sensibili alla struttura e all’indirizzo del partito. Il laicismo si stemperava inevitabilmente nel centrismo degasperiano. I risultati delle amministrative del ‘52 erano eloquenti: la politica del quadripartito aveva scontentato tutti, la linea Pella consistente nella stabilità monetaria e nel pareggio del bilancio aveva fatto aumentare i disoccupati. La DC era passata dal 48% al 35% e con queste argomentazioni propose agli alleati di correggere la proporzionale attribuendo un premio di maggioranza alla lista di partiti che avesse ottenuto il 50% + 1 dei voti: il premio consentiva ai partiti apparentati di ottenere 380 deputati. Era questa la vituperata " Legge truffa " che venne discussa anche su " Il Mondo": Salvemini era favorevole solo a condizioni programmatiche molto precise; Parri, invece, insieme a Calamandrei e ad altri formò liste di Unità popolare in netta opposizione alla legge. L’alternativa laica sfumava quindi nei giochi elettorali di partito: "...Scalfari fissa nella legge maggioritaria del 1953 il punto di rottura delle speranze terzaforziste anche per l’approvazione della legge truffa da parte di molti liberali di sinistra...". La campagna elettorale fu molto accesa e il quorum non scattò per cinquantasettemila voti, la DC pur recuperando lievemente non fruì del famoso premio. Le ali estreme ne uscirono rafforzate e i partiti minori registrarono una solenne disfatta. I veri sconfitti erano i partiti laici e " Il Mondo" lo riconosceva onestamente: " ... la legge elettorale si è rivoltata contro i partiti laici non tanto perchè non ha funzionato, ma perchè è servita a radicalizzare i termini della lotta politica. l’elettorato ha considerato il voto pro o contro il partito di maggioranza. La legge era dunque sbagliata? può darsi... il problema era politico non matematico ... la riforma era soltanto un’elemento per trattenere il partito di maggioranza ... lo strumento non ha funzionato. Liberali, socialdemocratici, repubblicani e terzaforzisti costituiscono sempre una massa di tre milioni di voti. sono voti sfortunati e umiliati, ma è ancora qui che la democrazia italiana può trovare la sua unica garanzia. Non v’è da farsi illusioni. Al dì fuori di questi confini vi sono molte cose, i grandi partiti di massa, i miti, la forza del fanatismo ideologico e dei richiami sentimentali. Ma il giorno che si dovessero ammainare definitivamente quelle bandiere sarebbe finita per tutti nel nostro paese, non soltanto per i laici. E certo non è ancora venuto questo momento. ... Bisogna guardare senza debolezze pigrizie, egoismi di botteghe al futuro. Bisogna liberarsi per sempre di tutti i qualunquisti travestiti da liberali... a patto di non disperare, può cominciare davvero dal 7 giugno una vita nuova." Viceversa ci si rallegrava che il premio non fosse scattato: " ... lo stellone d’Italia ha fatto sì che la legge elettorale non scattasse... la DC non avra’ la maggioranza assoluta dei seggi... i piccoli partiti, i parenti poveri, sono i soli in grado di assicurarglieli almeno sino a che non maturino i tempi per una risoluta svolta a destra o a sinistra ". La DC per anni cercherà proprio di evitare una scelta e per non andare a sinistra accetterà spesso l’appoggio delle destre. Dopo la caduta di De Gasperi, la strada politica per risolvere la serie di spinose questioni irrisolte fu indicata dai liberali del Mondo nella prospettiva politica offerta dalla "terza forza" nella quale si cominciò nel 1953-54 ad includere anche il PSI, considerato fondamentale come alternativa alla DC. La Malfa era però scettico poichè vedeva nel PSI la sudditanza nei confronti del PCI, e considerava il Mondo come riferimento ideologico per la nuova classe dirigente ed invitava i segretari delle tre forze laiche a misurarsi sulla proposta di un unico fronte laico. I segretari Villabruna, Reale e Saragat risposero con intenzioni tanto positive quanto astratte. Intenzioni che delusero lo stesso La Malfa che definì le risposte come "un pugno di mosche" concludendo che era stato "tolto vigore e significato alle proposte". Spadolini commenta: "Si inizia la seconda fase della terza forza, quella di Ugo la Malfa: terzaforzismo come forza riformatrice e democratica, non socialista. Nessuna confusione con il socialismo, ma anzi funzione propulsiva del suo riscatto autonomistico...riunire i repubblicani, i democristiani senza etichette, i liberali di sinistra...". La Malfa quindi pose il problema di costruire un polo di matrice liberale ispirato a un modello di liberalismo democratico anglosassone e con un seguito di massa in cui gli organismi che dovevano farne parte erano i sindacati della UIL, le associazioni universitarie UGI, e il mondo degli intellettuali: "Parlava di un "movimento di sinistra democratica" fondato sulle associazioni che dovevano ruotare attorno al nucleo formato dalla federazione dei tre partiti (PSDI, PRI, PLI)". Ma l’idea di terza forza era interpretata in diverso modo da Unità popolare di Parri che voleva unire sul piano del’opposizione quello stesso settore e quegli ideali che La Malfa intendeva aggregare per fare opera riformatrice ma di governo. Oltre alla difficoltà di trovare spazio politico, l’evolversi di questo progetto veniva ostacolato anche dalla divisione fra terzaforzisti, filogovernativi e filoppositori. Tutti i tentativi quindi di creare un soggetto politico alternativo finiranno invano a causa di personalismi e da influenza ideologiche molto dure a scomparire.


I liberali del Mondo saranno infatti molto presto costretti a scegliere all’interno del proprio partito: l’avvento di Malagodi alla segreteria e lo spostamento a destra del partito li costringerà ad abbandonare il sogno della terza forza: sarà il nascituro Partito Radicale a proseguire il cammino verso un’intesa con i gruppi di democrazia laica e socialista. Il Mondo e il suo gruppo non riuscì a formare, con un’intesa fra i partiti laici, la forza politica che avrebbe potuto realizzare questi progetti. Alla cultura laica mancò quindi la capacità di formare una corrispondente forza politica alternativa, ma in compenso riuscì ad elaborare progetti che sarebbero stati propri del centrosinistra.

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