4. Pannunzio e "Il Mondo"

Il radicalismo dopo anni di latitanza ricomparve, come abbiamo già accennato, negli anni Cinquanta, ma per poter comprendere le origini e le cause che portarono alla nascita del Partito Radicale, è necessario rivolgere l’attenzione a quella che fu la Sinistra liberale che costituirà il nucleo fondamentale del futuro partito, e a tutte quelle vicende che portarono alla nascita del settimanale "Il Mondo". La sinistra liberale, al suo interno contava molti degli uomini che avevano costituito il nucleo più vitale del partito clandestino nella Resistenza; questi uomini, ricollegandosi alla concezione liberaldemocratica di Giovanni Amendola, intendevano fare del PLI un partito di democrazia laica e progressista. L’evoluzione sempre più conservatrice del partito diretto da un segretario come Lucifero (alle elezioni del ‘48 sospinse il PLI ad un’alleanza con l’Uomo Qualunque) rese però impossibile la convivenza fra due anime così diverse. Così il gruppo della sinistra liberale capeggiato da Pannunzio, abbandonò il partito e le idea di un movimento liberal-indipendente avrebbe preso corpo con la fondazione del settimanale diretto da Mario Pannunzio "Il Mondo".

L’avventura pannunziana iniziò il 19 febbraio 1949. La sede del giornale era a Roma fra Via Campo Marzio e Via dei Prefetti. Nel clima politico di quegli anni le forze di natura laica e democratica cercavano uno spazio e un ruolo che permettesse loro di offrire un’alternativa valida ai due grandi partiti di massa . Pannunzio volle accanto a sè un gruppo di "eretici" del liberalismo e con questa vera e propria avventura giornalistica volle offrire a tali forze un punto di riferimento, una palestra di discussione e di elaborazione teorica ma anche una specie di cassa di risonanza per proposte e problemi. "Il Mondo" divenne infatti la coscienza critica dei partiti democratici. Uomini politici di tutto lo schieramento laico e democratico, dai liberali di sinistra, ai repubblicani, ai socialisti, (Carandini, Valiani, La Malfa, Saragat...), giornalisti (Ernesto Rossi, Alberto Ronchey...), storici e filosofi (Giovanni Spadolini, Carlo Antoni...), letterati (Silone, Flaiano...) per anni portarono il loro contributo al giornale dando vita a un vero e proprio circolo di idee e di vita politicoletteraria. Il filo che rendeva saldo il gruppo era Pannunzio che, come lo definì Arrigo Benedetti, era un "laico direttore di coscienze". Il merito di Pannunzio fu quello di stimolare e riunire in modo organico il contributo dei tanti nomi illustri attorno al suo giornale. Fece parlare una lingua nuova in un’Italia ancora provinciale, bigotta, superficiale, goffamente retorica e adulatrice dei potenti. La sua concretezza, presa per moralismo da tanti, era proverbiale, egli aveva un modo di fare un giornalismo chiaro, semplice, non retorico. Pannunzio era nato a Lucca il 5 marzo del 1910, ma si trasferì ancora ragazzo a Roma, seguendo il padre, un avvocato abruzzese costretto dai fascisti a lasciare la città toscana per simpatie sinistrorse. Fin da giovane frequentò gli ambienti letterari e artistici della capitale stando a stretto contatto con l’intelligenza antifascista. Grande esperto di letteratura e di pittura, egli ebbe come desiderio il rappresentare la realtà in modo drammatico, in modo vero, e ciò era possibile solo con il giornalismo, l’unica arte per tendere verso il realismo, o meglio "neorealismo": "il giornalismo rispondeva alle tendenza verso il realismo che Pannunzio avvertiva...". Per Pannunzio quindi il giornalismo era la forma di comunicazione più vicina al suo desiderio di accostarsi alla realtà. Proprio per applicare questi principi, nel 1932 fondò la rivista di cultura "Oggi" che chiuse per ragioni politiche poco dopo: "...una pubblicazione di carattere sperimentale che si collocava precisamente nel dibattito sempre più teso intorno al rinnovamento della letteratura italiana..." ; stessa sorte ebbe "La Corrente", fondata con Moravia nel 1933. Nel 1933 si laureò in Legge e con il compaesano Arrigo Benedetti fu successivamente redattore capo del primo rotocalco italiano, il settimanale "Omnibus" fondato nel 1937 e diretto da Leo Longanesi chiuso poi dal regime fascista. Qui tenne una rubrica di recensioni di cinema, altra grande passione di Pannunzio. La rivista di Longanesi ebbe notevole importanza sia per l’innovativa impostazione grafica, sia per la formula del rotocalco che servì da apripista per le future iniziative editoriali. La stravaganza grafica di "Omnibus" era lontana dai gusti di Pannunzio: "tanto "Omnibus era pittoresco, beffardo, spigliato, esagerato, quanto "Il Mondo" sarà serio, ragionevole, misurato, ironico "Il Mondo" . Raccogliendo idee e esperienze passate Pannunzio e il suo grande amico Benedetti fondarono nel 1939 "Oggi", rotocalco di matrice politicaletteraria che fu una anticipazione de "Il Mondo". La rivista seria, compassata, razionale, si occupò di attualità, storia, letteratura, e in tempi fascisti, dette ampio spazio agli scrittori inglesi pubblicando racconti di Joyce, Steinbeck...Proprio questo tono filoinglese e le ricostruzioni storiche affidate a storici antifascisti come Luigi Salvatorelli furono all’origine della chiusura nel 1942 ad opera del regime fascista: "Oggi divenne espressione di un vero e proprio gruppo di scrittori e giornalisti: rappresentavano la parte migliore della ricerca culturale tra giornalismo e letteratura, attualità e storia: Risentivano del mito americano e guardavano al neorealismo..." . Durante la Resistenza fu tra i fondatori del PLI, con il nome di "Movimento Liberale Italiano" con Carandini, Libonati, Cattani. Insieme ad essi diede vita al quotidiano "Risorgimento Liberale", dove ritenne che fosse necessario contrastare il principio comunista, convinto che il liberalismo fosse la sola via per dare un assetto moderno alla vita provinciale del nostro Paese. Di "Risorgimento Liberale" fece un quotidiano elegante, preciso, ricco di notizie, di cronache, di pagine culturali, cioè di tutti quegli elementi che saranno il fiore all’occhiello de "il Mondo". Nel dicembre del 1943 fu arrestato e rinchiuso a Regina Coeli da cui uscì nel febbraio 1944. Pannunzio continuò a dirigere il quotidiano liberale fino al 1947 quando uscì dal PLI insieme alla corrente di sinistra, per poi rientrare momentaneamente nel 1952 dopo il convegno di riunificazione liberale tenutosi a Torino nel 1951. Nel 1948 collaborò, con articoli di costume e di viaggio, a "L’Europeo" che Arrigo Benedetti aveva fondato nel 1945. Il settimanale presentava grandi fotografie, inchieste ed era sostenitore di un’ideologia laica fondata sulla razionalità, la modernità e il progresso. Nel febbraio 1949 firmò l’ultima grande impresa: "Il Mondo".

Nel 1955 fu tra i fondatori del Partito Radicale che sorse dalla scissione della sinistra liberale in seguito all’avvento di Malagodi alla guida del PLI.

Pannunzio soleva dire di non essere un giornalista , ma per lui il giornale non era che lo strumento per raggiungere obiettivi più alti: un impegno morale e politico per creare una società libera, civile, moderna, un mezzo per costringere la cultura italiana a impegnarsi nella vita politica. Quindi politica, cultura, giornalismo, letteratura si identificavano nella figura dell’intellettuale.

"Il Mondo" fu un giornale liberale e libero, scevro da dogmatismi, fu il giornale dei ribelli per eccellenza, di coloro che respingevano il malcostume, il sottogoverno, le speculazioni. La testata del settimanale era rappresentata da ruote dentate, capitelli, donne simboliche, fregi che simboleggiavano tradizionalmente la vittoria della luce sull’oscurantismo, della civiltà sulle barbarie, della libertà sulla tirannia. Il linguaggio era chiaro e concreto, apparteneva ad un’altra Italia, non certo a quella "pasticciona e faccendiera": "Il Mondo riuscì a fare da specchio e da prisma alla grande trasformazione che vide l’Italia contadina inurbarsi e industrializzarsi..." . E proprio in questa Italia, nell’Italia delle due dottrine imperanti del cattolicesimo e del comunismo, il settimanale pannunziano si sforzò di recepire e risolvere i problemi alla luce di un liberalismo rinnovato ma pur sempre ignorato e considerato elitario dalla massa. Il suo impegno politico per costruire una terza forza era già evidente nell’articolo di Mario Ferrara rivolto alle minoranze laiche: "...L’appello alla opinione democratica e liberale è sempre possibile... O potremo dar vita a questa terza forza che esprima la volontà degli uomini liberi, o , tra breve, non avremo più nulla da fare se non chiederci a chi servire " . Volontà ribadita da Leone Cattani: "...Si chiami o no terza forza, è indispensabile in Italia una formazione politica democratica di larga e genuina ispirazione liberale, consapevolmente riformatrice, libera da ogni soggezione confessionale" . Pannunzio era un direttore storicista e illuminista. Storicista poichè consapevole del corso storico, non credeva a soluzioni miracolose, per lui le cose si conquistavano giorno per giorno. Illuminista perchè analizzava i mali della società italiana indicandone i rimedi con profondi e solidi ragionamenti. "Il Mondo" ebbe il merito e il coraggio di denunciare per primo il pericolo che correva il sistema democratico per la tendenza della DC a comportarsi come partito-stato. Non solo. Identificò anche nel PCI un falso partito di opposizione. Spesso accusato di anticomunismo, il settimanale aveva un modo dialettico, mai volgare e ottuso, di criticare le scelte del PCI: scriveva Mario Ferrara, uno dei collaboratori illustri: "E’ un equivoco e un pericolo che la DC reciti la parte della democrazia liberale e che il PCI rappresenti la parte dell’opposizione costituzionale" . Equivoco che ha caratterizzato la profonda anomalia del sistema politico italiano e che detto allora sembrava ai più un’eresia. Il settimanale cercò di dimostrare i ferrei legami fra Togliatti e Stalin, la scarsa democrazia all’interno del partito e contestò vivacemente al PCI "la pretesa di rappresentare da solo la cultura laica moderna" . "Il Mondo" perciò incitava le minoranze, gli intellettuali, gli esponenti di quella cultura laica di cui si sentiva espressione, a reagire chiamando a raccolta partiti e gruppi sparsi di democrazia laica e socialista per formare una forza alternativa al frontismo e al centrismo: "Il Mondo sorse proprio affidandosi il compito di sottrarre alla DC il monopolio della scelta occidentale ed al PCI il monopolio della cultura e per sottrarre i ceti medi, l’opinione pubblica alla stampa benpensante e qualunquista ed orientarli piuttosto alla democrazia liberale..." . La battaglia per la terza forza e la nascita del Partito Radicale nel 1955 risposero a questi intenti. Ma cosa chiedeva concretamente il gruppo de "Il Mondo" ? Leggi antitrust contro i monopoli di stato e della pubblica amministrazione, intervento pubblico in economia anche mediante le nazionalizzazioni, programmazione economica soprattutto per il Sud: tutti provvedimenti che in paesi come Gb e Usa (modelli da imitare per il settimanale) erano stati adottati molti anni prima senza ridicole attese messianiche. I radicali de "Il Mondo" incitavano a rompere proprio quel clima di potere, quel governo segreto, morbido e sacerdotale che sembrava dominare il Paese. In Italia oltre che con le tradizionali forze conservatrici, bisognava scontrarsi con il potere clericale con cui il settimanale pannunziano ebbe frequenti diatribe e i radicali furono i soli a battersi per stabilire rapporti corretti tra Stato e Chiesa incontrando l’incomprensione dei partiti di sinistra (che accusavano Pannunzio e i suoi di difendere interessi borghesi), che più tardi si accorgeranno (per es. sul divorzio) di come l’opinione pubblica non fosse sorda a certe problematiche. Il giornale di Pannunzio ebbe influenza sulle elitès culturali e politiche del paese, contribuendo a sprovincializzare alcuni aspetti della società italiana. I famosi convegni furono una chiara volontà di studiare e analizzare i problemi con un metodo insolitamente profondo e nuovo per i tempi.

Contro tutti i conformismi, gli attentati alle libertà civili, gli abusi dei gruppi economici privilegiati, il totalitarismo di ogni specie, si schierò sempre e decisamente "Il Mondo" in nome della libertà e del laicismo. Il laicismo di cui si fece portatore il settimanale non si ridusse a un semplice atteggiamento critico nei confronti della Chiesa di Pio XII. Esso fu un atteggiamento culturale di fondo. Non un anticlericalismo autoritario ma una scelta per alcuni punti fondamentali: nessuna idea era dogmaticamente indiscutibile, e nessun valore assoluto, e le attività umane, per il settimanale, non si dovevano collocare in un rigido sistema gerarchico, per cui ad esempio, era illecito subordinare la politica alle religioni, caratteristica invece preminente delle ideologie a matrice confessionale.

"Il Mondo" fu fortemente antifascista attraverso il contributo di Calamandrei, Rossi, Saragat, Parri e tanti altri. Ma la lotta "donchisciottiana" del settimanale non fu diretta solo contro i fascisti ma contro tutti i fascismi di sorta soprattutto contro quella di forma di fascismo degli interessi camuffati dei "padroni del vapore".

Apparvero sul settimanale firme prestigiose come Thomas Mann, Ennio Flaiano , Carlo Calamandrei... e i tre padri spirituali del settimanale: Benedetto Croce, Luigi Einaudi, Gaetano Salvemini, e tanti altri. Di Mann, che esprimeva quella realtà giornalistica e letteraria tanto cara al settimanale, furono pubblicate alcune riflessioni sullo spirito tedesco e il significativo: Le confessioni di un cavaliere d’industria . La rivista ebbe sin dall’inizio una chiara impronta crociana. La sua concezione dell’intellettuale non chiuso nella campana di vetro ma ben presente nella praticità della vita fu fatta propria dal settimanale. Egli scriveva: "Poniamo che io uomo di contemplazione volessi distaccarmi dalla vita politica ed economica...e farmi verso di lei chiuso e indifferente; donde prenderebbero poi alimento i miei pensieri?". Il filosofo intervenne per la prima volta sul quarto numero del Mondo, il 12 marzo 1949 con un articolo, tratto dalle sue lezioni universitarie, intitolato: "L’uomo vive nella verità": "...non andate in cerca della verità dicevano le ultime parole dell’articolo nè del bene, nè del bello, nè della gioia, in qualcosa che sia lontano da noi, distaccato, inconseguibile, e in effetti inesistente, ma unicamente in quel che voi fate e farete, nel vostro lavoro nel cui fondo c’è l’universale di cui l’uomo vive...e tenere sempre presente che Dio è nel particolare" ."Dio è nel particolare". A questo motto sembra ispirarsi tutta l’esperienza del settimanale: rifiuto di ogni sistema di certezze, acquisite e definitive. Ai fanatici di tutte le certezze Croce contrapporrà l’uomo del dubbio e del tormento, il solo che "vive nella verità". Nell’articolo "Parità degli uomini nella libertà" si leggeva: "...Dall’osservazione che la libertà è legge suprema, si deduce che essa è incondizionata, cioè non dipende da nessuna condizione di fatto...non c’è condizione di fatto, tortura, minaccia di morte, che possa spegnerla" .


"Il Mondo" pubblicò il 14 ottobre del 1950 , un suo scritto del 1948 in cui il filosofo esprimeva tutta la sua preoccupazione per la chiamata delle masse all’elettorato politico. Quando egli morì nel 1952 "Il Mondo" dedicò ampio spazio alla sua figura. Da Einaudi, degno erede della tradizione liberale, il settimanale recepì il senso dello stato, lo stile anglosassone, nella battaglia contro i privilegi, i corporativismi. Il settimanale nel maggio 1949 riportava compiaciuto un commento dell’"Economist", secondo il quale gli uomini maggiormente rappresentativi erano in quel momento Einaudi e Stalin: "Stalin continuava il settimanale è un militare, un capo partito, un rivoluzionario... Einaudi è invece un piccolo uomo dimesso, che saluta la truppa levandosi il cappello, che ha militato nel più piccolo e sfortunato dei partiti italiani...". Nel contrasto fra Einaudi e Stalin continuava "Il Mondo" era simboleggiato "il più forte contrasto fra due concezioni non soltanto politiche: la concezione liberale e la concezione collettivistica". Einaudi incarnava dunque il principio liberale del dopoguerra, e rappresentò per questo un punto di riferimento per il settimanale. Salvemini collaborò spesso a "Il Mondo" iniziando con uno scritto del 6 agosto 1949, "La polizia nella legge" e concludendo con un articolo "Un ministero fantasma" uscito postumo l’11 novembre 1958, cioè più di un anno dopo la sua morte. Egli fu vivace predicatore di un orientamento democratico, socialista, terzaforzista della rivista e intervenne per il finanziamento pubblico dei partiti e la moralizzazione della vita pubblica. L’ansia di una terza forza, capace di incunearsi fra il partito cattolico e il blocco marxista sorresse costantemente Salvemini . E perfino la sua parziale adesione alla legge maggioritaria dl 1953, condivisa dal gruppo pannunziano, nacque dal desiderio di misurare la convergenza fra i partiti della tradizione democratica e laica sui problemi concreti. Scrisse già nel 1946: "Io sono sempre stato persuaso che l’Italia non si sarebbe nè dalla monarchia clericale, nè dalla brutalità stalinista se non si fosse formata in Italia una corrente intermedia abbastanza potente per resistere tanto alla pressione della destra, quanto alla pressione dell’estrema sinistra" . E ancora: "Terza via, terza via, allora io continuerò a ripetere terza via, terza via, anche se resterò solo in mezzo alla via in attesa che i totalitari di sinistra mi facciano fuori o i totalitari di destra mi mettano dentro" . Egli protestò a lungo per la disparità di mezzi elettorali tra partiti minori e maggiori e avvertì del pericolo che la democrazia si potesse trasformare in clerocrazia. Lontano da Croce e dall’idealismo, sempre avverso all’innesto tra filosofia e storia "le opere di filosofia mi sembrano fabbriche di nebbia", fu portato al concretismo, al pragmatismo "Non badiamo alle parole, badiamo ai fatti" . Gli insegnamenti di matrice liberale democratica o riformista dei tre padri spirituali spinsero il settimanale a discutere di liberalismo, in rapporto alla storia d’Italia. La cultura laica e democratica indusse "Il Mondo" a lunghe meditazioni sul Risorgimento per cercarvi i fondamenti dello stato liberale. Una lettura attenta della storia d’Italia, dall’Unità al Fascismo, era per Pannunzio e i suoi un’esigenza politica prioritaria per migliorare e affermare il vero significato della democrazia liberale. Alle accuse di illuminismo lanciate da altri giornali, "Il Mondo " pubblicò una pagina di Diderot: "Un uomo cammina in una foresta con una piccola e fioca candela (è la ragione umana) ...ed il fatto che la candela sia piccola non toglie che sia l’unica." . Che "Il Mondo" non fosse chiuso in una rigida ideologia lo dimostra la varietà dei collaboratori che titolari delle rubriche: Antonio Cederna condusse per anni una tenace e coraggiosa campagna contro i "vandali in casa". Fondamentale per l’indirizzo politico del settimanale era "Il Taccuino", una rubrica in cui "...si rimettevano a posto le numerose e confuse beghe che sorgevano tra faccendieri politici..." . Nicola Chiaromonte si occupava di critica teatrale, Giorgio Vigolo di musica, di cinema si occuparono Gino Visentini ma soprattutto Ennio Flaiano. Guido Calogero teneva il "quaderno laico" e si occupò del pragmatismo anglosassone con la rubrica "Lo specchio del diavolo" . Il settimanale "adottò " due intellettuali comunisti espulsi dal partito: Ignazio Silone e Angelo Tasca. Il primo aveva dissentito da Togliatti non avallando la svolta stalinista del segretario il quale aveva reagito con una lettera dal titolo: Contributo alla psicologia di un rinnegato; a dar man forte a questa accuse fu Tasca che proprio sul settimanale , ebbe modo di contestare le scelte di Togliatti definendo il PCI come servo di Mosca ed esaltando il ruolo di Bordiga, espunto dalla storiografia ufficiale di partito. Importante ma breve fu la collaborazione di Panfilo Gentile che, con il suo "Diario politico" firmato "Averroè", espresse convinzioni liberiste . "La Lettera Scarlatta" pubblicava gli interventi polemici, Achille Battaglia indagava sul funzionamento della giustizia ("La Mano nera") . Dei ritardi, delle inefficienze e delle malefatte della Chiesa se ne occupava "Bianco o Giallo" . La rubrica "Ventesimo secolo", tenuta da Vittorio De Caprariis e poi da Aldo Garosci, si occupò di politica internazionale. Ad essa erano dedicati un gran numero di reportages, con descrizioni della vita pubblica, del sistema economico, politico e sociale. Al settimanale l’ironia non mancava: "Archivio", questo il nome della rubrica in cui venivano raccolti i continui attacchi di altri giornali alla testata pannunziana. Di Mezzogiorno si occuparono largamente Compagna e Salvemini, i quali indicarono nel rinnovamento dirigente la chiave per strappare il Sud da una condizione feudale. Un originale esempio di impegno intellettuale e culturale furono le rubriche, testimonianza di una lotta continua al fanatismo, alla faciloneria: "Aria di Provincia", "Usi e Costumi", tenuta da Carlo Laurenzi, "Italia Minore" e "Diario Notturno" di Ennio Flaiano. Una delle firme più prestigiose fu quella di Ernesto Rossi, l’uomo che forse più di tutti contribuì a caratterizzare il carattere "piratesco" del settimanale con le sue battaglie economicosociali, e con le sue appassionate campagne anticlericali e per la moralizzazione della vita pubblica. Egli era un liberista di vecchio stampo. Credeva nella libertà di mercato, a condizione però che gli imprenditori rispettassero le regole del gioco senza arricchirsi illecitamente creando monopoli a danno dei consumatori e flirtando con il potere politico. Le campagne di Ernesto Rossi contro le malefatte dei "padroni del vapore", arrivavano al cuore della realtà italiana individuando una delle principali cause dell’arretratezza del paese nel dominio incontrastato dei potenti gruppi economici. Indagando con cura nell’intricato mondo delle holdings e dei monopoli privati, Rossi ne denunciava le piraterie, gli illeciti, le corruzioni. Episodi di malgoverno venivano raccolti nella speciale rubrica "Scandalusia". Rossi aveva un’innata capacità di rendere chiari e semplici i più astrusi temi dell’economia, ed i suoi articoli erano sempre messi in ottima posizione sul giornale. Le inchieste sugli aspetti più vari della realtà italiana erano un modello d’indagine moderna, scrupolosa nella documentazione, aderente ai fatti e alle cose. "Il Mondo" era una grande scuola e il ventaglio dei temi trattati fu ampio: dai grandi problemi dello stato, dell’economia, della scuola, dei partiti, del sud alle piccole vicende di vita provinciale. Infine c’era una parte più politicizzata del giornale rappresentata dagli editoriali e taccuini che indicavano le grandi linee della politica del settimanale. Da tutte le componenti del giornale, dalle severe inchieste giornalistiche, dalle colonne di costume, dalle analisi politiche degli editoriali e dei taccuini emergeva un’Italia nascosta, un’Italia vera con tutte le storture, le arretratezze, le ingiustizie pubbliche e private: un’Italia che la retorica nazionale, le convenzioni borghesi, la pressione clericale tenevano celata. "Il Mondo" fu quindi un fatto nuovo nella stanca cultura italiana del tempo, cercò di educare l’Italia provinciale ed insegnò che il giornalista può e deve esercitare una funzione morale culturale e politica. Fu sempre ferma la volontà del giornale di partecipare attivamente e concretamente alla vita della nazione, non accontentandosi di essere un mero fatto giornalistico. Nonostante gli sforzi profusi mancò un mutamento in senso liberale e democratico della vita pubblica. Anche il centrosinistra così sperato e sostenuto dall’incalzante analisi del settimanale finì nell’eterno trasformismo italiano. La battaglia di minoranza dei radicali de "Il Mondo" non poteva essere compresa in un paese sensibile al richiamo delle grandi formazioni di massa. Il tentativo degli intellettuali di creare negli anni ‘50 un’alternativa democratica alla DC e al PCI era destinato a rimanere una bella utopia: " La fine del "Mondo" ha lasciato l’Italia degli anni settanta modernizzata sul piano strutturale ma priva di un’elaborazione culturale adeguata a tale processo...la metà degli anni Sessanta segna per i riformatori italiani del Novecento una sconfitta..." . Resta il merito di aver indicato coraggiosamente e lucidamente una via e di aver rappresentato una voce laica e democratica di libertà e di dissenso illuminato. La vicenda del settimanale si concluse l’8 marzo 1966. Dopo 890 numeri "Il Mondo" sospendeva le pubblicazioni. Vale la pena di riportare alcuni passi dell’ultimo editoriale: "Quello che diamo oggi alle stampe è l’ultimo numero de "Il Mondo"...un giornale liberale, laico e antifascista, un giornale indipendente doveva impegnarsi sui problemi della libertà e del costume civile, e non vi è stata questione di educazione del cittadino, di rinsaldamento dello stato e delle istituzioni parlamentari, di efficienza di governo e di moralità pubblica, di politica interna e internazionale, di economia sociale e di conflitto fra l’interesse privato e quello collettivo, di fronte al quale il giornale non abbia detto quel che gli è sembrato di dover dire, anche se le sue parole sono apparse spesso verità scomode e qualche volta dure... Domina soprattutto, in Italia, la presenza di un potere radicato e penetrante, di un governo segreto, morbido e sacerdotale, che conquista amici ed avversari e tende a snervare ogni iniziativa e ogni resistenza. Abbiamo sempre sostenuto il dovere delle minoranze, dei partiti di rompere questo clima, di opporsi, di criticare. Perfino un partito politico, il Partito Radicale, fu fondato su questo impegno. Per anni abbiamo sollecitato socialisti e repubblicani, liberali autentici e indipendenti, a costruire alleanze democratiche, fronti laici, terze forze... abbiamo denunziato, nel nostro giornale e nei nostri convegni, l’invadenza clericale... abbiamo deplorato con ostinazione la chiusura irrimediabile del mondo comunista alle sollecitazioni della libertà...la cultura politica che negli anni della Resistenza aveva dato grandi esempi di intransigenza morale e di vigore intellettuale sembra prostrata in gran parte davanti ai nuovi potenti e ai nuovi sortilegi e cerca conforto nei surrogati della sociologia e nel dialogo esistenziale tra mistici e materialisti. Un linguaggio disossato, enigmatico invade giornali, convegni, riviste e comizi. Questo clima, questo linguaggio non son stati mai nostri...Se oggi consideriamo conclusa la nostra giornata non è per rassegnazione e nemmeno perché sentiamo che il nostro compito è esaurito. C’è però un momento nel quale sia gli individui sia i gruppi devono fare l’esame delle proprie forze e misurarle con l’esperienza del passato e le prospettive dell’avvenire...lo sforzo di un giornale come il nostro per sopravvivere dovrebbe trovare un fondamento e una dimensione che il senso geloso della nostra indipendenza non consente di darci...lo sviluppo di concentrazioni economiche, partitiche e sindacali rendono difficile l’attività dei gruppi autonomi...ai nostri lettori...dobbiamo dare un saluto... con la fiducia che il cerchio di amici legati a questo giornale non si disperderà e manterrà viva la sua presenza in una società che ha pure bisogno della dissidenza." Pannunzio, che era rimasto proprietario della testata, due anni dopo pubblicherà un numero speciale 891 nella settimana dal 25 gennaio al 31 del 1968, riportando gli articoli che la stampa nazionale e straniera aveva dedicato due anni prima a commento della cessazione del settimanale. Il corrispondente romano di Le Monde scrisse: "E’ questo il vero avvenimento politico in Italia negli attuali giorni di crisi...la fine del "Mondo" è tutt’altro che un semplice episodio. Sono difficoltà economiche che costringono questo settimanale ad autoaffondarsi, ma la fine della sua lotta è un sintomo. Da molto tempo, non c’era più che "Il Mondo" ad essere rimasto fedele ai principi iniziali fissati dal suo fondatore" . Uno dei giudizi più lucidi è stato dato dallo storico di estrazione comunista Nicola Tranfaglia: "Quel giornale esercitò un influenza assai più larga delle cifre rappresentate dalla sua tiratura, sia perchè rappresentò un filone autenticamente liberale della cultura laica, quella più autenticamente antifascista e meno provinciale, sia perchè promosse un’analisi realistica e critica di quella offerta dai grandi giornali di partito e dalla stessa pubblicistica di sinistra" . Se l’Italia di oggi è più laica una parte di merito è del settimanale pannunziano che ha saputo anticipare i tempi, andando controcorrente negli anni più difficili dello scontro frontale fra gli opposti dogmatismi.

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