5. Una politica parallela: i Convegni
L’opera continua del settimanale nell’essere una voce libera e di concreta opposizione si evidenziava nei convegni, che rappresentavano l’atto conclusivo di un lungo lavoro di indagine, di un’accurata elaborazione di idee e di proposte, di uno scambio di opinioni che si andavano via via formando sul giornale. Non solo. Costituiranno anche i temi su cui si fonderanno le battaglie radicali attraverso le quali si verrà configurando il disegno di un programma che l’intelligenza laica proponeva come terapia ai mali del paese: "del resto sia i convegni che il partito radicale nacquero dall’identica necessità di affrontare con concretezza quei problemi e quelle carenze di strutture che maggiormente erano avvertite tra i giornalisti del "Mondo" e dagli ambienti gravitanti intorno al giornale e al partito" .
In 12 convegni (che qui sono affrontati per argomenti trattati) si affrontò tutta la
gamma dei problemi che si presentavano nella società italiana tra la metà degli anni ‘50 e la metà degli anni ‘60.
Questi i convegni nel campo dei problemi economici:
Lotta contro i monopoli
Petrolio in gabbia
I padroni della città
Atomo ed elettricità
Le baronie elettriche
La borsa in Italia
Sulle battaglie civili si svolsero i seguenti convegni:
Dibattito sulla scuola
Stato e Chiesa
Stampa in allarme
Questi infine i convegni politici:
Verso il Regime
Che fare per l’Europa
La politica del centrosinistra.
Il primo convegno si svolse a Palazzo Barberini il 12 e 13 marzo 1955. Già da alcuni anni Ernesto Rossi aveva individuato nelle condizioni del monopolio in cui operavano i grandi gruppi economici uno dei maggiori handicap dell’economia italiana. In una serie di interviste ben documentate, aveva condotto tenaci campagne contro quei gruppi monopolistici e parassitari che con i favori dello stato si procuravano sovrapprofitti a danno dei consumatori. Tutta la vita italiana veniva ad essere soffocata dai grandi potentati economici che non solo impedivano il naturale sviluppo del Paese creando una nuova forma di feudalesimo, ma influivano anche sulle istituzioni democratiche. La soluzione era di attribuire allo stato il potere di intervenire per dare un assetto razionale al mondo economico. Prima di tutto occorreva riordinare gli organi e gli uffici statali per evitare l’asservimento della pubblica amministrazione ai potentati economici; le società per azioni dovevano essere sottoposte ad una nuova legislazione che impedisse i bilanci truccati, le società di comodo e tutti quegli espedienti che favorivano il monopolio. Era necessario emanare una legge antitrust, liberalizzare gli scambi e nazionalizzare i monopoli, come l’energia elettrica e i telefoni.
Al convegno parteciparono oltre al gruppo del settimanale, uomini della sinistra laica e democratica. Così alle accuse di filocomunismo lanciate dai giornali della Confindustria si aggiungevano le sollecitazioni dei comunisti per un’azione comune. Ma Ernesto Rossi rispondeva polemicamente a questi ultimi: "...saremmo disposti ad allearci anche col diavolo per sostenere i nostri principi, ma sappiamo che quando uno si mette a mangiare nella sua scodella (rispondeva al comunista Luigi Longo che aveva scagliato la prima pietra) deve adoprare un cucchiaio molto lungo per non trovarsi scottato."
Secondo Rossi infatti proprio i partiti di sinistra e i sindacati erano corresponsabili della formazione dei monopoli. Come? Nell’opporsi alla CECA e al Mercato Comune, e soprattutto nel sostenere ad oltranza le rivendicazioni operaie delle grandi industrie con le loro richieste di protezioni doganali, commesse statali ed altri privilegi su cui si basava il monopolio. Concludeva Rossi: "approverebbero mai i comunisti una legge antitrust che comunque migliorasse le condizioni dei cafoni delle campagne, ma che, riducendo le condizioni di monopolio della Fiat, della Eridania, della Falck, facesse anche ridurre le paghe delle loro maestranze? Siamo convinti di no. E siccome siamo anche convinti che non si può fare la frittata senza rompere le uova, tutte le ragioni che può portare su questo argomento l’on. Longo, sono, per noi, solo erba trastulla".
Il secondo convegno "Petrolio in gabbia" indetto nei giorni 9 e 10 luglio dello stesso anno, fu in un certo senso il proseguimento del primo. Le relazioni svolte da Piccardi, Scalfari e Rossi, riguardavano la ricerca, la coltivazione e lo sfruttamento degli idrocarburi nel sottosuolo nazionale. Di fronte a questo problema si stava svolgendo un’ampia contesa fra i partiti di sinistra che riconoscevano solo allo stato il diritto e all’ENI il compito di scoprire e sfruttare i giacimenti di petrolio, e le destre, che erano per la libertà d’iniziativa del capitale privato. L’orientamento di questo convegno fu chiaramente in favore della mano pubblica e si concluse con la proposta di un disegno di legge in cui non si escludeva, oltre all’ENI che aveva il diritto esclusivo in Valle Padana, la partecipazione privata in altre zone, sotto il controllo di un commissariato generale per gli idrocarburi dipendente dal Ministero dell’Industria.
I convegni successivi al 1956 si svolgeranno dopo la nascita del Partito Radicale e ne costituiranno il contenuto delle future battaglie. Questo era senza dubbio un modo nuovo e originale di intervenire nella vita politica, studiando a fondo i problemi della società italiana, anticipando i temi che saranno al centro del dibattito politico negli anni successivi. Da ognuno di questi convegni che richiedevano una lunga preparazione che si svolgeva nella redazione del settimanale di Pannunzio, usciva un programma di razionali riforme.
Il terzo convegno fu dedicato ai "Padroni della Città" e riguardava il problema urbanistico. "I padroni della città" erano, per dirla con Antonio Cederna (che chiamava "I vandali in casa") "...coloro che paralizzano la vita delle città, distruggendo l’antico...padroni delle città sono le grandi società immobiliari, gli speculatori...che distruggono giardini, parchi, boschi..." . Questo è solo uno dei tanti esempi delle tenaci battaglie che Cederna condusse contro le "città eternit" e che contribuirono in modo determinante a creare una coscienza urbanistica. Venne subito fuori da questo convegno l’esigenza di una moderna legislazione urbanistica che poi diventerà uno dei punti più qualificanti del centrosinistra. I padroni delle città si identificavano anche in coloro che avevano il monopolio dei mercati generali, altro tema di cui si occupava il convegno: "Il mondo dei mercati generali constatava Scalfari è, per la grande massa dei consumatori, un mondo completamente sconosciuto. I cittadini vedono aumentare i prezzi, ma non sanno contro chi dirigere la loro protesta. Nella quasi generale ignoranza del problema, i consumatori continuano ad essere taglieggiati senza alcuna difesa" . Il nodo che soffocava il respiro economico del paese era dovuto al sistema, feudale, che regolava l’afflusso e la distribuzione dei prodotti alimentari nelle città. Il rimedio proposto al convegno fu quello di creare una forte organizzazione cooperativa in modo da poter rompere il sistema e far affluire i prodotti in città senza dazi esosi e inutili.
Il quarto convegno dal titolo "Atomo ed elettricità" si tenne all’Eliseo il 12 e 13 gennaio 1957, e il tema affrontato fu quello dello sfruttamento dell’energia nucleare. Il convegno si concluse con un progetto di legge in cui si stabiliva l’istituzione di un ente di stato per regolare tutta la materia. Il disegno di legge fu presentato in Parlamento poco dopo dal radicale Villabruna, da La Malfa e dal socialista Lombardi.
Il quinto convegno si tenne il 12 e 13 marzo 1960: il titolo era "Le baronie elettriche" e si svolse in un momento particolare. Caduto il governo Segni, la DC si trovava per la prima volta davanti ad una scelta: o cedere alle sollecitazioni della destra liberale, monarchica e fascista, o incontrarsi con i partiti laici e socialisti che in quel momento sembravano offrire un’unità di intenti e di programma. Era l’occasione per il settimanale di partecipare attivamente alla formazione del primo governo di centro sinistra, ma la DC, sotto la pressione clericale, non sceglierà a sinistra preferendo un uomo della propria destra: Tambroni. Il convegno si concludeva con la proposta di un progetto di legge che prevedeva la nazionalizzazione dell’industria elettrica che fu proprio uno dei capisaldi del programma di centrosinistra.
Così scriveva "Il Mondo": "...la nazionalizzazione dell’industria elettrica appare come l’unica soluzione possibile non soltanto per assicurare una più equilibrata politica di investimenti e di tariffe, ma per consentire alla collettività di disporre liberamente delle proprie risorse e di indirizzarle nei modi e nelle direzioni più corrispondenti all’interesse generale...è uno dei principali obiettivi che dobbiamo oggi proporci per trarre il paese dalla condizione semifeudale" .
Il progetto di legge uscito dal convegno prevedeva non solo la nazionalizzazione dell’industria elettrica privata, ma anche delle municipalizzate. Naturalmente i gruppi elettrici reagirono con una serie di campagne di stampa sui principali quotidiani e lo scontro verbale fra la destra clericale ed economica che ormai costituivano, secondo Scalfari, una cosa sola, e i radicali fu duro: Vittorio de Biasi, presidente dell’Associazione delle aziende elettriche bollò la nazionalizzazione come "un gesto demagogico e pericolosissimo che quei comunisti camuffati si accigono a compiere" . Dichiarazioni che avvaloravano la convinzione dei radicali che lo Stato non dovesse svolgere solo una semplice funzione di controllo in economia.
Il 4 e 5 marzo del 1961 ci fu il sesto ed ultimo convegno di carattere economico dal titolo: "La borsa in Italia". "Il Mondo" aveva indagato sulle complesse operazioni di borsa compiute dai grandi baroni della finanza, scoprendo le intricate manovre sulle azioni delle società, la creazione di holdings quali strumenti di politica monopolistica e di concentramento del potere economico, le enormi evasioni fiscali. Tutto ciò con la certezza dell’impunità, perchè non esistevano leggi antimonopolio e di controllo sulle società per azioni. Per evitare ciò lo Stato avrebbe dovuto intervenire attraverso una riforma della società per azioni, sia attraverso rigidi controlli sulla pubblicità delle operazioni di borsa e sui finanziamenti delle banche alle speculazioni private.
Terminata la materia economica, i convegni degli Amici de "Il Mondo" trattarono anche di libertà civili e di problemi politici. In primo luogo l’attenzione fu rivolta ad un tema assai caro: la laicità dello stato. Il tema del laicismo costituiva la ragion d’essere del gruppo radicale votato alla religione della libertà. L’invadenza clericale si faceva sentire in tutti i campi. In questo ambito l’azione si muoveva sia sul piano civile con denunce di ingerenze clericali, sia sul piano ideologico riaffermando i valori dello stato laico: "il laicismo scriveva De Capraris nel ‘56 non è solo una certa soluzione del problema Stato-Chiesa, ma è una dottrina dello stato e della politica, è una dottrina moderna della libertà" . Stato laico significava quindi stabilire il senso dei limiti di ciascun potere nello stato, significava riaffermare la necessità di un controllo di tutti i poteri : "Il laicismo scriveva Guido Calogero non è solo la difesa dello stato dall’invadenza della chiesa, ma è più propriamente la difesa della libertà dell’individuo tanto dall’autoritarismo dei cattivi stati, quanto dall’autoritarismo della cattive chiese ...il laicismo possiede quella compiuta universalità che può davvero assicurare la coesistenza degli uomini in una casa comune" . Stabiliti i principi del laicismo sul piano etico e ideologico rimaneva il problema di un’azione politica in un paese in cui la presenza di un grosso partito cattolico imponeva la confessionalità dello Stato. Ai rapporti fra chiesa e stato fu dedicato il convegno che si svolse il 6 e il 7 aprile del 1957. Venivano così esaminati gli aspetti più significativi della presenza della chiesa in Italia con le conseguenze che ne derivavano ed era indubbiamente un merito de "Il Mondo", nella generale latitanza degli altri partiti di aver avuto il coraggio di studiare con serietà un problema fondamentale della nostra storia politica e civile. Fu dimostrato come, a partire dalla Bolla di Bonifacio VIII Unam Sanctam, fino all’ultimo discorso di Pio XII, la Chiesa non aveva mai rinunciato all’originale ideale teocratico e aveva sempre considerato il suo potere in Italia come una posizione chiave per il suo governo nel mondo. L’invadenza della chiesa cattolica nelle faccende temporali italiane poteva essere eliminata con il ripristino di un sistema separatistico abbandonando quindi quello concordatario. A chiusura del convegno quindi venne fuori l’intenzione di abrogare il Concordato. Come era prevedibile critiche vennero sia dalla stampa cattolica sia da quella comunista. Ma anche "L’Avanti" accusò i radicali di velleitarismo per non aver indicato con quali forze intendeva condurre la sua battaglia che, secondo il quotidiano socialista, doveva essere combattuta a fianco delle masse popolari. A queste accuse rispondeva il settimanale "Ne saremmo lietissimi, ma non è certo colpa nostra se ci troviamo a condurre quasi da soli le nostre battaglie per i diritti civili".
Un campo in cui l’invadenza clericale si faceva più sentire era quello della scuola. Di questo problema "Il Mondo" se ne era da sempre occupato, sottolineando le antinomie fra certe proposizioni degli accordi lateranensi, che consideravano la dottrina cattolica come fondamento dell’istruzione pubblica, e le norme della Costituzione, che sanciscono la libertà di pensiero e di religione e quindi la parità dei culti. Il settimanale non aveva mai cessato di denunciare i finanziamenti che i governi democristiani avevano elargito alle scuole private, soprattutto religiose, a danno di quelle statali. I radicali si batterono per il potenziamento e il rinnovamento della scuola stessa che in quegli anni attraversava una profonda crisi. Infatti le spese per le scuole pubbliche figuravano all’ultimo posto del bilancio dello Stato e bisognerà attendere il primo governo di centrosinistra per istituire la scuola media obbligatoria e uguale per tutti e per stanziare maggiori fondi.
"Processo alla scuola" fu quindi il titolo che gli Amici de "Il Mondo" dettero al convegno che si svolse a Roma il 25 e 26 febbraio del 1956, poco dopo la nascita del Partito Radicale. Il problema principale era di ordine politico poichè non era concepibile un sano sviluppo di una società democratica senza una scuola pubblica efficiente e libera. Il convegno, data l’ampiezza del problema non si concluse con proposte precise ma, ebbe il carattere di un’accurata documentazione. I problemi di una scuola italiana non si potevano certo esaurire in due giorni di dibattito, ma richiedevano un costante impegno a cui i radicali si dedicarono per anni, denunciando le carenze e affermando la libertà di insegnamento: "Se la scuola vuole davvero preparare spiriti liberi, è necessario che sia fatta da uomini pienamente liberi. Non possiamo ad un maestro schiavo affidare l’ufficio di educare alla libertà i futuri cittadini" .
Ma una società libera non può crescere senza una stampa libera e a questo tema fu dedicato il convegno "Stampa in allarme", svoltosi a Roma il 22 e 23 febbraio 1958. "Il Mondo" aveva sempre rivolto una particolare attenzione alle condizioni della stampa italiana, denunciando la mancanza di una corretta informazione, il conformismo, i silenzi, le compiacenze verso le proprietà editoriali legate a gruppi economici e al governo. In una società civile la stampa formata da giornalisti responsabili e liberi, avrebbe dovuto colmare il distacco che sempre più si avvertiva tra la vita politica e la vita di massa. I giornali invece si comportavano invece in modo opposto: davano priorità e spazio a manifestazioni di massa mentre le indicazioni della cultura, delle élite non trovavano riconoscimento. La stampa italiana rifletteva la pesante atmosfera che gravava sul Paese. I giornalisti per far tornare la stampa libera dovevano parlare centrando i problemi essenziali sentendo voci di disparate tendenze politiche, non lasciandosi soffocare dai gusti e dalle esigenze di massa. A conclusione del convegno furono decise una serie precise di richieste a tutela della libertà di stampa: abolizione della proposta costituzione di una speciale commissione di censura per la stampa destinata ai fanciulli e agli adolescenti, abolizione del reato di vilipendio, riaffermazione del diritto di cronaca e di critica, approvazione di leggi contro la concentrazione delle testate.
La vita pubblica si presentava agli occhi dei radicali con aspetti allarmanti e ciò si constatava nel convegno intitolato "Verso il regime" tenutosi a fine gennaio del 1959. La lunga permanenza al potere di un partito egemone andava producendo un deterioramento delle istituzioni. Sorgeva quindi il pericolo che la DC confondesse l’interesse proprio con l’interesse collettivo e si sostituisse arbitrariamente alla legge. Al polo opposto il PCI, "... I partiti di opposizione dimostrarono un’inclinazione piuttosto che a esercitare sul Governo un valido controllo a trarre tutti i possibili vantaggi che un partito riesce ad assicurarsi, nonostante la sua esclusione dal potere" affermava il settimanale. Nasceva così un clima di sfiducia e di scetticismo verso le istituzioni. Le soluzioni per arrestare questo processo stavano nella partecipazione del maggior numero possibile di cittadini in organismi democratici, in un sistema di checks and balances. La richiesta stessa di un istituto regionale, di cui si chiedeva l’attuazione, poteva rappresentare vasti strati di cittadini. L’attenzione del settimanale non poteva non rivolgersi ad un altro strumento considerato di regime: la RAI. Completamente monopolizzata dai grandi partiti, l’ente televisivo doveva essere riformato secondo Ernesto Rossi togliendolo dal monopolio democristiano e creando una commissione parlamentare di controllo. Gli ultimi due convegni si svolsero quando il giornale aveva già abbandonato il Partito Radicale. A testimonianza dell’interesse del giornale per tematiche di vasto respiro europeistico, si svolse il 2 e 3 febbraio del 1963 il convegno intitolato: "Che fare per l’Europa?". Mentre l’ultimo svoltosi il 21 e 22 marzo del 1964 ebbe come titolo un tema sul quale si consumò l’ultima grande battaglia, l’ultima grande speranza, l’ultima grande illusione del settimanale: "La politica del centrosinistra".
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